Papa Francesco invita alla missione
“Continuiamo a pregare per la pace in Ucraina e nel mondo intero. Faccio appello ai Capi delle nazioni e delle Organizzazioni internazionali, perché reagiscano alla tendenza ad accentuare la conflittualità e la contrapposizione. Il mondo ha bisogno di pace. Non una pace basata sull’equilibrio degli armamenti, sulla paura reciproca..
Questo vuol dire far tornare indietro la storia di settant’anni. La crisi ucraina avrebbe dovuto essere, ma (se lo si vuole) può ancora diventare, una sfida per statisti saggi, capaci di costruire nel dialogo un mondo migliore per le nuove generazioni. Con l’aiuto di Dio, questo è sempre possibile!”: anche al termine dell’Angelus odierno papa Francesco ha invocato la pace, chiedendo la messa al bando delle armi.
E prima della recita dell’Angelus papa Francesco aveva incentrato la riflessione sulla missione della Chiesa: “I discepoli sono stati inviati a due a due, non singolarmente. Andare in missione a due a due, da un punto di vista pratico, sembrerebbe comportare più svantaggi che vantaggi. C’è il rischio che i due non vadano d’accordo, che abbiano un passo diverso, che uno si stanchi o si ammali lungo la via, costringendo anche l’altro a fermarsi”.
Il compito dei discepoli è quello di annunciare la resurrezione di Cristo: “Compito dei discepoli è di andare avanti nei villaggi e preparare la gente ad accogliere Gesù; e le istruzioni che Egli dà loro sono non tanto su che cosa devono dire, quanto su come devono essere: cioè non sul ‘libretto’ che devono dire, no; sulla testimonianza di vita, la testimonianza da dare più che sulle parole da dire.
Infatti li definisce operai: sono cioè chiamati a operare, a evangelizzare mediante il loro comportamento. E la prima azione concreta con cui i discepoli svolgono la loro missione è proprio quella di andare a due a due”.
Ed oggi papa Francesco doveva iniziare il viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo, ma a causa del ginocchio ha celebrato nella chiesa di san Pietro una messa in rito congolese con la comunità congolese di Roma, mentre il segretario di Stato, card. Pietro Parolin è in visita nel Paese africano:
“E questa vicinanza di Dio in Gesù, questa vicinanza di Dio che è Gesù, è la fonte della nostra gioia: siamo amati e non siamo mai lasciati soli. Però la gioia che nasce dalla vicinanza di Dio, mentre dà pace, non lascia in pace. Dà pace e non ci lascia in pace, una gioia speciale. Provoca in noi una svolta: riempie di stupore, sorprende, cambia la vita. E l’incontro con il Signore è un continuo incominciare, un continuo fare un passo in avanti. Il Signore ci cambia la vita sempre”.
E’ un invito a non accontentarsi della mediocrità: “Da cristiani non possiamo accontentarci di vivacchiare nella mediocrità. E questa è una malattia; tanti cristiani, anche tutti noi abbiamo il pericolo di vivacchiare nella mediocrità, facendo i conti con le nostre opportunità e convenienze, vivendo alla giornata. No, siamo missionari di Gesù. Tutti siamo missionari di Gesù”.
Per essere missionario occorre un equipaggiamento: “Per affrontare una missione in luoghi sconosciuti occorre prendere con sé diverse cose, certamente quelle essenziali. Gesù, invece, non dice che cosa prendere, ma che cosa non prendere: ‘Non portate borsa, né sacca, né sandali’. Praticamente nulla: nessun bagaglio, nessuna sicurezza, nessun aiuto. Spesso pensiamo che le nostre iniziative ecclesiali non funzionino a dovere perché ci mancano strutture, ci mancano soldi, ci mancano mezzi: questo non è vero”.
La missione non è solitaria: “Per Cristo l’equipaggiamento fondamentale è un altro: il fratello. Curioso questo. ‘Li inviò a due a due’, dice il Vangelo. Non da soli, non per conto proprio, sempre con il fratello accanto. Mai senza il fratello, perché non c’è missione senza comunione. Non c’è annuncio che funzioni senza prendersi cura degli altri. Allora possiamo chiederci: io, cristiano, penso più a quello che mi manca per vivere bene, o penso ad avvicinarmi ai fratelli, a prendermi cura di loro?”
Dopo l’equipaggiamento c’è il messaggio: “E’ logico pensare che, per prepararsi all’annuncio, i discepoli debbano imparare che cosa dire, studiare a fondo i contenuti, preparare discorsi convincenti e ben articolati… Il Signore prescrive cioè di presentarsi, in qualsiasi posto, come ambasciatori di pace. Un cristiano porta sempre la pace.
Un cristiano si adopera perché entri la pace in quel posto. Ecco il segno distintivo: il cristiano è portatore di pace, perché Cristo è la pace. Da questo si riconosce se siamo suoi. Se invece diffondiamo chiacchiere e sospetti, creiamo divisioni, ostacoliamo la comunione, mettiamo la nostra appartenenza davanti a tutto, non agiamo in nome di Gesù. Chi fomenta rancore, incita all’odio, scavalca gli altri, non lavora per Gesù, non porta la pace”.
Ed ha pregato per la pace nella Repubblica democratica del Congo: “Oggi, cari fratelli e sorelle, preghiamo per la pace e la riconciliazione nella vostra patria, nella Repubblica Democratica del Congo, tanto ferita e sfruttata. Ci uniamo alle Messe celebrate nel Paese secondo questa intenzione e preghiamo perché i cristiani siano testimoni di pace, capaci di superare ogni sentimento di astio, ogni sentimento di vendetta, superare la tentazione che la riconciliazione non sia possibile, ogni attaccamento malsano al proprio gruppo che porta a disprezzare gli altri”.
Però la pace nasce dal cuore: “Fratello, sorella, la pace comincia da noi; comincia da me e da te, da ognuno di noi, dal cuore di ciascuno di noi. Se vivi la sua pace, Gesù arriva e la tua famiglia, la tua società cambiano. Cambiano se per prima cosa il tuo cuore non è in guerra, non è armato di risentimento e di rabbia, non è diviso, non è doppio, non è falso. Mettere pace e ordine nel proprio cuore, disinnescare l’avidità, spegnere l’odio e il rancore, fuggire la corruzione, fuggire gli imbrogli e le furberie: ecco da dove inizia la pace”.
E’ un invito a sperimentare la pace di Dio: “Annunciare la vicinanza di Dio, ecco l’essenziale. La speranza e la conversione vengono da qui: dal credere che Dio è vicino e veglia su di noi: è il Padre di tutti noi, che ci vuole tutti fratelli e sorelle. Se noi viviamo sotto questo sguardo, il mondo non sarà più un campo di battaglia, ma un giardino di pace; la storia non sarà una corsa per arrivare primi, ma un pellegrinaggio comune. Tutto ciò, ricordiamolo bene, non richiede grandi discorsi, ma poche parole e tanta testimonianza”.
Infine, il terzo elemento riguarda il modo missionario: “Chi vive da agnello non aggredisce, non è vorace: sta nel gregge, con gli altri, e trova sicurezza nel suo Pastore, non nella forza o nell’arroganza, non nell’avidità di soldi e di beni che tanto male causa anche alla Repubblica Democratica del Congo. Il discepolo di Gesù respinge la violenza, non fa male a nessuno, è un pacifico, ama tutti. E se ciò gli sembra perdente, guarda il suo Pastore, Gesù, l’Agnello di Dio che così ha vinto il mondo, sulla croce. Così ha vinto il mondo”.
(Foto: Santa Sede)