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Una pastorale segno di speranza: in dialogo con Simone Fichera

“Di segni di speranza hanno bisogno anche coloro che in sé stessi la rappresentano: i giovani. Essi, purtroppo, vedono spesso crollare i loro sogni. Non possiamo deluderli: sul loro entusiasmo si fonda l’avvenire. E’ bello vederli sprigionare energie, ad esempio quando si rimboccano le maniche e si impegnano volontariamente nelle situazioni di calamità e di disagio sociale. Ma è triste vedere giovani privi di speranza; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia”.

Da questo passo della bolla di indizione del giubileo, ‘Spes non confundit’, iniziamo un dialogo sulla pastorale giovanile con l’educatore e pedagogista, dott. Simone Fichera, formato in teologia presso l’università lateranense e componente del team ‘AGO Formazione’per cercare di capire il motivo per cui papa Francesco ha scritto che i giovani hanno bisogno di segni di speranza: “Il tempo in cui siamo immersi, il presente in cui ha da incarnarsi la nostra Chiesa, è costituito di fragilità nuove. Non che il passato non fosse in sé irto di ispidi ostacoli da superare, ma si tratta probabilmente di fatiche simili in contesti nuovi.

Basti pensare alla fatica di ingresso nelle posizioni quadro da parte dei giovani, o banalmente alla preponderanza del mondo virtuale nella vita comune di qualsiasi giovane. Viviamo un tempo in cui la speranza resta sconosciuta perché infondata, infondabile. La speranza non è un vezzo da sognatori, ma una virtù che ha bisogno di mani e sguardi capaci di promesse e questo siamo chiamati a fare come Chiesa, specie in questo anno giubilare”.

La pastorale della Chiesa è capace di fornire segni di speranza?

“Probabilmente in questo momento no. Spesso la pastorale sembra raggomitolata dentro il ‘già conosciuto’, il ‘si è sempre fatto così’, è incapace di stare nei contesti in cui la vita scorre davvero, non ristagna. Non si sporge verso fuori, chiede piuttosto ai giovani di entrare nello schema. I giovani cristiani, purtroppo, è facile distinguerli dalla massa, non per la luminosità del fervore, quanto più per la capacità di stare negli schemi che l’oratorio o la parrocchia chiede. E chi sa starci, di solito, è a rischio ristagno”.

In quale modo la pastorale può educare?

“Credo avremmo bisogno di una pastorale davvero capace di uscita. Non si tratta di fare educativa di strada (che pure avrebbe una sua funzionalità se fatta bene), ma, più banalmente, di aprire i cancelli. Di permettere ai ‘casinisti’ di stare dentro orientando l’azione educativa alla creazione della relazione piuttosto che alla segnalazione delle norme. Perché è di quei figli che ha bisogno la chiesa. Di quelli meno amabili ha bisogno di prendersi cura. Dei ‘bravi ragazzi’ sanno aver cura tutti. E questo chiede competenza educativa, non solo passione”.

La Chiesa è capace di comprendere il linguaggio dei giovani?

“Anche rispetto al linguaggio facciamo fatica a intenderci certamente. Ma credo che la domanda vera non sia relativa al linguaggio, né tanto alla comunicazione, quanto alla capacità di cura. Al desiderio di paternità dei pastori e degli educatori (si intenda rivolto anche al femminile come senso di maternità). Abbiamo creato una chiesa di organizzatori, promotori, amministratori, ufficianti e ci siamo dimenticati di coltivare la paternità, la cura, la figliolanza, l’accompagnamento”.

In quale modo si può rendere ‘attraente’ per i giovani l’oratorio?

“Credo che la risposta sarà deludente: non c’è oratorio capace di attrazione se chi lo abita non è attraente. I ragazzi non hanno bisogno di luoghi ‘fighi’ (si anche, ma non prioritariamente). Hanno bisogno di padri e madri, di amici veri. Coltivare queste capacità chiede competenza umana e professionale, lo ripeto. Non basta aver passione, non basta la vocazione. Ed allora viene a me da fare una domanda: se è così pungente il tema dei giovani, perché tanta parte di Chiesa è disposta a spendere risorse per restaurare gli affreschi e sceglie di risparmiare su una più necessaria formazione?”

Allora è possibile dare una definizione alla parola ‘pastorale’?

“Pastorale è educare ad un sapere che è complesso! Complesso perché fatto di tanti pezzi: è sapere che conosce, è sapere che agisce ed è sapere che comunica. La pastorale ha bisogno di uscire dalla paura di ‘commistionarsi’ con la vita della gente e lasciarsi inquinare dalla bellezza del presente che è tempo di salvezza! Se affermiamo, con le nostre scelte, che il presente e i suoi retaggi, non sono occasione di salvezza allora staremmo affermando che questo tempo è maledetto, che qui non c’è Kairos, e che la Chiesa ha fallito! Beh spoiler… non è così! Ci si può rimboccare le maniche e imparare a immischiarsi! Perché la pastorale è la vita della gente. E’: copula e non congiunzione!”

Di quale pastorale c’è bisogno?

“Una pastorale che testimoni e racconti come sia possibile la vita da cristiani oggi! Quali sono le skill tipiche del cristiano, le sue competenze relazionali, le attenzioni che lo caratterizzano. Una pastorale che non tema la strada e l’on-line. Una pastorale che incontra occhi e volti, che chiama per nome, perché riparte da ciò che è essenziale: la relazione personale. Perché in fondo è così da sempre: è davvero innovativo ciò che ci riporta all’essenziale!”

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco: un papa che ha amato la Chiesa e le persone

“In questa maestosa piazza di san Pietro, nella quale papa Francesco tante volte ha celebrato l’Eucarestia e presieduto grandi incontri nel corso di questi 12 anni, siamo raccolti in preghiera attorno alle sue spoglie mortali col cuore triste, ma sorretti dalle certezze della fede, che ci assicura che l’esistenza umana non termina nella tomba, ma nella casa del Padre in una vita di felicità che non conoscerà tramonto”: alla presenza di oltre 250.000 persone questa mattina in piazza san Pietro si è svolta la messa esequiale di papa Francesco, celebrata dal card. Giovanni Battista Re, decano del Sacro Collegio, che lo ha definito un papa con un cuore aperto a tutti.

E lo si è potuto constatare dall’amore del popolo accorso in questi giorni: “Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso pontificato di papa Francesco abbia toccato le menti ed i cuori”.

E  la sua immagine che ha voluto consegnare nella domenica di Pasqua è emblematica: “La sua ultima immagine, che rimarrà nei nostri occhi e nel nostro cuore, è quella di domenica scorsa, Solennità di Pasqua, quando papa Francesco, nonostante i gravi problemi di salute, ha voluto impartirci la benedizione dal balcone della basilica di san Pietro e poi è sceso in questa piazza per salutare dalla papamobile scoperta tutta la grande folla convenuta per la Messa di Pasqua. Con la nostra preghiera vogliamo ora affidare l’anima dell’amato Pontefice a Dio, perché Gli conceda l’eterna felicità nell’orizzonte luminoso e glorioso del suo immenso amore”.

Fin dall’inizio del suo pontificato la sua scelta è stata quella di essere pastore delle pecore: “Nonostante la sua finale fragilità e sofferenza, papa Francesco ha scelto di percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena. Egli ha seguito le orme del suo Signore, il buon Pastore, che ha amato le sue pecore fino a dare per loro la sua stessa vita…

Quando il Card. Bergoglio, il 13 marzo del 2013, fu eletto dal Conclave a succedere a papa Benedetto XVI, aveva alle spalle gli anni di vita religiosa nella Compagnia di Gesù e soprattutto era arricchito dall’esperienza di 21 anni di ministero pastorale nell’Arcidiocesi di Buenos Aires, prima come ausiliare, poi come coadiutore e in seguito, soprattutto, come arcivescovo”.

Inoltre ha motivato la sua decisione di prendere il nome del santo di Assisi: “La decisione di prendere il nome Francesco apparve subito come la scelta di un programma e di uno stile su cui egli voleva impostare il suo pontificato, cercando di ispirarsi allo spirito di San Francesco d’Assisi”.

E come lui è stato in mezzo ai poveri: “Conservò il suo temperamento e la sua forma di guida pastorale, e diede subito l’impronta della sua forte personalità nel governo della Chiesa, instaurando un contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni, desideroso di essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra, gli emarginati. E’ stato un papa in mezzo alla gente con cuore aperto verso tutti. Inoltre è stato un Papa attento al nuovo che emergeva nella società ed a quanto lo Spirito Santo suscitava nella Chiesa”.

Anche con il suo linguaggio ha dato un’immagine nuova della Chiesa: “Con il vocabolario che gli era caratteristico e col suo linguaggio ricco di immagini e di metafore, ha sempre cercato di illuminare con la sapienza del Vangelo i problemi del nostro tempo, offrendo una risposta alla luce della fede e incoraggiando a vivere da cristiani le sfide e le contraddizioni di questi nostri anni di cambiamenti, che amava qualificare ‘cambiamento di epoca’. Aveva grande spontaneità e una maniera informale di rivolgersi a tutti, anche alle persone lontane dalla Chiesa”.

Il suo messaggio attraverso un linguaggio diretto e ricco di significati ha raggiunto tutti: “Ricco di calore umano e profondamente sensibile ai drammi odierni, papa Francesco ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato. Il suo carisma dell’accoglienza e dell’ascolto, unito ad un modo di comportarsi proprio della sensibilità del giorno d’oggi, ha toccato i cuori, cercando di risvegliare le energie morali e spirituali”.

Ha rivelato una Chiesa della gioia: “Il primato dell’evangelizzazione è stato la guida del suo pontificato, diffondendo, con una chiara impronta missionaria, la gioia del Vangelo, che è stata il titolo della sua prima esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’. Una gioia che colma di fiducia e speranza il cuore di tutti coloro che si affidano a Dio”.

Chiesa della gioia fondata sulla missione: “Filo conduttore della sua missione è stata anche la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte. Ha più volte fatto ricorso all’immagine della Chiesa come ‘ospedale da campo’ dopo una battaglia in cui vi sono stati molti feriti; una Chiesa desiderosa di prendersi cura con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi affanni che lacerano il mondo contemporaneo; una Chiesa capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite”.

Ed ha ricordato le sue azioni: “Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi. Costante è stata anche l’insistenza nell’operare a favore dei poveri. E’ significativo che il primo viaggio di papa Francesco sia stato quello a Lampedusa, isola simbolo del dramma dell’emigrazione con migliaia di persone annegate in mare. Nella stessa linea è stato anche il viaggio a Lesbo, insieme con il patriarca ecumenico e con l’arcivescovo di Atene, come pure la celebrazione di una messa al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, in occasione del suo viaggio in Messico”.

Oppure il viaggio apostolico in Iraq per supplicarla pace od in Oceania: “Dei suoi 47 faticosi Viaggi Apostolici resterà nella storia in modo particolare quello in Iraq nel 2021, compiuto sfidando ogni rischio. Quella difficile Visita Apostolica è stata un balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena, che tanto aveva sofferto per l’opera disumana dell’ISIS. E’ stato questo un viaggio importante anche per il dialogo interreligioso, un’altra dimensione rilevante della sua opera pastorale. Con la visita apostolica del 2024 a quattro Nazioni dell’Asia e dell’Oceania, il papa ha raggiunto la periferia più periferica del mondo”.

Nel suo pontificato la misericordia di Dio è stata centrale: “Papa Francesco ha sempre messo al centro il Vangelo della misericordia, sottolineando ripetutamente che Dio non si stanca di perdonarci: Egli perdona sempre qualunque sia la situazione di chi chiede perdono e ritorna sulla retta via. Volle il Giubileo Straordinario della Misericordia, mettendo in luce che la misericordia è il cuore del Vangelo”.

Ha insistito per una ‘cultura dell’incontro’: “In contrasto con quella che ha definito ‘la cultura dello scarto’, ha parlato della cultura dell’incontro e della solidarietà. Il tema della fraternità ha attraversato tutto il suo pontificato con toni vibranti. Nella lettera enciclica ‘Fratelli tutti’ ha voluto far rinascere un’aspirazione mondiale alla fraternità, perché tutti figli del medesimo Padre che sta nei cieli. Con forza ha spesso ricordato che apparteniamo tutti alla medesima famiglia umana”.

Cultura dell’incontro per una pace tra l’umanità e con il creato, in quanto ‘nessuno si salva da solo’: “Nel 2019, durante il viaggio negli Emirati Arabi Uniti, Papa Francesco ha firmato un documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, richiamando la comune paternità di Dio.

Rivolgendosi agli uomini e alle donne di tutto il mondo, con la Lettera Enciclica ‘Laudato sì’ ha richiamato l’attenzione sui doveri e sulla corresponsabilità nei riguardi della casa comune. Nessuno si salva da solo”.

E non ha cessato di invocare la pace con una condanna esplicita della guerra: “Di fronte all’infuriare delle tante guerre di questi anni, con orrori disumani e con innumerevoli morti e distruzioni, papa Francesco ha incessantemente elevata la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra (diceva) è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole. La guerra lascia sempre il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta”.

Insomma era un ‘costruttore di  ponti’: “Costruire ponti e non muri è un’esortazione che egli ha più volte ripetuto e il servizio di fede come successore dell’apostolo Pietro è stato sempre congiunto al servizio dell’uomo in tutte le sue dimensioni. In unione spirituale con tutta la Cristianità siamo qui numerosi a pregare per papa Francesco perché Dio lo accolga nell’immensità del suo amore”.

In chiusura il card. Re ha chiesto al defunto papa di intercedere per tutti: “Caro Papa Francesco, ora chiediamo a Te di pregare per noi e che dal cielo Tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero, come domenica scorsa hai fatto dal balcone di questa basilica in un ultimo abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza”.

Ed al termine della celebrazione funebre la papamobile lo ha trasportato nella chiesa di Santa Maria Maggiore, luogo scelto per la sua sepoltura, salutato da circa 150.000 fedeli lungo il tragitto.

(Foto: Santa Sede)

‘Opera Aperta’: la Santa Sede alla Biennale di Architettura per tessere le relazioni

Nei giorni scorsi è stato presentato alla Sala stampa vaticana il Padiglione ‘Opera Aperta’, che segna la terza partecipazione del Dicastero per la cultura e l’educazione alla Mostra Internazionale di Architettura, giunta alla 19^ edizione, in svolgimento dal 10 maggio al 23 novembre sul tema ‘Intelligens. Natural. Artificial. Collective’, introdotto dall’architetto Carlo Ratti, curatore della Biennale Architettura: “Per affrontare un mondo in fiamme, l’architettura deve riuscire a sfruttare tutta l’intelligenza che ci circonda”.

Per questo Giovanna Zabotti, curatrice del Padiglione della Santa Sede 2025, ha illustrato il Padiglione allestito dalla Santa Sede: “In una Biennale guidata da Carlo Ratti, dove il tema è Intelligens, il nostro Padiglione propone l’idea di un’intelligenza comunitaria. Ci siamo chiesti come poter rispondere a quelle che sono la missione e la filosofia che il Padiglione vuole esprimere… Questo sforzo congiunto vuole recuperare non solo un edificio, ma anche una connessione sociale…

Il Padiglione della Santa Sede è un vero cantiere, dove architetti, comunità, associazioni e visitatori della Biennale sono posti a sistema… L’intervento coinvolge un complesso di edifici rimasti vuoti per anni. Cerchiamo di restituire senso a questo silenzio, attraverso un linguaggio architettonico fatto di ascolto e di recupero. Non si tratta tanto di un Padiglione da visitare, ma da abitare”.

‘Opera Aperta’ è un “processo collaborativo che coinvolge un team internazionale e collettivi locali”, ha commentato Marina Otero Verzier, altra curatrice del Padiglione della Santa Sede che si è collegata da remoto alla conferenza stampa, mentre il card. José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, ha spiegato che l’idea è nata dall’applicazione dell’enciclica ‘Laudato sì’:

“10 anni fa, papa Francesco pubblicava la Lettera Enciclica ‘Laudato sì’, che rappresenta una pietra miliare sia nel Magistero del Santo Padre, sia nella comprensione crescente che la contemporaneità è chiamata a costruire sul nostro essere tutti abitanti di una stessa casa comune. Ma non solo; la ‘Laudato sì’ è anche un punto di riferimento nella consapevolezza che è da qui che dobbiamo partire per maturare una nuova visione culturale”.

Quindi da questa enciclica è necessaria una ‘revisione’ dei modelli di sviluppo in grado di tessere relazioni: “Oggi abbiamo bisogno di tessitori di relazioni, che credono nel valore della riparazione e della cura. Abbiamo bisogno di trovare nuove razionalità che osino pratiche sociali collaborative e rischino paradigmi più efficaci di restituzione. Tanto è che la proposta di papa Francesco, che fiduciosamente trova alleati in geografie religiose e culturali diverse, insiste sull’importanza del capire che tutto ciò che esiste si trova in relazione sistemica. ‘Tutto è collegato’, dice il papa. La situazione dell’essere umano non può dunque essere considerata senza che si tenga in conto la situazione della casa di tutti che è il pianeta”.

Ed ha presentato il padiglione della Santa Sede a Venezia: “Sarà un padiglione-parabola. Il titolo di ‘Opera Aperta’ lo presenta come un cantiere, come un processo in corso al quale tutti sono invitati a collaborare: architetti, pensatori, abitanti del sestiere, associazioni e persino, i visitatori della Biennale… Il nostro desiderio è che questo padiglione-parabola possa essere una espressione concreta, nel campo dell’architettura, delle intuizioni profetiche contenute nella ‘Laudato sì’ e diventare un laboratorio attivo di intelligenza umana collettiva, mettendo in comune: ragione e affetto, professionalità e convivialità, ricerca e vita ordinaria”.

(Foto: Vatican Media)

I vescovi spronano l’Europa all pace

“L’Europa deve recuperare la sua storica vocazione alla pace, investendo sulla diplomazia ‘a tutti i costi’, non sul riarmo. E dato che pace ed Europa sono due temi cari da sempre alla Chiesa, occorre lavorare per il dialogo con tutti, ‘per la diplomazia paziente’, al contrario la retorica del riarmo è invece la logica dello scontro:  così ha esordito ieri nella conferenza stampa a conclusione del Consiglio permanente  della Cei, il segretario generale, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari, che ha spiegato il motivo per cui il ‘tema dell’Europa ci sta a cuore e non da oggi’, spiegando la posizione della Chiesa sulla manifestazione di piazza di sabato prossimo a Roma:

“Non abbiamo preso posizione, c’è una libertà legittima delle nostre organizzazioni, associazioni e singoli fedeli. Alcuni hanno aderito, altri no: fa parte del legittimo pluralismo che la Chiesa riconosce alle parti politiche, quando riguardano cose non essenziali”.

Mentre nel comunicato conclusivo i vescovi hanno rinnovato la loro vicinanza al papa “in questo momento particolare di prova e di malattia, manifestandogli l’affetto filiale delle Chiese in Italia e assicurandogli la loro preghiera costante e corale. I lavori si sono aperti con l’Adorazione Eucaristica durante la quale si è pregato per la salute del Papa: i Presuli si sono così uniti alle invocazioni che, da giorni, le comunità italiane e del mondo stanno rivolgendo al Signore affinché egli trovi sollievo nel corpo e consolazione nello spirito”.

Ed hanno volto lo sguardo al cammino giubilare con l’invito a vivere con pienezza questa esperienza di vita: “E’ fondamentale ‘vivere’ il Giubileo come un tempo di rinnovamento delle relazioni, improntato al rispetto della dignità di ciascuno, alla pratica della giustizia sociale, alla ricerca della pace giusta, alla cura della Terra”. Si tratta di osare scelte coraggiose che permettano di rimettere i debiti, ridare respiro alle situazioni di vita asfittiche, condividere i beni con il povero.

I Vescovi hanno ribadito l’importanza di proseguire nella rotta dell’ecologia integrale, che chiede stili di vita più sobri e solidali da parte di singoli e comunità. Al debito ecologico è strettamente collegata la questione del debito economico dei Paesi poveri, contratto non solo con altri Paesi benestanti, ma anche con privati: “E’ inaccettabile che gli interessi siano talmente oppressivi da costringere a rinunciare a investimenti nella sanità, nell’istruzione e nel welfare”.

In riferimento all’Anno Santo, il Consiglio Permanente ha rilanciato l’appello del papa a promuovere iniziative concrete per lenire le sofferenze dei detenuti, attraverso ‘forme di amnistia o di condono della pena’ per favorire pene alternative e per attivare occasioni di giustizia riparativa, che responsabilizzano tra l’altro i colpevoli nei confronti delle vittime innocenti.

Inoltre nell’ottica del rinnovamento, cardine del Giubileo, si muovono i passi del Cammino sinodale, perché le chiese in Italia si preparano a vivere la Seconda Assemblea nazionale, che si terrà a Roma dal 31 marzo al 3 aprile 2025, e che “sarà un’esperienza di Chiesa e di comunione. Raccogliendo la ricchezza dei vari contributi, il Consiglio Permanente ha affidato alla Presidenza della CEI, allargata ai Vescovi che fanno parte della Presidenza del Comitato nazionale del Cammino sinodale, l’approvazione della redazione finale del Documento che contiene le proposte da sottoporre all’Assemblea sinodale”.

Queste sono il frutto del discernimento ecclesiale nel cammino comune di questi anni, esplicitando le tre dimensioni della conversione pastorale secondo la struttura indicata dai Lineamenti e dello Strumento di Lavoro: il rinnovamento missionario della mentalità ecclesiale e delle prassi pastorali; la formazione missionaria dei battezzati alla fede e alla vita; la corresponsabilità nella missione e nella guida della comunità.

Le proposte, che verranno portate sotto forma di Proposizioni all’Assemblea sinodale per la necessaria approvazione, saranno poi consegnate ai Vescovi perché possano indicare gli orientamenti per le scelte da compiere innanzitutto nelle Chiese locali, ma anche negli Organi e nei Servizi della CEI, proprio per sostenere e coordinare la conversione sinodale e missionaria delle diverse realtà ecclesiali in Italia.

Inoltre i vescovi hanno rivolto il loro sguardo alla situazione internazionale, auspicando che “il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra”. Per questo, hanno espresso dolore per le violenze che insanguinano diversi angoli del Pianeta mettendo a rischio il futuro di tutti.

Preoccupati per lo scenario globale, i vescovi si sono soffermati sulle tensioni crescenti e sul linguaggio della politica internazionale sempre più aggressivo, violento e divisivo. Da qui l’impegno, richiesto a tutti, per una maggiore cura del linguaggio, evitando la retorica bellicistica per tornare a parlare di pace, insieme alla riscoperta dell’importanza di iniziative multilaterali e del valore della diplomazia.

In tal senso si muove anche l’appello rivolto più volte da papa Francesco a ridurre le spese militari: “Occorre individuare modalità nuove per favorire il dialogo e per innervare la società con quella cultura che nasce dal Vangelo e con una testimonianza autentica. La guerra, spesso alimentata da nazionalismi antiumani, che è tornata a insanguinare l’Europa e che segna l’esistenza di tanti popoli, richiede decise iniziative politiche e diplomatiche per la pace. La Chiesa italiana, da parte sua, continuerà a sostenere lo slancio umanitario verso le vittime dei conflitti”.

Hanno, anche, ricordato le origini storiche e la vocazione alla pace dell’Europa comunitaria. “Un’Europa che ha bisogno di recuperare i suoi valori fondativi (pace, libertà, democrazia, diritti, giustizia sociale) facendo risuonare la propria voce di pace. In un momento storico in cui si insiste sui temi della sicurezza e della difesa, è fondamentale che tali preoccupazioni non diventino tamburi di guerra”. I vescovi hanno ricordato l’urgenza che gli investimenti pubblici siano indirizzati primariamente a sostenere le persone bisognose, le famiglie povere, le fasce sociali più deboli, ad assicurare a tutti adeguati servizi educativi e sanitari, a contrastare il cambiamento climatico. In quest’ottica, sarebbe opportuno riportare il tema dello sviluppo sostenibile al centro delle scelte politiche degli Stati e delle Organizzazioni internazionali, tra cui l’Unione Europea.

Infine i vescovi si sono confrontati sull’altissima vocazione della politica e sull’importanza di quegli spazi di riflessione, di dialogo, dove i cattolici possono riconoscersi e grazie ai quali si possono formare personalità capaci di stare nell’agone politico con dignità e coerenza. “Il coinvolgimento registrato alla Settimana Sociale di Trieste e le varie iniziative che da quell’esperienza hanno preso vita o forza dimostrano l’interesse di molti esponenti delle istituzioni nazionali e delle amministrazioni locali ad un agire politico animato dalla Dottrina sociale della Chiesa”.

Per i Vescovi, si tratta di un segnale positivo, soprattutto rispetto alla disaffezione dei cittadini alla partecipazione alla vita politica e all’astensionismo crescente. Per questo, è stato rinnovato l’invito a promuovere la partecipazione alla vita democratica attraverso le Scuole di formazione all’impegno socio-politico; a favorire la formazione alla Dottrina sociale della Chiesa; a sostenere la pastorale sociale nelle Chiese locali.

XXIX Domenica Tempo Ordinario. La meta del cristiano: essere grande nel Regno dei Cieli 

Il brano del Vangelo ha due momenti: l’episodio dei due fratelli Giacomo e Giovanni; Gesù offre la dimensione vera del regno di Dio. Scrive Papa Francesco: siamo dinnanzi a due logiche diverse: gli Apostoli vivono secondo la logica mondana e vorrebbero solo emergere, si preoccupano chi dovrà occupare il primo posto o i posti più significativi; Cristo Gesù viceversa addita la logica divina che invita ad immergersi nella passione e morte dalla quale nasce la Nuova Alleanza per salvare l’uomo di tutti i tempi. 

Gesù evidenzia ai suoi discepoli che nel Regno di Dio regnare, comandare, occupare i primi posti significa ‘servire’. I Discepoli vedono duro il linguaggio del Maestro; si ribellano al pensiero della passione morte annunziata da Gesù e finiscono nella proposta avanzata dai due fratelli (Giacomo e Giovanni) di potere sedere accanto a Gesù l’uno a destra, l’altro a sinistra.: è la sete del primeggiare, la sete dell’interesse e dell’arrivismo proprio dell’uomo; è la logica mondana.

Vero è che Gesù amava definirsi ‘figlio dell’uomo’ ma questa parola nel linguaggio di Cristo acquista un significato diverso: secondo la logica terrena e la tradizione l’uomo è arrivista, autoritario, condottiero formidabile capace di debellare i nemici. Nella logica divina Gesù si definisce ‘Figlio dell’uomo’, perchè ama l’uomo, serve l’uomo, è pronto a dare la vita per salvare l’uomo. 

Gesù, vero Signore e Maestro, scegli di stare con i suoi discepoli  per insegnare ad anteporre la logica del servire alla logica del potere e del dominio; a porre al primo posto l’amore, il dare, offrire la propria vita piuttosto che mirare al propri tornaconto, all’utilità privata. Il Figlio dell’uomo è venuto per servire l’uomo e dare la sua vita in riscatto per tutti.

La Liturgia di questa domenica è quella che ci riporta proprio alla Liturgia pasquale; Gesù ne parla con chiaro simbolismo e chiede ai due discepoli; potete bere il calice che io bevo? ricevere il battesimo con il quale io sono battezzato? ed invita così i suoi a cambiare mentalità, accettare l’umiliazione e la sofferenza,  la purificazione del cuore,  rinascere ad una vita nuova e diversa.

Con il termine ‘Battesimo’ (dal greco = immersione) Gesù lascia intravedere le acque della sofferenza; Egli infatti sconfigge il mondo quando sale sulla Croce e crocifisso, morto e risorto, sconfigge la morte e dà vita alla sua Chiesa: il regno di Dio tra gli uomini. Lo stesso centurione romano ne dà conferma quando, vedendo morire Gesù al calvario, battendosi il petto, esclama: ‘Costui era veramente il Figlio di Dio’. 

Gesù non intende criticare il potere politico dove ognuno cerca di primeggiare sull’altro, ma vuole evidenziare che il modello politico non può essere preso a modello dai suoi discepoli  dove regnare è amare, amare è servire. Lo spirito del Vangelo, il servire esige ‘compassione’ sincera e partecipazione ai bisogni dell’uomo; in una parola: amore che = ti voglio bene;  voglio il tuo bene e non cerco la mia utilità.

Questo è Cristo Gesù, il Figlio di Dio su cui siamo chiamati a modellare la nostra identità di cristiani, il nostro ruolo nella Chiesa e nella società civile.  La storia è maestra della vita! In venti secoli di cristianesimo quanti  re, imperatori, uomini politici del presente e del passato si sono lievitati a questa scuola?; si sono immedesimati non con le parole ma con i fatti a seguire il messaggio di Cristo?

Quanti nella Chiesa Papi, Vescovi, Sacerdoti e Laici impegnati si sono adoperati a modellare il proprio comportamento al messaggio cristiano?. Il Vangelo ci invita oggi a riflettere, a meditare sul messaggio di Cristo Gesù: ‘Fra voi però non è così, chi vuole essere grande tra voi, si farà vostro servitore; chi vorrà essere il primo tra voi sarà il servo di tutti’.

L’ambizione di Giacomo e Giovanni, che cercano i primi posti, sollecita Gesù ad insegnare ai suoi discepoli quale è la vera grandezza: non dominare sugli altri ma servire i fratelli con amore  e rivolgersi al Signore con umiltà e accostarci a Dio  con piena fiducia come il bambino con i genitori e attendere con serenità di figli il compimento della sua volontà.

Vi ho dato l’esempio, dice Gesù, come ho fatto io, fate anche voi. Amare allora come ha amato Gesù; amare non per quello che gli uomini possono darti ma per quello che sono; l’amore, se è vero amore, è disinteressato.

Il significato della diversità delle religioni

Nel recente viaggio a Singapore il Santo Padre ha rivolto ai giovani le seguenti parole: «Tutte le religioni sono percorsi per raggiungere Dio. Esse sono, per fare un paragone, come differenti linguaggi, differenti dialetti, per arrivare a quell’obiettivo. Ma Dio è Dio per tutti. Se tu incominci a combattere sostenendo ‘la mia religione è più importante della tua, la mia è vera e la tua non lo è, dove ci porterà tutto ciò? C’è un solo Dio, e ognuno di noi possiede un linguaggio per arrivare a Dio. Alcuni sono sikh, musulmani, hindu, cristiani: sono diverse vie che portano a Dio».

Il Papa non entra qui nella questione di chi ha ragione e di chi ha torto; non pone la questione di distinguere la verità dall’errore; non dice che tutte le religioni posseggono ugualmente, parimenti e sufficientemente lo stesso patrimonio o la medesima pienezza delle verità salvifiche e che sono tutte prive di errori; non suppone una concezione relativistica della verità, per cui è vero ciò che a ciascuno pare vero; non afferma che ognuno è libero di credere quello che vuole o preferisce, senza esser vincolato in coscienza da una verità universale ed oggettiva; non confonde la fede con l’opinione soggettiva;

non afferma che esiste una pluralità di fedi come esiste una molteplicità di opinioni; non nega che la verità è una sola e che la fede è una sola, quella cattolica, come la Chiesa e la fede stessa insegnano; non nega il dovere di illuminare o istruire il fratello che non conosce una certa verità religiosa; non nega il dovere di respingere o confutare le falsità in campo religioso; non nega il dovere di correggere il fratello errante in campo religioso. Non nega il dovere di persuadere il fratello a colmare lacune e ad abbracciare la pienezza della verità, che si trova soltanto nella religione cattolica.

Il suo è un richiamo a tutti i gruppi e comunità religiosi, quale che sia la loro religione, a convergere verso Dio. Chiaramente fa appello alle religioni monoteistiche, per cui possiamo pensare a cristiani, ebrei e musulmani e forse anche buddisti ed induisti. Fa appello ad una testimonianza comune nei confronti di atei, panteisti, agnostici, politeisti, idolatri.

Il paragone che il Papa fa della diversità delle religioni con la varietà delle lingue non ha nulla a che vedere con l’indifferentismo e il relativismo, né intende negare – cosa impensabile – che per salvarsi occorre seguire Cristo. Non intende affatto dire che Cristo sia una via verso Dio tra le altre, alla pari di altre, sicchè uno sarebbe libero di scegliere quella che preferisce certo comunque di salvarsi ed arrivare a Dio.

Il Papa, come Vicario di Cristo, sa benissimo e ci insegna che Cristo non è una via, ma la Via. E le altre vie che cosa valgono? Sono anch’esse vie, ma vie semplicemente umane, che quindi partecipano non senza difetti, di quella  via unica divina che è Cristo. Tuttavia, chi, senza conoscere Cristo, in buona fede, segue la propria religione, si salva comunque di fatto sempre in Cristo, ma senza saperlo.

La varietà si riferisce piuttosto alla via personale di ciascuno di noi verso Dio, nonchè alla varietà dei miti, dei simboli, delle espressioni linguistiche, letterarie, storiche, sociologiche, culturali, artistiche e spirituali delle varie religioni. Qui è possibile una molteplicità di tendenze, dove invece non è possibile nel campo della fede, che non è opinione ma verità e la verità è una sola.

Il Papa porta Singapore ad esempio di pratica e di rispetto del diritto alla libertà religiosa. È evidente il richiamo implicito a quei Paesi islamici integristi, dove il rispetto di questo diritto è disatteso o problematico, affinchè imitino i costumi di questo Paese, imitino i fedeli musulmani ivi residenti ed apprezzino come i musulmani di Singapore sanno rispettare i fedeli di altre religioni.

Il Papa non nega il primato del cristianesimo: sarebbe impensabile una simile eresia in un Papa. Non intende assolutamente negare l’unicità ed universalità della mediazione di Cristo Salvatore dell’umanità e che chi si salva, si salva per i meriti divini di Cristo, lo sappia e non lo sappia, quale che sia la religione alla quale appartiene.

Il Papa semplicemente si riferisce al fatto che la mediazione divina, perfetta ed insuperabile di Cristo, come insegna il Concilio Vaticano II, «non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione», cioè le varie religioni, «che è partecipazione dell’unica fonte». Sarebbe assurdo o ridicolo pensare che quanto hanno fatto o detto per la salvezza dell’uomo il Budda, Maometto o i Veda dell’induismo, opere semplicemente umane, si ponga allo stesso livello dell’opera divina di Cristo, o valga tanto quanto ha fatto e detto Cristo e magari anche lo completa.

Osserviamo d’altra parte che può essere di pari valore ciò che fa per la salvezza un cristiano o il fedele di un’altra religione, dato che sono tutti fallibili e limitate creature umane, ed anzi non è escluso che un cristiano  possa essere privo della grazia e invece può possederla senza saperlo un non-cristiano onesto e in buona fede. Ma ciò non ha niente a che vedere col confronto fra le religioni in se stesse. Il cristiano non è il cristianesimo, il buddista non è il buddismo e l’islamico non è l’islam e così via.

E San Giovanni Paolo II spiega le parole del Concilio in questo modo: «Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo ed ordine», cioè le altre religioni, «esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari».

Semplicemente Papa Francesco condanna certi atteggianti altezzosi, aggressivi, boriosi e bullistici di superiorità che potrebbero trovarsi anche in certi cattolici, atteggiamenti controproducenti, i quali, umiliando il fratello, sono tali da suscitare una più forte ripugnanza ad avvicinarsi al cristianesimo. Tali atteggiamenti, come fa notare il Papa, ben lungi dall’avvicinare cattolici e non cattolici, dal trasmettere la pace e da creare la pace, suscitano litigi e vane competizioni.

Il Papa non intende escludere dispute e discussioni, condotte secondo le buone regole da osservarsi in questi casi, giacchè il dialogo comporta anche questi aspetti: l’interlocutore deve essere persuaso con carità, garbo, spirito di servizio, prudenza e pazienza, con una sapiente opera di inculturazione proporzionata alle sue capacità di comprensione, senza fretta ma producendo prove e portando esempi adatti, imitabili, attraenti ed efficaci, ragionando con argomenti stringenti e convincenti.

Il modo giusto per far apprezzare all’evangelizzando il primato del cristianesimo è quello di mostrargli la qualità altissima delle virtù da esso predicate e  praticate, i primati del cristianesimo nella storia della civiltà, come esso soddisfi le più alte esigenze dell’uomo e delle altre religioni, come sia privo di quei difetti che si riscontrano nelle altre religioni, come il cristianesimo rappresenti per lui il massimo delle sue aspirazioni non solo con le parole, ma adducendo gli esempi dei Santi.

Queste cose la Chiesa le ha sempre insegnate e praticate in forza della fede in Cristo come unico Salvatore dell’umanità e obbedendo al suo comando di annunciare il Vangelo a tutto il mondo, un mandato che, nella misura in cui è stato messo in pratica, ha avuto l’effetto di convertire i popoli a Cristo e di espandere e  far crescere numericamente la Chiesa in tutto il mondo. Leggiamo per esempio queste dichiarazioni del Concilio Vaticano II:

 «La Chiesa cattolica annuncia ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo, che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a Sé tutte le cose» (Nostra aetate,2).

«Solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà al solo collegio apostolico con a Capo  Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza, per costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli  che già in qualche modo appartengono al Popolo di Dio» (Unitatis redintegratio, 3).

Il che vuol dire che se tale piena appartenenza manca volontariamente e quindi colpevolmente, il non-cattolico, eretico o scismatico non si può salvare. Se invece tale pienezza manca per ignoranza invincibile della sua necessità, allora pensa Dio stesso ad aggregare pienamente il soggetto alla Chiesa affinchè possa salvarsi.

Questi insegnamenti, andando indietro nel tempo, li ritroviamo per esempio nel Concilio di Firenze del 1442: «Sacrosancta Romana Ecclesia firmiter credit, profitetur et praedicat extra Ecclesiam existentes vita aeternae non posse esse participes» (Denz. 1351).

La novità introdotta dal Concilio è quella della distinzione fra appartenenza parziale, propria dei cristiani non cattolici e quella piena, propria dei cattolici. La salvezza dei non cattolici è possibile per coloro che in buona fede non sanno che la salvezza si ottiene per mezzo della Chiesa cattolica.

Costoro si possono implicitamente ma realmente considerare appartenenti alla Chiesa cattolica in forza dell’insegnamento del Beato Pio IX nell’enciclica Quanto conficiamur moerore del 1863, il quale parla di un’appartenenza salvifica implicita ed inconscia ma reale alla Chiesa, di «coloro che patiscono un’ignoranza invincibile della nostra santissima religione» (Denz.2866).

Nessun relativismo. Due proposizioni di fede non possono essere simultaneamente vere se si contraddicono fra di loro.

Se il Filioque è verità di fede, non può essere nello stesso tempo eresia. Se è vero che il Vescovo di Roma ha il primato di giurisdizione su tutte le altre Chiese locali, non può esser vero ad un tempo che il Patriarcato di Costantinopoli o di Mosca sia canonicamente indipendente dal Vescovo di Roma. Se è verità di fede che la Madonna è Immacolata o Assunta in cielo, non può trattarsi simultaneamente di una semplice discutibile opinione teologica.

Se è vero che la ragione armonizza con la fede, non può esser vero che fede e ragione si oppongono a  vicenda; se è vero che credere in Dio è ragionevole, il credere in Dio non può essere un’assurdità; se si dimostra con la ragione che Dio esiste, è falso dire che sappiamo che esiste solo per fede; se è vero che la natura umana decaduta è ferita, non può esser vero che è totalmente corrotta; se è vero che è possibile osservare i comandamenti non può esser vero che è impossibile; se è vero che dobbiamo meritare il paradiso, non può essere altrettanto vero che andiamo in paradiso senza meriti; se è vero che il peccato è perdonato a chi si pente, non può esser vero  che siamo perdonati anche senza pentirci; se è vero che la Messa è un sacrificio, non può esser vero  che la Messa non è un sacrificio; se è vero che Cristo ha espiato e soddisfatto per noi, non può esser vero il contrario.

Se è vero che Cristo è Dio non può essere altrettanto vero che Cristo non è Dio; se è vero che Dio è Trino, non può essere vero che Dio non è Trino; se è vero che Dio dona all’uomo la sua grazia come a figlio di Dio, non può esser vero che non esiste alcuna grazia e alcuna figliolanza divina; se è vero che siamo figli di Dio e fratelli  in Cristo, chi nega ciò non può essere nella verità.

Se è vero che l’anima non è Dio, non può essere altrettanto vero che l’anima è Dio; se è vero che il male non viene da Dio, non può esser altrettanto vero che il male viene da Dio; se è vero che Dio ha creato il mondo, non può esser altrettanto vero che il mondo è l’apparire di Dio; se è vero che esiste la risurrezione del corpo, non può esser giusto negare la risurrezione del corpo; se è vero che la reincarnazione non esiste, non può esser giusto affermare la reincarnazione.

Nel dialogo interreligioso ci si impone sì il rispetto delle diversità, e su ciò il Papa insiste molto, quello che è stato chiamato il principio dell’«et-et», espressione pratica della nozione metafisica dell’analogia dell’essere.

Il dialogo interreligioso però non può limitarsi ad un semplice scambio di idee, a un confronto di opinioni o ad un apprezzamento delle diversità con un arricchimento reciproco, ma ha in fin dei conti lo scopo di appurare chi ha ragione e chi sbaglia, per correggere l’errore e far trionfare la verità.

Ma ci si impone anche e innanzitutto il rispetto del principio del terzo escluso, il cosiddetto principio dell’«aut-aut», «o sì o no», come lo chiama Cristo (Mt 5,37), basato a sua volta sul principio di non-contraddizione, che è la legge fondamentale della verità, della sensatezza e della lealtà del pensiero. Il principio di non-contraddizione poi a sua volta è il riflesso nel pensiero e nel giudizio della percezione dell’essere reale, che costituisce il principio di identità, per il quale ogni ente è ciò che è e non altro da sé.

Per questo è pura stoltezza e insensatezza e autoconfutazione, come alcuni improvvidi o furbi fanno, rifiutare l’aut-aut in nome dell’et-et, col pretesto che altrimenti non si avrebbe il rispetto dell’altro o del pluralismo. Succede invece che si apre la porta alla doppiezza, all’opportunismo e all’ipocrisia.

Per le ragioni suddette il dialogo interreligioso ha il compito iniziale di evidenziare le convinzioni religiose di ragione, comuni a tutta la umanità, circa l’esistenza di Dio, ente supremo, causa prima dell’universo e dell’uomo, principio della legge morale secondo la quale l’uomo deve render conto a Dio del proprio operato.

E certamente è importante mettere in luce le legittime diversità, che costituiscono un arricchimento ed aiuto reciproco, sorgente di concordia e di collaborazione reciproca. Ma una volta creato l’accordo su questa base, occorre affrontare assieme a fondo con franchezza e fiducia, in un clima di reciproca carità, la questione dottrinale, ossia quella della verità.

È lo stesso dovere dell’umiltà davanti a Cristo Verità che obbliga noi cattolici, che, senz’alcun merito, abbiamo ricevuto in Cristo e nella Chiesa la pienezza della verità, a proporre ai fedeli delle altre religioni quella universale e piena verità salvifica, che a tutti deve stare a cuore, perchè non esistono patti di pace basati sull’equivoco o sulla menzogna.

Abbiamo pertanto, come autentici discepoli di Cristo, il dovere, alla luce di quella verità, che non è la nostra, ma quella del Vangelo, di riconoscere le verità delle quali i fedeli delle altre religioni sono già in possesso, e alla luce di questa verità liberare questi fratelli da ogni traccia di tenebra affinchè con noi camminino verso la Luce di Cristo.

(Tratto da padrecavalcoli.blogspot.com)


 

 

 

 

 

Cesvi pubblica uno studio sui maltrattamenti dei bambini in Italia

Sono sempre molti i bambini vittime di maltrattamento, però si registrano anche i primi segnali di ripresa, secondo il report della sesta edizione dell’Indice regionale sul maltrattamento e la cura all’infanzia in Italia, ‘Le parole sono importanti’, realizzata dalla Fondazione Cesvi, in cui si evidenzia punti di forza e di debolezza delle regioni italiane rispetto ai fattori di rischio e ai servizi.

Il focus dell’Indice 2024 è dedicato al ruolo del linguaggio nel maltrattamento e nella cura all’infanzia, come si legge nel sito di Cesvi: “Lo studio si concentra sull’impatto del linguaggio abusante: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’abuso psicologico, di cui la violenza verbale fa parte, è la forma più diffusa di maltrattamento infantile tra i 55.000.000 bambine e bambini che in Europa subiscono abusi, con prevalenza del 36,1%.

Quello che emerge dal rapporto è che uno degli strumenti per la prevenzione del fenomeno è investire sull’educazione alla cura e al linguaggio positivo di bambini, genitori e comunità educante, partendo proprio dalla formazione dei professionisti e dalla ricerca di un linguaggio condiviso su maltrattamento e cura nei tavoli di coordinamento territoriale”.

L’analisi dell’Indice si basa su 64 indicatori, classificati rispetto a sei diverse capacità: capacità di cura di sé e degli altri, di vivere una vita sana, di vivere una vita sicura, di acquisire conoscenza e sapere, di lavorare, di accedere a risorse e servizi: “Con l’espressione ‘maltrattamento infantile’ si fa riferimento a varie forme di abuso e trascuratezza nei confronti di persone con meno di 18 anni. Le tipologie riconosciute sono abuso fisico, abuso sessuale, abuso psicologico e trascuratezza, che in comune hanno conseguenze di danni a salute, sopravvivenza, sviluppo e dignità del minore”.

Le Regioni italiane dove il contesto legato ai fattori di rischio è più favorevole a bambine e bambini sono Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, stabili al primo e secondo posto dalla precedente rilevazione. Seguono Emilia-Romagna e Lombardia, che salgono rispettivamente di una e di due posizioni arrivando al terzo e quarto posto, e poi Veneto, che dal terzo passa al quinto posto.

Il fattore di rischio complessivo è massimo invece in Campania, all’ultimo posto e preceduta nell’ordine da Sicilia, Puglia e Calabria, tutte invariate rispetto alla rilevazione precedente. Altre variazioni positive di due posizioni riguardano l’Umbria, di una posizione le Marche, la Basilicata e il Molise. Rimangono invariati anche Toscana e Piemonte, mentre arretrano di una posizione la Valle d’Aosta, il Lazio, l’Abruzzo, la Sardegna, di due posizioni il Veneto e la Liguria.

In riferimento ai servizi di prevenzione e cura del maltrattamento all’infanzia, la regione con la miglior dotazione strutturale è l’Emilia-Romagna, seguita da Veneto, Toscana, Valle d’Aosta, Umbria e Sardegna. Le regioni con maggiori criticità sono la Campania (all’ultimo posto in posizione invariata, preceduta dalla Sicilia al penultimo posto, peggiorata di un gradino) e ancora la Calabria e la Puglia, entrambe in peggioramento.

Sulla capacità di fronteggiare il maltrattamento all’infanzia, nella sintesi tra fattori di rischio e servizi, l’Emilia-Romagna si conferma al primo posto. Seguono Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, nelle stesse posizioni dalla precedente edizione, così come la Lombardia. Le Regioni con le maggiori criticità rimangono Sicilia e Campania. Le Marche migliorano di tre posizioni, la Valle d’Aosta di due, l’Umbria, la Sardegna, l’Abruzzo, la Basilicata, il Molise e la Calabria di una. Peggiorano di tre posizioni la Liguria, il Piemonte e il Lazio, mentre la Toscana e la Puglia perdono una posizione ciascuna.

Infine il rapporto sottolinea l’importanza di adottare un approccio che permetta di prendersi cura degli abusati, intervenire su chi abusa, interrompere la trasmissione intergenerazionale della violenza e prevenire l’abuso, individuando i fattori di rischio e rafforzando i fattori protettivi, considerando il contesto sociale. I fattori di rischio che aumentano la probabilità dei bambini di subire il maltrattamento possono essere contrastati o mitigati dai fattori protettivi, che agiscono come efficaci strumenti preventivi, riducendo la probabilità di subire maltrattamento e prevenendo in modo strutturale il fenomeno.

In effetti la violenza include anche quella inflitta con le parole, che può avere pesanti conseguenze sulla salute mentale, sia nell’infanzia sia una volta diventati adulti. La nuova edizione dell’Indice considera il ruolo del linguaggio nel maltrattamento e nella cura di bambine e bambini, rilevando quanto sia fondamentale una comunicazione da parte degli adulti che promuova un’idea positiva di sé stessi e che sviluppi la sicurezza emotiva. Forme di abuso verbale, come gli insulti e la denigrazione, hanno un impatto negativo sulla crescita, non solo nella percezione del senso di sé, ma anche nel comportamento appreso attraverso l’imitazione.

Esserne vittima può avere conseguenze sulla salute mentale in termini di ripercussioni emotive e psicologiche, e sul comportamento, da bambini e una volta divenuti adulti. Può determinare un forte ritardo nello sviluppo del linguaggio e nella comprensione in bambini di età tra 0 e 6 anni, violenta aggressività verbale dopo i 10 anni, spesso svalutante e discriminatoria come bullismo e cyberbullismo, sessualizzazione precoce e inconsapevole:

“La violenza verbale di bambini e adolescenti può essere influenzata da social media, musica e coetanei, ma soprattutto da quanto ascoltato in famiglia, sia tra genitori e figli, sia tra i genitori. L’abuso verbale in famiglia è spesso legato alla pedagogia ‘nera’, retaggio di valori educativi arcaici ancora oggi adottati, con cui si dà legittimazione ‘morale’ a comportamenti maltrattanti o abusanti. L’inconsapevolezza del peso delle parole può far sì che i genitori pronuncino insulti con intenzioni ‘affettuose’ od ‘educative’, usando toni ed espressioni umilianti e sprezzanti.

In questo scenario, emerge l’importanza dell’utilizzo di un linguaggio positivo e orientato alla cura come presupposto fondamentale per il cambiamento: una piena consapevolezza del suo valore nel rinforzare i fattori protettivi, superare traumi importanti, contribuire al recupero psicofisico e allo sviluppo armonioso di personalità ferite negli anni più delicati della crescita”.

Il papa ai giovani: parlate il linguaggio dell’Amore

Prima di partire per Dili, capitale di Timor Leste, papa Francesco ha incontrato nello stadio di Port Moresby i giovani con l’invito a prendersi cura degli altri, rispondendo alle loro domande con l’indicazione di parlare attraverso il linguaggio dell’amore: “La vostra lingua comune è quella del cuore, dell’amore, della vicinanza e del servizio” con l’augurio che “tutti parliate questa lingua e siate Wantok dell’amore!”, perché “l’indifferenza è una cosa brutta, tu lasci gli altri per strada, non ti interessi degli altri, l’indifferenza ha radice dell’egoismo.  Nella vita dovete avere inquietudine del cuore, l’inquietudine di prendersi cura degli altri dovete fare amicizia tra voi e avere vicinanza ai nonni”.

Inoltre papa Francesco ha esortato i giovani a riconoscere uno sbaglio: “Tutti possiamo sbagliare. Tutti. Ma l’importante è rendersi conto dello sbaglio. E dobbiamo sempre correggerci. “Un giovane può sbagliare, un adulto può sbagliare, tutti possiamo sbagliare, ma l’importante è rendersi conto noi non siamo superman, noi possiamo sbagliare, questo ci dà una certezza: che  dobbiamo sempre correggerci.

Nella vita tutti possiamo cadere. L’importante è non rimanere caduti,  e se vedi un amico che è caduto tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno preparato questo bell’incontro… E se vedete un amico, un compagno, un’amica, una compagna della vostra età che è caduto, che è caduta, cosa dovete fare? Ridere di quello?”.

Alla risposta negativa il papa ha esortato i giovani all’aiuto: “Tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Pensate che noi soltanto in una situazione della vita possiamo guardare l’altro dall’alto in basso: per aiutarlo a sollevarsi… Quando voi trovate qualcuno caduto sulla strada, per tanti problemi, cosa dove fare, dare una botta?”.

Ai ragazzi e ragazze del Paese, che sono ‘la speranza per il futuro’, papa Francesco ha chiesto di riflettere ‘su come si costruisce il futuro’ attraverso l’episodio biblico della Torre di Babele, dove si scontrano due modi opposti di vivere e di costruire la società: “uno porta alla confusione e alla dispersione, l’altro porta all’armonia dell’incontro con Dio e con i fratelli”.

Prima di dialogare con i giovani il papa si è messo in ascolto delle loro testimonianze: Patricia Harricknen-Korpok, che fa parte dell’Associazione dei professionisti cattolici ed ha parlato della difficoltà di testimoniare la fede e la morale cattolica in una società che subisce l’influenza negativa ‘delle industrie dello sport e del divertimento, dei social media e della tecnologia’, molto attrattive.

Poi è stata la volta di Ryan Vulum che ha raccontato la difficile infanzia in una famiglia divisa, e che la Chiesa ‘è diventata il mio rifugio’; mentre Bernadette Turmoni, quarta e ultima figlia di una famiglia numerosa, ha raccontato il dramma degli abusi in famiglia: “Chi ne è vittima si sente non amato e non rispettato. Perde la speranza e può suicidarsi o lasciare la famiglia”.

(Foto: Santa Sede)

XXI Domenica Tempo Ordinario: Signore, tu hai parole di vita eterna!

Il Vangelo descrive la reazione della folla e di alcuni discepoli di Gesù al discorso  a Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani: ‘Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia di questo pane avrà la vita eterna’. La folla rispose a Gesù. ‘Questo linguaggio è duro’; cioè incomprensibile, inaccettabile! Chi può intenderlo? La risposta di Gesù è assai ferma: ‘Questo vi scandalizza?  Allora se vedeste il figlio dell’uomo salire là dov’era prima?’ 

Per la folla il linguaggio è duro sia per l’intelligenza, che non riesce a cogliere il grande mistero dell’Eucaristia; sia per la volontà del popolo  che non intendeva accogliere Gesù come Figlio di Dio. Gesù non cambia anzi ribadisce: il mio corpo è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda. L’Eucaristia è il grande mistero dell’amore di Dio: un amore incommensurabile, vero, gratuito e l’uomo, dinnanzi ad esso, non può rimanere passivo; il monologo deve diventare dialogo o, come si dice: amore con amore si paga.

L’uomo è chiamato a dare una risposta; è necessario operare una scelta: o accettare la proposta divina o andare via. Il Vangelo evidenzia che molti andarono via, Gesù non si scompone anzi dice ai dodici: se volete, potete andare via anche voi. Nella vita ogni uomo , ricco o povero, ignorante o dotto, è chiamato nella vita a fare la sua scelta nel nome di Dio; come Cristo Gesù ha amato la Chiesa dando la vita per essa, così nella famiglia lo sposa per la sposa e viceversa; sono scelte fondamentali.

La vita non è e non può essere uno scherzo; è quanto di bello, di nobile Dio ha realizzato  prima con la creazione, poi con la redenzione operata da Gesù, che è morto in croce per salvarci, ed ha istituito l’Eucaristia come cibo e nutrimento dell’anima per la vita eterna.

Accettare la proposta di Gesù è entusiasmante per chi ha fede. Gesù conosce bene l’esigenza del cuore umano, la debolezza dell’uomo e perciò il bisogno di una scelta generosa, di un ‘sì’ che coinvolga il credere e l’operare, l’intelligenza e la volontà. Da qui le parole di Gesù agli apostoli: scegliete! Volete restare e rimanere con me o andarvene? I dodici rimasero e Pietro, a nome di tutti, disse. ‘Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna’.

Anche se il discorso di Gesù appare duro, non ammette eccezioni, gli Apostoli hanno operato la propria scelta. Il tema della scelta oggi interpella ciascuno di noi: essere cristiani   comporta il diritto di invocare Dio ‘Padre nostro’; se Dio è padre, è necessario per noi vivere da figli, da fratelli tra di noi: non c’è alternativa. Non si può piegare un ginocchio davanti a Dio e l’altro davanti a Satana, al denaro, al gretto egoismo, al mero piacere per il piacere.

A Cafarnao i Discepoli scelsero Cristo ; noi, comunità cristiana, davanti all’Eucaristia dobbiamo operare la nostra scelta e rimanere fedeli alla scelta operata. Nella nostra scelta non può coesistere il doppio giuoco: nessuno può servire due padroni; con Dio non c’è compromesso, né doppio giuoco; Dio è Padre, che ti ama, e amore con amore si ripaga. Dio un giorno ci dirà: rendi conto della tua vita: cosa hai fatto della tua intelligenza? Della tua volontà? Dei carismi ricevuti e dei talenti a te affidati? 

Come verdi il processo ci sarà e sarà inevitabile. Non importa quello che dice la gente, o l’amico, o l’ammiratore; Gesù non giudica per sentito dire ma sarà la mia, la tua coscienza a dover rispondere. Amico che ascolti o leggi, è necessario essere uomini ricolmi di fede e di umiltà, come Maria, e con l’apostolo Pietro dire: ‘Signore, tu solo hai parole di vita eterna! Ma tu, Signore, sostieni sempre la mia fede’.   

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