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Da Ascoli Piceno per la festa di Sant’Emidio un invito a scoprire il Vangelo

Emidio nacque a Treviri, in Germania, nel 273 da una nobile famiglia pagana. La sua conversione al Cristianesimo avvenne grazie alla predicazione dei santi Nazario e Celso: diventò catecumeno, fu battezzato e si dedicò allo studio delle Sacre Scritture. Entrato in conflitto con la famiglia che tentò in tutti i modi di ricondurlo al paganesimo, partì per l’Italia insieme ai tre amici Euplo, Germano e Valentino. Giunto a Milano fu consacrato sacerdote.

In seguito alla persecuzione di Diocleziano fuggì a Roma dove trovò rifugio da un certo Graziano. Qui gli vennero attribuite molte guarigioni miracolose. La fama del sacerdote ben presto destò l’interesse di papa Marcellino che ordinò Emidio vescovo di Ascoli ed Euplo diacono, e affidò loro la difficile missione di diffondere il cristianesimo nell’importante centro Piceno (ancora quasi completamente pagano). Ad Ascoli era prefetto Polimio, autore di dure repressioni contro i cristiani, che ordinò subito a Emidio di non predicare la buona novella, ordine che fu completamente ignorato.

Anche ad Ascoli Emidio si prodigò nella guarigione dei malati, cosa che gli consentì di convertire un gran numero di ascolani. Polimio lo credette la reincarnazione del dio Esculapio, e gli chiese di offrire sacrifici agli dei, promettendogli in matrimonio Polisia, sua figlia. Il Santo non solo rifiutò, ma addirittura convertì Polisia alla fede cristiana e la battezzò nelle acque del fiume Tronto.

Polimio avvertito di questo, ordinò l’arresto di Emidio e lo condannò alla pena capitale. Il vescovo non si nascose e fu decapitato mentre Polisia, fatta ricercare dal padre, fuggì sul monte Ascensione e scomparve in un crepaccio. La festa di Sant’Emidio, patrono di Ascoli Piceno, si festeggia oggi.

In tale occasione il vescovo della diocesi di Ascoli Piceno, mons. Gianpiero Palmieri, ha scritto una lettera alla città in cui ricorda la trasmissione della fede da parte del Santo: “La festa di S. Emidio ci aiuta ogni anno a ricordare il grande dono che abbiamo ricevuto da lui e dai suoi compagni martiri: il dono del Vangelo. Le raffigurazioni più antiche (come l’affresco sepolcrale emerso dal recente restauro della cripta) lo presentano vestito con i paramenti da vescovo, il pastorale in una mano e il Vangelo nell’altra.

Le narrazioni medioevali ci raccontano che i Piceni accolsero con favore questo gruppo di persone venuto da Roma (Emidio era per di più originario di Treviri), colpiti da loro stile di vita pacifico e generoso e dalla loro fede nel Dio di Gesù, amico degli uomini”.

Di conseguenza ha plasmato anche la cultura: “Questo ha permesso al cristianesimo di plasmare e fecondare profondamente la cultura del nostro territorio e di arricchirlo di valori universali, come è avvenuto in tutto il mondo. Se i Piceni fossero stati chiusi e rigidi, ostili ad ogni novità, se non avessero avuto sete di verità e di allargare l’orizzonte della loro ricerca spirituale, non avrebbero accolto questi ‘stranieri’ e il Vangelo di cui erano portatori”.

Ed ha formato una nuova mentalità: “Da allora in poi il Vangelo, penetrando gradualmente e formando la mentalità e le scelte collettive, ci ha donato davvero dei frutti straordinari. Sono quei beni universali che rendono possibile il vivere in comune degli uomini e che scaturiscono dal messaggio di Gesù: la dignità di ogni essere umano perché figlio di Dio e di conseguenza il riconoscimento dei diritti di ciascuno; la necessità di vivere in uno stile di fraternità universale e di rispetto per la vita e il creato; il ripudio della violenza e della guerra come soluzione dei conflitti e il primato della pace; la solidarietà che si prende cura dei più fragili, anziani, disabili e persone che fuggono dalla guerra e dalla fame; la libertà garantita alla coscienza di ogni persona (Gesù nei Vangeli dice ventisei volte al suo interlocutore: ‘se vuoi…’), accompagnandola perché faccia sue le esigenze del bene comune”.

Il vescovo ha, quindi, ricordato che il Vangelo ha permeato anche le Istituzioni: “Come sappiamo, alcune di queste istanze sono state ben fissate nella nostra Costituzione. Quest’ultima è scaturita nel dopoguerra dall’alleanza tra le varie anime del nostro paese: quella cattolica, socialista e liberale, un punto di partenza comune che è diventato fondamento insostituibile della nostra convivenza democratica.

La forza spirituale del Vangelo si è rivelata vincente anche quando le istituzioni, comprese quelle ecclesiastiche, lo hanno combattuto in nome degli interessi di parte. Li dove la Chiesa, per sua colpa, aveva perduto ogni credibilità, il Vangelo continuava la sua corsa, magari dentro a movimenti laici e secolari che facevano dell’opposizione alla Chiesa cattolica la loro bandiera”.

La lettera si conclude con l’invito a festeggiare il patrono della città: “Talvolta abbiamo l’impressione che ad essere messi in discussione siano proprio questi elementi fondamentali appena ricordati del vivere insieme, per cui molti provano un grande disorientamento, ma anche preoccupazione ed angoscia per il futuro.

In questa situazione, credo che ci faccia molto bene festeggiare S. Emidio. Egli ci ripresenta il Vangelo, da ascoltare con fede ancora oggi, da approfondire con amore cogliendone tutte le implicazioni, da vivere con coraggio nelle scelte quotidiane.

Abbiamo bisogno di stringerci gli uni agli altri, di accoglierci, di sentirci più uniti mentre facciamo festa insieme. In fondo a questo serve la festa! Quella in onore del nostro Patrono serve per guardare in alto, verso il Signore, e per rinsaldare quei valori che ci uniscono. Uno straniero come Emidio poteva essere respinto e rimandato al mittente; invece si è rivelato una benedizione per tutti noi”.

(Foto: diocesi di Ascoli Piceno)

Da Benevento i vescovi chiedono attenzione per le aree interne

“Riuniti a Benevento, com’è ormai tradizione, ringraziamo anzitutto Dio per il dono dell’esperienza che ci ha dato di vivere, fatta di comunione e sinodalità concreta: l’amicizia, lo scambio sereno e fecondo, i momenti di distesa fraternità condivisi sono il valore aggiunto, la cifra peculiare di questa esperienza che porteremo con noi. Giorni nei quali abbiamo sentito risuonare le parole rivolte al profeta: O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele”.

Così inizia il messaggio conclusivo dell’incontro dei vescovi delle Aree interne riuniti a Benevento fino al 17 luglio, appuntamento che da 5 anni vede i vescovi delle zone interessate (quest’anno ben 30 da 14 regioni) confrontarsi sulle esigenze pastorali e sui risvolti sociali della Chiesa in zone in cui altre presenze istituzionali latitano, soprattutto per via dello spopolamento:

“Le Aree interne costituiscono la parte consistente e fragile di tutto il Paese (nord, centro, sud), pur custodendo esse potenzialità straordinarie. In un tempo in cui la distanza relazionale crea vere e proprie disconnessioni umane e lo spazio, quello verde soprattutto, va rarefacendosi, queste vaste porzioni di territorio, dotate di paesaggio e di un ricco patrimonio storico-artistico ed enogastronomico, dove le relazioni umane sono vissute in modo autentico, si rivelano infatti di una ricchezza sorprendente anche allo sguardo più distratto”.

Il messaggio è un invito alla politica ad un’azione, con la collaborazione dei ‘corpi intermedi’, ad elaborare un ‘piano’ di valorizzazione di tali aree: “E’ compito primario della politica, con il concorso dei corpi intermedi, elaborare un piano globale per valorizzare tale risorsa: è stato in tal senso importante l’incontro avuto con l’ANCI, nel quale abbiamo condiviso comuni obiettivi. Peraltro, trascurare la questione delle Aree interne, che attraversa per intero il Paese, da nord a sud, rischia di ledere i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e di allargare ulteriormente il fossato tra zone ricche e povere, fossato che in molte situazioni è vissuto già all’interno di una stessa Regione”.

Tale incontro nasce dal desiderio di una pastorale, che scaturisce dal battesimo: “Abbiamo in questi giorni riflettuto sul modo migliore per avviare una pastorale il più possibile idonea alle Aree interne, interrogandoci soprattutto sulla ministerialità che nasce dal battesimo; una ministerialità che coinvolge tutte le membra del Popolo di Dio e la molteplicità delle vocazioni, nella consapevolezza che non possiamo continuare a ripetere stereotipi ormai da tempo superati, ma aprirsi alla voce dello Spirito, che non fa tanto cose nuove, ma fa nuove tutte le cose”.

E’ un invito a superare il campanilismo: “E’ necessario, perciò, superare l’ottica ristretta del campanile, per aprirci a forme nuove, capaci di valorizzare al meglio le risorse a nostra disposizione. Esprimiamo viva e sincera gratitudine ai sacerdoti e agli operatori pastorali che con generosità lavorano nei territori interni affrontando non poche difficoltà: anche la formazione nei seminari dovrà tener conto di queste problematiche”.

L’impegno della Chiesa è quello di non abbandonare i territori, come ha ribadito in apertura dell’incontro il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi: “Le aree interne del Nord e del Sud sono accomunate dalle stesse difficoltà con qualche variante in negativo per il Mezzogiorno, dove ci sono ulteriori mancanze di strutture e opportunità. Se non ci sono possibilità, infrastrutture, collegamenti, si vanno a cercare altrove. Ma tutte le comunità, anche le più piccole, sono importanti. Il grande vantaggio delle aree interne è che spesso c’è più comunità che altrove, luoghi dove i legami si rinsaldano e ci si ritrova”.

Al Forum di Benevento è intervenuto anche il vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, che ha sottolineato alcuni problemi delle aree interne: “Uno dei problemi più gravi ed incidenti sulle aree interne è lo spopolamento dei territori e la mobilità, lavorativa e non solo, delle persone. Inoltre, tali aree del paese sono anche zone a ‘geometria variabile’, da cui si fugge per lavorare, viaggiare, divertirsi, ma a cui si ritorna per riposare, ristorarsi e ritrovare le radici”.

Mentre a conclusione dell’incontro il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari, ha avanzato alcune proposte: “Sulla scia dei documenti elaborati dalla CEI sul mondo rurale, sarebbe interessante declinare tutto il patrimonio di questi anni in un testo, che deriverebbe dall’esperienza vissuta di alcuni Vescovi, da consegnare a tutti”.

Guardando all’imminente futuro, mons. Baturi ha ritenuto opportuno “un discernimento, una lettura dei fenomeni storici che riguardano le aree interne ed un’attenzione specifica all’uso di alcune categorie normative… A noi interessano i problemi di una marginalità della popolazione, del costituirsi di comunità, della modificazione dei ritmi di lavoro e dell’ambiente naturale”.

(Foto: Cei)

Da Trieste l’impegno dei cattolici per una riscoperta della ‘tensione costituente’

Pregando per la pace nelle zone martoriate dalla guerra ieri a Trieste papa Francesco ha concluso la 50^ Settimana Sociale dei cattolici italiani con l’invito a raccogliere la sfida della democrazia: “Trieste è una di quelle città che hanno la vocazione di far incontrare genti diverse: anzitutto perché è un porto, è un porto importante, e poi perché si trova all’incrocio tra l’Italia, l’Europa centrale e i Balcani. In queste situazioni, la sfida per la comunità ecclesiale e per quella civile è di saper coniugare l’apertura e la stabilità, l’accoglienza e l’identità.

Ed allora mi viene da dire: avete le ‘carte in regola’. Grazie! Avete le ‘carte in regola’ per affrontare questa sfida! Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; come cittadini avete la Costituzione, ‘bussola’ affidabile per il cammino della democrazia. Ed allora, avanti! Avanti. Senza paura, aperti e saldi nei valori umani e cristiani, accoglienti ma senza compromessi sulla dignità umana. Su questo non si gioca”.

Quindi un impegno molto importante raccolto subito dalle associazioni con le ‘carte in regola’, presenti nella città (Azione Cattolica Italiana, ACLI, Associazioni, Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani, Comunità di Sant’Egidio, Fraternità di Comunione e Liberazione, Movimento Cristiano Lavoratori, Movimento Politico per l’Unità Focolari, Rinnovamento nello Spirito e Segretaria della Consulta nazionale delle aggregazioni laicali), che hanno inviato una lettera agli italiani, sottolineando il loro impegno a difesa della democrazia, che sia sempre più partecipata dal basso e sostanziale, al servizio degli ultimi e dei deboli:

“Siamo una realtà plurale, accomunata dall’appartenenza ecclesiale, e riconosciamo tale condizione come una ricchezza che ci anima ancora di più nella ricerca quotidiana di ascolto attento, confronto leale, dialogo paziente e collaborazione costruttiva. Siamo altresì consapevoli che in questo tempo, attraversato dalla violenza della guerra e dalla crescita delle disuguaglianze, la democrazia è un bene sempre più fragile che esige una cura che non può escludere nessuno”.

Ed hanno raccolto ben volentieri, dopo la lettera di ‘intenti’ dello scorso maggio, le sfide del papa: “Mantenere viva la democrazia è, come ci ha ricordato papa Francesco, una sfida che la storia oggi ci pone, incoraggiando tutti a lavorare perché l’impegno a rigenerare le istituzioni democratiche possa sempre più essere a servizio della pace, del lavoro e della giustizia sociale”.

Per questo hanno chiesto di escogitare soluzioni di pace per fermare le guerre: “Non possiamo innanzitutto tacere la nostra viva e crescente preoccupazione per la guerra. La guerra continua a mietere vittime e a produrre distruzioni in Ucraina, in Terra Santa, nel Sudan, in Congo e in altre regioni del mondo. La guerra, che si insinua anche nella nostra società, si fa cultura, modo di pensare, di parlare, di vedere il mondo”.

Solo con la pace si costruisce la democrazia: “Vogliamo quindi affermare nuovamente il grande desiderio di pace che ci muove a chiedere di restituire all’Italia e all’Europa una missione di pace. La pace è il fondamento della democrazia. La guerra corrode e corrompe la democrazia. Oggi per noi andare al cuore della democrazia significa confermare e chiedere alla società, alla politica, alle istituzioni una scelta per la pace che si faccia azione concreta”.

Hanno richiamato il valore che ancora oggi è vivo della Costituzione italiana, nata dalla condivisione di tutte le esperienze democratiche: “La nostra Costituzione è nata da uno spirito di condivisione, che ha consentito di superare le barriere ideologiche per costruire la casa comune e promuovere un ampio sviluppo del Paese, facendo tesoro della libertà conquistata dopo la dittatura fascista e l’esperienza distruttiva della Seconda guerra mondiale”.

E’ stato un servizio che i cattolici hanno offerto a tutti gli italiani: “I cattolici si sono messi al servizio di quest’opera civile di straordinario valore. Vi hanno contribuito con la loro fede, con il loro impegno, con le loro idee. Lo hanno fatto camminando insieme a donne e uomini di cultura diversa, cercando di dare alla comunità un destino migliore e un ordinamento più giusto, convinti che la solidarietà accresce la qualità della vita e che la prima prova di ogni democrazia sia l’attenzione a chi ha maggior bisogno”.

E’ un invito a riscoprire quello ‘spirito’ che ha permesso la democrazia in Italia anche oggi: “Di questo spirito costituente e costituzionale di condivisione abbiamo ancora bisogno oggi. Per questo sentiamo la necessità di interrogarci su come infondere ancora una volta questo spirito nel tessuto della nostra società, della nostra patria e della nostra Europa.

La crisi della rappresentanza e della partecipazione richiede uno sforzo condiviso per aggiornare le istituzioni repubblicane e ripensare la politica al fine di riavvicinare alla partecipazione democratica i cittadini, le nuove generazioni e le periferie, geografiche ed esistenziali, del Paese”.

E chiedono una collaborazione tra le forze politiche per sconfiggere l’astensionismo ed il ‘malessere’ democratico, che si attua attraverso percorsi condivisi: “Per questo motivo, in un contesto di astensionismo allarmante, e in un quadro europeo e internazionale caratterizzato da spinte che mettono in discussione il senso stesso della democrazia, sentiamo il dovere di favorire in ogni modo il dialogo sulle riforme costituzionali.

Desideriamo affermare che ogni riforma della Costituzione, nata da istanze sociali plurali e concorrenti, debba essere frutto di una comune responsabilità nell’incontro, che crediamo sempre possibile, tra le argomentazioni e le ragioni di ciascuna parte”.

Quindi le associazioni invitano a riscoprire una ‘tensione costituente’ per la dignità umana: “E’ necessaria oggi più che mai quella tensione costituente, che recuperi con magnanimità un desiderio di confronto reciproco nelle differenze, che superi il rischio di radicali polarizzazioni e che diventi impegno a realizzare, a ogni livello, quella ‘democrazia sostanziale’, la quale consiste nella piena concretizzazione dei diritti sociali per i poveri, per gli ‘invisibili’ e per ogni persona nella sua infinita dignità che rappresentano (come ha ricordato papa Francesco) il cuore ferito della democrazia perché la democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e dell’ecologia integrale”.

Ed infine un impegno per il bene degli italiani: “Ci sentiamo impegnati, a partire dall’ambito educativo, a dare vita ad una democrazia partecipata e dal basso, garantita dall’equilibrio di pesi e contrappesi dell’assetto istituzionale della Repubblica, e sostenuta dalla promozione delle autonomie locali in una prospettiva sussidiaria e solidale. Nella consapevolezza che, come ci ha ricordato il capo dello Stato: la democrazia non è mai conquistata per sempre”.

Margherita Cassano, la prima Presidente donna della Corte Suprema di Cassazione, in visita a Rondine

“Riparto dopo la visita a Rondine particolarmente arricchita, perché ho avuto la dimostrazione più autentica di cosa significa scuola nel senso più alto del termine, di cosa significa rispetto dell’altro e della sua dignità. E quali sono i percorsi realmente praticabili per conseguire la pace e il rispetto della democrazia in ogni ordinamento”.

Queste le parole di Margherita Cassano, Presidente della Corte Suprema di Cassazione che ieri ha visitato la Cittadella della Pace e tenuto una lectio magistralis agli studenti del Quarto Anno Rondine e dei giovani internazionali della World House. Un excursus che è partito dalla storia della Costituzione italiana per poi ripercorrere lo sviluppo della legislazione fino ai giorni nostri, con uno sguardo attento ai diritti delle donne, passando per l’evoluzione del linguaggio di genere fino ai momenti cruciali dell’inclusione delle donne nelle cariche dello Stato.

La memoria torna a Rosa Oliva – prima donna ad aver sostenuto un ricorso presso la Corte Costituzionale, per poter accedere al concorso per diventare Prefetto – per giungere oggi al grande risultato raggiunto con la nomina della stessa Margherita Cassano a prima presidente donna della Cassazione.

Grande interesse e acceso dibattito con i giovani di Rondine in merito al linguaggio di genere a alla sua evoluzione, compresa la declinazione delle cariche dello Stato al femminile, scelta non sostenuta in maniera uniforme e che accende spesso il dibattito pubblico. Alla lezione della Presidente Cassano hanno presenziato anche il Prefetto dott.ssa Maddalena De Luca e il Vicario del Questore dott.ssa Angela Lauretta, Gianni fruganti, ex presidente della sezione penale del Tribunale di Arezzo che hanno condiviso l’importanza di riflettere su questi temi assieme ai giovani, in contesti educativi.

“È stato un grande onore per Rondine accogliere la Presidente della Cassazione – afferma il Presidente di Rondine Franco Vaccari –  un grande esempio e ispirazione per gli studenti e le studentesse di Rondine. Siamo molto grati alla Presidente per la sua generosità nel condividere la sua storia con i nostri ragazzi e averli stimolati in un prezioso dibattito, un’opportunità unica di arricchimento del bagaglio culturale che custodiranno per tutta la vita”.

I vescovi siciliani sottolineano le difficoltà dell’autonomia differenziata

Lo scorso 23 gennaio è stato approvato al Senato il testo del disegno di legge sull’autonomia differenziata presentato dal Ministro Calderoli ed ora l’esame del disegno di legge è alla Camera dei deputati. Il disegno di legge costituisce attuazione di quanto disposto all’art. 116, ultimo comma, della Costituzione, ove è prevista la possibilità di conferire alle Regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.

Il nodo centrale della riforma è costituito dalla necessità di assicurare i medesimi livelli qualitativi nella erogazione delle prestazioni essenziali (LEP) in tutto il territorio nazionale. L’autonomia differenziata consiste nella gestione da parte delle Regioni di alcuni settori peculiari, come, ad esempio, quello dell’istruzione, in maniera autonoma, secondo quanto previsto dalla Costituzione.

Secondo quanto previsto dall’art. 119 della Costituzione Italiana, i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci; stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri; dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.

Però questa proposta di legge rischia di avere un ‘impatto disastroso’ sulla Sicilia, come hanno scritto i vescovi delle diocesi siciliane, mettendo a ‘rischio’ l’unità nazionale, nel sottolineare alcune criticità: “Il quadro delineato dall’originario DDL appariva, invero ancora lo è, caratterizzato da un’architettura che tende a creare asimmetrie all’interno di un regionalismo asimmetrico.

Si era espressa una prima forte perplessità sull’art. 3 in ordine alla fonte scelta per la determinazione dei LEP (DPCM) (livelli essenziali delle prestazioni) da parte del Governo, criticità non completamente risolta con il nuovo testo.

Così come era stato criticato il riferimento all’utilizzo della spesa storica per quelle regioni che intendono chiedere maggiore autonomia differenziata. Infatti tale indicatore, oltre ad essere superato, farebbe allargare ancora di più la forbice della disomogeneità territoriale delle regioni italiane. Inoltre sussistevano forti perplessità sulle misure perequative finalizzate a riequilibrare le forti disomogeneità territoriali che sono state parzialmente recepite nel DDl definitivamente approvato dal Senato”.

Per i vescovi siciliani il testo di legge è mancante di un riferimento alla ‘solidarietà sociale’: “In primo luogo manca un esplicito e necessario richiamo all’art. 2 Costituzione italiana fonte del dovere di solidarietà sociale in favore dei soggetti meno abbienti, che costituirebbe un ulteriore e migliore ancoraggio costituzionale anche a garanzia e vincolo nella determinazione dei LEP”.

Mancando questo riferimento alla solidarietà viene meno la sussidiarietà: “Ricordiamo che la differenziazione è da considerarsi come un corollario del principio di sussidiarietà in un processo di razionalizzazione dimensionale delle competenze tra centro e periferia. Se ne deve inferire che la dislocazione differenziata di funzioni legislative in singole Regioni non è affatto un adempimento costituzionalmente necessario, o addirittura un ‘diritto’ di alcune Regioni (o dei loro ‘popoli’).

Deve invece considerarsi come possibilità di adeguamento del quadro dei poteri, ove prevale l’esigenza di una più piena attuazione del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale e dopo dei suoi corollari. A tal proposito il novellato testo (Art. 4) richiama l’attenzione sul pericolo di evitare disparità di trattamento sull’intero territorio nazionale, ma è proprio dalle previsioni normative in esso contenute che tale rischio emerge”.

Inoltre qualche articolo della legge presenta qualche perplessità: “Anche gli artt. 5 e 6 presentano ancora delle serie criticità. In particolare si osserva che si procede ad individuare le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale, mentre sarebbe più utile prevedere una distribuzione delle responsabilità fiscali per avere delle politiche finanziate in modo responsabile.

La compartecipazione si collega alla produttività dei territori regionali, con la conseguenza che territori maggiormente produttivi avrebbero introiti maggiori di altre realtà territoriali con una produttività storicamente ridotta e ciò trasformerebbe la differenziazione in diseguaglianza con l’evidente rischio di colpire concretamente la coesione dei territori mettendo in grave pericolo l’unità nazionale”.

Il testo legislativo inoltre riduce i finanziamenti alle regioni, mettendo in crisi la ‘solidarietà’ nazionale: “Infine nell’art 10, dedicato alle misure perequative, non v’è traccia di fondo perequativo di solidarietà nazionale che permetta di riequilibrare le forti disomogeneità territoriali. Fino a che le regioni del meridione (ai fini perequativi vanno integrate le capacità di entrate da economia sommersa delle regioni per avere un dato più affidabile della loro effettiva capacità fiscale) non raggiungono, con un fondo dedicato, almeno la media della capacità fiscale nazionale per abitante non si può affrontare per nessuna regione il tema dell’autonomia differenziata a meno che non si preveda un fondo di solidarietà nazionale vincolato a sanare le disparità delle capacità fiscali territoriali, le cui risorse vengono distribuite con funzioni, sia di compensazione delle risorse attribuite in passato, sia di perequazione. Anche la riduzione del cosiddetto ‘fondo complementare’ da € 4.400.000.000, a poco più di € 700.000.000 rappresenta un ulteriore rischio per le regioni più povere”.

Pe i vescovi da tale disegno di legge la Sicilia è molto penalizzata: “La Sicilia si trova immersa in questo scenario che potrebbe vedere uno Stato ‘arlecchino’ con 20 regioni con profili istituzionali uno diverso dall’altro. Sulle 23 materie ogni regione potrà scegliere quali avocare a sé e quali no. Ricordiamo che secondo degli studi fatti dalla Ragioneria Generale dello Stato, la Sicilia perderà € 1.300.000.000 circa l’anno: un impatto disastroso per una economia già in grande sofferenza”.

Il testo si conclude con la richiesta di attuazione dello statuto: “Quindi, oltre che rilevare ciò che di critico esiste nell’attuale riforma, la classe dirigente politica siciliana dovrebbe chiedere al governo nazionale l’attuazione completa dello statuto e non sprecare le risorse in dotazione, in tal modo sarebbe avviato un percorso di superamento delle criticità portate dalla riforma sull’autonomia differenziata. 

Le fondate superiori preoccupazioni rappresentate, siano intese quale stimolo per reagire agli squilibri strutturali ed economici fortemente presenti nel meridione e che potrebbero portare a colpire in modo grave l’unità nazionale in favore di preoccupanti spinte secessioniste istituzionalizzate”.

Cei: il lavoro è un bene per la democrazia

A fine febbraio la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace ha pubblicato il messaggio dei Vescovi per la festa dei Lavoratori del 1° maggio: ‘Il lavoro per la partecipazione e la democrazia’, prendendo spunto dal passo del vangelo dell’apostolo Giovanni (‘Il Padre mio opera sempre e anch’io opero’), che riprende i pensieri delle encicliche sociali:

“Queste parole di Cristo aiutano a vedere che con il lavoro si esprime ‘una linea particolare della somiglianza dell’uomo con Dio, Creatore e Padre’ (Laborem exercens, 26). Ognuno partecipa con il proprio lavoro alla grande opera divina del prendersi cura dell’umanità e del Creato. Lavorare quindi non è solo un ‘fare qualcosa’, ma è sempre agire ‘con’ e ‘per’ gli altri, quasi nutriti da una radice di gratuità che libera il lavoro dall’alienazione ed edifica comunità”.

Al contempo è un invito a non dimenticare la Costituzione italiana, in vista delle Settimane Sociali: “In questa stessa prospettiva, l’articolo 1 della Costituzione italiana assume una luce che merita di essere evidenziata: la ‘cosa pubblica’ è frutto del lavoro di uomini e di donne che hanno contribuito e continuano ogni giorno a costruire un Paese democratico.

E’ particolarmente significativo che le Chiese in Italia siano incamminate verso la 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio), sul tema ‘Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro’. Senza l’esercizio di questo diritto, senza che sia assicurata la possibilità che tutti possano esercitarlo, non si può realizzare il sogno della democrazia”.

Quindi il ‘bene comune’ è la priorità del lavoro, come ha ricordato papa Francesco nell’enciclica ‘Fratelli tutti’: “Le politiche del lavoro da assumere a ogni livello della pubblica amministrazione devono tener presente che ‘non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro’. Occorre aprirsi a politiche sociali concepite non solo a vantaggio dei poveri, ma progettate insieme a loro, con dei ‘pensatori’ che permettano alla democrazia di non atrofizzarsi ma di includere davvero tutti. Investire in progettualità, in formazione e innovazione, aprendosi anche alle tecnologie che la transizione ecologica sta prospettando, significa creare condizioni di equità sociale. E’ necessario inoltre guardare agli scenari di cambiamento che l’intelligenza artificiale sta aprendo nel mondo del lavoro, in modo da guidare responsabilmente questa trasformazione ineludibile”.

Perciò prendersi cura del lavoro è un atto di carità come riconoscimento della dignità: “A ciascuno il suo è questione elementare di giustizia: a chiunque lavora spetta il riconoscimento della sua altissima dignità. Senza tale riconoscimento, non c’è democrazia economica sostanziale. Per questo, è determinante assumere responsabilmente il ‘sogno’ della partecipazione, per la crescita democratica del Paese”.

Nel messaggio i vescovi sottolineano che le Istituzioni hanno l’obbligo di assicurare un lavoro dignitoso: “Le istituzioni devono assicurare condizioni di lavoro dignitoso per tutti, affinché sia riconosciuta la dignità di ogni persona, si permetta alle famiglie di formarsi e di vivere serenamente, si creino le condizioni perché tutti i territori nazionali godano delle medesime possibilità di sviluppo, soprattutto le aree dove persistono elevati tassi di disoccupazione e di emigrazione.

Tra le condizioni di lavoro quelle che prevengono situazioni di insicurezza si rivelano ancora le più urgenti da attenzionare, dato l’elevato numero di incidenti che non accenna a diminuire. Inoltre, quando la persona perde il suo lavoro o ha bisogno di riqualificare le sue competenze, occorre attivare tutte le risorse affinché sia scongiurato ogni rischio di esclusione sociale, soprattutto di chi appartiene ai nuclei familiari economicamente più fragili, perché non dipenda esclusivamente dai pur necessari sussidi statali”.

Lavoro dignitoso significa un equo salario, come aveva scritto san Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Laborem exercens’, in grado di non creare divari economici: “Un lavoro dignitoso esige anche un giusto salario e un adeguato sistema previdenziale, che sono i concreti segnali di giustizia di tutto il sistema socioeconomico.

Bisogna colmare i divari economici fra le generazioni e i generi, senza dimenticare le gravi questioni del precariato e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati. Fino a quando non saranno riconosciuti i diritti di tutti i lavoratori, non si potrà parlare di una democrazia compiuta nel nostro Paese”.

A tale realizzazione sono ‘chiamati’ imprenditori, lavoratori e sindacati: “A questo compito di giustizia sono chiamati anche gli imprenditori, che hanno la specifica responsabilità di generare occupazione e di assicurare contratti equi e condizioni di impiego sicuro e dignitoso.

I lavoratori, consapevoli dei propri doveri, si sentano corresponsabili del buon andamento dell’attività produttiva e della crescita del Paese, partecipando con tutti gli strumenti propri della democrazia ad assicurare, non solo per sé ma anche per la collettività e per le future generazioni, migliori condizioni di vita. La dimensione partecipativa è garantita anche dalle associazioni dei lavoratori, dai movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e con gli uomini del lavoro che, perseguendo il fine della salvaguardia dei diritti di tutti, devono contribuire all’inclusione di ciascuno, a partire dai più fragili, soprattutto nelle aziende”.

In questo percorso la Chiesa non può sentirsi esclusa, che deve promuovere azioni che sollecitino nuove prospettive di lavoro nel territorio: “Le Chiese in Italia, impegnate nel cammino sinodale, continuano nell’ascolto dei lavoratori e nel discernimento sulle questioni sociali più urgenti: ogni comunità è chiamata a manifestare vicinanza e attenzione verso le lavoratrici e i lavoratori il cui contributo al bene comune non è adeguatamente riconosciuto, come anche a tenere vivo il senso della partecipazione.

In questa prospettiva, gli Uffici diocesani di pastorale sociale e gli operatori, quali i cappellani del lavoro, promuovano e mettano a disposizione adeguati strumenti formativi. Ciascuno deve essere segno di speranza, soprattutto nei territori che rischiano di essere abbandonati e lasciati senza prospettive di lavoro in futuro, oltre che mettersi in ascolto di quei fratelli e sorelle che chiedono inclusione nella vita democratica del nostro Paese”.

Il presidente della Repubblica: costruire una mentalità di pace

“Care concittadine e cari concittadini, questa sera ci stiamo preparando a festeggiare l’arrivo del nuovo anno. Nella consueta speranza che si aprano giorni positivi e rassicuranti. Naturalmente, non possiamo distogliere il pensiero da quanto avviene intorno a noi. Nella nostra Italia, nel mondo. Sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità”.

Festa della Repubblica: il presidente Mattarella ricorda il valore della democrazia

Ieri è stata festeggiata la Repubblica per la settantacinquesima volta ed il presidente Sergio Mattarella nel messaggio al Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha sottolineato i valori della Carta costituzionale:

La Resistenza: una memoria da non dimenticare

Come ogni anno la data del 25 aprile suscita infinite polemiche, mentre il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, dopo aver reso omaggio al Monumento del Milite Ignoto all’Altare della Patria, si reca a Cuneo, Borgo San Dalmazzo e Boves, insieme ai ministri della Difesa e del Turismo, Guido Crosetto e Daniela Santanchè, per la cerimonia commemorativa del 78° Anniversario della Liberazione.

Papa Francesco agli imprenditori: siate come il buon Pastore

Un discorso ampio e articolato, quello che papa Francesco, prima del viaggio apostolico in Kazakistan,  ha rivolto agli imprenditori italiani, ricevendo in Aula Paolo VI 4.600 membri di Confindustria in occasione dell’annuale assemblea, conclusasi in Vaticano, affermando che il tempo attuale non è facile:

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