Il card. Artime racconta il ‘sogno’ di don Bosco: far innamorare di Dio i giovani

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In questo anno la Famiglia Salesiana di tutto il mondo celebra il secondo centenario del sogno che Giovannino Bosco fece nel 1824, all’età di 9 anni, conosciuto come ‘il sogno dei nove anni’. Per questo motivo il Rettor Maggiore dei Salesiani di don Bosco, card. Angel Fernandez Artime, ha dedicato a tale sogno il tema della ‘Strenna’, ‘Il sogno che fa sognare. Un cuore che trasforma i lupi in agnelli’:

“Proprio così, 200 anni fa Giovannino Bosco fece un sogno che lo avrebbe ‘segnato’ per tutta la vita. Un sogno che avrebbe lasciato in lui una traccia indelebile, il cui significato comprese pienamente solo al termine della vita! Esistono diverse narrazioni di questo sogno nella vita di don Bosco. Farò riferimento ad una molto significativa, che diversi confratelli e consorelle esperti di salesianità valutano in modo molto particolare.

Evidentemente, il contenuto è lo stesso del sogno dei nove anni, ma nella versione che don Bosco racconta a don Barberis nell’anno 1875, quando aveva già sessant’anni anni. In quel tempo don Bosco aveva assistito alla nascita della Congregazione Salesiana (18 dicembre 1859), dell’Arciconfraternita di Maria Ausiliatrice (18 aprile 1869), dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (5 agosto 1872) e della Pia Società dei Cooperatori Salesiani, secondo il nome originario dato da don Bosco, approvata il 9 maggio 1876”.

Nella ‘Strenna’ il Rettor Maggiore dei Salesiani riprende uno scritto di don Pascual Chávez Villanueva, rettor maggiore emerito, a conclusione del commento alla Strenna 2012, offerta alla Famiglia Salesiana per il primo anno del triennio in preparazione al bicentenario, svoltosi nel 2015 della nascita di don Bosco:

“Tale testo rappresenta una bella sintesi che presenta l’essenza di ciò che il sogno dei nove anni è nella sua semplicità e profezia, nel suo valore carismatico ed educativo. E’ un sogno emblematico che, lungo quest’anno, cercheremo di avvicinare ancor più al cuore e alla vita di tutta la Famiglia di don Bosco… Si tratta quindi di un sogno che è stato presente in lui e in tutto il cammino della Congregazione Salesiana fino ad oggi e che indubbiamente raggiunge l’intera nostra Famiglia Salesiana”.

E’ un sogno che si ripete più volte nella vita del santo torinese: “Lo stesso sogno si ripresenterà più volte nella vita di don Bosco e lui stesso, che ci ha narrato di suo pugno nelle Memorie quel primo evento di cui ora ricorre il bicentenario, racconta a più riprese quanto a distanza di tanti anni nuovamente sogna.

Infatti, il sogno dei nove anni non è un sogno isolato, ma appartiene a una lunga e complementare sequenza di episodi onirici che hanno accompagnato la vita di Don Bosco. Egli stesso collega, integrandoli tra loro, tre sogni fondamentali: quello del 1824 (ai Becchi), quello del 1844 (nel Convitto ecclesiastico) e quello del 1845 (nelle opere della Marchesa di Barolo), in cui vi sono elementi di continuità e altri di novità”.

E’ un sogno che si presenta nei momenti cruciali della sua vita: “Nel sogno sempre si riconosce in filigrana quel primo quadro e scena del prato dei Becchi, ma con nuovi particolari, reazioni, messaggi, legati alle stagioni della vita che, non il Giovannino dei nove anni ma il don Bosco nel pieno sviluppo della sua missione, sta vivendo.

In un’altra occasione, molti anni dopo, fu don Bosco stesso a raccontarlo a don Barberis nell’anno 1875, quando aveva già 60 anni. In quel tempo don Bosco aveva assistito alla nascita della Congregazione Salesiana (18 dicembre 1859), dell’Arciconfraternita di Maria Ausiliatrice (18 aprile 1869), dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (5 agosto 1872) e della Pia Società dei Cooperatori Salesiani, secondo il nome originario dato da don Bosco, approvata il 9 maggio 1876”.

Dopo aver ripercorso le interpretazioni del ‘sogno’ dei Rettor Maggiori, che lo hanno preceduto, il card. Artime ha invitato a guardare al ‘sogno stesso’: “Dove guardare in questo momento? Innanzitutto, al sogno stesso, poiché contiene una sorprendente ricchezza carismatica. Come ho già detto, non c’è una parola di troppo e certamente non manca nulla.

E’ più che evidente lo sforzo che don Bosco ha fatto nello scriverlo per trasmetterci il fatto che non si tratta solo di ‘un’ sogno, ma che dobbiamo vederlo come ‘il’ sogno che avrebbe segnato tutta la sua vita, anche se allora, da bambino, non poteva immaginarlo”.

E fornisce chiare indicazioni del sogno riguardo ai giovani: “Pertanto, mi sembra possibile affermare che i giovani sono i protagonisti centrali del sogno, e che, anche se non pronunciano una parola, tutto ruota intorno a loro… Ma quello che è interessante è che essi non sono come una fotografia che fissa un’immagine in un istante.

Questi ragazzi sono in perenne movimento e azione: sia quando sono aggressivi (come lupi) e quando non riescono a sopportarsi, sia quando, trasformati nel modo che la Signora del sogno chiede a Giovannino, diventeranno (come agnelli) ragazzi sereni, amichevoli e cordiali”.

Nel racconto di san Giovanni Bosco il Rettor Maggiore sottolinea il metodo educativo intrapreso, che conduce alla Resurrezione: “La cosa più importante che accade nel sogno e che don Bosco stesso impara e, successivamente, tutti i suoi seguaci, è scoprire che il processo di trasformazione è sempre possibile. Si tratta di un movimento (permettetemi di dire) ‘pasquale’ di conversione e di trasformazione, di lupi in agnelli e degli agnelli in una (diremmo nel linguaggio di oggi) comunità giovanile che celebra Gesù e Maria. Mi sembra certamente un elemento essenziale e centrale del sogno”.

Al centro di tale sogno c’è una chiamata: “Questo richiamo è qualcosa di molto speciale nel sogno, è di una ricchezza unica. Dico questo perché sembrerebbe che, a causa dell’età, del suo essere senza padre, della quasi totale mancanza di risorse, della povertà, dei problemi interni alla famiglia, dei litigi con il fratellastro Antonio, delle difficoltà di accesso alla scuola a causa della distanza e della necessità di lavorare nei campi, per Giovanni non ci sia un futuro possibile se non quello di rimanere lì, a coltivare i campi e a badare agli animali. Anche a noi potrebbe apparire un sogno irrealizzabile, lontano, forse destinato a qualcun altro, ma non a lui”.

E’ un sogno che dà significato alla vita: “Tuttavia, è proprio questa situazione difficile che rende Don Bosco (in questo momento Giovannino) molto umano, bisognoso di aiuto, ma anche forte ed entusiasta. La sua forza di volontà, il carattere, la tempra, la forza d’animo e la determinazione di sua madre, Mamma Margherita, una profonda fede sia da parte di sua madre che di Giovanni stesso, rendono tutto ciò possibile. Il sogno sarà sempre lì, ma lui lo scoprirà attraverso la vita: l’ho capito come, a poco a poco, tutto si è avverato… Non c’è magia, non è un sogno ‘fatato’, non c’è predestinazione, ma una vita piena di significato, di richieste, di sacrifici, ma anche di fede e di speranza che ci spinge a scoprirla e a viverla ogni giorno”.

Tale ‘sogno’ è soprattutto ‘mariano’, che plasma la vita salesiana: “Questa dimensione femminile-materna-mariana è forse una delle dimensioni più impegnative del sogno… Giovannino deve lavorare ‘con i suoi figli’, e sarà ‘Lei’ che si occuperà della continuità del sogno nella vita, che lo prenderà per mano fino alla fine dei suoi giorni, fino al momento in cui capirà veramente tutto…

La Madonna ha a che fare con la formazione alla ‘sapienza del carisma’. Ed è per questo che è difficile capire che nel carisma salesiano ci sia qualcuno (persona, gruppo o istituzione) che lasci in secondo piano la presenza mariana. Senza Maria di Nazareth parleremmo di un altro carisma, non del carisma salesiano, né dei figli e delle figlie di don Bosco”.

In questo modo don Bosco impara ad affidarsi alla Provvidenza: “Accompagnare don Bosco nella riflessione sul suo sogno dei nove anni è anche sottolineare il suo abbandono alla Provvidenza, per collocarci, come lui, nel ‘a suo tempo tutto comprenderai’. Lo stesso sogno era per don Bosco un’azione della Provvidenza.

Questa è la convinzione radicale, la scelta fondamentale della vita, ‘l’essenza dell’anima di Don Bosco’, il punto centrale, la parte più profonda e intima di lui. Non c’è dubbio che l’abbandono alla Divina Provvidenza, come aveva imparato dalla madre, è stato decisivo per il nostro padre e deve essere per noi la garanzia della continuità della spiritualità salesiana. E’ l’abbandono a Dio, la fiducia in Dio, perché il Dio che Don Bosco ha imparato ad amare è un Dio affidabile”.

Insomma, dopo 200 anni, quello di don Bosco è un sogno che ancora permette di ‘sognare’ un progetto grande: “Ogni scelta fatta da don Bosco faceva parte di un progetto più grande: il progetto di Dio su di lui. Pertanto, nessuna scelta è stata superficiale o banale per don Bosco. Il suo sogno non era un aneddoto della sua vita, o un semplice evento, ma una risposta vocazionale, una scelta, un percorso, un programma di vita che prendeva forma man mano che veniva vissuto”.

Da qui scaturisce il ‘sogno’ del Rettor Maggiore: “Sogno, quindi, che ogni salesiano, ogni membro della Famiglia di Don Bosco, senta, per vocazione e scelta, di essere a disagio e di sperimentare sulla propria pelle il dolore, la stanchezza e la fatica di tante famiglie e di tanti giovani che lottano ogni giorno per sopravvivere, o per vivere con un po’ più di dignità. E che nessuno di noi si riduca ad essere spettatore passivo o indifferente di fronte al dolore e all’angoscia di tanti giovani”.

E’ un sogno che si realizza stando nella ‘strada’ dei ragazzi: “Don Bosco, ‘prete di strada’ ante litteram, si è letteralmente consumato in questa impresa. I salesiani (e coloro che si ispirano a Don Bosco) sono sì ‘figli di un sognatore di futuro’, ma di un futuro che si costruisce nella fiducia in Dio e nel quotidiano immergersi e operare nella vita dei giovani, fra le fatiche e le incertezze di ogni giorno. Ed è per questo che l’incontro con il Signore della Vita, aiutando ogni giovane a scoprire il proprio sogno, il sogno di Dio in ognuno, e sostenendolo nel suo cammino di realizzazione, è il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani”.

Tale sogno si realizza proponendo ai ragazzi l’incontro con Gesù: “Don Bosco non poteva tollerare che nelle sue case i suoi figli e le sue figlie non proponessero ai ragazzi, alle ragazze, agli adolescenti e ai giovani (pur nella libertà con cui oggi educhiamo alla fede nei contesti più diversi) l’incontro con Gesù. Anche oggi siamo chiamati a farlo conoscere, a scoprire come Egli affascina ogni persona e aiutando i giovani di altre religioni ad essere buoni credenti a partire dalla propria fede e ideali”.

La ‘Strenna’ si chiude con un invito a far innamorare i giovani della Madre di Gesù, come sognava don Bosco: “Lei, che è Madre e Maestra, guarda il mondo dei giovani che la cercano, anche se lungo il cammino c’è tanto rumore e buio; parla nel silenzio e tiene accesa la luce della speranza. Sogno davvero che nella fedeltà a Don Bosco faremo innamorare i nostri ragazzi, ragazze e giovani di quella Madre…

Credo veramente che Maria Ausiliatrice continui ad essere anche oggi una vera Madre e Maestra per tutta la nostra Famiglia. Sono convinto che le parole profetiche del primo sogno pronunciate dal Signore Gesù e da Maria continuano ad essere realtà in tutti i luoghi dove il carisma del nostro Padre, dono dello Spirito, ha messo radici”.

(Tratto da Aci Stampa)

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