Papa Francesco invita ad essere abbracciati da Dio

Ieri papa Francesco ha sottolineato che il Signore si può avvicinare solo se ‘prendiamo le distanze dal nostro io presuntuoso’, se andiamo oltre le nostre presunzioni personali, commentando la parabola del fariseo e del pubblicano, letta durante la celebrazione che si tiene in Santa Maria al Trionfale, a Roma, per le ‘24 Ore per il Signore’, iniziativa lanciata nel 2014, che si svolgono nella quarta domenica di Quaresima, chiamata ‘domenica in Laetare’:
“Chi è troppo ricco di sé e della propria ‘bravura’ religiosa presume di essere giusto e migliore degli altri – quante volte in parrocchia succede questo… quante volte succede di credersi migliori degli altri; ognuno, nel proprio cuore, pensi se qualche volta è successo, chi fa così si lascia appagare dal fatto che ha salvato le apparenze; si sente a posto, ma così non può fare posto a Dio perché non sente bisogno di Lui”.
Il papa ha sottolineato che ciò succede perché non si ascolta Dio: “Che cosa è successo? Che il posto di Dio l’ha occupato con il proprio ‘io’ e allora, anche se recita preghiere e compie azioni sacre, non dialoga veramente con il Signore. Sono monologhi che fa, non dialogo, non preghiera.
Perciò la Scrittura ricorda che solo ‘la preghiera del povero attraversa le nubi’, perché solo chi è povero in spirito, chi si sente bisognoso di salvezza e mendicante di grazia, si presenta davanti a Dio senza esibire meriti, senza pretese, senza presunzione: non ha nulla e perciò trova tutto, perché trova il Signore”.
E’ quello che Gesù racconta nella parabola del fariseo e del pubblicano: “E’ il racconto di due uomini, un fariseo e un pubblicano, che vanno entrambi al tempio a pregare, ma uno solo arriva al cuore di Dio. Prima di quello che fanno, è il loro atteggiamento fisico a parlare: il Vangelo dice che il fariseo pregava ‘stando in piedi’, a fronte alta, mentre il pubblicano, ‘fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo’, per vergogna. Riflettiamo un momento su queste due posture”.
Il papa ha tratteggiato le caratteristiche dei due ‘protagonisti’: “Il fariseo sta in piedi. È sicuro di sé, ritto e trionfante come uno che debba essere ammirato per la sua bravura, come un modello. In questo atteggiamento egli prega Dio, ma in realtà celebra sé stesso: io frequento il tempio, io osservo i precetti, io offro l’elemosina”.
Il fariseo è pieno della sua fede: “Formalmente la sua preghiera è ineccepibile, esteriormente si vede un uomo pio e devoto, ma, invece di aprirsi a Dio portandogli la verità del cuore, maschera nell’ipocrisia le sue fragilità.
E tante volte noi facciamo un maquillage sulla nostra vita. Questo fariseo non attende la salvezza del Signore come un dono, ma quasi la pretende come un premio per i suoi meriti… Quest’uomo avanza senza esitazione verso l’altare di Dio, a fronte alta, per occupare il suo posto, in prima fila, ma finisce per andare troppo in là e mettersi davanti a Dio!”
Al contrario il pubblicano sta a distanza, quasi ‘vergognoso’: “Non cerca di farsi largo, rimane in fondo. Ma proprio quella distanza, che manifesta il suo essere peccatore rispetto alla santità di Dio, è ciò che gli permette di fare l’esperienza dell’abbraccio benedicente e misericordioso del Padre. Dio può raggiungerlo proprio perché, restando a distanza, quell’uomo gli ha fatto spazio. Non parla di sé stesso, parla chiedendo perdono, parla guardando a Dio”.
Questo atteggiamento permette il dialogo: “Quanto è vero questo anche per le nostre relazioni familiari, sociali ed ecclesiali. C’è vero dialogo quando sappiamo custodire uno spazio tra noi e gli altri, uno spazio salutare che permette a ciascuno di respirare senza essere risucchiato o annullato.
Allora quel dialogo, quell’incontro può accorciare la distanza e creare vicinanza. Succede così anche nella vita di quel pubblicano: fermandosi in fondo al tempio, si riconosce in verità così com’è, peccatore, di fronte a Dio: distante, e in questo modo permette che Dio si avvicini a lui”.
E Dio ci viene incontro attraverso il sacramento della riconciliazione: “Dio può accorciare le distanze con noi quando con onestà, senza infingimenti, gli portiamo la nostra fragilità. Ci tende la mano per rialzarci quando sappiamo ‘toccare il fondo’ e ci rimettiamo a Lui nella sincerità del cuore. Così è Dio:
ci aspetta in fondo, perché in Gesù Lui ha voluto ‘andare in fondo’, perché non ha paura di scendere fin dentro gli abissi che ci abitano, di toccare le ferite della nostra carne, di accogliere la nostra povertà, di accogliere i fallimenti della vita, gli errori che per debolezza o negligenza commettiamo, e tutti ne abbiamo fatti.
Dio ci aspetta lì, nel fondo, ci aspetta specialmente quando, con tanta umiltà, andiamo a chiedere perdono nel sacramento della Confessione, come faremo oggi. Ci aspetta lì”.
E ci riempie di abbracci misericordiosi: “Una delle cose più belle di come ci accoglie Dio è la tenerezza dell’abbraccio che ci dà. Se noi leggiamo di quando il figlio prodigo torna a casa e incomincia il discorso, il padre non lo lascia parlare, lo abbraccia e lui non riesce a parlare.
L’abbraccio misericordioso. E io qui mi rivolgo ai miei fratelli confessori: per favore, fratelli, perdonate tutto, perdonate sempre, senza mettere il dito troppo nelle coscienze; lasciate che la gente dica le sue cose e voi ricevete questo come Gesù, con la carezza del vostro sguardo, con il silenzio della vostra comprensione. Per favore, il sacramento della Confessione non è per torturare, ma è per dare pace. Perdonate tutto, come Dio perdonerà tutto a voi. Tutto, tutto, tutto”.
E’ un invito a riconoscersi debitori di perdono come il pubblicano: “Facciamolo insieme: O Dio, abbi pietà di me, peccatore. Dio, quando mi dimentico di Te o ti trascuro, quando alla tua Parola antepongo le mie parole e quelle del mondo, quando presumo di essere giusto e disprezzo gli altri, quando chiacchiero degli altri, o Dio, abbi pietà di me, peccatore. Quando non mi prendo cura di chi mi sta accanto, quando sono indifferente a chi è povero e sofferente, debole o emarginato, o Dio, abbi pietà di me, peccatore.
Per i peccati contro la vita, per la cattiva testimonianza che sporca il bel volto della Madre Chiesa, per i peccati contro il creato, o Dio, abbi pietà di me, peccatore. Per le mie falsità, le mie disonestà, la mia mancanza di trasparenza e legalità, o Dio, abbi pietà di me, peccatore. Per i miei peccati nascosti, quelli che nessuno conosce, per il male che anche senza accorgermi ho procurato ad altri, per il bene che avrei potuto fare e non ho fatto, o Dio, abbi pietà di me, peccatore”.
(Foto: Santa Sede)