L’Italia non ha più figli

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Ancora un record negativo per la natalità: nel 2020 i nati sono 404.892 (-15.000 sul 2019). Il calo (-2,5% nei primi 10 mesi dell’anno) si è accentuato a novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (-10,7%), mesi in cui si cominciano a contare le nascite concepite all’inizio dell’ondata epidemica: questo è il rilevamento dell’Istat evinto dal bollettino sulla natalità e fecondità della popolazione residente per l’anno 2020.

Ed anche nel 2021 la situazione non migliora, secondo i dati provvisori di gennaio-settembre le minori nascite sono già 12.500, quasi il doppio di quanto osservato nello stesso periodo del 2020. Il numero medio di figli per donna scende nel 2020 a 1,24 per il complesso delle residenti, da 1,44 negli anni 2008-2010, anni di massimo relativo della fecondità. Il numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana nel 2020 è stato pari a 1,17.

Si tratta di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti ‘strutturali’ indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni.

In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le cosiddette baby-boomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla); dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti.

Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.

La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree dell’Italia (compresa la provincia autonoma di Bolzano che fino all’anno scorso era l’unica a presentare un lieve aumento) ed è superiore a quella riferita a tutti gli ordini di nascita in quasi tutte le regioni italiane del Nord e del Centro Italia.

Tale fenomeno testimonia la difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli; problematica diversa rispetto all’inizio del millennio quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio.

Rispetto al 2008 i primi figli si sono ridotti soprattutto al Centro (-36,8%), con l’Umbria che presenta la diminuzione più accentuata (-41,6%). Anche le regioni del Nord registrano diminuzioni significative, con il calo maggiore in Valle d’Aosta (-46,6%).

Tra le cause del calo dei primi figli vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale.

In un contesto di nascite decrescenti, quelle che avvengono fuori del matrimonio aumentano di oltre 32.000  unità rispetto al 2008, raggiungendo quota 145.069 nel 2020 (quasi 5.000 in più solo nell’ultimo anno). Il loro peso relativo continua a crescere (35,8% nel 2020).

L’aumento della quota dei nati fuori dal matrimonio nell’ultimo anno (+2,4 punti percentuali), superiore alla media degli ultimi dieci anni, può essere messo in relazione al dimezzarsi dei matrimoni tra il 2019 e il 2020.

Le restrizioni imposte dal Covid e, in generale, il clima di crisi e fragilità, possono aver portato alcune coppie a rimandare il matrimonio a tempi migliori.

Inoltre, pur avendo solo parzialmente influenzato le scelte riproduttive nel 2020 (con impatti evidenti solo a partire dal mese di novembre), la pandemia può avere in parte indotto le coppie già in attesa di un figlio a rinviare il matrimonio dopo la nascita.

I nati fuori dal matrimonio superano la metà delle nascite tra le giovani fino a 24 anni, tra i 25 e i 34 anni rappresentano circa un terzo. Considerando le coppie di entrambi italiani, si arriva rispettivamente al 67% e 38%.

A partire dai 35 anni, circa un nato su tre è al di fuori del matrimonio, sia per il complesso dei nati sia tra quelli di cittadinanza italiana. Data l’età in cui si sposano mediamente le donne (circa 34 anni), si osserva che a diminuire nel 2020 sono soprattutto i nati all’interno del matrimonio tra le donne di 30-39 anni. Nella stessa classe di età, infatti, quelli fuori dal matrimonio aumentano dell’11% circa (+7,2% l’aumento medio nazionale).

La quota più alta di nati da genitori non coniugati si osserva nel Centro (42,1%), seguono Nord-est (38,0%) e Nord-ovest (37,2%). La regione con la proporzione più alta è la Sardegna (47,8%) che supera anche la media del Centro-nord.

Tra le regioni del Centro spicca la Toscana (44,3%) mentre al Nord-Est il valore più alto si registra a Bolzano (47,0%). Il Sud presenta generalmente incidenze molto più contenute (29,0%), con le percentuali più basse in Basilicata (22,0%) e Calabria (24,0%).

Nei primi dieci mesi del 2020 le nascite diminuiscono del 2,5%, in linea con il ritmo del periodo 2009-2019 (-2,8% in media annua). La discesa accelera in misura marcata nei mesi di novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese dell’anno prima) e, soprattutto, di dicembre (-10,7%), in corrispondenza dei concepimenti dei primi mesi dell’ondata epidemica. Nel Nord-ovest, più colpito dalla pandemia durante la prima ondata, a dicembre il calo tocca il 15,4%.

Il clima di incertezza e le restrizioni relative al lockdown sembrano dunque aver influenzato la scelta di rinviare il concepimento. A gennaio 2021 si rileva la massima riduzione di nati a livello nazionale (13,6%), con picco nel Sud (-15,3%) che prosegue, più contenuta, anche a febbraio (-4,9%); queste nascite sono, per la quasi totalità, riferibili ai concepimenti di aprile e maggio 2020.

I nati di cittadinanza straniera, già in calo del 3,7% tra gennaio e ottobre 2020, accentuano progressivamente il loro trend di decrescita rispetto agli italiani. A novembre e dicembre 2020 diminuiscono dell’11,5% contro il -9,2% dei nati italiani, ma il differenziale si amplia a gennaio 2021 (-24,4% contro -11,7%) e ancora di più a febbraio (-17,3% contro -2,7%). Il leggero recupero della natalità registrato a marzo e aprile 2021 riguarda infatti esclusivamente i nati italiani (rispettivamente +7,0% e +2,5%).

Nel 2020 le donne residenti in Italia tra 15 e 49 anni hanno in media 1,24 figli (1,27 nel 2019), accentuando la diminuzione in atto dal 2010, anno in cui si è registrato il massimo relativo di 1,44.

Nel complesso i livelli di fecondità del Mezzogiorno sono in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente (da 1,25 a 1,24 figli per donna); tuttavia sono degni di nota i valori registrati in Sicilia (1,33) e Campania (1,30). Al Centro il livello di fecondità è sceso da 1,19 a 1,17.

A livello regionale, la Sardegna continua a presentare il più basso livello di fecondità (0,97), ancora in diminuzione rispetto al 2019 (1,0). Le differenze territoriali nella fecondità totale sono spiegate dal diverso contributo delle donne straniere: 2,0 al Nord, 1,65 al Centro e a 1,86 al Mezzogiorno.

La fecondità delle cittadine italiane è passata da 1,18 del 2019 a 1,17 nel 2020, permanendo sotto il minimo storico del 1995 che, seppur riferito al complesso della popolazione allora residente, risulta prossimo alla fecondità delle sole cittadine italiane, data la bassissima incidenza dei nati da donne straniere a metà degli anni ‘90.

Il numero medio di figli per donna delle italiane è in calo al Nord (da 1,16 a 1,14) e in egual misura nel Mezzogiorno (da 1,23 a 1,21). Resta stabile al Centro (1,11). Al Nord a detenere il primato della fecondità delle italiane resta sempre la Provincia autonoma di Bolzano (1,62) seguita dalla provincia di Trento (1,27).

Tra le regioni del Centro, il livello più elevato si osserva nel Lazio (1,13) mentre nel Mezzogiorno il picco si registra in Sicilia (1,30) e Campania (1,28); in Sardegna si registra il valore minimo pari a 0,94, ancora in diminuzione rispetto allo 0,97 del 2019.

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