Mons. Fontana: un vescovo tra il popolo

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Nella sua ultima festa del patrono della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro mons. Riccardo Fontana ha sottolineato che san Donato ha messo in evidenza il ministero del vescovo: “Per questa Chiesa aretina, che da secoli lo riconosce Patrono, san Donato offre l’occasione per riflettere insieme sulla nostra identità ecclesiale”.

Ed ha messo in evidenza l’identità del cristiano: “Gli interventi della Santa Sede hanno esteso i nostri confini, riportandoli a quando la popolazione era molto inferiore e gli stessi centri abitati assai meno di oggi. Varie volte nella storia della nostra Chiesa ci siamo interrogati sulla nostra identità. Le trasformazioni della società civile avvenute nei secoli sono state affrontate dalla Chiesa con risposte di volta in volta adeguate.

L’era dei martiri, con san Donato in testa, che fece del suo nome il dono identitario del ministero in questa Chiesa, fu la risposta coraggiosa ed evangelica al paganesimo che ancora nel IV secolo insidiava la crescente diffusione del popolo di Dio. Il cambio della pastorale con l’arrivo dei monaci missionari dalla Germania, impresse uno stile nuovo, dal Casentino, fino alla Val di Chiana, sostituendo le devozioni con la Parola di Dio letta e praticata”.

I santi sono in grado di incidere nel territorio: “San Donato, secondo la tradizione, viene da altrove e diventa pienamente aretino con il suo martirio: ciò che conta dunque per i Sacri Ministri è donare la vita per il popolo di Dio, che è loro affidato. Questo principio appartiene alla nostra cultura ecclesiale ed è stato praticato lungo i secoli molte volte e spiega il legame speciale tra la Chiesa e la comunità civile, che esiste in Terra d’Arezzo”.

Purtroppo oggi manca questo approccio: “Oggi non siamo solo in grado di offrire i pastori, ricorrendo a Sacri Ministri venuti da altre Chiese come fu san Donato, ma anche di promuovere la progressiva acquisizione che la nostra identità è composita di molte culture particolari. Tutte vanno rispettate e valorizzate, sia quelle antiche di secoli che quelle recentissime, frutto delle migrazioni di popoli dalle quali non è esente il nostro territorio”.

Compito del vescovo è ricomporre la collaborazione nella città attraverso l’immagine del calice infranto: “Il calice rotto è la città messa continuamente alla prova dal confronto tra le varie fazioni, talvolta anche violente, al punto di infrangere l’unità del nostro popolo.

Al Vescovo e con lui a tutti i Sacri Ministri tocca di operare con la preghiera e con la pacificazione degli animi, per rafforzare l’impegno di tutti per il bene comune e di non perdersi d’animo per qualche falla, che resta inevitabile”.

Ed ha raccontato la storia del patrono: “La mirabile Arca trecentesca raccoglie, nelle immagini, la vicenda soprannaturale di Donato. Fatto cristiano ed educato alla vita interiore dal Monaco Ilariano, Donato si fa apostolo con la cieca Siranna; poi, alla morte di Satiro, primo Vescovo della città, viene nominato da Papa Giulio Vescovo di questa Chiesa.

Intrepido oppositore del paganesimo (interviene per salvare Eustasio, accusato di aver sottratto i soldi pubblici) e sollecito nel risolvere la disperazione degli agricoltori che, senza pioggia, perdono il raccolto, e invoca la pioggia. Salva il piccolo Asterio dal male e la figlia di quell’aretino colpita da un male sconosciuto.

Poi il Vescovo San Donato diventa scomodo: lo si processa, lo si condanna e lo si uccide. Il nostro grande Pastore ancor oggi ci insegna che non contano gli applausi né il consenso artefatto, che esprimono la logica del mondo”.

Compito del vescovo è l’annuncio a tutti del Vangelo: “Non servono preti e Vescovi che cercano se stessi. L’identità di questa Chiesa è puntare sul cambiamento, sul tentativo di arrivare a tutti per far attivare il Vangelo: nelle scuole dove siamo pochissimo presenti, nella società civile, che ci chiede identità cristiana, non solo tradizioni, carità non solo istituzioni. Occorre pluralità di linguaggi, concretezza di gesti, attenzioni verso tutti, soprattutto verso chi cerca il senso della propria vita”.

Ed ha richiamato l’insegnamento del Concilio Vaticano II: “I Padri del Concilio, quasi 60 anni fa, convennero che il rapporto tra il Vescovo e la Chiesa di cui è divenuto pastore sia una relazione quasi sponsale, dove al Vescovo compete di essere padre in grado di governare la famiglia di Cristo, insegnando la via giusta per la sequela di Cristo, che è la santificazione”.

Per questo il Concilio Vaticano II ha paragonato il servizio del vescovo con i suoi fedeli al matrimonio: “Il servizio che il Vescovo è tenuto a rendere alla porzione di popolo di Dio che gli è affidata è una storia d’amore.

Tra le tante allegorie che sarebbe possibile adattarvi, il Concilio ritenne di scegliere l’analogia con il matrimonio, perché resta fermo l’incanto affettivo anche se non sempre nel tempo si realizza l’ideale armonia. Ferma restando la storia d’amore, ci sono talvolta momenti di difficoltà e di incomprensione”.

(Foto: Diocesi di Arezzo-Cortona-SanSepolcro)

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