Mons. Pompili: imparare l’arte del dialogo

“Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti, ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. Pietro sta descrivendo la personalità di chi ha una responsabilità verso gli altri e declina tre qualità indispensabili”: ha preso sviluppo dalla lettera dell’apostolo Pietro il discorso di mons. Domenico Pompili alla città in occasione della festa del patrono san Zeno, vissuto nel secolo IV, patrono di Verona e della comunità diocesana.
Nella basilica a lui dedicata il vescovo ha evidenziato i rischi da evitare nella comunicazione politica: “La prima è la libertà e non la costrizione; la seconda è il disinteresse e non il perseguimento di propri interessi; la terza è l’esemplarità e non lo strapotere. Tutto questo si riverbera nel modo di comunicare. A tal proposito mi sembra che due siano ai nostri giorni i rischi da evitare nella comunicazione politica.
Il primo è l’ipocrisia di chi nasconde le sue vere intenzioni, esasperando o sottostimando la realtà. Ad esempio, quando si dà una lettura allarmistica dell’immigrazione piuttosto che interpretarla in modo rigoroso. Oppure quando si sottostima il tema della salute o della cultura. L’altro rischio è la polarizzazione del discorso politico che giunge fino al discredito, all’insinuazione, alla calunnia dell’altro”.
Ed ha diviso la comunicazione autentica da quella non autentica in quanto rileva la ‘qualità’ di una comunità civile: “Comunque la si pensi, ciò che è decisivo è comprendere che la comunicazione decide della qualità di una comunità. Una comunicazione autentica genera coesione. Per contro, una comunicazione inautentica produce caos”.
Lo diceva Dietrich Bonoheffer che ‘occorre saggezza nel dire il vero’: “Le ‘narrazioni’, infatti, non si limitano mai a trasmettere informazioni, ma danno sempre forma ad una comunità… si richiede una “etica del discorso” contro le mistificazioni ideologiche e le condizioni sociali oppressive. Una comunicazione etica non finge di essere neutra: dichiara il proprio punto prospettico; custodisce le differenze, senza ipocrisie; sostiene un conflitto giusto, riportandolo al bene della comunità; è fatta di dialogo e l’esito di un dialogo è sempre imprevisto, prevede una corrispondenza soggettiva tra i pensieri, le parole e le emozioni; stimola e accetta la capacità critica; conosce l’importanza del non detto e dell’indicibile”.
Questa è la sfida decisiva: “Portare avanti una comunicazione autentica, nel pubblico come nel privato, è questione decisiva. Oggi una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla ‘torre di Babele’ in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi”.
Infatti comunicare è trasmettere cultura, come ha detto papa Leone XIV: “La comunicazione, infatti, non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto. Disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività, come invita a fare papa Leone XIV, che colpisce il mondo per il suo tratto nitido e discreto”.
Quindi è necessaria una comunicazione capace di ascolto: “Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce. Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra. San Zeno, il cui eloquio, stando ai suoi scritti, è stato chiaro e delicato, aiuti Verona a reimparare l’arte del dialogo con tutti e su tutto”.
Ed il discorso sulla libertà era stato sviluppato, qualche giorno prima alla commemorazione della scuola cattolica di Castelletto a 75 anni dalla fondazione: “Quante volte abbiamo visto studenti paralizzati davanti alla libertà di scelta? Il ‘peso della libertà’ è reale e dobbiamo preparare i nostri ragazzi ad affrontarlo. La dimensione esistenziale dell’essere umano è quella dell’aut-aut: siamo continuamente chiamati a fare scelte, e ogni scelta esclude altre possibilità.
Educare alla libertà significa anche educare a questa responsabilità. In questo, il messaggio evangelico ci offre una prospettiva preziosa: la libertà autentica non è assenza di legami, ma capacità di far fiorire relazioni feconde, in cui ciascuna vita può essere pienamente sé stessa”.
E’ stato un invito agli educatori ad essere accompagnatori: “Il nostro ruolo: accompagnare senza dominare. Natalia Ginzburg ci offre una risposta illuminante sul nostro ruolo di educatori: dobbiamo essere importanti per coloro che ci sono affidati come studenti e studentesse, ‘e tuttavia non troppo importanti’. E’ un equilibrio delicato: essere presenti senza dominare, offrire una guida senza imporre una direzione, testimoniare che il male è attraversabile ma non pretendere imitazione. La libertà dei nostri giovani non è un nostro prodotto, ma un processo che possiamo solo accompagnare e facilitare”.
E li ha paragonati ad essere ‘giardinieri’: “Come educatori, siamo più simili a dei giardinieri che a dei costruttori: possiamo creare le condizioni favorevoli, ma è la pianta stessa che deve crescere secondo la propria natura… Educare alla libertà e alla speranza implica sempre un rischio. E’ più facile trasmettere certezze che insegnare a navigare nell’incertezza. E’ più comodo imporre regole che aiutare a scoprire principi. E’ più rassicurante controllare che lasciar andare”.
In questo consiste l’educazione alla libertà: “Ma se vogliamo davvero essere educatori autentici, dobbiamo avere il coraggio di affrontare questo rischio. I nostri studenti, come le barche, non sono fatti per restare in porto, ma per navigare in mare aperto. La nostra missione come educatori ispirati al Vangelo è testimoniare che un altro mondo è possibile, anche quando tutto sembra spingere alla rassegnazione. Come nella storia di Nicodemo, tutto può sempre accadere, anche quando il buio della notte sembra inghiottire ogni speranza.
Con la nostra passione educativa ispirata al Vangelo come verità liberante, possiamo offrire ai nostri studenti non un porto sicuro, ma la bussola, le stelle e, soprattutto, il coraggio per intraprendere il viaggio della libertà e della speranza. Un viaggio che, come per ogni gabbiano che si rispetti, non può che essere singolare e inconfondibile”.
(Foto: diocesi di Verona)