La Resistenza: una memoria da non dimenticare

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Come ogni anno la data del 25 aprile suscita infinite polemiche, mentre il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, dopo aver reso omaggio al Monumento del Milite Ignoto all’Altare della Patria, si reca a Cuneo, Borgo San Dalmazzo e Boves, insieme ai ministri della Difesa e del Turismo, Guido Crosetto e Daniela Santanchè, per la cerimonia commemorativa del 78° Anniversario della Liberazione.

Mentre, ricevendo ieri al Quirinale una rappresentanza delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, il presidente della Repubblica italiana ha lodato “l’impegno e la determinazione che le associazioni impiegano ogni giorno per tener viva la memoria di un periodo tra i più drammatici della nostra storia contribuendo in ampia misura a far conoscere e non dimenticare quanti hanno lottato per la difesa degli ideali di indipendenza e di libertà che permisero la liberazione dell’Italia dall’oppressione nazi-fascista”.

Intanto la presidente dell’Associazione nazionale dei Partigiani Cattolici, Maria Pia Garavaglia, ha ricordato che è stato Alcide De Gasperi ad istituire tale ricorrenza come festa degli italiani nell’anno successivo: “Il 22 aprile 1946 Alcide De Gasperi, un padre della patria, con decreto istituì ‘25 aprile, Festa della Liberazione’. E’ la festa degli Italiani perché 80 anni fa patrioti e martiri. che seppero fare una scelta, riscattarono la dignità del popolo italiano e l’onore della Patria.

L’hanno difesa dalla aggressione del regime nazifascista, e con la lotta armata una minoranza di patrioti ha conquistato la libertà per tutti; liberati da una monarchia imbelle, attraverso il libero voto a suffragio universale il 2 giugno 1946.

Data che segna il riscatto definitivo delle donne chiamate per la prima volta alle elezioni politiche, dopo che ebbero conquistato i loro diritti nella Resistenza e partecipato alla Costituente con 21 valorose rappresentanti. A loro si deve un importante impegno per gli articoli sulla uguaglianza, senza alcuna discriminazione (art. 3) e sulla pari retribuzione (art.37) nonché sulle pari opportunità (art. 51)”.

Ricordando lo spirito della Resistenza, la presidente ha sottolineato che occorre ‘ripristinare’ alcuni diritti per cui lottarono i partigiani: “Oggi non c’è giustizia nell’accesso al servizio sanitario, al lavoro e nello scegliere di formare una famiglia. La maternità non ha valore sociale perché è un onere per le donne e le famiglie. Ci attende ancora molta strada per completare quella imboccata con la sofferenza degli Italiani 80 anni fa.

Non avremo la coscienza pulita stare dalla parte opposta a dove si colloca quella destra che ha lo sguardo rivolto indietro invece che al progresso della ‘nazione vivente’. Viva la Resistenza, viva l’Italia libera e democratica!”

E nel sito dell’Associazione nazionale dei Partigiani Cattolici si ricordano alcune figure di ‘resistenti’ cattolici’ uccisi dai nazisti, come don Giuseppe Borea, sacerdote e partigiano della diocesi di Piacenza, arrestato da reparti della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) con l’accusa di aver aderito al movimento partigiano e con altre accuse diffamatorie riguardanti la sua vita privata, poi rivelatesi infondate, e fucilato presso il recinto del Cimitero di Piacenza da un reparto della GNR, ricordato nello scorso anno dal vescovo di Piacenza, mons. Adriano Cevolotto, nell’inaugurazione della ‘casa-museo’:

“Giovanissimo sacerdote incaricato della parrocchia di Obolo, non è davvero rimasto tranquillo nella sua casa ma si è dato da fare in tutti i modi per la sua gente, per il bene di quel paese. Il suo impegno partiva dall’esperienza di quell’Azione Cattolica che difese a spada tratta di fronte ai gerarchi fascisti, il suo amore per la sua gente e per ogni persona che incontrava, compresi i soldati nemici, nasceva dall’esperienza di Dio. Amici o nemici, sapeva di avere davanti una persona da incontrare, da accogliere, da aiutare…

Qui sua mamma lo ha stretto tra le braccia da piccolo per poi riabbracciarlo nel febbraio 1945 pochi istanti prima che venisse orribilmente fucilato. Qui don Borea ha imparato a perdonare, come ha perdonato i soldati che gli stavano per sparare. Senza perdono, senza riconciliazione non ci sarà futuro per la nostra generazione”.

E, tra le donne, che hanno fatto l’Italia, non bisogna dimenticare Tina Anselmi, che da partigiana a 17 anni ha deciso di adottare il nome di Gabriella, come l’arcangelo Gabriele: ‘Non era forse un messaggero? Divino, certo, ma faceva la staffetta, più o meno come l’avrei fatta io’.

In un opuscolo, dal titolo ‘La Gabriella in bicicletta. La mia Resistenza raccontata ai ragazzi’ Tina Anselmi racconta ad una immaginaria nipote la sua esperienza partigiana, sottolineando: “Le donne nella guerra partigiana sono state fondamentali. Io dico che la qualità della politica sarebbe migliore se ci fossero più donne accanto agli uomini a gestire i problemi del Paese..

Abbiamo affermato questo valore della pace che si coglie leggendo le lettere dei condannati a morte, non c’è l’odio, non c’è una volontà di vendetta, di rivalsa. Quando noi abbiamo combattuto con le forze partigiane abbiamo combattuto per conquistare la pace…

Dobbiamo non perdere la memoria di quello che è avvenuto, di quello che abbiamo pagato perché la storia si ripete, non c’è niente e nessuno che ci possa salvare quel giorno in cui noi questa storia la tradissimo proprio nella memoria”.

Ecco il motivo per cui la democrazia si fonda sulla memoria, che non va mai dimenticata né confusa, ma coltivata, secondo l’insegnamento di Tina Anselmi: “La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo.

Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. E’ giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. E’ tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. E’ pace”.

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