Papa Francesco: non c’è giustizia senza misericordia

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“Siete stati chiamati a una missione nobile e delicata: rappresentate l’organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati ordinari e avete il compito di amministrare la giurisdizione. La Costituzione italiana vi affida una vocazione particolare, che è un dono e un compito perché la giustizia è amministrata in nome del popolo”: così è iniziato il discorso di papa Francesco ricevendo i membri del Consiglio Superiore della Magistratura con un riferimento all’art. 101 della Costituzione Italiana.

Il papa ha ribadito la necessità evangelica della giustizia: “Il popolo chiede giustizia e la giustizia ha bisogno di verità, di fiducia, di lealtà e di purezza di intenti. Nel Vangelo di Luca, al capitolo 18, si racconta che una povera vedova si recava ogni giorno dal giudice della sua città e lo pregava dicendo: ‘Fammi giustizia’. Ascoltare ancora oggi il grido di chi non ha voce e subisce un’ingiustizia vi aiuta a trasformare il potere ricevuto dall’Ordinamento in servizio a favore della dignità della persona umana e del bene comune”.

La giustizia ha il compito di riconoscere la dignità come inviolabile: “Nella tradizione la giustizia si definisce come la volontà di rendere a ciascuno secondo ciò che gli è dovuto. Tuttavia, nel corso della storia sono diversi i modi in cui l’amministrazione della giustizia ha stabilito ‘ciò che è dovuto’: secondo il merito, secondo i bisogni, secondo le capacità, secondo la sua utilità. Per la tradizione biblica il dovuto è riconoscere la dignità umana come sacra e inviolabile”.

Ma la giustizia ha bisogno di misericordia, secondo un’affermazione di santa Caterina da Siena: “L’arte classica ha rappresentato la giustizia come una donna bendata che regge una bilancia con i piatti in equilibrio, volendo così esprimere allegoricamente l’uguaglianza, la giusta proporzione, l’imparzialità richieste nell’esercizio della giustizia.

Secondo la Bibbia occorre anche, in più, amministrare con misericordia. Ma nessuna riforma politica della giustizia può cambiare la vita di chi la amministra, se prima non si sceglie davanti alla propria coscienza ‘per chi’, ‘come’ e ‘perché’ fare giustizia. E’ una decisione della propria coscienza. Così insegnava santa Caterina da Siena, quando sosteneva che per riformare occorre prima riformare sé stessi”.

Secondo questa visione deve prevalere la giustizia riparativa: “La domanda sul per chi amministrare la giustizia illumina sempre una relazione con quel ‘tu’, quel ‘volto’, a cui si deve una risposta: la persona del reo da riabilitare, la vittima con il suo dolore da accompagnare, chi contende su diritti e obblighi, l’operatore della giustizia da responsabilizzare e, in genere, ogni cittadino da educare e sensibilizzare.

Per questo, la cultura della giustizia riparativa è l’unico e vero antidoto alla vendetta e all’oblio, perché guarda alla ricomposizione dei legami spezzati e permette la bonifica della terra sporcata dal sangue del fratello. Questa è la strada che, sulla scia della dottrina sociale della Chiesa, ho voluto indicare nell’Enciclica Fratelli tutti, come condizione per la fraternità e l’amicizia sociale”.

La giustizia è una virtù cardinale: “La tradizione filosofica ha indicato la giustizia come virtù cardinale per eccellenza, alla cui realizzazione concorrono la prudenza, quando i principi generali si devono applicare alle situazioni concrete, insieme alla fortezza e alla temperanza, che ne perfezionano il conseguimento. Dal racconto biblico non emerge un’idea astratta di giustizia, ma un’esperienza concreta di uomo ‘giusto’…

Sono la credibilità della testimonianza, l’amore per la giustizia, l’autorevolezza, l’indipendenza dagli altri poteri costituiti e un leale pluralismo di posizioni gli antidoti per non far prevalere le influenze politiche, le inefficienze e le varie disonestà. Governare la Magistratura secondo virtù significa ritornare a essere presidio e sintesi alta dell’esercizio al quale siete stati chiamati”.

Al termine un riferimento a Rosario Livatino: “Il Beato Rosario Livatino, il primo magistrato beato nella storia della Chiesa, vi sia di aiuto e di conforto. Nella dialettica tra rigore e coerenza da un lato, e umanità dall’altro, Livatino aveva delineato la sua idea di servizio nella Magistratura pensando a donne e uomini capaci di camminare con la storia e nella società, all’interno della quale non soltanto i giudici, ma tutti gli agenti del patto sociale sono chiamati a svolgere la propria opera secondo giustizia”.

Nella prima mattinata aveva ricevuto i membri della fondazione ‘Marcello Candia’: “Sono contento di incontrarvi e di ringraziare con voi il Signore per 40 anni di attività della Fondazione Marcello Candia. Lui stesso la fondò nel 1982, e l’anno dopo partì per il Cielo. Ora noi lo veneriamo e chiediamo la sua intercessione, specialmente per i malati e i più poveri ed emarginati del Nord Est del Brasile, dove egli ha lavorato per tanti anni”.

E li ha incoraggiati a proseguire nella strada tracciata da questo imprenditore: “Infatti, la Fondazione non gestisce in proprio le opere, ma sostiene le comunità locali e i missionari nelle iniziative con malati, lebbrosi e persone in diverse situazioni di bisogno. E un altro merito che avete è che i costi di mantenimento della Fondazione sono minimi, quasi tutto va alle opere in Brasile.

E questo è molto importante, perché ci sono organizzazioni e associazioni di lavoro per fare del bene, ma hanno una struttura di gente, di cose che (non esagero) la metà o il 60% vanno a pagare gli stipendi. No, questo non va bene. Il minimo, perché la maggior parte dei soldi vada alla gente. Questo è importante, continuate così”.

(Foto: Santa Sede)

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