Mattarella: don Milani un grande educatore

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“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”: questa frase della ‘Lettera ai cappellani militari’ ha aperto la marcia per don Milani, nel giorno del suo centesimo compleanno, partita dalla piazzetta di Vicchio e sale fino a Barbiana, passando per il lago Viola.

Proseguita con una frase del suo confessore, don Raffaele Bensi, ricordata dal presidente della Cei,card Matteo Zuppi: “Don Bensi, sacerdote che fu sempre accanto a don Milani, e che di lui diceva: è ‘un diamante che doveva ferirsi e ferire’… Il suo rigore non è eccesso, ma intelligente amore, evangelico e umano, che aiuta a capire da che parte stiamo e a verificare senza sconti dove siamo stati per aiutarci a scegliere”.

Don Milani, ha proseguito il card. Zuppi, mette di fronte alle nostre responsabilità, chiedendo “di farci carico di chi è più fragile. Ci costringe a sporcarci di fango, di vita vera… A vedere tutti i luoghi dei bambini di sempre e di oggi, i figli delle tante Barbiana nascoste nelle case delle periferie o nei campi profughi, dove accettiamo crescano migliaia di bambini senza futuro e senza scuola”.

Ed è ancora attuale per tutti: “Per cambiare le cose, più che innamorarsi delle proprie idee, bisogna mettersi nelle scarpe dei ragazzi di allora e di oggi, e non darsi pace, finché non siano strappati da un destino già segnato; credere che possano essere quello che sono e che questo può essere raggiunto solo grazie ad una scuola che non certifica il demerito, che garantisce le stesse opportunità a tutti e non taglia la torta in parte uguali, quando chi deve mangiare non è uguale.

In sostanza la sua è stata una vita brevissima, alla quale la Chiesa italiana e tutto il nostro Paese deve molto… Don Milani non può essere ridotto a politically correct, esortazione o facile denuncia. Egli ci mette di fronte alle nostre responsabilità di ruolo e di paternità, ci chiede di farci carico, di non fornire istruzioni per l’uso, che fanno sentire a posto chi le offre, e lasciano solo chi deve applicarle”.

E’ stato un invito a leggere la ‘Lettera ad una professoressa’: “Tutti dobbiamo leggere di nuovo ‘Lettera a una professoressa’ e ricordarci che è indirizzata anche a noi. Accettiamo il rigore, l’intransigenza di don Milani. Non è eccesso, ma intelligente amore, evangelico e umano, che aiuta a capire da che parte stiamo e a verificare senza sconti dove siamo stati. E capirlo ci toglie qualche giustificazione ipocrita, ci fa comprendere le omissioni, la falsità della neutralità e ci aiuta a scegliere”.

Barbiana è un ‘non luogo’ per capire i nostri luoghi: “Don Milani ci costringe tutti a venire ancora in questo “non luogo” da dove capiamo i nostri luoghi. Barbiana è un piccolo universo che ci fa vedere tutti i luoghi dei bambini di sempre e di oggi, i figli delle tante Barbiana nascoste nelle case delle periferie o nei campi profughi, dove accettiamo crescano migliaia di bambini senza futuro e senza scuola”.

Al termine il card. Zuppi ha definito il priore “profeta intransigente di cambiamento, obbedientissimo e per questo libero prete della sua Chiesa senza la quale non voleva vivere. Ecco la lezione di don Milani, per tutti, credenti e non, prete e cittadino italiano: per cambiare le cose non serve innamorarsi delle proprie idee, ma bisogna mettersi nelle scarpe dei ragazzi di allora e di oggi e non darsi pace finché non siano strappati da un destino già segnato”.

Infine il presidente della Cei ha parlato delle difficoltà di don Milani con la Chiesa che ha faticato a comprenderne il messaggio, ricordando la condanna nel 1958 di ‘Esperienze pastorali’, con la richiesta del ritiro dal commercio rientrata solo nel 2014: “Don Lorenzo ha trasformato un esilio in un esodo, ha preso per mano la Chiesa, rivendicando il suo servizio agli ultimi come dimensione spirituale e servizio ecclesiale”.

Ed il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha ricordato il maestro ed educatore: “E’ stato anzitutto un maestro. Un educatore. Guida per i giovani che sono cresciuti con lui nella scuola popolare di Calenzano prima, e di Barbiana poi.

Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana”.

Ed è stato un grande educatore che amava la scuola: “Nella sua inimitabile azione di educatore (e lo possono testimoniare i suoi ‘ragazzi’ pensava, piuttosto, alla scuola come luogo di promozione e non di selezione sociale. Una concezione piena di modernità, di gran lunga più avanti di quanti si attardavano in modelli difformi dal dettato costituzionale. Era stato mandato qui a Barbiana, come sappiamo, in questo borgo tra i boschi del Mugello, con la chiesa, la canonica e poche case intorno, perché i suoi canoni, nella loro radicalità, spiazzavano l’inerzia”.

Ha sottolineato che don Milani puntava sul linguaggio, ricordando la ‘Lettera ad una professoressa: “La povertà nel linguaggio è veicolo di povertà completa, e genera ulteriori discriminazioni. La scuola, in un Paese democratico, non può non avere come sua prima finalità e orizzonte l’eliminazione di ogni discrimine.

‘Lettera a una professoressa’, scritta con i suoi ragazzi mentre avanzava la malattia, che lo avrebbe portato via a soli 44 anni, è un atto d’accusa, impietoso, di tutto questo. ‘Lettera a una professoressa’ ha rappresentato una lezione impartita a fronte delle pigrizie del sistema educativo e ha spinto a cambiare, ha contribuito a migliorare la scuola nel mezzo di una profonda trasformazione sociale del Paese.

Ha aiutato a comprendere meglio i doveri delle istituzioni e ha sollecitato a considerare i doveri verso la comunità. Sempre più gli insegnanti hanno lavorato con passione per attuare i nuovi principi costituzionali. Perché a questo occorre guardare”.

La scuola invita a discernere: “La scuola di Barbiana durava tutto il giorno. Cercava di infondere la voglia di imparare, la disponibilità a lavorare insieme agli altri. Cercava di instaurare l’abitudine a osservare le cose del mondo con spirito critico.

Senza sottrarsi mai al confronto, senza pretendere di mettere qualcuno a tacere, tanto meno (vorrei aggiungere) un libro o la sua presentazione. Insomma, invitava a saper discernere.

Ed il discernimento rende liberi: “Quel primato della coscienza responsabile, che spinse don Milani a rivolgere una lettera ai cappellani militari, alla quale venne dato il titolo ‘l’obbedienza non è più una virtù’ e che contribuì ad aprire la strada a una lettura del testo costituzionale in materia di difesa della Patria per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza”.

Nell’introduzione il coordinatore della Marcia Perugia-Assisi, Flavio Lotti, ha ricordato il significato della celebrazione: “Elevare è stato anche l’obiettivo di don Milani. Elevare i ragazzi esclusi, i poveri ad un livello superiore: ‘Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente’, diceva. ‘Ma superiore. Più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto’.

Anche noi, se davvero vogliamo muoverci sui passi di don Milani, dobbiamo salire, elevarci, e puntare a divenire migliori, superiori dell’attuale classe dirigente. Elevarci ed elevare i nostri piccoli, i nostri ragazzi e ragazze, i nostri giovani cioè dare a loro la cultura, la parola e il coraggio per riacquistare quella dignità e quei diritti che hanno ricevuto in dono dal momento della nascita ma che altri gli hanno subito rubato”.

E’ un invito ad imitarlo nell’educazione ai giovani: “Se davvero vogliamo fare come Milani, oggi dobbiamo scegliere di “essere” come don Milani e investire sui giovani, credere nei giovani, fare spazio ai giovani e dare la parola ai giovani.

Anzi, dobbiamo lasciare che se la prendano la parola, come stanno facendo i giovani che lottano con i loro corpi contro il cambiamento e le devastazioni climatiche, come stanno facendo gli studenti che piantano le tende davanti all’Università, come fanno quelli che a Palermo manifestano contro le mafie.

Oggi, come ai tempi di don Milani, alcuni vorrebbero giovani obbedienti e arruolabili nelle anguste schiere della competizione selvaggia o negli eserciti della terza guerra mondiale che, anche se facciamo finta di non vedere, continua la sua terribile escalation”.

(Foto: Quirinale)

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