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Osservatorio Inclusione Scolastica: al centro continuità didattica e il nuovo PEI informatizzato
Giovedì 2 ottobre si è riunito, alla presenza del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, l’Osservatorio Permanente per l’Inclusione Scolastica, un organismo consultivo che si occupa di monitorare le politiche educative relative all’inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità. All’ordine del giorno vi erano diversi temi rilevanti, tra cui le misure da adottare per garantire la continuità didattica agli studenti e alle studentesse con disabilità e la situazione dei percorsi formativi ai sensi dell’articolo 6 e 7 del Decreto 71/2024. Un altro importante tema trattato è stato l’adozione della modalità informatizzata per la redazione dei Piani Educativi Individualizzati (PEI), strumento fondamentale per la personalizzazione dell’offerta formativa e il supporto specifico agli studenti con disabilità.
Alla riunione ha partecipato anche la Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie (FISH), che attraverso le proprie rappresentanze all’interno dell’Osservatorio ha presentato alcune criticità, pervenute da molte famiglie, relative all’avvio dell’anno scolastico. Nonostante gli sviluppi positivi derivanti dall’applicazione del Decreto 32/2025, che ha avuto un impatto positivo nel garantire la continuità didattica, restano irrisolte alcune problematiche, in particolare per quanto riguarda l’effettiva implementazione delle misure di supporto agli studenti e alle studentesse con disabilità e alle loro famiglie.
Nel corso del dibattito sono state avanzate diverse proposte operative per affrontare le problematiche emerse, tra cui l’implementazione di un percorso formativo dedicato per gli insegnanti di sostegno e una campagna più capillare di informazione riguardo la redazione dei PEI. Inoltre, per migliorare l’efficacia delle attività dell’Osservatorio, è stato richiesto di recepire ufficialmente il regolamento di funzionamento dell’organismo, di incrementare il numero degli incontri e di creare dei gruppi di lavoro tematici, che permettano di affrontare in modo puntuale e approfondito le problematiche legate all’inclusione scolastica.
Il Ministro Valditara ha espresso il suo impegno a proseguire il lavoro congiunto con tutte le parti coinvolte, per garantire che la scuola sia davvero inclusiva per tutti e tutte.
Inoltre la Legge 112/2016, universalmente nota come ‘Dopo di Noi’, rappresenta un pilastro essenziale nel sistema di welfare italiano, concepito per garantire misure di assistenza, cura e protezione in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare o in previsione del venir meno di esso. L’obiettivo primario è sostenere soluzioni abitative innovative che promuovano la qualità della vita e l’inclusione sociale del disabile.
La vicenda del signor Giuseppe, sfrattato a 91 anni insieme al figlio disabile, una storia recentemente riportata dal Corriere della Sera, squarcia il velo sull’urgenza sociale e le criticità irrisolte della Legge.
Queste storie evidenziano come la promozione dell’autonomia abitativa e del modello di vita indipendente sia strettamente legata alla creazione di percorsi di sostegno all’autonomia (co-housing, gruppi appartamento) e agli investimenti infrastrutturali per l’abbattimento delle barriere architettoniche e l’installazione di sistemi di teleassistenza.
La transizione al ‘Dopo di Noi’ dovrebbe iniziare, infatti, in modo programmato e graduale già nel periodo ‘Durante Noi’, ma questo percorso è ostacolato da criticità sistemiche come la disomogeneità applicativa tra le diverse Regioni e Ambiti Territoriali e l’incertezza sui servizi. In molte aree, la definizione e la garanzia dei LEPS (Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali) restano incomplete o assenti, lasciando le famiglie in una situazione di profonda incertezza sui servizi a cui hanno diritto.
“La Legge ‘Dopo di Noi’ è nata per rispondere alla paura di migliaia di famiglie italiane: cosa sarà dei nostri cari con disabilità grave quando non potremo più assisterli?”, sottolinea il presidente della Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie (FISH) Vincenzo Falabella: “A distanza di anni dalla sua entrata in vigore, pur riconoscendo il valore della norma, dobbiamo denunciare una frattura significativa tra il principio di diritto e la sua effettiva applicazione sul territorio. La storia del signor Giuseppe e di suo figlio ci ricorda che siamo ancora lontani dalla piena attuazione della Legge. Dobbiamo continuare a lavorare per questo obiettivo che è un dovere istituzionale e una promessa di civiltà”.
Caritas Italiana lancia la sfida del contrasto alla povertà
In occasione della presentazione, avvenuta a Roma mercoledì 8 ottobre, del Rapporto dedicato alle politiche di contrasto alla povertà, Caritas Italiana offre un primo bilancio sull’Assegno di Inclusione (ADI), introdotto a gennaio 2024. La riforma, che ha sostituito il Reddito di Cittadinanza, ha segnato un cambio di paradigma: dal principio universalistico dell’aiuto a tutti i poveri a un approccio categoriale, riservato solo ad alcune tipologie familiari.
Infatti la povertà ha molte dimensioni (economica, lavorativa, abitativa, familiare, sanitaria e psicologica) e non ha cause né soluzioni semplici. I dati Caritas lo confermano, ma ciò non significa arrendersi né frammentare le risposte pubbliche. Occorre invece partire da alcuni punti fermi emersi dal monitoraggio Caritas: l’obiettivo è mettere le persone in grado di plasmare il proprio destino (libertà positiva) combinando sostegno economico immediato e servizi di accompagnamento in un unico percorso di inclusione.
Quindi i dati raccolti da Caritas evidenziano una contrazione della platea dei beneficiari del 40-47%, senza che questo abbia migliorato l’efficacia nel raggiungere i più fragili. Sono infatti escluse molte famiglie in età da lavoro senza figli, lavoratori poveri, stranieri e nuclei residenti nel Centro-Nord. In particolare, le famiglie straniere (pur con un allentamento del requisito di residenza) risultano ulteriormente penalizzate dalla nuova scala di equivalenza.
Perciò secondo Caritas una delle strade percorribili per ridurre gli stanziamenti sulla povertà avrebbe potuto essere quella di indirizzare maggiormente il sostegno pubblico verso i più deboli, incrementando la percentuale di poveri tra i beneficiari della misura pubblica e correggendo così i limiti del Reddito di Cittadinanza nella capacità di raggiungere gli ultimi. In altre parole, si sarebbe potuto modificare la misura con un intervento verticale, cioè concentrando le risorse verso i più poveri; al contrario, si è scelto un approccio orizzontale, che ha ristretto la platea con criteri categoriali (presenza di figli minori, di persone con disabilità e non autosufficienza, over 67 anni), indipendentemente dal livello di povertà e lasciando così nuclei fragili scoperti:
“Come effetto si è avuta la drastica riduzione della platea di beneficiari del 40-47%, che non si è tradotta in un miglior indirizzamento delle risorse economiche verso i più fragili fra i fragili. A essere maggiormente penalizzati dalla riforma sono le famiglie in età da lavoro senza figli minori, i lavoratori poveri, gli stranieri e chi vive nel Centro-Nord. Si tratta spesso di segmenti già molto deboli del tessuto sociale e, in questi casi, l’esclusione dal beneficio può tradursi in un aumento delle famiglie effettivamente in povertà che restano senza sostegno.
Al tempo stesso, i criteri categoriali adottati non sembrano ridurre in modo significativo l’accesso da parte di famiglie non povere. In altre parole, alcune famiglie vulnerabili restano escluse, mentre altre, non necessariamente povere, riescono comunque a ricevere il sussidio. L’intenzione di riservare alle famiglie con responsabilità di cura una protezione particolare, in ragione delle loro specificità, è condivisibile ma non può ledere il diritto di ognuno a ricevere un aiuto da parte dello Stato, indipendentemente da caratteristiche anagrafiche, familiari o di altro tipo”.
Per questo la Caritas conferma, come già accadeva con il Reddito di Cittadinanza, una forte discrepanza tra la distribuzione geografica dei poveri e quella dei beneficiari: nel Nord si trova oggi il 41% delle famiglie povere assolute, ma solo il 15% delle famiglie che ricevono l’assegno di inclusione: “Nel 2024, con l’attivazione dell’ADI, l’Italia è diventata l’unico Paese europeo senza una misura di reddito minimo rivolta a tutti i poveri in quanto tali e non solo ad alcune categorie, come le famiglie con figli o senza componenti occupabili. Si è passati, in sintesi, dal principio dell’universalismo (aiutare tutti i poveri) a quello della categorialità familiare (aiutare solo alcuni poveri, individuati in base alle caratteristiche della loro famiglia)”.
Il Rapporto sottolinea come, in questo scenario, Caritas sia tornata a svolgere un ruolo di ‘paracadute’ sociale, registrando un aumento delle richieste di aiuto per beni primari come cibo, affitto e utenze. Un’inversione di tendenza preoccupante che rischia di ridurre lo spazio per l’accompagnamento personalizzato verso l’autonomia: “Il problema, però, non riguarda solo la quantità dell’impegno richiesto alle Caritas, ma anche la sua natura. Se con il RDC molte famiglie riuscivano a coprire almeno le spese essenziali (affitto, bollette, alimentari) e si rivolgevano alla Caritas soprattutto per supporti integrativi o per la gestione di specifiche emergenze, ora si sta assistendo a un ritorno alle esigenze primarie”.
Le richieste ai centri Caritas sono tornate a concentrarsi su beni di prima necessità: pacchi alimentari, pagamento di utenze, contributi per l’affitto, materiale scolastico per i figli. Un simile spostamento rischia di schiacciare l’azione della Caritas verso un’assistenza prevalentemente materiale e burocratica: “Esiste il pericolo, in vari territori è già realtà, che venga messo in secondo piano un obiettivo fondamentale dell’approccio Caritas, cioè l’accompagnamento personalizzato della persona verso l’autonomia. Caritas sembra sollecitata ad assumere soprattutto un ruolo di paracadute per evitare che chi sta cadendo in povertà precipiti al suolo rispetto a un ruolo di trampolino verso una vita migliore, attraverso opportuni percorsi di accompagnamento”.
Nel passaggio dal RDC all’ADI si è ammorbidito il requisito di residenza sul territorio nazionale necessario per fare domanda, da 10 anni previsti dal RDC ai 5 anni stabiliti dall’ADI. Tuttavia, la nuova scala di equivalenza dell’ADI penalizza fortemente le famiglie numerose, spesso straniere, e questo effetto ha più che compensato l’allentamento del vincolo sulla residenza: “Tra luglio 2023 (RDC) e giugno 2025 (ADI) infatti la riduzione percentuale nel numero di nuclei beneficiari è stata maggiore per gli stranieri (-40%) rispetto agli italiani (-35%), indicando una maggiore penalizzazione del primo gruppo rispetto al secondo con le nuove misure. Considerando quindi l’evoluzione delle misure nazionali, si è passati da una esclusione sistematica degli stranieri, determinata da un criterio molto severo sugli anni di residenza (10 anni) col RDC, a una esclusione che può risultare ancora più marcata coll’ADI, generata dall’inasprimento degli altri criteri di accesso (composizione familiare)”.
Infine anche il Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL) mostra alcuni limiti: bassa partecipazione, percorsi poco incisivi e scarse opportunità occupazionali stabili. Più che un trampolino verso l’inclusione, rischia di essere percepito come un sostegno temporaneo e inefficace.
Per questo Caritas Italiana richiama l’attenzione sulla necessità di politiche inclusive, coordinate e basate sui reali bisogni delle persone, per garantire a tutti, e non solo ad alcuni, il diritto a un’esistenza dignitosa.
(Foto: Caritas Italiana)
Inclusione scolastica: FISH chiede continuità didattica e formazione obbligatoria per gli insegnanti
Si è svolta nei giorni scorsi l’audizione della Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie (FISH) presso la VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione) della Camera dei deputati. I relatori per la FISH Vincenzo Falabella, presidente e Roberto Speziale, vicepresidente vicario hanno presentato la Memoria della Federazione nell’ambito dell’esame della proposta di legge C. 2303, recante l’introduzione della qualifica di ‘docente per l’inclusione’.
A oltre quarant’anni dall’introduzione, con la Legge 104 del 1992, dell’insegnante specializzato per il sostegno, il sistema italiano presenta criticità strutturali che compromettono gravemente la realizzazione effettiva del diritto all’inclusione scolastica. In particolare, ad oggi circa il 43% degli insegnanti di sostegno è privo di specializzazione specifica, e quindi non ha seguito percorsi formativi abilitanti e professionalizzanti per rispondere ai bisogni educativi degli alunni con disabilità, come ha dichiarato il presidente Falabella:
“Questa percentuale inaccettabile compromette seriamente la qualità dell’istruzione offerta ai nostri studenti e alle nostre studentesse con disabilità, L’introduzione di una figura professionale dedicata all’insegnamento di sostegno non può e non deve essere un contentino o un provvedimento spot, ma l’occasione per sanare le disfunzioni sistemiche che riguardano formazione, continuità e stabilità del personale”.
La Federazione, da decenni impegnata per un’istruzione di qualità, ha presentato una propria Proposta di Legge per la Continuità Didattica e la Formazione Specializzata sul Sostegno, che prevede in particolare l’istituzione di specifiche classi di concorso per il sostegno didattico; il riconoscimento della continuità didattica come elemento strutturale dell’inclusione; i criteri chiari e qualificanti per la nomina dei docenti specializzati; l’obbligo di formazione specifica in materia di inclusione anche per i docenti curricolari; la definizione chiara di ruolo e competenze degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione (ASACOM), figure essenziali per l’effettiva partecipazione scolastica, secondo l’affermazione di Roberto Speziale, vicepresidente vicario della FISH:
“Concordo pienamente con quanto dichiarato dal presidente Falabella, l’inclusione scolastica deve essere, prima di tutto e soprattutto una questione di qualità e non solo di quantità. Al centro ci devono essere sempre gli interessi delle bambine/i, alunne/i, studenti/esse con disabilità. Il primo soggetto che deve essere responsabilizzato è l’insegnante curriculare ma è anche necessario valorizzare ulteriormente la figura del docente specializzato sul sostegno e dell’assistente all’autonomia e comunicazione, se si vuole realmente che l’inclusione scolastica non rimanga un mero enunciato normativo”. “L’auspicio è che al più presto si approvi la proposta della FISH in ordine all’istituzione di specifiche classi di sostegno”.
Per questo la FISH esprime perplessità in merito agli emendamenti, presentati agli articoli 6 e 7 del Decreto-Legge 71/2024, i quali prevedono lo slittamento del termine dei corsi di specializzazione per insegnanti di sostegno erogati dall’INDIRE (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) fino a dicembre 2026.
Il Decreto 71/2024 stabilisce che fino al 31 dicembre 2025 la specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni e alle alunne con disabilità possa essere conseguita attraverso percorsi di formazione attivati da INDIRE, in modalità prevalentemente asincrona. Gli emendamenti in questione estenderebbero la validità di queste modalità di erogazione dei corsi fino al 31 dicembre 2026.
La FISH, pur comprendendo le difficoltà insite nell’apportare cambiamenti tempestivi e radicali a un sistema complesso come quello della formazione degli insegnanti di sostegno, invita i Senatori che hanno presentato gli emendamenti di ritirarli e ad aprire un confronto con la Federazione. La FISH, infatti, ribadisce con forza la necessità di lavorare per la creazione di un sistema scolastico veramente inclusivo, che garantisca una formazione adeguata e di alta qualità ai docenti.
La Federazione sottolinea che la formazione degli insegnanti di sostegno è un pilastro essenziale per assicurare un’istruzione di qualità per tutti e tutte, in grado di rispondere in modo efficace e competente alle esigenze degli studenti e delle studentesse con disabilità.
La FISH continuerà a lavorare per questi obiettivi con l’auspicio che il sistema scolastico evolva presto verso soluzioni che coniughino l’efficienza organizzativa, con l’indispensabile necessità di una formazione adeguata agli insegnanti di sostegno.
Il ‘Back to School’ della San Vincenzo De Paoli: da Nord a Sud, una rete che sostiene bambini e ragazzi
Il ritorno a scuola non è uguale per tutti. Per molte famiglie, settembre è un mese di preoccupazioni, perché mancano gli strumenti di base: uno zaino, un quaderno, un astuccio. La Società di San Vincenzo De Paoli, con i Consigli Centrali e le Conferenze locali diffuse su tutto il territorio nazionale, anche quest’anno ha scelto di trasformare il ‘back to school’ in un’occasione di inclusione e speranza, offrendo a bambini e ragazzi ciò che serve per iniziare l’anno scolastico con dignità e pari opportunità.
A Terni, dal 2016, l’Emporio Bimbi è diventato un punto di riferimento per centinaia di famiglie: 680 nuclei familiari e quasi 1.200 bambini di 37 nazionalità diverse hanno ricevuto zaini, grembiuli, quaderni e tutto il materiale necessario. “I bambini vanno aiutati e hanno diritto a integrarsi nella società e nel mondo scuola – spiega Antonella Catanzani, responsabile del progetto –. Questi strumenti semplici diventano per loro il biglietto d’ingresso per sentirsi parte della comunità”. Accanto ai volontari adulti, operano anche i giovanissimi della “Miniconferenza”: ragazzi che, con il progetto Piccolo x Piccolo = Grande, aiutano i coetanei nei compiti, organizzano raccolte alimentari e attività di integrazione.
Anche a Monza, solo nel 2024 sono state supportate quasi 1.300 famiglie. “Ogni giorno – afferma Claudia Beltrame, membro dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Centrale di Monza – cerchiamo di dare sostegno alle persone in difficoltà. Proprio in questi giorni, grazie alla collaborazione con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni di Muggiò, abbiamo consegnato a 300 bambini della scuola primaria zaini e materiale scolastico. Un segnale concreto per iniziare l’anno con entusiasmo e pari opportunità”.
Il Consiglio Centrale di Rho Magenta della Società di San Vincenzo De Paoli oggi sostiene circa 250 famiglie con figli e accompagna bambini e ragazzi dalla nascita all’età adulta, rispondendo alle loro necessità: dalla distribuzione del vestiario al materiale scolastico. Collabora con gli oratori per offrire sostegno ai ragazzi nei centri estivi.
“Il nostro fiore all’occhiello è il doposcuola – racconta Nelly Minardi, Presidente del Consiglio Centrale di Rho Magenta della Società di San Vincenzo De Paoli – un percorso formativo dedicato ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado, a cui partecipano 35 studenti. Due volte alla settimana si fanno i compiti insieme, in un ambiente che favorisce la crescita e la condivisione”.
All’inizio del percorso ogni ragazzo compila una scheda personalizzata, indicando un obiettivo da raggiungere entro la fine dell’anno: diventare più organizzati, acquisire il metodo di studio. Durante l’anno si fermano per riflettere e autovalutarsi, monitorando i propri progressi. A guidarli in questo cammino ci sono una volontaria, uno psicologo e diversi formatori che accompagnano ciascun ragazzo con attenzione e dedizione.
“I genitori ci dicono spesso quanto siano felici di vedere i propri figli impegnati e motivati in questo percorso”, afferma Nelly Minardi, Presidente del Consiglio Centrale di Rho Magenta della Società di San Vincenzo De Paoli. “Il doposcuola non è solo un supporto nello studio, ma un vero e proprio percorso educativo che aiuta i ragazzi a crescere, a sviluppare autonomia e a migliorare le proprie capacità personali”, specifica la Presidente Minardi.
In Sicilia, a Vittoria, il Consiglio Centrale ha rivolto particolare attenzione alle necessità dei ragazzi assistiti dalle dieci Conferenze attive sul territorio. Si tratta di 118 alunni tra scuola primaria, secondaria di primo grado e alcuni delle superiori. “Quest’anno – dichiara – l’iniziativa ha avuto un sostegno speciale grazie al Club Lions di Vittoria e alla sua Presidente, Daniela Marchi, che hanno promosso il progetto ‘Lo zaino sospeso’”. L’iniziativa ha permesso di raccogliere e distribuire materiale didattico destinato alle famiglie seguite dalla Società di San Vincenzo De Paoli offrendo un concreto esempio di collaborazione e di unione delle forze al servizio dei più bisognosi.
A Caltagirone, la Conferenza Santa Caterina da Siena – San Giorgio segue durante l’anno 40 famiglie in condizioni di bisogno e accompagna 34 bambini e ragazzi in un percorso di crescita che va oltre la semplice distribuzione di materiale scolastico, garantendo vicinanza e sostegno costante. Un volontariato che diventa così accompagnamento costante e cammino educativo. Come ricorda Mario Sortino, vice Presidente della Conferenza Santa Caterina da Siena – San Giorgio:
“Il nostro impegno va oltre il dono di uno zaino o di un quaderno. Significa camminare accanto alle famiglie, sostenere i bambini nella loro crescita e trasmettere loro fiducia, dignità e speranza. Perché solo offrendo strumenti e vicinanza si può costruire un futuro più giusto e inclusivo”.
Sempre in Sicilia, a Termini Imerese, il Consiglio Centrale ha promosso la seconda edizione del concorso scolastico ‘Educare alla Pace’, dedicato agli studenti delle scuole secondarie di I e II grado. Il concorso prende spunto da Maria Montessori: “Tutti parlano di pace, ma nessuno educa alla pace. (…) Quando si educherà per la cooperazione e la solidarietà, quel giorno si starà educando alla pace”. Un invito a partire dai banchi di scuola per costruire un futuro più solidale e consapevole.
Non solo bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie: la Società di San Vincenzo De Paoli investe anche sui giovani delle superiori con il progetto nazionale “ScegliAmo Bene”, promosso dal Settore Carcere e Devianza. L’iniziativa prevede laboratori, incontri con esperti e attività pratiche per riflettere sul valore della legalità, sulla responsabilità delle proprie scelte e sull’importanza di un ruolo attivo nella comunità. Gli studenti hanno anche la possibilità di sperimentarsi come volontari, contribuendo direttamente a progetti sociali locali. “Il progetto vuole essere un ponte tra esperienza educativa e impegno civile – spiega Antonella Caldart, Responsabile del Settore Carcere e Devianza – offrendo ai giovani strumenti concreti per costruire un futuro più giusto, solidale e responsabile”. La prima edizione partirà da Brescia e si estenderà progressivamente a livello nazionale, coinvolgendo tutte le scuole superiori presenti nei territori con Conferenze vincenziane.
A Vittorio Veneto già cinque Istituti Superiori prenderanno parte al percorso. “Il progetto arricchirà ulteriormente il sostegno agli studenti – sottolinea Attilio Momi, presidente del Consiglio Centrale di Vittorio Veneto – Società di San Vincenzo De Paoli ODV. Ogni anno supportiamo i ragazzi con il trasporto pubblico, il doposcuola e borse di studio per gli studenti meritevoli in difficoltà economica”.
Dall’Umbria alla Lombardia, dal Veneto fino alla Sicilia, il filo conduttore delle iniziative della Società di San Vincenzo De Paoli è chiaro: nessun bambino o ragazzo deve sentirsi escluso o privo degli strumenti necessari per crescere. Che si tratti di uno zaino nuovo, di un aiuto nei compiti, di un concorso o di laboratori educativi, ogni gesto diventa un segno concreto di speranza, inclusione e futuro. La Società di San Vincenzo De Paoli invita chiunque voglia unirsi a condividere tempo, risorse o competenze per continuare a costruire insieme una rete di speranza.
(Foto: San Vincenzo De’ Paoli)
Marina Galati confermata presidente del CNCA
L’Assemblea nazionale del CNCA odv, riunitasi ieri online, ha confermato come presidente Marina Galati e ha eletto il Direttivo nazionale, ampliato da 3 a 5 membri: confermati Alessia Pesci e Mattia De Bei, eletti per la prima volta Silvia Rizzato e Antonio D’Aquino. Nel corso dell’Assemblea è stato anche approvato il cambio di nome, allineandosi a quanto già fatto dalla rete CNCA: da Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti.
La presidente Marina Galati ha confermato l’impegno concreto del nuovo Direttivo a rafforzare l’impatto sociale delle attività promosse dal CNCA odv a livello nazionale e internazionale. “Siamo in un tempo che richiede coraggio, visione e prossimità”, ha dichiarato Galati. “Il volontariato non è solo risposta all’emergenza, ma costruzione quotidiana di legami, diritti e possibilità. Il nostro impegno sarà quello di lavorare per sostenere il movimento delle persone e favorire la presa di parola, soprattutto giovanile, attraverso azioni di advocacy e sostegno a percorsi di auto-rappresentanza”.
Nel corso dell’Assemblea si è anche fatto il punto sulle attività recenti del CNCA odv. Particolare rilievo hanno avuto i due appuntamenti di VoCi Festival, tenutisi a novembre 2024: il primo si è svolto a Marzabotto, coinvolgendo le reti di famiglie accoglienti; il secondo a Cetraro, con protagonisti i giovani volontari. Entrambi gli eventi hanno rappresentato spazi fondamentali di incontro, scambio e co-progettazione.
Sono stati, inoltre, realizzati due progetti, in collaborazione con la rete CNCA e l’Associazione Maranathà, all’interno dei quali il CNCA odv ha avuto un ruolo attivo nello sviluppo e nella realizzazione delle attività. Complessivamente, i progetti e il festival hanno coinvolto circa 230 giovani, confermando l’impegno dell’organizzazione nella promozione della cittadinanza attiva tra le nuove generazioni.
Un ulteriore traguardo significativo è stato il finanziamento approvato di un nuovo progetto che consentirà al CNCA odv di ampliare il proprio raggio d’azione e consolidare le pratiche di solidarietà, partecipazione e inclusione.
Il CNCA odv proseguirà la sua azione anche nei prossimi mesi con attività che uniscono volontariato, pace e legami intergenerazionali, valorizzando l’incontro tra generazioni, territori e culture, nella prospettiva di una società più giusta, accogliente e solidale. La nuova governance si pone in continuità con il cammino sinora tracciato, ma con uno sguardo proiettato verso le sfide future.
“Il rinnovo delle cariche del CNCA odv”, ha dichiarato Caterina Pozzi, presidente della rete CNCA, “ha visto un ampliamento dei suoi componenti, passati da 3 a 5, con l’inserimento di due giovani operator3 sociali che ringraziamo di cuore. Un grazie di cuore anche a Marina, Alessia e Mattia per il rinnovato impegno. Il cammino del CNCA odv – che mette al centro la cittadinanza attiva e il coinvolgimento dei giovani e delle giovani – è un tassello fondamentale nel cammino comune di tutto il CNCA”.
Al Centro Astalli di Roma presentato il rapporto
Nelle settimane scorse a Roma è stato presentato il Rapporto annuale del Centro Astalli: uno strumento per capire attraverso dati e statistiche quali sono le principali nazionalità degli oltre 24.000 rifugiati e richiedenti asilo assistiti, di cui 11.000 a Roma, che si sono rivolti nel corso dell’anno al Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia, quali le difficoltà che incontrano nel percorso per il riconoscimento della protezione e per l’accesso all’accoglienza o a percorsi di inclusione.
Durante l’evento, trasmesso anche in diretta sul canale YouTube dell’organizzazione, p. Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ha presentato i dati che raccontano una realtà che, grazie agli oltre 800 volontari che operano nelle 8 sedi territoriali (Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Padova, Palermo, Vicenza, Trento), si adatta a rispondere ai mutamenti sociali e legislativi di un Paese che stenta a dare la dovuta assistenza a chi, in fuga da guerre e persecuzioni, cerca protezione:
“Presentiamo il Rapporto 2025 in questo Anno Giubilare con la ferma convinzione che accompagnare, servire e difendere le persone richiedenti asilo e rifugiate sia un segno di speranza… Il 2024 è stato l’anno del Patto sulla migrazione e l’asilo adottato dal Consiglio Europeo lo scorso maggio. Come in più occasioni sottolineato dalla società civile e con documenti congiunti dall’Ufficio europeo del JRS, l’implementazione di questo Patto può portare, tra le altre cose, a un arretramento del diritto d’asilo, per l’aumento previsto delle procedure accelerate alla frontiera e un conseguente possibile aumento del numero delle persone detenute in modo arbitrario”.
Per quanto riguarda la situazione italiana ha sottolineato la creazione di centri di accoglienza in Albania: “Sul versante Italia il 2024 è stato poi l’anno del braccio di ferro sui centri in Albania. Al di là delle polemiche, quello che ci preoccupa è la creazione di un artificio legale, quello di centri in terra albanese sotto la giurisdizione italiana. Per fare questo si è sostenuto il principio di deportabilità delle persone (abbiamo visto qualche esempio), rispetto alle quali si è persa di vista la centralità della loro dignità, trattandole come carichi residuali non desiderati.
Non convince neppure la recente decisione di convertire queste strutture in Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR)… Non crediamo che l’utilizzo a tale scopo delle strutture in Albania possa migliorarne la funzionalità in vista del rimpatrio delle persone detenute e garantire nel contempo il rispetto dei diritti dei migranti trattenuti”.
Ed ha evidenziato il ‘lavoro’ fatto con i giovani: “Anche per il 2024 una parte importante del percorso di Astalli, attraverso i progetti ‘Finestre e Incontri’, è stato fatto con i giovani italiani delle scuole secondarie, anche se tra di loro ci sono molti ragazzi e ragazze (troppi) che non hanno ancora la cittadinanza, che sono cittadini di fatto anche se ancora non di diritto. Abbiamo continuato, non senza la fatica per le poche risorse, a far incontrare i rifugiati e i testimoni di diverse religioni e confessioni cristiane con studenti e studentesse andando nelle scuole, in 1.969 classi, per un totale di 38.700 studenti in tutta Italia”.
Il Rapporto annuale 2025 del Centro Astalli evidenzia un quadro di crescente complessità e vulnerabilità di cui i rifugiati assistiti sono portatori, in un contesto caratterizzato da politiche migratorie sempre più restrittive e dalle difficoltà di accesso a un sistema di accoglienza adeguato non sempre all’altezza del compito che è chiamato a svolgere.
Sono stati 65.581 i pasti distribuiti presso la mensa di Via degli Astalli, 1.114 le persone ospitate in strutture d’accoglienza, di cui, 227 a Roma, 10.044 le persone che hanno ricevuto assistenza sanitaria presso il Centro Sa.Mi.Fo., 1.161 le persone che si sono rivolte ai servizi di accompagnamento sociale, tra cui 710 quelle che hanno richiesto un accompagnamento ai servizi digitali della Pubblica Amministrazione. Mentre sono stati 38.700 gli studenti e le studentesse incontrati nell’ambito dei progetti di sensibilizzazione ‘Finestre e Incontri’.
Dal rapporto si evince che sono sempre più numerosi i migranti vulnerati da tentativi negati di accesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, intrappolati in un limbo giuridico: “La riduzione a soli sette giorni del termine per presentare ricorso contro decisioni negative alla richiesta di asilo da parte di migranti provenienti da Paesi considerati ‘sicuri’ ha reso difficile garantire un’efficace tutela giurisdizionale.
Sono lunghe mesi, invece, le attese per accedere alle Questure e per ottenere permessi di soggiorno, mentre si lamenta una disponibilità sempre più limitata di posti in accoglienza…. Il servizio di orientamento legale del Centro Astalli si è trovato a supportare 517 persone, tra le quali molte con permessi in scadenza e senza possibilità di rinnovo. A Catania sono state 965 le persone accompagnate nell’iter burocratico della procedura di asilo, 525 a Trento”.
Quest’evento era iniziato con la testimonianza di Khanum Yehoian, originaria dell’Armenia, in fuga dall’Ucraina in guerra: “Mi chiamo Khanum e sono nata in Armenia, un piccolo e antico Paese del Caucaso meridionale, tra Turchia, Georgia, Azerbaigian e Iran. La civiltà armena è una delle più antiche del mondo, ha una storia millenaria e un popolo forte, che è sopravvissuto al genocidio del 1915, quando l’Impero Ottomano organizzò lo sterminio sistematico del mio popolo. Più di 3.000.000 di persone furono uccise e altre milioni furono costrette a lasciare la loro terra…
Vivo a Roma da tre anni e il mio percorso di adattamento in questo nuovo Paese continua. Cerco ancora delle risposte alle tante domande e continuo a crescere come persona. So che l’Armenia, la mia terra d’origine, l’Ucraina, il Paese dove sono cresciuta, e l’Italia, il luogo in cui ho trovato rifugio, fanno parte di me. Tre paesi, tre identità diverse. Ognuno di questi mi ha lasciato un segno e sono felice di poter condividere oggi questa esperienza con voi”.
(Foto: Centro Astalli)
Una partita per la solidarietà: la Società di San Vincenzo De Paoli siciliana scende in campo
E’ stato un abbraccio che corre lungo il campo, calcia forte le paure, dribbla le distanze e segna un goal al cuore. La ‘Partita della solidarietà’ non è semplicemente un evento sportivo, né una serata di raccolta fondi. È molto di più. E’ una lingua universale che non ha bisogno di traduzioni, dove a parlare sono i sorrisi, le strette di mano, gli occhi che brillano.
Perché quando il pallone comincia a rotolare, succede qualcosa di straordinario: le differenze si annullano, i pregiudizi cadono, e resta solo ciò che conta davvero. La voglia di partecipare. Di esserci. Di fare squadra per chi è rimasto indietro.
Allo Stadio comunale ‘Gianni Cosimo’ di Vittoria si è conclusa la partita tra ‘La Football San Vincenzo Sicilia’ e la ‘Football Club Vittoria ASD’. Le squadre sono scese in campo per una nobile causa: il ricavato dei biglietti d’ingresso è stato devoluto all’acquisto di biciclette e di occhiali da vista.
Due strumenti diversi per aiutare le famiglie del territorio supportate dall’Associazione. “Questa zona è ricca di serre che offrono numerose possibilità di impiego. Molti ragazzi, privi della possibilità di acquistare un mezzo di trasporto, sono costretti a rinunciare al lavoro rimanendo in una condizione di estremo disagio. La bicicletta può ridare speranza a tante persone”, afferma il Presidente del Consiglio Centrale di Vittoria, Rosario Macca.
Le serre sorgono in zone periferiche e non sono raggiungibili con mezzi pubblici. Così qualcosa di molto semplice come una bicicletta, diventa un bene prezioso che avvicina il lavoro alla famiglia, rendendo possibile il tragitto.
L’iniziativa rappresenta uno dei tanti modi attraverso i quali la San Vincenzo De Paoli mostra attenzione, amore e vicinanza per i bisogni della persona. “Nelle famiglie si vivono situazioni di grande disagio e, anche l’acquisto di un paio di occhiali da vista per i propri figli, può creare difficoltà”, afferma il Presidente Macca. Grazie all’evento è stata anche stipulata una Convenzione per il controllo gratuito della vista ai più piccoli.
Il progetto è stato sposato dal Coordinatore regionale, Mario Sortino, e da alcuni Consigli Centrali della Sicilia. Questo ha consentito di fare rete, proprio come insegnava il Beato Federico Ozanam: “Vorrei racchiudere il mondo in una rete di carità”. Un concetto che sta a cuore al Coordinatore della Società di San Vincenzo De Paoli siciliana: “Fare rete è fondamentale per creare un impatto reale e profondo. La solidarietà è un cammino da fare insieme guardando al futuro con speranza. Non può fermarsi a un gesto”.
Il gioco diventa così un mezzo per spendersi in un’opera di carità che ha coinvolto più persone consentendo qualcosa di straordinario: “Nasce una comunità”, afferma Paola Da Ros, Presidente della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV.
In campo c’è stata una sfida molto più importante: “Quella dell’inclusione, della partecipazione, della fratellanza. Perché lo sport, nella sua essenza più autentica, è un potente veicolo educativo e sociale. È capace di unire le persone ben oltre le differenze culturali, linguistiche o economiche. Una semplice partita a pallone può fare ciò che spesso le parole non riescono a realizzare: abbattere muri, costruire ponti” dichiara la Presidente Da Ros e conclude con un ringraziamento speciale a tutti coloro che hanno lavorato “Con passione e impegno per rendere possibile questo evento”.
In Sicilia la San Vincenzo De Paoli, con 693 soci e quasi sessanta volontari, promuove numerose iniziative a favore delle persone in difficoltà e offre una gamma di servizi come le visite a domicilio, la distribuzione di beni di prima necessità e sostengo morale e spirituale, l’assistenza burocratica e amministrativa.
Attraverso 84 Conferenze raggruppate in 11 Consigli centrali attive sul territorio viene garantita assistenza quotidiana a14mila persone e a un migliaio di famiglie bisognose presenti in tutte le aree del disagio: “Lavoriamo incessantemente con una serie di iniziative e progetti mirati a contrastare l’esclusione sociale ele diverse forme di marginalità. Il nostro proposito è di stare vicini a chi ha bisogno partecipando attivamente alle loro storie di vita”, racconta Mario Sortino, coordinatore della Società di San Vincenzo De Paoli siciliana.
(Foto: Società San Vincenzo de’ Paoli)
Giornata della Consapevolezza sull’Autismo: l’importanza dell’inclusione
Il 2 aprile di tutti gli anni è celebrata la ‘Giornata mondiale della Consapevolezza sull’Autismo’, istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU con l’intento di richiamare l’attenzione dei cittadini sui diritti delle persone nello spettro autistico e di costruire una società più inclusiva e accogliente.
Per tale occasione abbiamo rivolto alcune domande alla presidente della cooperativa sociale ‘Work Aut – Lavoro ed Autismo’, Stefania Grimaldi, madre di un ragazzo con autismo, chiedendo di raccontare quanta consapevolezza c’è nelle persone rispetto all’autismo: “In generale ritengo che la consapevolezza sia poco presente nelle persone, perché c’è bisogno di fare esperienza direttamente e dopo tante esperienze si può essere consapevoli di questa ‘situazione’.
Però c’è da dire che da quando ho iniziato ad informarmi, in quanto mamma di un ragazzo affetto da autismo, ed ad aderire a questa giornata, sicuramente è aumentata molto la consapevolezza sull’autismo e sulla neuro divergenza sia da parte delle famiglie che si trovano in questa condizione, sia da parte della comunità in cui queste famiglie, che diventano sempre più numerose, vivono. Sicuramente è una crescita, ma siamo ancora molto lontani dalla piena opportunità dell’essere accolti per quello che si è”.
‘Siamo folli sognatori, crediamo dell’inclusività, aspiriamo ad una buona vita, alla soddisfazione, alla realizzazione di sé ed alla felicità’ è la presentazione della cooperativa: perché Work Aut?
“Work Aut è sorto nel 2021 dal sogno di un gruppo di famiglie con figli maggiorenni colpiti da autismo con l’obiettivo di creare per i nostri figli una vita dignitosa ed indipendente in funzione del ‘dopo di noi’, in quanto diventando anziani non potremo più proteggere i nostri figli fragili dall’inconsapevolezza del mondo”.
‘Vivere una vita piena e dignitosa vuol dire partecipare, essere e sentirsi parte di una comunità, apportare il proprio contributo, grande o piccolo che sia. Una società, per essere definita civile, deve essere inclusiva, offrire a tutti le giuste opportunità per esprimere al meglio il proprio potenziale’: quale è la ‘mission’ di Work Aut?
“La mission che ci siamo proposti è quella di sperimentare per ogni persona alcuni percorsi di apprendistato adatti alle caratteristiche dei nostri figli, certi che nell’attività lavorativa, anche se occasionale, si possa offrire dignità ed accoglienza, che meritano”.
Cosa significa realizzare una cooperativa sociale per dare ‘risposte lavorative’?
“Non vogliamo compassione né tantomeno non chiediamo l’elemosina. Vogliamo lavorare perché siamo bravi, perché ci sono risorse umane valide e competenti che non possono restare nell’ombra. Il nostro obiettivo è quello di capire qual è la reale inclinazione dei ragazzi per poterla trasformare in lavoro. Intanto, si formano, si impegnano e guadagnano attraverso il loro lavoro. La nostra speranza è di fare connessioni, collegamenti tra le varie realtà presenti, per riuscire ad inserire i nostri giovani nelle diverse imprese del territorio”.
‘La Cooperativa Sociale Work Aut Lavoro e Autismo, con il progetto Work-Aut, si pone l’obiettivo di creare un ponte tra imprese, attività commerciali, piccole e medie aziende del territorio e le persone con Autismo, attraverso progetti socio-lavorativi che offrano concrete opportunità di lavoro e diano visibilità alle loro capacità lavorative finora rimaste inespresse’. In quale modo si può nutrire l’inclusione?
“Nel modo più naturale possibile. Nel laboratorio ‘Work Aut’ cerchiamo di conoscere i nostri aspiranti apprendisti, dimenticando i limiti diagnosticati, in quanto non sono un limite alla possibilità di sperimentare. Cerchiamo di capire quali sono le passioni ed i talenti dei nostri ragazzi e su questi talenti attiviamo i laboratori, che vanno dalla creazione di piantine fino al confezionamento di bomboniere per arrivare al servizio di bibliotecario e guida turistica”.
A proposito di quest’ultimo progetto di guida turistica cosa è stato riscontrato dai turisti?
“Sono state riscontrate una bellezza ed una magia inaspettata, perché da parte degli operatori ‘work aut’ c’è stata una grande felicità: con lo studio i ragazzi hanno scoperto ed aumentato la loro autostima e quindi nei loro occhi una luce di gioia, che non vedevamo da tempo. Al tempo stesso abbiamo scoperto una grande ammirazione da parte dei turisti, perché non si aspettavano assolutamente di scoprire questa bellezza e questo talento da parte di persone dichiaratamente fragili. Inoltre c’è stata anche una presa di coscienza che le persone hanno luci ed ombre. Il nostro approccio è quello di guardare le ‘luci’ e questo è motivo di serenità”.
Riprendendo lo ‘slogan’ di ‘folli sognatori’, come è possibile interpretare un sogno?
“Il sogno che cerchiamo di raggiungere è quello dell’autostima e della felicità di ognuno. Questo sogno si raggiunge pensando di fare cose belle. Noi di ‘Work Aut’ non abbiamo aspettative od obblighi o la necessità di essere perfetti. Abbiamo fatto della nostra imperfezione il nostro talento maggiore, perché ci poniamo come apprendisti e con umiltà cerchiamo ogni giorno di migliorare con l’obiettivo di essere ogni giorno più bravi del giorno precedente. Questo ci fa stare bene”.
Però quali difficoltà si riscontrano per rendere una vita autonoma?
“I rischi sono quotidiani. La più grande difficoltà è quella di convincere la comunità civile a dare opportunità ai nostri ragazzi. C’è grande diffidenza; quindi il rischio quotidiano è quello di farsi credere come esseri umani che possono stare in comunità, perché il nostro limite più grande è la solitudine, che è un limite per tutti. La solitudine è la ‘malattia’ dei nostri tempi, dove tutti rincorrono i loro obiettivi, ma è necessario un ritorno all’empatia ed allo stare insieme. Il sogno è allo stesso tempo limite di questi tempi”.
(Foto: Work Aut)
Inclusione finanziaria e microcredito in Italia: tendenza positiva favorita dall’applicazione degli strumenti a disposizione, ma ancora insufficienti
Luci e ombre nella terza edizione del rapporto ‘Inclusione finanziaria e microcredito’ curata da Gruppo Banca Etica, c.borgomeo&co. e Rete Italiana di Microfinanza. Ai dati positivi di un maggior impiego del microcredito e della riduzione del 46% di nuclei familiari senza strumenti bancari si contrappone un quadro generale ancora critico: si conferma la debolezza del Sud, delle Isole e delle persone fragili, complice una moria territoriale di sportelli che non rallenta.
Inclusione finanziaria e microcredito. Per un nuovo dialogo con i territori è il titolo della terza edizione del rapporto annuale nato dalla collaborazione tra Gruppo Banca Etica, c.borgomeo&co. e Rete Italiana di Microfinanza (RITMI). Lo studio contiene il 6° Rapporto sull’inclusione finanziaria e il 18° Rapporto sul microcredito in italia ed è stato presentato oggi a Roma (online è disponibile la registrazione integrale dell’evento) nella sede dell’Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa, durante una tavola rotonda animata dal confronto tra i vertici delle organizzazioni promotrici della ricerca – Anna Fasano (presidente di Banca Etica), Carlo Borgomeo (presidente di c.borgomeo&co.) e Giampietro Pizzo (presidente di RITMI e moderatore dell’incontro) – e i rappresentanti di istituzioni ed enti autorevoli coinvolti (Banca d’Italia, Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa, CEI – Conferenza Episcopale Italiana, CeSPI – Centro Studi di Politica Internazionale e Caritas Italia). Lo studio, oltre a fotografare la realtà cifre alla mano, apre un dibattito di prospettiva presentando una agenda di proposte operative e normative rivolte alle istituzioni e al settore bancario.
Ed ecco alcuni highlights evidenziati dall’indagine: circa il 3% dei nuclei familiari in Italia non possiede alcuno strumento bancario (conto corrente; conto deposito; conto postale). Si tratta di quasi 600.000 nuclei familiari, per un totale stimabile di circa 1.300.000 cittadini non bancarizzati. Una massa di persone escluse finanziariamente già fragili e rese così ulteriormente vulnerabili. Il dato appare in sensibile miglioramento rispetto alla precedente rilevazione su dati del 2020: in due anni circa 500.000 famiglie (il 46% di quelle in condizione di esclusione indicate nel precedente rapporto) si sono dotate di strumenti bancari.
Tra gli aspetti negativi permane la maggior debolezza delle aree meno sviluppate del Paese (il 72% delle famiglie non bancarizzate vive al Sud e nelle Isole) e delle persone più in difficoltà, e il 77% delle famiglie escluse appartiene al quintile di reddito più basso (fino ad € 17.000 annui). Il 53% delle richieste di finanziamento viene dal Nord, mentre solo il 28% da Sud e Isole. Se pur con tassi di accoglimento più alti al Sud, questi tendono a premiare soprattutto gli appartenenti ai quintili di reddito più alti.
Indice di inclusione e fattori in gioco: desertificazione bancaria, donne e migranti, microcredito
In questo scenario, l’Indice di inclusione finanziaria elaborato da Banca Etica, che si concentra su intensità creditizia (rapporto tra finanziamenti e PIL) e condizioni di offerta di credito nelle aree territoriali, segna per il 2022 un calo di 8,4 punti rispetto al valore di riferimento (fissato a 100) per il 2012.
E’ il peggior risultato dall’inizio delle rilevazioni e sintetizza una serie di condizioni sfavorevoli per persone e imprese – inclusa la restrizione quantitativa di disponibilità dei finanziamenti e una maggior riluttanza del sistema a concedere quei finanziamenti. Una fotografia complessiva che trova riscontro nel forte rallentamento del credito erogato dalle banche registrato dalla relazione di Banca d’Italia sul 2022 e sulla quale incidono vari fattori, a cominciare dalla contrazione dei punti di accesso al credito. A fine 2023 Fisac Cgil segnalava che nel Paese fossero presenti poco più di 20 mila sportelli bancari, ridotti di quasi il 4% rispetto al 2022, e marcando ulteriormente la differenza tra Nord (57% del totale nazionale), Sud e Isole (22%).
Donne e migranti restano i soggetti a maggior rischio di rimanere ai margini. In particolare, l’inclusione economica di genere appare frenata anzitutto dalla limitata partecipazione delle donne al mercato del lavoro (56,2% in Italia vs. 70,2% di media UE), con un 37% delle donne italiane che non ha un conto in banca e solo € 95.000.000.000 di crediti concessi a donne sui 474 erogati dalle banche alle persone fisiche nel 2023 (FABI). E benché le donne si dimostrino mutuatarie a minor rischio. Rispetto all’indice di bancarizzazione delle persone straniere (non OCSE) in Italia, invece, il dato è cresciuto vertiginosamente negli anni (dal 61% del 2010 al 90% del 2020), per poi contrarsi all’83% del 2022.
In questo scenario molto difficile, il microcredito si dimostra uno strumento indispensabile di inclusione finanziaria. Nel 2023, secondo i dati elaborati da c.borgomeo&co., grazie al lavoro di promozione di 127 soggetti sono stati concessi microprestiti (quasi sempre senza bisogno di garanzie personali) a 17.785 beneficiari, per un ammontare complessivo di oltre 298 milioni di euro. Rispetto al 2022 si registra così una discreta crescita del numero di prestiti (+13,4%) e un forte incremento dell’ammontare erogato (+39,2%), così come del prestito medio (+54% sul 2022).
Un particolare dato da osservare è la crescita dei microcrediti agli studenti, che rappresenta circa il 46% dei microcrediti erogati nel 2023, ciò rappresenta senza dubbio una novità sia rispetto ai soggetti finanziari che alle caratteristiche del prodotto finanziario. Un fenomeno senz’altro da monitorare in prospettiva. I dati riportati nella ricerca fotografano il settore prima dell’entrata in vigore della nuova normativa (gennaio 2024), che porta con sé cambiamenti importanti per il microcredito produttivo.
Ciò significa che nella rilevazione riguardante l’anno 2024 è plausibile attendersi una sensibile dinamica di crescita. Per contro, il microcredito sociale non ha visto purtroppo evoluzioni con la nuova normativa, nonostante la sempre più crescente domanda di strumenti di inclusione finanziaria dedicati a soggetti vulnerabili, lasciando perciò irrisolta una delle principali sfide del settore.
Per questo Anna Fasano, presidente di Banca Etica, ha commentato: “I dati presentati nello studio, letti congiuntamente alla crescita della desertificazione bancaria e all’aumento delle disuguaglianze, ci consegnano la fotografia di un Paese frammentato, dove le fasce più fragili e disagiate di popolazione non trovano nel sistema bancario e nell’offerta delle istituzioni un’adeguata risposta all’urgenza delle istanze d’inclusione sociale.
La sfida per tutti gli operatori coinvolti è perciò quella di lavorare su diversi strumenti della filiera del credito e dell’accompagnamento, perché tornino ad essere acceleratori di autodeterminazione, con particolare focus sui target oggi a maggior rischio, come donne e migranti. E Banca Etica continuerà, come e più di prima, a fare la propria parte in questa direzione”.
Giampietro Pizzo, presidente di RITMI, si è soffermato sul microcredito: “Di fronte ai bisogni e alle capacità inespresse di persone e comunità fragili, la ricerca evidenzia come il microcredito si confermi una risorsa importante ma non ancora pienamente valorizzata. Lo scenario è destinato a evolvere, a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa del microcredito (Decreto Ministeriale n.211/2023) che porta senz’altro elementi di novità e di opportunità, ma ora servirebbe un cambio di passo nell’impegno delle istituzioni, in particolare sul fronte del microcredito sociale.
L’inclusione finanziaria si costruisce sui territori lavorando per la messa in rete di competenze e risorse di prossimità: solo così si danno risposte effettive, si costruiscono servizi permanenti e si rende l’inclusione finanziaria un primo passo verso una maggiore coesione sociale e migliori condizioni di vita individuali e collettive”.
Giornata dei Malati di Lebbra: chi è malato guarisce solo se qualcuno lo abbraccia
Ogni anno, l’ultima domenica di gennaio, si celebra la Giornata Mondiale dei malati di Lebbra ed, a qualche giorno di distanza, la Giornata Internazionale delle malattie tropicali neglette. Sono occasioni per ricordare l’attualità di queste gravi patologie e per ribadire che il diritto alla salute è reale e concreto solo se ogni persona malata riceve le giuste attenzioni e cure. I malati di lebbra sono ancora oggi l’emblema dell’esclusione sociale, di un isolamento che spesso li condanna alla povertà e alla disabilità. Sono milioni gli uomini e le donne invisibili, che non hanno accesso alla sanità di base e non godono di alcun sostegno.
La Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra GML di quest’anno, sotto l’Altro Patronato del Presidente della Repubblica, giunta alla 72^ edizione, rappresenta per AIFO un momento fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica sul diritto alla salute di miliardi di persone, sulla lebbra e le altre malattie tropicali neglette. Il tema scelto per il 2025 è l’abbraccio come concetto che unisce: ‘Chi è malato guarisce solo se qualcuno lo abbraccia’, pone l’accento sulla centralità della persona e non della malattia e sottolinea l’importanza dell’inclusione, della cura e del sostegno per chi è malato, a partire dalle persone colpite dalla lebbra e per tutti coloro che vivono ai margini della società.
Molti credono che la lebbra e le malattie tropicali neglette siano ormai debellate o sopravvivano solo in pochi e sperduti luoghi. Queste patologie colpiscono ogni anno 1.700.000.000 persone nel mondo, tra cui molti bambini (il 50% delle persone malate ha meno di 14 anni), causando disabilità ed emarginazione. Inoltre, il tema delle malattie tropicali neglette si intreccia con altre grandi questioni del presente, come le migrazioni, i cambiamenti climatici, la globalizzazione, l’intensificarsi dei flussi turistici.
Alla coordinatrice della comunicazione e della raccolta fondi di AIFO, Federica Dona, chiediamo di spiegarci il motivo per cui un malato guarisce solo con un abbraccio: “Con lo slogan ‘Un malato guarisce solo se qualcuno lo abbraccia’ si intende sottolineare che la guarigione non riguarda solo il trattamento medico, ma anche l’impegno collettivo e la solidarietà verso le persone colpite da malattie dimenticate, come la lebbra. Questo abbraccio simbolico rappresenta la volontà di farsi carico delle necessità di chi troppo spesso è emarginato, sensibilizzando la società e garantendo un sostegno che va oltre la cura fisica. Solo così è possibile restituire dignità, speranza e inclusione ai malati”.
Nella malattia quanto è importante l’inclusione?
“L’inclusione sociale è fondamentale nel trattamento della lebbra. L’emarginazione e la discriminazione aggravano le sofferenze dei malati, mentre l’accoglienza ed il supporto della comunità favoriscono la guarigione fisica e mentale. Un semplice gesto come un abbraccio può avere un impatto psicologico positivo, aiutando a combattere l’isolamento e promuovendo il benessere complessivo dell’individuo”.
Perché stare bene è un diritto?
“Il diritto alla salute è un principio fondamentale riconosciuto a livello internazionale. Non si limita alla semplice assenza di malattia, ma comprende una serie di fattori determinanti per il benessere individuale e collettivo. Secondo AIFO, il diritto alla salute include non solo l’accesso ai servizi sanitari, ma anche ad altri elementi essenziali come un’istruzione, una lavoro, una rete sociale di appartenenza. Garantire questi diritti significa promuovere l’inclusione sociale, l’uguaglianza e la dignità per ogni individuo, assicurando che nessuno venga lasciato ai margini della società e quindi della salute nel suo senso più pieno ed olistico”.
Per quale motivo oggi la lebbra ancora esiste?
“Nonostante la diminuzione dei casi dagli anni in cui s è scoperta la cura ad oggi, la lebbra continua a essere presente in oltre 120 paesi, soprattutto in Africa, Asia e America Latina a causa di condizioni socioeconomiche precarie: la povertà estrema limita l’accesso a servizi sanitari adeguati e favorisce la diffusione della malattia. Mancanza di igiene e alimentazione insufficiente: questi fattori indeboliscono il sistema immunitario, aumentando la vulnerabilità all’infezione.
Sistemi sanitari deboli: in molte regioni, le infrastrutture sanitarie sono insufficienti per garantire diagnosi precoci e trattamenti tempestivi. Stigma e discriminazione: il pregiudizio associato alla lebbra porta spesso all’emarginazione dei malati, impedendo loro di cercare e ricevere cure appropriate.
Per eliminare definitivamente la lebbra, è fondamentale affrontare questi problemi attraverso interventi integrati che migliorino le condizioni di vita, rafforzino i sistemi sanitari e promuovano l’inclusione sociale. Questa la strategia che AIFO persegue per arrivare a zero disabilità, zero trasmissione, zero discriminazione”.
‘a carità è la proiezione del volto di Cristo sul viso del povero, del sofferente, del perseguitato’: diceva in un discorso del 1955. In quale modo è possibile rendere concreta la ‘Civiltà dell’Amore’, quest’appello di Raoul Follereau?
“La ‘Civiltà dell’Amore’ auspicata da Raoul Follereau è possibile solo se scegliamo di vedere nell’amore e nella solidarietà la chiave per trasformare il mondo. È un richiamo a superare l’indifferenza e a mettere in pratica un amore che diventa azione, che cura le ferite, abbatte le barriere e costruisce un futuro più umano per tutti. E’ quindi necessario che ciascun individuo faccia la propria parte per promuovere la solidarietà, l’inclusione e il rispetto dei diritti umani, combattendo le disuguaglianze e garantendo a tutti l’accesso alle cure e a una vita dignitosa”.
Brevemente, chi è Aifo?
“La nostra storia ha inizio nel 1961, a Bologna, quando un gruppo di missionari comboniani e di volontari decide di fondare un’associazione espressamente ispirata ai valori di amore e giustizia diffusi da Raoul Follereau. A muoverli è il desiderio di lavorare al fianco degli ultimi della terra, gli esclusi, i più fragili, per favorire la loro partecipazione alla vita sociale, per riscattare la loro dignità e per difendere i loro diritti. Il primo impegno concreto che AIFO assume, in linea con l’azione di Follereau, è il contrasto alla lebbra. Il malato di lebbra, infatti, era (e molto spesso è ancora) il simbolo stesso dell’emarginazione: privato di cure, di lavoro, di relazioni. Con il tempo, l’impegno contro la lebbra è diventato l’impegno contro tutte le lebbre, cioè le ferite più profonde della società: emarginazione, ingiustizia, povertà, egoismo”.



























