Don Alberto Ravagnani racconta ai giovani la Chiesa attraverso i social

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Su Instagram conta 140.000 follower, 146.000 su YouTube, su Tik Tok 92.000: è don Alberto Ravagnani, brianzolo, classe 1993; è stato ordinato sacerdote nel 2018 ed oggi è vicario della parrocchia ‘San Michele Arcangelo’ di Busto Arsizio (Varese). Lascia la vita da ragazzo come gli altri quando è ai primi anni del liceo classico. I genitori, disperati, cercano di fargli cambiare idea. Gli amici, immersi tra le prime uscite e le cotte di quell’età, non capiscono la sua scelta.

Lui di nascosto prega: “Ho iniziato a pregare, senza sapere come si facesse. La sera mi chiudevo in camera: accendevo la lampada, tiravo fuori una piccola croce della Prima comunione dimenticata nel cassetto, un temperino di Art Attack e una matita, e iniziavo a leggere. Non sapevo niente di Gesù e le sue parole di uomo, senza formalismi, mi hanno affascinato. Pregavo di nascosto, anche da mio fratello Pietro, più piccolo”.

Finché non entra in seminario e scopre il senso della vita: “Dio è ciò che dà senso alla mia vita, è il motivo per cui mi sveglio la mattina. Il motivo per cui so cosa fare ogni giorno, il motivo per cui affronto le sfide, i fallimenti. Il motivo per cui sto davanti a un mondo che non mi piace, e continuo comunque a sperare. Il motivo per cui continuo ad amare, anche quando sembra non abbia senso”.

E ci racconta la sua missione nella parrocchia: “La mia missione è la fraternità. Questa è la Chiesa. Questa è la fede. Questa è la gioia che sgorga da Dio. Vorrei gridarlo a tutto il mondo, perché mi sembra assurdo che così tante persone non lo abbiano mai sperimentato. Mi viene da piangere al pensiero che noi abbiamo trovato un tesoro così grande, dei fratelli, mentre tanti, troppi ragazzi non hanno la minima idea di che cosa significhi sentirsi amati da Dio”.

Nel dialogo con don Alberto Ravagnani iniziamo dal romanzo ‘La tua vita e la mia’, che racconta la vita giornaliera di alcuni giovani di Busto Arsizio, che si cimenta in una solida amicizia all’ombra di un oratorio: “Il libro nasce dalla mia esperienza in oratorio, soprattutto quella fatta qui a Busto Arsizio da sacerdote. Ho raccontato una storia che in qualche modo ha per protagonisti i miei ragazzi.

Gli eventi narrati sono di fantasia ma rispecchiano quello che si vive ogni giorno in oratorio, dove si ritrovano i ragazzi ‘bravi’, di buona famiglia, e quelli ‘meno bravi’, alle volte disagiati, o anche quelli stigmatizzati, che poi in realtà spesso diventando amici degli altri, dopo pochi incontri, trovano il modo di riscattarsi”.

Perché un romanzo sulla vita dei giovani?

“Ho scritto un romanzo sulla vita dei giovani perché abbiamo tutti bisogno di storie, soprattutto i ragazzi. Attraverso le storie che leggiamo noi possiamo interpretare meglio la nostra storia personale. Pensando ai ragazzi del mio oratorio, ho ritenuto opportuno raccontare una storia di amicizia intesa come il segreto per essere felici, in modo da spingere tutti i ragazzi che avessero letto le vicende di Federico e Riccardo a ricercare un’amicizia così”.

Don Alberto è un apprezzato youtuber: come raccontare la Chiesa ai giovani attraverso i social?

“E’ necessario smontare tutti i pregiudizi che i giovani hanno rispetto alla chiesa: purtroppo, tante volte, la nostra comunicazione è compromessa dal fatto che chi ci ascolta pensa già di sapere chi siamo, di sapere già cos’è la chiesa, chi è un prete, cos’è un oratorio, cosa vuol dire pregare. Per fare un annuncio positivo occorre quindi decostruire tutte le incomprensioni negative che hanno”.

Dopo questo tempo di chiusura pandemica come annunciare ai giovani la speranza?

“Raccontando loro di vite di giovani felici, di giovani che sono riusciti a vivere una vita degna di essere vissuta, attraverso l’amicizia, la Fraternità, la fede. Una vita che è quindi possibile per tutti, non è per pochi eletti o capaci. Basta avere il coraggio di uscire di casa, affrontare il rischio di relazionarsi con gli altri e aprire il cuore”.

Lei ha dato vita all’associazione ‘LabOratorium’: cosa si prefigge?

“LabOratorium ha quattro obiettivi principali: 1. Sostenere e promuovere i giovani che desiderano avere una voce nella comunicazione digitale e vogliono mettersi al servizio del Vangelo; 2. Creare relazioni vere tra i ragazzi lavorando insieme, imparando a conoscersi, a stimarsi, ad aiutarsi, a correggersi e a volersi bene; 3. Fare formazione ai suoi membri nel campo della comunicazione, del marketing e del business digitale; 4. Sensibilizzare i ragazzi a un uso consapevole e corretto dei social.

Per fare tutto ciò, LabOratorium si occupa di produzione di contenuti digitali, di organizzazione di eventi o formazioni, e collabora con le diocesi o le pastorali giovanili che desiderano migliorare la loro comunicazione online”. 

Quali caratteristiche ha un oratorio social?

“Se mai possa esistere, è essenziale che rimandi agli oratori fisici. L’esperienza virtuale deve sempre essere un’espansione dell’esperienza in real-life. Tutto quello che facciamo sui social, tutti i contenuti che facciamo, tutti i network che possiamo creare devono avere una ricaduta concreta sulla vita in presenza dei ragazzi coinvolti”.  

Come educare contro il ‘bullismo’ social?

“Innanzitutto riconoscendo e condannando tutte le situazioni in cui il bullismo si manifesta anche sui social. Dopodiché, io penso sia sempre più importante oggi creare contesti dove i ragazzi siano educati a un utilizzo corretto e consapevole dei social network. LabOratorium, ad esempio, esiste anche per questo”.

(Tratto da Aci Stampa)

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