Papa Francesco: il coraggio è anima della giustizia

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Nell’udienza per l’inaugurazione del 95^ anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano papa Francesco ha sottolineato che di fronte a ingiustizie e prove durissime, come le guerre e le violazioni dei diritti umani, non bisogna rassegnarsi ma manifestare sdegno e avere la forza di cercare di cambiare le ‘realtà inaccettabili’, in quanto il coraggio è una virtù importante:

“In questa occasione desidero riflettere brevemente con voi su una virtù alla quale ripenso più volte seguendo le vicende che interessano l’amministrazione della giustizia, anche nello Stato della Città del Vaticano: mi riferisco al coraggio. Per i cristiani questa virtù, che nelle difficoltà, unita alla fortezza, assicura la costanza nella ricerca del bene e rende capaci di affrontare la prova, non rappresenta solo una particolare qualità d’animo caratteristica di alcune persone eroiche”.

Il coraggio è umile e per questo scoraggia i corrotti: “E’ piuttosto un tratto che viene donato e potenziato nell’incontro con Cristo, come frutto dell’azione dello Spirito Santo che chiunque può ricevere, se lo invoca.

Il coraggio contiene una forza umile, che si appoggia sulla fede e sulla vicinanza di Dio e si esprime in modo particolare nella capacità di agire con pazienza e perseveranza, respingendo i condizionamenti interni ed esterni che ostacolano il compimento del bene. Questo coraggio disorienta i corrotti e li mette, per così dire, in un angolo, con il loro cuore chiuso e indurito”.

Quindi occorre coraggio nella ricerca della verità: “Occorre coraggio per andare fino in fondo nell’accertamento rigoroso della verità, ricordando che fare giustizia è sempre un atto di carità, un’occasione di correzione fraterna che intende aiutare l’altro a riconoscere il suo errore. Ciò vale pure quando emergono e devono essere sanzionati comportamenti che sono particolarmente gravi e scandalosi, tanto più quando avvengono nell’ambito della comunità cristiana”.

E’ necessario coraggio anche nei processi: “Bisogna avere coraggio mentre si è impegnati per assicurare il giusto svolgimento dei processi e si è sottoposti a critiche. La robustezza delle istituzioni e la fermezza nell’amministrazione della giustizia sono dimostrate dalla serenità di giudizio, dall’indipendenza e dall’imparzialità di quanti sono chiamati, nelle varie tappe del processo, a giudicare.

La miglior risposta sono il silenzio operoso e la serietà dell’impegno nel lavoro, che consentono ai nostri Tribunali di amministrare la giustizia con autorevolezza e imparzialità, garantendo il giusto processo, nel rispetto delle peculiarità dell’ordinamento vaticano”.

Infine ci vuole coraggio nel chiedere discernimento attraverso la preghiera: “Occorre coraggio, infine, per implorare nella preghiera che la luce dello Spirito Santo illumini sempre il discernimento necessario per arrivare all’esito di una sentenza giusta.

Anche in questo contesto vorrei ricordare che il discernimento si fa ‘in ginocchio’, implorando il dono dello Spirito Santo, in modo da poter giungere a decisioni che vanno nella direzione del bene delle persone e dell’intera comunità ecclesiale… Tale impegno chiede di essere sostenuto dalla preghiera. Non si deve temere di perdere tempo dedicandone ad essa in abbondanza. Ed anche per questo ci vuole coraggio e fortezza d’animo”.

Mentre all’associazione ‘Talità Kum’, composta da genitori che hanno perso un figlio, accompagnati dall’ispiratore del progetto, p. Ermes Ronchi, ha affermato che chi vive tale tragedia non può accettare ‘banali parole’: “La perdita di un figlio è un’esperienza che non accetta descrizioni teoriche e rigetta la banalità di parole religiose o sentimentali, di sterili incoraggiamenti o frasi di circostanza, che mentre vorrebbero consolare finiscono per ferire ancora di più chi, come voi, ogni giorno affronta una dura battaglia interiore”.

Ed ha richiamato l’esperienza di Giobbe: “Non dobbiamo scivolare nell’atteggiamento degli amici di Giobbe, i quali offrono uno spettacolo penoso e insensato, tentando di giustificare la sofferenza, addirittura ricorrendo a teorie religiose. Piuttosto, siamo chiamati a imitare la commozione e la compassione di Gesù dinanzi al dolore, che lo porta a vivere nella sua stessa carne le sofferenze del mondo”.

Lo insegna anche il comportamento di Gesù, che mostra vicinanza a chi perde un familiare: “Questo ci dice una cosa importante: nella sofferenza, la prima risposta di Dio non è un discorso o una teoria, ma è il suo camminare con noi, il suo starci accanto. Gesù si è lasciato toccare dal nostro dolore, ha fatto la nostra stessa strada e non ci lascia soli, ma ci libera dal peso che ci opprime portandolo per noi e con noi.

E come in quell’episodio, il Signore vuole venire nella nostra casa, la casa del nostro cuore e le case delle nostre famiglie sconvolte dalla morte: Lui ci vuole stare vicino, vuole toccare la nostra afflizione, vuole donarci la mano per rialzarci come ha fatto con la figlia di Giàiro”.

La conclusione è un messaggio di speranza: “Ed è bello pensare che le vostre figlie e i vostri figli, come la figlia di Giàiro, siano stati presi per mano dal Signore; e che un giorno li rivedrete, li riabbraccerete, potrete godere della loro presenza in una luce nuova, che nessuno potrà togliervi. Allora vedrete la croce con gli occhi della risurrezione, come fu per Maria e per gli Apostoli.

Quella speranza, fiorita al mattino di Pasqua, è ciò che il Signore vuole seminare ora nel vostro cuore. Io vi auguro di accoglierla, di farla crescere, di custodirla in mezzo alle lacrime. E vorrei che sentiste non soltanto l’abbraccio di Dio, ma anche il mio affetto e la vicinanza della Chiesa, che vi vuole bene e desidera accompagnarvi”.

(Foto: Santa Sede)

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