Papa Francesco: la pace si costruisce con il dialogo
Nello scorso fine settimana alla Pontificia Università Lateranense si è svolto il convegno sulla pace: ‘The major challenges of peace: diplomacy, development, ecology, gender and religion’, i cui partecipanti dell’ong ‘Leader pour la paix’ sono stati ricevuti da papa Francesco, prima della sua apertura.
Nel saluto il papa ha sottolineato l’importanza del leader, che promuove percorsi educativi: “Essere un Leader pour la Paix nel momento che stiamo attraversando è una grande responsabilità e non solo un impegno. Ci siamo accorti che la famiglia umana, minacciata dalla guerra, corre un pericolo più grave: la mancata volontà di costruire la pace.
La vostra esperienza vi insegna che, di fronte alla guerra, far tacere le armi è il primo passo da compiere, ma poi sarà da ricostruire il presente e il futuro della convivenza, delle istituzioni, delle strutture e dei servizi. La pace richiede forme di riconciliazione, valori condivisi e, cosa indispensabile, percorsi di educazione e formazione”.
Infatti la pace chiede la creatività: “Costruire la pace ci chiede di essere creativi, di superare, se necessario, gli schemi abituali delle relazioni internazionali, e nel contempo di contrastare quanti affidano alla guerra il compito di risolvere le controversie tra gli Stati e negli Stati, o addirittura pensano di realizzare con la forza le condizioni di giustizia necessarie alla coesistenza tra i popoli.
Non possiamo dimenticare che il sacrificio di vite umane, le sofferenze della popolazione, la distruzione indiscriminata di strutture civili, la violazione del principio di umanità non sono ‘effetti collaterali’ della guerra, no, sono crimini internazionali. Questo dobbiamo dirlo e ripeterlo”.
Inoltre la pace richiede il coraggio di conciliare le parti in causa: “Usare le armi per risolvere i conflitti è segno di debolezza e di fragilità. Negoziare, procedere nella mediazione e avviare la conciliazione richiede coraggio.
Il coraggio di non sentirsi superiori agli altri; il coraggio di affrontare le cause del conflitto, abbandonando interessi e disegni di egemonia; il coraggio di superare la categoria del nemico, per diventare costruttori della fraternità universale, che trova forza nelle diversità e unità nelle aspirazioni comuni ad ogni persona”.
E la pace chiede l’avviamento di processi di sviluppo sostenibile: “Ancora di più è richiesto il coraggio di lavorare insieme di fronte alla sfida degli ultimi che domandano non una pace teorica, ma speranza di vita.
Costruire la pace significa allora avviare e sostenere processi di sviluppo per eliminare la povertà, sconfiggere la fame, garantire la salute e la cura, custodire la casa comune, promuovere i diritti fondamentali e superare le discriminazioni determinate dalla mobilità umana. Solo allora la pace diventerà sinonimo di dignità per ogni nostro fratello e sorella”.
Ma oggi la guerra è di casa in Europa, non solo nell’est; anche nel mar Mediterraneo è un mare che deve affrontare molte crisi, come ha scritto papa Francesco in un messaggio per l’apertura dell’ VIII Conferenza ‘Rome MED Dialogues’, organizzato dal Ministero degli Esteri Italiano:
“Il metodo di questa Conferenza è di per sé significativo e importante, vale a dire l’impegno nel dialogo, nel confronto, nella riflessione comune, alla ricerca di soluzioni o anche solo di approcci coordinati verso quelli che sono, e non possono che essere, gli interessi comuni dei popoli che, nella diversità delle rispettive culture, si affacciano sul mare nostrum.
Un mare, che, nella sua storia di medium terrarum, ha una vocazione di progresso, sviluppo e cultura che sembra purtroppo avere smarrito nel passato recente e che necessita di recuperare appieno e con convinzione”.
Ancora una volta il papa ha ribadito che il Mediterraneo è la culla della civiltà: “Il Mediterraneo, infatti, ha la grande potenzialità di mettere in contatto tre continenti: un collegamento che storicamente, anche tramite la migrazione, è stato grandemente fecondo. Con esso confinano Africa, Asia ed Europa, ma troppo spesso dimentichiamo che le linee che delimitano sono anche quelle che mettono in contatto, e che l’ambivalenza del termine ‘confine’ può alludere anche a un fine comune: cum-finis”.
Ha sottolineato la validità della parola ‘confine’, che mette in contatto i popoli: “Un aspetto, questo, di cui erano ben consapevoli le civiltà che ci hanno preceduto e delle quali il Mediterraneo è stato la culla. Con rammarico dobbiamo constatare che questo stesso mare, oggi, stenta ad essere vissuto come luogo di incontro, di scambio, di condivisione e di collaborazione.
Eppure, nello stesso tempo, è proprio in questo crocevia di umanità che ci attendono tante opportunità. Dobbiamo dunque riprendere la cultura dell’incontro di cui abbiamo tanto beneficiato, e non solo nel passato. Così si potrà ricostruire un senso di fraternità, sviluppando, oltre a rapporti economici più giusti, anche relazioni più umane, comprese quelle con i migranti”.
Il papa ha invitato a non pensare più per ‘comparti stagno’: “Penso in particolare all’incapacità di trovare soluzioni comuni alla mobilità umana nella regione, che continua a comportare una perdita di vite umane inammissibile e quasi sempre evitabile, soprattutto nel Mediterraneo.
La migrazione è essenziale per il benessere di quest’area e non può essere fermata. Pertanto, è nell’interesse di tutte le parti trovare una soluzione comprensiva dei vari aspetti e delle giuste istanze, che sia vantaggiosa per tutti, che garantisca sia la dignità umana sia la prosperità condivisa.
L’interconnessione delle problematiche richiede che vengano esaminate insieme, in una visione coordinata e la più ampia possibile, come emerso in modo prepotente già nel corso della crisi pandemica, altra evidente conferma che nessuno si salva da solo”.
Ed il suo pensiero è ritornato alla guerra in Ucraina: “Tale globalizzazione dei problemi si ripropone oggi a proposito del drammatico conflitto bellico in corso all’interno dell’Europa, tra Russia e Ucraina, dal quale, oltre ai danni incalcolabili di ogni guerra in termini di vittime, civili e militari, conseguono la crisi energetica, la crisi finanziaria, la crisi umanitaria per tanta gente innocente costretta a lasciare la propria casa e a perdere i beni più cari e, infine, la crisi alimentare, che colpisce un numero crescente di persone in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi più poveri. Il conflitto ucraino sta infatti producendo enormi ripercussioni nei Paesi nordafricani, che dipendono per l’80% dal grano proveniente dall’Ucraina o dalla Russia”.
Proprio il pensiero della guerra è stato per il papa uno sprone a pensare in maniera globale: “Questa crisi ci esorta a prendere in considerazione la totalità della situazione reale in un’ottica globale, così come globali ne sono gli effetti.
Pertanto, come non è possibile pensare di affrontare la crisi energetica a prescindere da quella politica, non si può al tempo stesso risolvere la crisi alimentare a prescindere dalla persistenza dei conflitti, o la crisi climatica senza prendere in considerazione il problema migratorio, o il soccorso alle economie più fragili o ancora la tutela delle libertà fondamentali.
Né si può prendere in considerazione la vastità delle sofferenze umane senza tener conto della crisi sociale, in cui, per un profitto economico o politico, il valore della persona umana viene sminuito e i diritti umani vengono calpestati”.
Quindi il ‘grido’ del pianeta non può essere separato dal ‘grido’ dell’umanità: “Tutti noi dobbiamo acquisire una sempre maggiore consapevolezza del fatto che il grido del nostro pianeta maltrattato è inseparabile dal grido dell’umanità sofferente.
Risuonano a questo proposito quanto mai attuali le parole dettate circa duemila anni fa da san Paolo nella Lettera ai Romani, là dove presenta il destino comune dell’umanità e della creazione, la quale, dice l’Apostolo, nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio, in vista della quale tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”.