Per mons. Olivero il coronavirus non è stata una parentesi

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‘Non è una parentesi. Una rete di complici per assetati di novità’ è un libro che nasce per iniziativa di mons. Derio Olivero, il vescovo di Pinerolo guarito dal Coronavirus dopo una lunga battaglia in ospedale: per accogliere gli insegnamenti e le provocazioni che la pandemia ha portato nella Chiesa e nella società, mons. Olivero ha chiesto ad alcuni amici, voci tra le più significative della Chiesa italiana, di offrire un proprio contributo per pensare un futuro in cui non tornare semplicemente a ‘come eravamo prima’ ma approfittare per diventare migliori e costruire un contesto più umano e favorevole alla fede. Il libro ha la prefazione di Enzo Biemmi e gode dei contributi di Duilio Albarello, Ester Brunet, Paolo Curtaz, Marco Gallo, Andrea Grillo, Alberto Maggi, Antonio Scattolini, Ivo Seghedoni, MichaelDavide Semeraro.

Nella prefazione Enzo Biemmi, membro della Consulta nazionale per la catechesi e presidente dell’equipe europea dei catecheti, scrive alcune metafore per non dimenticare ciò che è stato vissuto, partendo dalla piazza di san Pietro vuota:

“La prima immagine che ci dovrà rimanere impressa nella memoria perché non sia una parentesi è la piazza vuota di san Pietro, con un uomo solo, papa Francesco, a pregare per il mondo intero, davanti a quel crocifisso ligneo bagnato di pioggia e all’icona della Vergine Salus populi romani. Il vuoto di quella piazza ha rappresentato quello delle strade dei nostri quartieri, dei luoghi di lavoro, delle scuole, delle chiese, degli ambienti parrocchiali, delle attività catechistiche e pastorali, delle relazioni che avevano riempito fino a quel momento la nostra vita”.

Ed analizza la reazione davanti a questa situazione: “Ci ha preso l’ansia della spogliazione. Quel vuoto è diventato insopportabile. Nei nostri ambienti ecclesiali si è parlato spesso di ‘clausura forzata’ e raramente di «tempo di grazia», se pur nel dolore. Non siamo stati migliori degli altri. La reazione istintiva è stata quella di riempire. Siamo passati dall’ansia di un’agenda troppo piena all’angoscia di un’agenda improvvisamente vuota”.

Da ciò è scaturito un messaggio importante: “Eppure proprio questo è il primo messaggio da recepire, perché non sia una parentesi: imparare a custodire i vuoti e ad abitarli. Una Chiesa che custodisce i vuoti. Perché proprio questi vuoti hanno permesso a tanto bene di riemergere, di prendere forma, di fiorire: generosità impensate da parte di persone inaspettate, solidarietà silenziose non targate da appartenenze religiose, gesti di preghiera e di fede nelle case come mai era avvenuto prima, telefonate solo per dire ‘come stai?’, tempi gratuiti per parlarsi, per ascoltarsi, per condividere sentimenti, paure, speranze, racconti. Quando la Chiesa programma tutto con un anticipo di mesi e di anni, non c’è più spazio per le sorprese, quelle umane e quelle di Dio”.

Per il vescovo di Pinerolo questo tempo vissuto è un tempo che invita al cambiamento, raccontando la sua esperienza di malato: “Per comprendere cosa ci stia dicendo questo tempo, faccio in  primo luogo riferimento alla mia esperienza di malato di Covid. C’è stato un momento, lungo due-tre giorni, in cui sono stato vicinissimo alla morte.

Sentivo che stavo morendo – e i medici poi mi hanno confermato che il rischio è stato molto alto – ed ho percepito la morte come un momento in cui tutto, proprio tutto, evapora. Il corpo stesso stava evaporando, ma evaporavano anche le tante cose che facevo, i tanti progetti che avevo in testa, le cose della vita. E in questo evaporare solo due cose restavano salde, due cose che erano perciò il vero me, il mio nocciolo duro, la mia identità: una grande fiducia, che io da credente chiamo fiducia in Dio, cioè la certezza di una Presenza, e i tanti volti cari con cui ho stabilito delle relazioni”.

Ed ha tracciato il compito del cristiano, che è quello di dare la speranza: “Occorre aver fiducia anche di fronte al limite estremo, la morte. Avevo pensato alla morte, in passato, ma lì, sul letto d’ospedale, era proprio vero: io stavo per morire, cioè stavo per entrare nel limite estremo, quello che inesorabilmente è la fine di tutto. La certezza cristiana nella vita oltre quel limite estremo, la fede che ci aiuta a dire che c’è un di più, che possiamo continuare ad attenderci la vita eterna mi dava la possibilità di vivere con fiducia anche l’evaporare di tutto. E allora lì ho sentito come non mai la potenza del cristianesimo.

Il cristianesimo è veramente una sorgente di fiducia per il limite e per le possibilità meravigliose della vita umana: le due cose stanno insieme, non bisogna considerarne solo una. La fiducia che c’è un Dio che non ci molla mai e che c’è una speranza garantita, cioè che sicuramente nessun limite ci distruggerà, neppure la morte, fa sì che nessun limite ci divori, compresa una malattia o una crisi economica, un contrattempo nel rapporto con una persona, la fine di un affetto. Questo è ciò che ci permette, come cristiani, di invitare alla fiducia anche chi non crede. Noi cristiani abbiamo sempre qualcosa da portare al mondo e si accentua in modi diversi a seconda dei momenti storici”.

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