Il card. Zuppi: abusi e pace al centro dell’azione della Chiesa
Nella prima conferenza da neopresidente della Cei, il card. Matteo Maria Zuppi ha incentrato le risposte sul problema della pedofilia e sul modo in cui la Chiesa italiana intende rafforzare la tutela dei minori dagli abusi senza sfuggire alle responsabilità o nascondere niente:
“C’è stata tanta attenzione, frutto del lavoro di più di un anno, il pensiero va sempre alle vittime ed è la prima preoccupazione. Tra i vescovi si è registrata una discussione vera, reale. La scelta è stata quella di fare una cosa seria, vera, dovuta alle vittime e alla Chiesa che disonoriamo. La Chiesa sta dalla parte delle vittime anche quando queste sono provocate dai suoi figli”.
Il presidente della Cei ha sottolineato lo sforzo di rafforzare i servizi diocesani di tutela: “Dobbiamo rafforzare i servizi diocesani per i minori e le persone vulnerabili e i centri d’ascolto, al momento al 70% delle diocesi italiane. Il 18 novembre pubblicheremo un primo report nazionale perché lo dobbiamo, è un impegno per noi.
Il report d’ora in poi sarà annuale. E’ molto importante la collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede e con l’Osservatorio del ministero della Famiglia. Non va fatto solo un discorso quantitativo ma anche qualitativo. Deve essere insieme, non vogliamo sfuggire. C’è la volontà serenamente e dolorosamente di chiarire, qui si valuta con esattezza”.
E proprio su tale tema è stato proiettato il videomessaggio inviato dal card. Sean Patrick O’Malley, il cui testo ha offerto alcune indicazioni per affrontare la grave piaga: “Gli elementi da considerare sono numerosi e delicati, ma è fondamentale concordare una linea di azione comune per affrontare la questione in modo integrale. Voglio quindi encomiare questo sforzo, il vostro e quello di molti altri. Nella Commissione per la Tutela dei Minori siamo con voi per offrire qualunque aiuto possibile.
La complessità della sfida è tale per cui anche dopo 38 anni di ministero, sia da sacerdote che da Vescovo coinvolto nella missione della protezione dei minori e nella lotta all’abuso clericale, continuo ad imparare nuove cose”.
Ed ha richiamato ad una Chiesa esperta in umanità: “Papa Montini aveva ragione quando diceva che la Chiesa è esperta di umanità. Possiamo sicuramente trovare delle modalità per abbracciare quelle vite umane che sono state spezzate dalla realtà dolorosa degli abusi nella nostra Chiesa.
Questo lavoro di ascolto, guarigione e giustizia ci è richiesto in quanto connaturato al ministero fondamentale del sacerdote e del Vescovo: essere strumenti della grazia di Dio per coloro che sono stati feriti dalla vita, persino quando quelle ferite vengono da dentro.
Uno dei più grandi desideri del cuore umano è sentirsi sicuro. I nostri fedeli vogliono sentirsi sicuri nella loro Chiesa, e questo significa che devono essere resi più saldi nella fede dall’impegno dei loro pastori”.
Tale lavoro è realizzabile attraverso sette consigli pratici, accompagnati da una raccomandazione: “Abbiamo bisogno di una conversione pastorale che includa i seguenti aspetti: 1. Offrire una cura pastorale efficace alle vittime; 2. Dare indicazioni chiare (e vigilare) sui corsi di formazione per il personale nella diocesi; 3. Fare uno screening adeguato e accurato; 4. Rimuovere i colpevoli;
5. Cooperare con le autorità civili; 6. Valutare attentamente i rischi esistenti per i preti colpevoli di abuso (per se stessi e per la comunità) una volta che sono stati ridotti allo stato laicale; 7. Dimostrare l’applicazione dei protocolli in atto, così che le persone sappiano che le politiche funzionano. Un audit e un rapporto di verifica dell’implementazione delle politiche sono molto utili”.
Ed ha concluso affermando che la buona notizia è che laddove vengono adottate politiche effettive e attuate con efficacia, il numero dei casi si riduce drasticamente: “Non dobbiamo temere di riconoscere il male che è stato fatto a moltissimi nostri fratelli e sorelle.
Il ‘senno di poi’ può essere un giudice molto forte, ma solo rispondendo con giustizia alle vittime si potrà arrivare alla guarigione. Laddove gli individui hanno fallito nel loro dovere, dobbiamo compiere passi decisi per renderli responsabili dei loro errori. Senza giustizia non ci può essere guarigione. Se le vittime sono private della giustizia, sarà difficile trovare una soluzione al problema”.
Altro tema affrontato ha riguardato la guerra in Ucraina: “C’è la pandemia della guerra con l’accoglienza, la grande sfida della durata: deve esserci una accoglienza che dura nel tempo con il conseguente inserimento. Ci sono anche gli altri pezzi delle guerre mondiali come Afghanistan e Libia. Dalle pandemie dobbiamo imparare il cambiamento.
Tutto ciò che si fa per il dialogo è auspicabile, mi auguro ci sia un piano di pace, il più possibile europeo e non si ragioni solo nella logica delle armi trovando una composizione diplomatica. La legittima difesa è un diritto ma il più grande diritto è quello alla pace. Non possiamo abituarci alla guerra, perché è una tragedia”.
Su tale tema i vescovi hanno evidenziato l’importanza di far risuonare, con voce unanime e coraggiosa, il ‘no’ al conflitto e la volontà di costruire insieme la pace, facendo tacere le armi. A questo proposito, i vescovi hanno condiviso l’appello ‘Per una Repubblica libera dalle armi nucleari’, firmato nella scorsa primavera da oltre 40 presidenti nazionali di associazioni cattoliche che più volte si sono espresse in merito alle armi nucleari e all’adesione del trattato ONU, che l’Italia non ha ancora ratificato.
La riflessione sui conflitti si è allargata alla situazione dei profughi e dei migranti, in particolare alla tragedia dei lager di detenzione, luoghi di morte e sopraffazione: i vescovi hanno espresso una denuncia netta, ricordando l’urgenza di attuare politiche migratorie adeguate, rispettose della dignità umana.
(Foto: Cei)