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Alluvione in Romagna e Marche: vicinanza dalla Chiesa

A distanza di 16 mesi la Romagna e le Marche sono state ancora sommerse dalle acque, che hanno distrutto ciò che si stava ricostruendo, ma anche dalle polemiche politiche, che purtroppo hanno distrutto il morale dei cittadine, nonostante che molti argini hanno retto; allo stesso tempo il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, ha espresso “vicinanza e solidarietà alle tantissime persone sfollate a causa dell’alluvione e delle esondazioni in Emilia Romagna e nelle Marche”, invitando le comunità parrocchiali a farsi prossime e a pregare per quanti stanno vivendo questa nuova sofferenza:
“Speranza non è sinonimo di ingenuità, ma è quella forza che aiuta a guardare con fiducia al domani, anche quando tutto sembra, ancora una volta, perduto. Di fronte a questo dramma che torna ad abbattersi sul territorio dell’Emilia Romagna e delle Marche, siamo chiamati, come Abramo, a restare saldi nella speranza contro ogni speranza”.
Nel ringraziare le Forze dell’Ordine, Vigili del Fuoco, Protezione Civile e volontari, che si stanno adoperando nei soccorsi alla popolazione, il presidente della Cei ha rinnovato l’appello alle Istituzioni, affinché si mettano in atto tutte le misure necessarie per andare incontro alle esigenze delle famiglie e delle comunità locali, oltre che per evitare che catastrofi del genere si ripetano con tale frequenza: “Ancora una volta vediamo la fragilità del nostro territorio. Prevenzione e messa in sicurezza della Casa comune non possono restare lettera morta, ma sono azioni necessarie e doverose”.
Filippo Monari, direttore della Caritas di Forlì-Bertinoro e delegato regionale per l’Emilia Romagna, raggiunto telefonicamente dall’Agenzia Sir, ha affermato che sono stati attivati numeri telefonici per l’emergenza: “Abbiamo attivato dei numeri d’emergenza per qualsiasi necessità . Contestualmente stiamo contattando gli alluvionati del 2023 per verificare la loro condizione”.
Solidarietà alle popolazioni colpite dall’alluvione è giunta dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli attraverso la presidente nazionale, Paola Da Ros, ed il responsabile nazionale del settore ‘Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo’:
“Ancora una volta, la natura si abbatte con forza su una regione già provata, lasciando dietro di sé danni, sofferenza e un senso di smarrimento. In quella drammatica occasione del 2023, la Società di San Vincenzo De Paoli intervenne attraverso il Settore Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo, fornendo un supporto concreto alle famiglie seguite dalle Conferenze vincenziane dei Consigli Centrali di Cesena, Forlì e Imola-Lugo”.
Ed ha assicurato la vicinanza alla popolazione: “Le famiglie che vivono in condizioni di disagio, già messe a dura prova quotidianamente, in momenti come questi si trovano a essere vittime due volte: alla precarietà della loro condizione si aggiungono i danni e le difficoltà causati da eventi naturali così violenti. Davanti a queste calamità, come davanti ai problemi della vita, non possiamo restare indifferenti, ecco perché Volontarie, Volontari, Consorelle e Confratelli della Società di San Vincenzo De Paoli sono sempre presenti al fianco dei più vulnerabili. Fedeli al nostro motto: ‘serviens in spe’, ci adoperiamo e ci adopereremo sempre per portare una luce di speranza ovunque ci sarà un bisogno”.
Anche le Acli hanno espresso solidarietà alle comunità colpite dalle gravi alluvioni che hanno interessato l’Emilia Romagna e le Marche, attraverso le parole del presidente Emiliano Manfredonia: “Di fronte a questi eventi sempre più frequenti, le Acli fanno appello al Governo e a tutte le istituzioni locali e nazionali affinché si intervenga con urgenza nelle opere di prevenzione e messa in sicurezza del territorio. I danni provocati dai cambiamenti climatici stanno diventando una realtà quotidiana in molte delle nostre regioni e non ci si può più limitare a gestire l’emergenza.
E’ necessario investire in una strategia a lungo termine per affrontare il dissesto idrogeologico e proteggere le persone e le infrastrutture dalle conseguenze sempre più evidenti del climate change. Le Acli si impegnano a collaborare con le istituzioni e le comunità locali per contribuire al supporto delle popolazioni colpite e ribadiscono la necessità di una politica ambientale che metta al centro la prevenzione e la sicurezza del territorio nazionale”.
(Foto: Acli)
La presidente di Azione Cattolica di Macerata, Stefania Sagripanti: abbracciare il territorio

A fine maggio Giuseppe Notarstefano è stato confermato presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana per il triennio 2024-27, che ha espresso gratitudine per la riconferma nel ricordo dell’incontro svoltosi il 25 aprile scorso con papa Francesco: “In questo cammino ci sia sempre di sostegno l’insegnamento e l’esempio di papa Francesco. E’ vivissimo nel cuore di tutti i ragazzi, i giovani e gli adulti di Ac il ricordo del bellissimo Incontro nazionale dello scorso 25 aprile in piazza san Pietro, che ha visto decine di migliaia di soci e amici dell’Ac cingere in un unico grande abbraccio il Santo Padre. La nostra casa è una casa aperta a tutti; è la casa dell’Evangelii gaudium e della Fratelli tutti”.
Ed ha richiamato la vocazione dell’associazione nella vita sociale: “Mentre muove i primi passi questo nuovo triennio della vita associativa, nel solco di quanto indicato dai lavori della XVIII Assemblea nazionale dell’Ac, l’Associazione vuole essere ancora di più uno spazio di amicizia e di condivisione della vita di tutti. Per promuovere stili e pratiche di vita di cura e per contribuire nella tessitura di alleanze per il bene di tutti, attraverso l’educazione alla responsabilità personale, all’impegno pubblico, al senso delle istituzioni, alla partecipazione, alla democrazia e, mi piace sottolinearlo nell’anniversario della strage di Capaci, alla legalità.
Come amava dire Vittorio Bachelet, l’Azione cattolica vuole aiutare tutti ad amare Dio e gli uomini, vivendo responsabilmente la vita della Chiesa, delle nostre comunità, ricucendo le ferite del vivere, dentro una complessità che non manca mai di rivelare la Speranza”.
Partendo dalle parole del prof. Notarstefano abbiamo incontrato la neo presidente dell’Azione Cattolica della diocesi di Macerata, Stefania Sagripanti, che racconta le giornate ‘romane’:
“Tutto è cominciato la mattina del 25 aprile, quando, insieme a 120 giovani e adulti della nostra diocesi, siamo partiti per l’incontro nazionale ‘A braccia aperte’, in piazza San Pietro, sostenuti dalla preghiera degli altrettanti che ci seguivano da casa.
Una mattinata densa di racconti, testimonianze, musica, insieme a circa altri ottanta mila aderenti all’AC. Preghiera, ricordo dei tanti studenti e lavoratori, laici e religiosi, di AC e FUCI, caduti nella Resistenza contro il fascismo. Sorrisi e, come ci ha ricordato papa Francesco, tanti abbracci”.
Quale ‘stimolo’ è scaturito dall’assemblea?
“Il presidente Notarstefano ci ha stimolato a ‘scegliere la strada, non facile, del pensare e della sana dialettica argomentativa, per cercare e trovare soluzioni altre ed alte. Come cristiani e come aderenti all’Azione Cattolica siamo chiamati a trovare la capacità di affrontare insieme le difficoltà recuperando uno stile contemplativo delle iniziative e una promozione evangelica dell’altro’.
L’adempimento burocratico è stato quello di modificare e approvare, insieme ai centinaia di delegati da tutta Italia, il nuovo documento assembleare, che traccia la linea per i prossimi tre anni. Come ci ha detto il papa, non un adempimento formale, ma un vero e proprio segno come laici cristiani, e come molte volte è stato sottolineato, una scuola di democrazia e di corresponsabilità”.
In quale modo l’Azione Cattolica può abbracciare il territorio?
“Ci siamo sentiti dire che l’Azione Cattolica è la rete che tesse dialoghi nelle parrocchie, nelle diocesi, come cammino sinodale, in ogni realtà. Forse, il messaggio più importante da non dimenticare mai e poi mai è proprio l’abbraccio che salva di cui ci ha parlato papa Francesco. La Parola scelta per questa assemblea nazionale, tratta dagli Atti degli Apostoli, dice così: ‘Sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone. Egli è il Signore di tutti. E noi siamo testimoni di tutte le cose da Lui compiute’.
Torniamo nella nostra diocesi dopo quest’Assemblea con la meraviglia nel cuore per la bellezza di fede testimoniata da tanti laici e sacerdoti incontrati e con il desiderio di poter camminare in questo triennio proprio con questo stile di accoglienza attiva, facendo circolare talenti e competenze e consentendo a tutti di dare il meglio di sé: Coraggio, riprendiamo il largo!”
Pier Giorgio Frassati sarà proclamato santo nel prossimo anno: in quale modo può essere proposto ai giovani?
“Pier Giorgio è stato un giovane ‘come tutti gli altri’, e come tutti i giovani amava la vita; anzi era, come lo definisce un suo amico, ‘una valanga di vita’, di una vitalità prorompente, tanto che era soprannominato ‘Fracassati’, proprio per la sua risata fragorosa che scoppiava all’improvviso nei corridoi del Politecnico, annunciandone l’arrivo, con il suo seguito di goliardia sfrenata.
Pier Giorgio Frassati era un giovane che ‘non voleva vivacchiare ma vivere’! Oggi si direbbe, citando l’espressione di papa Francesco, non voleva essere un ‘giovane-divano’, ma vivere in pienezza la propria esistenza! Vivere in pienezza voleva dire per lui assumersi prima di tutto le proprie responsabilità di cittadino.
Pier Giorgio Frassati ci ricorda che l’amore profondo per Cristo muove verso le altezze, non in un cammino solitario, improvvisato, occasionale, ma comunitario, costante, perseverante con i fratelli, nel rispetto dei diversi passi di ciascuno. Le opere silenziose di Pier Giorgio Frassati sono state semi produttivi in ogni terreno della sua vita e di quella degli altri e la sua testimonianza ha aiutato a moltiplicare azioni volte verso il bene”.
1^ Maggio: il lavoro per la democrazia

In occasione della festa dei lavoratori, la Cei ha pubblicato un messaggio incentrato sulla partecipazione democratica, ‘Il lavoro per la partecipazione e la democrazia’, traendo spunto dal passo evangelico dell’apostolo Giovanni, ‘Il Padre mio opera sempre e anch’io opero’, in cui è evidenziata una linea continua tra il Padre ed il Figlio nelle opere, come è sottolineato nell’enciclica ‘Centesimus Annus’:
“Ognuno partecipa con il proprio lavoro alla grande opera divina del prendersi cura dell’umanità e del Creato. Lavorare quindi non è solo un ‘fare qualcosa’, ma è sempre agire ‘con’ e ‘per’ gli altri, quasi nutriti da una radice di gratuità che libera il lavoro dall’alienazione ed edifica comunità”.
In tal senso il lavoro è una ‘res pubblica’, come sottolinea il titolo della 50^ Settimana Sociale dei cattolici: “In questa stessa prospettiva, l’articolo 1 della Costituzione italiana assume una luce che merita di essere evidenziata: la ‘cosa pubblica’ è frutto del lavoro di uomini e di donne che hanno contribuito e continuano ogni giorno a costruire un Paese democratico. E’ particolarmente significativo che le Chiese in Italia siano incamminate verso la 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio), sul tema ‘Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro’. Senza l’esercizio di questo diritto, senza che sia assicurata la possibilità che tutti possano esercitarlo, non si può realizzare il sogno della democrazia”.
E’ un invito ad investire nel lavoro con politiche mirate ed innovative: “Occorre aprirsi a politiche sociali concepite non solo a vantaggio dei poveri, ma progettate insieme a loro, con dei ‘pensatori’ che permettano alla democrazia di non atrofizzarsi ma di includere davvero tutti. Investire in progettualità, in formazione e innovazione, aprendosi anche alle tecnologie che la transizione ecologica sta prospettando, significa creare condizioni di equità sociale. E’ necessario inoltre guardare agli scenari di cambiamento che l’intelligenza artificiale sta aprendo nel mondo del lavoro, in modo da guidare responsabilmente questa trasformazione ineludibile”.
E’ un invito a dare a tutti un lavoro ‘dignitoso’: “Le istituzioni devono assicurare condizioni di lavoro dignitoso per tutti, affinché sia riconosciuta la dignità di ogni persona, si permetta alle famiglie di formarsi e di vivere serenamente, si creino le condizioni perché tutti i territori nazionali godano delle medesime possibilità di sviluppo, soprattutto le aree dove persistono elevati tassi di disoccupazione e di emigrazione.
Tra le condizioni di lavoro quelle che prevengono situazioni di insicurezza si rivelano ancora le più urgenti da attenzionare, dato l’elevato numero di incidenti che non accenna a diminuire. Inoltre, quando la persona perde il suo lavoro o ha bisogno di riqualificare le sue competenze, occorre attivare tutte le risorse affinché sia scongiurato ogni rischio di esclusione sociale, soprattutto di chi appartiene ai nuclei familiari economicamente più fragili, perché non dipenda esclusivamente dai pur necessari sussidi statali”.
Ed anche la Chiesa è chiamata a dare il suo contributo: “…ogni comunità è chiamata a manifestare vicinanza e attenzione verso le lavoratrici e i lavoratori il cui contributo al bene comune non è adeguatamente riconosciuto, come anche a tenere vivo il senso della partecipazione. In questa prospettiva, gli Uffici diocesani di pastorale sociale e gli operatori, quali i cappellani del lavoro, promuovano e mettano a disposizione adeguati strumenti formativi. Ciascuno deve essere segno di speranza, soprattutto nei territori che rischiano di essere abbandonati e lasciati senza prospettive di lavoro in futuro, oltre che mettersi in ascolto di quei fratelli e sorelle che chiedono inclusione nella vita democratica del nostro Paese”.
Per questo l’arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole, ha fatto una riflessione sul difficile ‘mestiere’ di imprenditori, che non può essere disgiunto da quello dei lavoratori: “Il destino dei lavoratori e delle loro famiglie in questa stagione così delicata dipende anche dal successo degli imprenditori: per questo la Chiesa sostiene con gratitudine ed anche prega per tutti coloro che abbracciano l’attività di impresa investendo risorse e spendendo la propria intelligenza, il proprio coraggio e la fantasia”.
E’ uno sguardo sulla situazione torinese: “L’avventura delle imprese, anche quella delle industrie multinazionali con sede a Torino, è anche l’avventura di un territorio, che offre alle aziende la risorsa più importante: i lavoratori. Oggi va detto con forza che i lavoratori non sono separabili dagli interessi delle aziende: sono gli uomini e le donne che, con il loro impegno, con la loro vita, con la vita delle loro famiglie, rendono possibile la ricchezza e l’esistenza stessa delle aziende”.
Quindi c’è un nesso indissolubile tra imprenditore e lavoratore: “Desidero esprimere grande riconoscenza agli imprenditori che combattono per mantenere vive le proprie aziende. Faccio anche osservare che il complesso dei lavoratori di un territorio rappresenta il mercato cui le aziende rivolgono i loro prodotti e servizi: se questo mercato mantiene la sua capacità di spesa e consumo, saranno le aziende stesse a beneficiarne”.
Quella di mons. Repole è una precisa ‘condanna’ per chi ‘gioca’ con i lavoratori: “Ciò che non dovrebbe mai accadere, agli operai e agli impiegati, è perdere il lavoro in aziende che godono di buona salute e stanno producendo ricchezza e profitto, eppure non si accontentano: queste aziende, spinte sovente da logiche esasperate di ricerca di sempre maggiori guadagni, tagliano i posti di lavoro o li trasferiscono altrove”.
Non si può abbandonare un territorio solo per il profitto: “Se la scelta di abbandonare il nostro territorio può essere compresa quando è necessaria per la sopravvivenza dell’azienda, non mi pare possa essere accettabile quando risponde alla logica di moltiplicare in modo esasperato i profitti: credo che esistano limiti all’accumulo della ricchezza, oltre i quali non è legittimo sacrificare la vita delle persone”.
Ma questa visione sul profitto è miope: “Dietro alle dinamiche estreme dei mercati mi sembra di leggere una visione povera della persona umana, sacrificata alla logica del denaro. E’ una visione che non colmerà mai il nostro cuore, neppure quello di chi muove le leve economiche e un giorno si domanderà l’uso che ne ha fatto. Tutti, ciascuno di noi nel suo ruolo, ci domanderemo un giorno se abbiamo portato frutti buoni”.
Anche l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha affermato che il senso del lavoro è nella persona, come è ribadito dall’art. 35 della Costituzione Italiana: “Vogliamo esprimere la nostra gioia di pensare il lavoro e pregare per il lavoro, soprattutto per rieducarci a mettere al centro il valore infinito della persona. La questione del lavoro è tra le più rilevanti. Il lavoro nella sua dignità perché realizza la persona e forma la comunità e il lavoro dignitoso capace di favorire lo sviluppo umano integrale e solidale.
L’articolo 35 della Costituzione dice: ‘La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori’: questo chiede di andare all’origine del senso del lavoro per poter, poi, valutarne le conseguenze. Elevare la persona significa scoprirci all’interno di un progetto di cooperazione a un bene più grande di noi, che va “oltre”. Il lavoro genera comunità, la comunità genera lavoro. Prendersi cura del lavoro è un atto di carità politica e di democrazia, un impegno che coinvolge tutti nel costruire un futuro migliore, un impegno che abbraccia l’integralità dell’individuo e l’integrità della società”.
E nel tema della Costituzione Italiana il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, visitando il polo agroalimentare del distretto cosentino ha ribadito che la Repubblica è fondata sul lavoro di tutti, consentendo la libertà:
“Il lavoro è libertà. Anzitutto libertà dal bisogno; e strumento per esprimere sé stessi, per realizzarsi nella vita. I progressi straordinari della scienza e della tecnica per migliorare la qualità e la sostenibilità dei prodotti e dei servizi, devono essere sempre indirizzati alla tutela della dignità e dell’integrità delle persone, dei loro diritti. A partire dal diritto al lavoro. Il lavoro deve essere libero da condizionamenti, squilibri, abusi che creano emarginazione e dunque rappresentano il contrario del suo ruolo e del suo significato”.
La terra è a rischio

L’Earth day, la Giornata della Terra, è il giorno in cui si celebrano l’ambiente, le risorse naturali e la salvaguardia del pianeta Terra, nata il 22 aprile 1970. Quel giorno, parallelamente all’Earth day, nasceva anche quello che oggi è diventato il moderno movimento ambientalista. Il movimento, che vide la luce negli Stati Uniti, contò circa 20.000.000 di cittadini americani che si mobilitarono in una storica manifestazione in difesa dell’ambiente.
Dopo 54 anni l’Earth day acquista ancora più significato: mai come oggi è di fondamentale importanza rivedere e ripensare il nostro rapporto col pianeta. Un pianeta dalle risorse finite, con ecosistemi sempre più sottopressione e con i cicli naturali che stanno cambiando in maniera così rapida, da non essere in grado di sapere quali saranno le conseguenze nel medio e lungo periodo.
E secondo Coldiretti il consumo di suolo fertile brucia in Italia € 1.000.000.000 di cibo all’anno, con cementificazione e fotovoltaico selvaggio che erodono migliaia di ettari di terreni agricoli aggravando la dipendenza alimentare dall’estero.
Guerre e pandemia non hanno fermato il consumo di suolo che, secondo l’ultimo rapporto Ispra, anzi, ha accelerato arrivando a ‘cancellare’ 76,8 km quadrati ettari di terreni, alla velocità di 2,4 metri quadrati al secondo. Un dato in aumento del 10% rispetto all’analisi precedente e che ci dicono che, complessivamente, le superfici occupate ammontano a poco meno di 2.200.000 di ettari (il 7,14 % del totale nazionale):
“Ai danni causati dalla cementificazione, si stanno aggiungendo quelli del fotovoltaico selvaggio con la copertura di intere aree agricole produttive con distese di ettari di pannelli a terra. Impianti spesso realizzati da fondi di investimento speculativi e resi possibili da un far west normativo che deriva dall’assenza di regole di governo del territorio”.
La provincia di Viterbo rappresenta un caso simbolo, dove gli agricoltori della Coldiretti stanno lottando contro la realizzazione di nuovi impianti fotovoltaici a terra e di pale eoliche in una situazione in cui quasi la metà della superficie agricola utilizzata in provincia è stata già occupata dai pannelli:
“L’erosione di terreni fertili mette oggi a rischio la sovranità alimentare del Paese ed è necessario invertire la rotta, mettendo finalmente dei paletti al fotovoltaico selvaggio. Un altro passo essenziale è accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio”.
Per tale motivo la terra resta un richiamo irresistibile per oltre 6 italiani su dieci (61%) che a primavera dedicano parte del tempo libero alla cura di orti, giardini, balconi e terrazzi per garantirsi frutta, verdura e aromatiche da portare in tavola o fiori per abbellire la propria casa.
La forma di coltivazione più diffusa è quella nell’orto o nel giardino, seguita a breve distanza dai terrazzi e dai balconi, soprattutto nelle grandi città, dove c’è anche chi deve accontentarsi del davanzale della finestra. Una minoranza si mette al lavoro in uno degli orti pubblici messi a disposizione dalle amministrazioni locali. In Italia occupano circa 2.000.000 di metri quadrati, secondo l’analisi Coldiretti sugli ultimi dati Istat:
“Ma ci sono anche molti italiani che non si accontentano e hanno a disposizione almeno un ettaro di terreno a uso familiare. Si tratta in larga maggioranza di famiglie che hanno ereditato aziende o pezzi di terreno da genitori e parenti dei quali hanno voluto mantenere la proprietà per esercitarsi nel ruolo di coltivatori e allevatori, piuttosto che venderli come accadeva spesso nel passato.
E c’è anche chi ha acquistato terreni o piccole aziende agricole anche in aree svantaggiate per ristrutturarle e avviare piccole attività produttive, dall’olio al vino, dall’allevamento delle galline a quello dei cavalli”.
E non è un costo esoso realizzare un giardino: “L’investimento per realizzare un orto tradizionale in giardino si può stimare intorno ad € 300 per 20 metri quadrati ‘chiavi in mano’ per acquistare terriccio, vasi, concime, attrezzi, reti per delimitare le coltivazioni, sostegni vari, sementi e piantine. Individuare lo spazio giusto e, la stagionalità, conoscere la terra di cui si dispone, scegliere attentamente semi e piantine a seconda del ciclo e garantire la disponibilità di acqua sono alcune delle regole fondamentali per ottenere buoni risultati”.
Inoltre un recente studio di ActionAid ha rivelato che i finanziamenti privati alle cause della crisi climatica superano di 20 volte gli investimenti pubblici nelle soluzioni per contrastarla. Nei 7 anni successivi all’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, le principali banche private mondiali hanno investito complessivamente $ 3.200.000.000 nell’espansione dei combustibili fossili, mentre altri $ 370.000.000.000 sono stati destinati sotto forma di prestiti e garanzie all’agricoltura industriale.
A Roma un popolo contro le mafie

“Nata nella società civile, cresciuta grazie ai valori di cui è portatrice, la ‘Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie’ è ricorrenza significativa per la comunità nazionale. Un giorno che sottolinea l’impegno per liberare le popolazioni e i territori dalle mafie, per vincere l’indifferenza e la rassegnazione che giovano sempre ai gruppi criminali. Quando difendiamo la dignità di essere cittadini liberi, quando ci ribelliamo alle violenze e alle ingiustizie, quando davanti ai soprusi non ci voltiamo dall’altra parte, contribuiamo alla lotta contro le mafie…
Le Istituzioni sono chiamate a fare il loro dovere per contrastare, su ogni piano, le organizzazioni del crimine e l’azione dei cittadini e delle forze sociali è coessenziale per costruire e diffondere la cultura della legalità e della libertà. Le mafie sono una pesante zavorra per l’Italia, insinuate come sono in ogni attività illegale dei traffici criminali. La Giornata ci rammenta che la lotta alle mafie è compito e dovere di tutti coloro che amano la Repubblica e intendono renderne migliore il futuro”.
Con questo messaggio del presidente della Repubblica italiana la XXIX Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, organizzata ieri a Roma da Libera con la partecipazione di 100.000 persone per chiedere verità e giustizia con uno striscione, ‘Roma città libera’, che ha scandito il ricordo di tutte le vittime innocenti di mafia, come ha sottolineato don Luigi Ciotti: “Vogliamo un’Italia libera dalle mafie, dalla corruzione e dell’ingiustizia. Libera di parlare di pace, di curare chi sta male e di accogliere chi arriva da lontano. Un paese libero e cittadini liberi perché responsabili”.
Nel suo intervento don Ciotti ha messo in guardia il Parlamento dalla modifica di due leggi, l’autonomia differenziata e la legge 185: “L’autonomia non può essere differenziata perché i diritti sono un bene comune… E’ un guaio la modifica della legge 185, una legge con norme stringenti per il mercato delle armi. Ci sono momenti in cui parlare diventa un obbligo morale e una responsabilità civile, è in gioco la pace”.
Ha concluso con un appello sul valore della memoria: “Fare memoria vuol dire impegnarsi non una giornata, ma ricordare i nomi di tutti quanti, con la stessa dignità e con la stessa forza. Dobbiamo raccogliere e custodire le memorie di queste nomi, di questi volti e sentirli qui dentro, sentire rinascere quelle memorie finite nell’oblio e trasformarle in pungolo, responsabilità. E’ importante impegnarsi tutti i giorni. Bisogna fare un lavoro nelle scuole, nelle università e nei territori. Non dobbiamo dimenticarci che le mafie sono forti, anche più di prima. Sparano di meno ma ci sono”.
Infine ha chiesto alla politica di non distruggere ciò che era stato costruito per sconfiggere le mafie: “Alcuni provvedimenti ci pongono domande, interrogativi. Bisogna evitare di demolire dei pilastri, dei meccanismi che in questi anni hanno dimostrato di essere efficaci nel contrasto alla criminalità, alla corruzione, all’illegalità. Vedo che alcuni provvedimenti viaggiano un pochettino nella direzione opposta”.
(Foto: Libera)
I vescovi siciliani sottolineano le difficoltà dell’autonomia differenziata

Lo scorso 23 gennaio è stato approvato al Senato il testo del disegno di legge sull’autonomia differenziata presentato dal Ministro Calderoli ed ora l’esame del disegno di legge è alla Camera dei deputati. Il disegno di legge costituisce attuazione di quanto disposto all’art. 116, ultimo comma, della Costituzione, ove è prevista la possibilità di conferire alle Regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Il nodo centrale della riforma è costituito dalla necessità di assicurare i medesimi livelli qualitativi nella erogazione delle prestazioni essenziali (LEP) in tutto il territorio nazionale. L’autonomia differenziata consiste nella gestione da parte delle Regioni di alcuni settori peculiari, come, ad esempio, quello dell’istruzione, in maniera autonoma, secondo quanto previsto dalla Costituzione.
Secondo quanto previsto dall’art. 119 della Costituzione Italiana, i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci; stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri; dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
Però questa proposta di legge rischia di avere un ‘impatto disastroso’ sulla Sicilia, come hanno scritto i vescovi delle diocesi siciliane, mettendo a ‘rischio’ l’unità nazionale, nel sottolineare alcune criticità: “Il quadro delineato dall’originario DDL appariva, invero ancora lo è, caratterizzato da un’architettura che tende a creare asimmetrie all’interno di un regionalismo asimmetrico.
Si era espressa una prima forte perplessità sull’art. 3 in ordine alla fonte scelta per la determinazione dei LEP (DPCM) (livelli essenziali delle prestazioni) da parte del Governo, criticità non completamente risolta con il nuovo testo.
Così come era stato criticato il riferimento all’utilizzo della spesa storica per quelle regioni che intendono chiedere maggiore autonomia differenziata. Infatti tale indicatore, oltre ad essere superato, farebbe allargare ancora di più la forbice della disomogeneità territoriale delle regioni italiane. Inoltre sussistevano forti perplessità sulle misure perequative finalizzate a riequilibrare le forti disomogeneità territoriali che sono state parzialmente recepite nel DDl definitivamente approvato dal Senato”.
Per i vescovi siciliani il testo di legge è mancante di un riferimento alla ‘solidarietà sociale’: “In primo luogo manca un esplicito e necessario richiamo all’art. 2 Costituzione italiana fonte del dovere di solidarietà sociale in favore dei soggetti meno abbienti, che costituirebbe un ulteriore e migliore ancoraggio costituzionale anche a garanzia e vincolo nella determinazione dei LEP”.
Mancando questo riferimento alla solidarietà viene meno la sussidiarietà: “Ricordiamo che la differenziazione è da considerarsi come un corollario del principio di sussidiarietà in un processo di razionalizzazione dimensionale delle competenze tra centro e periferia. Se ne deve inferire che la dislocazione differenziata di funzioni legislative in singole Regioni non è affatto un adempimento costituzionalmente necessario, o addirittura un ‘diritto’ di alcune Regioni (o dei loro ‘popoli’).
Deve invece considerarsi come possibilità di adeguamento del quadro dei poteri, ove prevale l’esigenza di una più piena attuazione del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale e dopo dei suoi corollari. A tal proposito il novellato testo (Art. 4) richiama l’attenzione sul pericolo di evitare disparità di trattamento sull’intero territorio nazionale, ma è proprio dalle previsioni normative in esso contenute che tale rischio emerge”.
Inoltre qualche articolo della legge presenta qualche perplessità: “Anche gli artt. 5 e 6 presentano ancora delle serie criticità. In particolare si osserva che si procede ad individuare le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale, mentre sarebbe più utile prevedere una distribuzione delle responsabilità fiscali per avere delle politiche finanziate in modo responsabile.
La compartecipazione si collega alla produttività dei territori regionali, con la conseguenza che territori maggiormente produttivi avrebbero introiti maggiori di altre realtà territoriali con una produttività storicamente ridotta e ciò trasformerebbe la differenziazione in diseguaglianza con l’evidente rischio di colpire concretamente la coesione dei territori mettendo in grave pericolo l’unità nazionale”.
Il testo legislativo inoltre riduce i finanziamenti alle regioni, mettendo in crisi la ‘solidarietà’ nazionale: “Infine nell’art 10, dedicato alle misure perequative, non v’è traccia di fondo perequativo di solidarietà nazionale che permetta di riequilibrare le forti disomogeneità territoriali. Fino a che le regioni del meridione (ai fini perequativi vanno integrate le capacità di entrate da economia sommersa delle regioni per avere un dato più affidabile della loro effettiva capacità fiscale) non raggiungono, con un fondo dedicato, almeno la media della capacità fiscale nazionale per abitante non si può affrontare per nessuna regione il tema dell’autonomia differenziata a meno che non si preveda un fondo di solidarietà nazionale vincolato a sanare le disparità delle capacità fiscali territoriali, le cui risorse vengono distribuite con funzioni, sia di compensazione delle risorse attribuite in passato, sia di perequazione. Anche la riduzione del cosiddetto ‘fondo complementare’ da € 4.400.000.000, a poco più di € 700.000.000 rappresenta un ulteriore rischio per le regioni più povere”.
Pe i vescovi da tale disegno di legge la Sicilia è molto penalizzata: “La Sicilia si trova immersa in questo scenario che potrebbe vedere uno Stato ‘arlecchino’ con 20 regioni con profili istituzionali uno diverso dall’altro. Sulle 23 materie ogni regione potrà scegliere quali avocare a sé e quali no. Ricordiamo che secondo degli studi fatti dalla Ragioneria Generale dello Stato, la Sicilia perderà € 1.300.000.000 circa l’anno: un impatto disastroso per una economia già in grande sofferenza”.
Il testo si conclude con la richiesta di attuazione dello statuto: “Quindi, oltre che rilevare ciò che di critico esiste nell’attuale riforma, la classe dirigente politica siciliana dovrebbe chiedere al governo nazionale l’attuazione completa dello statuto e non sprecare le risorse in dotazione, in tal modo sarebbe avviato un percorso di superamento delle criticità portate dalla riforma sull’autonomia differenziata.
Le fondate superiori preoccupazioni rappresentate, siano intese quale stimolo per reagire agli squilibri strutturali ed economici fortemente presenti nel meridione e che potrebbero portare a colpire in modo grave l’unità nazionale in favore di preoccupanti spinte secessioniste istituzionalizzate”.
Con i Bambini racconta la vita dei bambini in Italia

Nell’agosto 2021 oltre 1.300 minorenni in fuga dall’Afghanistan soli o con le loro famiglie arrivano in Italia attraverso l’operazione ‘Aquila Omnia’ e i corridoi umanitari. Poche settimane dopo l’ong ‘Con i Bambini’, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa, lancia l’iniziativa ‘Con i bambini afghani’ per avviare in tempi rapidi azioni di accompagnamento educativo, dentro e fuori la scuola, e di inclusione di bambini e famiglie. Nasce il progetto ‘Comunità in crescita’ che coinvolge circa 100 enti sociali già impegnati nei territori nell’accoglienza e inclusione e che prende in carico 861 minorenni.
Per questo il presidente dell’ong Marco Rossi-Doria si è chiesto come vivono in Italia questi bambini: “Con il susseguirsi delle emergenze e la velocità con cui purtroppo dimentichiamo facilmente, si mettono in secondo piano altri drammi come quello vissuto dagli afghani. Per fortuna esiste una grande comunità educante nel nostro Paese che si prende cura di oltre 860 bambini e bambine, fuggiti con le famiglie dall’Afghanistan e accolti dall’Italia. Una straordinaria alleanza educativa che vede insieme Istituzioni, Fondazioni e Terzo settore e che rappresenta un orgoglio nazionale”.
In Italia oltre 860 bambine e bambini afghani scappati dalla guerra e dagli orrori di un nuovo regime talebano sono stati inseriti in un percorso di accoglienza e inclusione insieme ai loro genitori, con azioni di accompagnamento educativo dentro e fuori la scuola.
L’iniziativa straordinaria ‘Con i bambini afghani’ promossa da ‘Con i Bambini’ nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile ha permesso la nascita, nel 2022, di una grande ‘comunità educante’ attorno al progetto ‘Comunità in crescita’, sostenuto con oltre € 3.200.000 ed ancora in corso.
Sono stati coinvolti 861 minorenni, di cui 138 bambini della fascia 0-3 anni, 122 di età compresa tra 4 e 6 anni, 248 tra 7 -11 anni, 139 tra 12-14 anni, 108 nella fascia di età 15-17 anni. 58, il numero dei ragazzi coinvolti di età compresa tra 18 e 20 anni, a cui si aggiungono 48 altri minorenni.
Di questi giovanissimi, 496 sono in affidamento al padre, 204 alla madre, solo 20 sono affidati ad altri familiari o strutture, 17 ad un tutore e solo 6 a entrambi i genitori (per i restanti 118 il dato non è ancora disponibile). Quasi 400 tra insegnanti e operatori sono coinvolti ad oggi nella realizzazione dei percorsi.
Una vera e propria comunità educante estesa su tutto il territorio nazionale, in grado di lavorare con successo, seppure tra molte difficoltà, per aumentare le possibilità di inclusione scolastica e educativa. Le macro aree, omogenee per numero di minorenni accolti, sono sette: Lombardia (14% dei minorenni), Liguria e Piemonte (10%), Emilia Romagna, Veneto e Friuli (13%), Lazio e Campania (18%), Sardegna e Toscana (7%), Abruzzo, Marche, Molise e Umbria (11%), Basilicata, Calabria, Puglia e Sicilia (27%).
La cabina di regia nazionale è composta da Con i Bambini, il Tavolo minori migranti, Tavolo asilo e immigrazione, AOI e Consorzio Communitas (soggetto responsabile). Complessivamente sono coinvolti circa 100 enti sociali già impegnati nei territori nell’accoglienza, inclusione ed educazione.
Per aumentare l’efficacia dell’inclusione dei minorenni nella comunità, il progetto affianca e sostiene il sistema di accoglienza istituzionale CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria affidati dalle prefetture a enti profit e non profit) e SAI (‘sistema di accoglienza e integrazione’, coordinato dal Ministero dell’Interno in collaborazione con ANCI, progetti affidati dai comuni a enti non profit. La costante cooperazione tra comuni, Ministero Interno e Con i Bambini rappresenta un esempio di sussidiarietà operante.
I percorsi di inclusione dei nuclei famigliari sono estremamente complessi, perché gravati da una generale incertezza e precarietà economica su diversi fronti quali la casa, il lavoro e dunque anche i percorsi educativi e scolastici dei figli.
Il radicamento e la conoscenza del territorio da parte dei tantissimi enti di terzo livello che curano direttamente la realizzazione dei percorsi, pur rappresentando dal punto gestionale una sfida complicata, è certamente uno degli elementi di forza per favorire l’inclusione sociale e l’autonomia dei minori e delle loro famiglie. Il fatto che i partenariati si siano costituiti anche per la pregressa competenza nelle lingue e nelle culture dell’Afghanistan, ha rafforzato la loro capacità di impatto.
Numerosi interventi riguardano le bambine e i bambini dai 3 ai 6 anni e anche i più piccoli (0-2 anni), in particolare attraverso il sostegno alle donne che hanno partorito in Italia, successivamente al forzato allontanamento dall’Afghanistan. L’esigenza di azioni di sostegno alla genitorialità diventa necessaria poiché le fragilità dei nuclei famigliari e le difficoltà riguardanti in particolar modo i figli, assumono una dimensione più grande nel contesto migratorio, aggravato dalla sua dimensione forzata e dall’urgenza di lasciare il proprio ambiente di vita a causa di persecuzioni o del timore di subirle.
(Foto: Con i bambini)
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