Da Torino a Genova: in festa per san Giovanni Battista

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Sabato 24 giugno molte città italiane hanno festeggiato il patrono  san Giovanni Battista, l’unico Santo, insieme alla Vergine Maria, di cui si celebra il giorno della nascita terrena (24 giugno), oltre a quello del martirio (29 agosto). E’ patrono dei monaci, battezzò Gesù nelle acque del fiume Giordano, morì martirizzato ed è chiamato il ‘Precursore’ perché annunciò la venuta di Cristo. Celebre l’episodio in cui sussultò di gioia nel grembo della madre, Elisabetta, quando ricevette la visita di Maria.

Tra le città Genova ha festeggiato solennemente il patrono san Giovanni Battista, con la messa celebrata da mons. Marco Tasca in Cattedrale, mostrando ai fedeli l’urna con le ceneri del Battista e da qui ha benedetto il mare, il porto e tutta Genova. Nel ‘Discorso alla Città’ pronunciato dalla cattedra di San Lorenzo l’arcivescovo si è soffermato su temi importanti quali l’inclusione, la famiglia, l’economia della città, il lavoro, la povertà e le disuguaglianze:

“Il punto privilegiato per osservare questa realtà è la vita delle persone che vivono in situazioni di disagio o di grave povertà; la statura morale di una comunità infatti si misura nel rimanere unita rispettando e accompagnando il passo dei più piccoli e fragili.

Il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità contenuto nell’Agenda 2030 al numero dieci pone questo obiettivo: assicurare pari opportunità e ridurre le disuguaglianze. Dopo 8 anni dalla sottoscrizione dell’Agenda la forbice sociale invece di diminuire continua ad aumentare.

Le disuguaglianze persistono; si registrano grandi disparità di accesso al lavoro, ai servizi sanitari, all’istruzione, all’educazione.  L’emergenza abitativa e il disagio giovanile, come segnala la Caritas genovese, richiedono interventi di tipo straordinario e di lungo respiro”.

Ed ha sottolineato che l’inclusione è un’opportunità: “Genova è una città posta al centro di una Regione che per conformazione naturale sembra pronta, con le braccia allargate, ad accogliere chi arriva dal mare…

La storia ci insegna che le persone che giungono da lontano possono essere percepite come pericolo o come opportunità. Nel primo caso il rischio è di chiudersi bloccando ogni processo di conoscenza e di relazione alimentando paure e diffidenze.

Genova, invece, desidera continuare a crescere nel diventare un modello di inclusione e di multiculturalità, un esempio di civiltà e di umanità, dove le persone di qualunque ceto sociale e da qualunque punto del mondo arrivino, siano sempre considerate degne di ogni interesse politico”.

Ha incentrato la riflessione sull’economia: “La Chiesa, attraverso i servizi di ascolto e con il lavoro di osservazione e di analisi delle povertà, attraverso i tanti volontari e anche dalla nostra Caritas di Genova, registra l’acuirsi dell’apertura della forbice: una delle cause principali è la perdita del potere di acquisto dei salari medio-bassi.

Ciò sta producendo effetti gravi per le famiglie che vivono nel rischio della perdita della casa o dello scivolamento da una condizione di disagio ad una condizione di povertà assoluta. Ciò è dimostrato dall’alto accesso ai servizi di sostegno al reddito e di distribuzione di generi di prima necessità. Si registra una cronicizzazione delle condizioni di disagio”.

Un’economia che necessita di figure professionali: “Attualmente in Liguria e in Italia ci sono tanti posti di lavoro che vengono offerti ma non si trova chi abbia le competenze e la professionalità per occuparli. In questo senso è necessario che la formazione scolastica abbia anche come obiettivo l’inserimento nel mondo del lavoro…

E’ nell’interesse di tutti che le istituzioni, le componenti del lavoro e la Chiesa si stringano insieme per difendere e sostenere questa tradizione di laboriosità riconosciuta anche a livello internazionale, analizzando insieme con attenzione le conseguenze di uno sviluppo che spinge verso un’organizzazione del territorio più corrispondente alle esigenze turistiche e commerciali”.

Anche da Torino mons. Roberto Repole ha incentrato l’omelia sullo sviluppo della città: “Ecco, facciamo bene a celebrare la memoria di Giovanni il Battista, anzitutto come Chiesa e come cristiani di Torino, per riprendere lo slancio e il coraggio di vivere nella città degli uomini, in questa città degli uomini, pienamente concentrati su Cristo, ma capaci di indicarlo come quella verità, quel senso, quella trascendenza di cui questa città ha un infinito bisogno.

Dei cristiani e una Chiesa che indicano Cristo anche per la vita civile, svolgono un servizio grandissimo di carità sociale e politica. C’è stata, c’è e ci sarà sempre una carità che mette le pezze, potremmo dire, a certi piccoli o grandi disastri delle nostre società occidentali”.

Per l’arcivescovo è una questione di visione: “Penso alla debolezza, allo sconcerto, alla fragilità di tanti bimbi e di tanti ragazzi che debbono venir su senza poter contare sull’affetto certo e rimanendo qualche volta nell’insicurezza, nella precarietà strutturale della vita.

Penso alla profonda solitudine di tante donne e uomini anziani, che lo sviluppo tecnologico a volte rende ancora più amara. Non lo diciamo mai, ma più cresce la tecnologia e più tanti anziani si trovano forestieri dentro questo mondo…

E’ questa la società e il futuro che vogliamo oppure vogliamo anche altro? E penso al dramma che vivono alcuni giovani. Mi colpisce che cresca il livello di autolesionismo nei giovani, qualcosa che altre generazioni non hanno conosciuto, che ci dovrebbe far pensare.

Ma qualche volta cresce anche l’aggressività nei confronti di altri. Viviamo in una città che non soltanto vive una crisi di natalità ma dove i dati ci dicono che la popolazione carceraria giovanile cresce. Forse qui dentro c’è un urlo, una richiesta di senso che dobbiamo ascoltare”.

Ed ha indicato san Giovanni Battista per riprendere fiducia: “Ma oggi c’è bisogno che noi riprendiamo fiducia, parresia, nel dire che Cristo può essere colui che dà senso alle nostre vite e che dà senso e identità anche alle nostre città, ai nostri paesi.

Se lo facciamo, io credo che si potrà catturare l’attenzione di tutte le donne e gli uomini di buona volontà, di tutti quelli che vogliono bene a questa città e che già si stanno impegnando tantissimo per il bene di questa città, affinché si riscopra la necessità di una cultura che non sia soltanto una cultura che tende a disintegrare quello che c’è, ma di una cultura costruttiva perché dà prospettive di verità, di trascendenza e di senso…

Ma quando avremo anche tutto questo, non avremo ancora fatto un passo definitivo verso qualcosa d’altro che la «beatitudine bestiale». Sarebbe bello riprendere confidenza con Giovanni il Battista, che ci indica Cristo come possibilità di un senso, di una verità, di una trascendenza, che ci fa vivere insieme in modi rinnovati e molto più belli”.

(Foto: arcidiocesi di Genova)

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