A Trieste il suicidio assistito
Lo scorso 28 novembre è morta nella sua abitazione di Trieste la prima persona ad aver avuto accesso in Italia al suicidio assistito con la completa assistenza del Servizio sanitario nazionale: ‘Anna’, nome di fantasia della 55enne, si è spenta a seguito dell’autosomministrazione di un farmaco letale: come reso noto dall’associazione Luca Coscioni, la donna affetta da sclerosi multipla secondariamente progressiva aveva fatto richiesta affinchè venisse attuata la procedura prevista dalla Corte costituzionale con la sentenza ‘Cappato-Antoniani’ con l’assistenza diretta del SSN.
Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, ha evidenziato che ‘Anna’ è “la prima persona malata che ha visto riconoscere, da parte dei medici incaricati di effettuare le verifiche sulle condizioni, che l’assistenza continua alla persona è assistenza vitale, così anche la dipendenza meccanica non esclusiva garantita attraverso l’impiego di supporto ventilatorio (Cpap) nelle ore di sonno notturno”.
La cinquantacinquenne ha sottolineato di aver scelto un nome di fantasia per il rispetto della privacy della sua famiglia: “Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché oramai sono davvero intollerabili. Voglio ringraziare chi mi ha aiutata a fare rispettare la mia volontà, la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo. Io oggi sono libera”.
Come prevedono le disposizioni dell’autorità sanitaria, si è autosomministrata il farmaco letale. Era ammalata di sclerosi multipla ormai da 13 anni. L’autorizzazione al suicidio assistito era arrivata il 26 settembre dopo un prolungato contenzioso legale. Il 4 novembre Anna aveva sollecitato l’Azienda sanitaria di Trieste di procedere con la verifica delle sue condizioni di salute per accedere al suicidio assistito dal Servizio sanitario nazionale.
Infatti il farmaco e la strumentazione sono stati forniti dal Servizio Sanitario Nazionale, a seguito dell’ordine del Tribunale di Udine. Un medico individuato dall’azienda sanitaria giuliana, su base volontaria, ha provveduto a supportare l’azione richiesta nell’ambito e con i limiti previsti dalla ordinanza cautelare pronunciata dallo stesso tribunale, il 4 luglio scorso, “e quindi senza intervenire direttamente nella somministrazione del farmaco, azione che è rimasta di esclusiva spettanza di Anna”, come ha spiegato una nota dell’associazione ‘Coscioni’.
Appena raggiunto dalla notizia della morte della signora Anna, deceduta per suicidio assistito, e con farmaci forniti dal Servizio Sanitario Nazionale, il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha pregato: “Affido Anna al Signore: Lui solo conosce quello che abbiamo nel cuore, le nostre debolezze e le nostre speranze.
Noi crediamo nel Dio della vita e a Lui affidiamo tutti i nostri defunti e pure i nostri malati, nella loro fatica di sopportare il dolore fisico (per il quale non sempre sono a disposizione le cure palliative che potrebbero essere di grande aiuto) e la sofferenza per la propria inabilità, per il dare senso alla propria condizione di grave disabilità, dell’aspettare una morte che pare tardare e accrescere l’angoscia”.
Poi il vescovo ha ricordato la nota , ‘Suicidio assistito o malati assistiti?’, della Conferenza episcopale del Triveneto sul fine vita e la pressione mediatica per l’eutanasia dello scorso ottobre: “Il suicidio assistito, come ogni forma di eutanasia, si rivela una scorciatoia: il malato è indotto a percepirsi come un peso a causa della sua malattia e la collettività finisce per giustificare il disinvestimento e il disimpegno nell’accompagnare il malato terminale.
Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte. La deriva a cui ci si espone, in un contesto fortemente tecnologizzato, è dimenticarsi che lo sforzo terapeutico non può avere come unico obiettivo il superamento della malattia quanto, piuttosto, il prendersi cura della persona malata”.
Mons. Trevisi ha concluso la riflessione incoraggiando tutti a una carezza nei confronti di chi sta male e di chi soffre una particolare situazione di vulnerabilità: “Ed in particolare di quel malato che è tentato dalla disperazione. Incoraggio tutti a un tempo intenso di condivisione con chi vive la malattia per rigenerarci insieme ad una speranza di vita vera e piena, dove non ci sono più morte, malattia e violenza”.