Cesvi: i giovani hanno il potere di plasmare i sistemi alimentari

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“All’approssimarsi del 2030, quando mancano solo 7 anni per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, quasi 750.000.000 di persone non sono in grado di far valere il proprio diritto a un’alimentazione adeguata. La fame non è una novità, e non lo sono nemmeno le cause che la determinano. La novità è che ora viviamo in un periodo di quella che è stata definita ‘policrisi’.

L’impatto combinato del cambiamento climatico, dei conflitti, delle crisi economiche, della pandemia globale e della guerra in Ucraina hanno inasprito le disuguaglianze sociali ed economiche e rallentato o fermato i precedenti progressi nella riduzione della fame in molti Paesi: così ha scritto Mathias Mogge, segretario generale di CESVI, nella prefazione al rapporto dell’Indice globale della fame, redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, organizzazioni umanitarie che fanno parte del network europeo ‘Alliance2015’.

Il rapporto evidenzia che mentre si sommano l’impatto di disastri climatici, guerre, crisi economiche e pandemie, le conseguenze ricadono soprattutto sulle persone più giovani, le cui prospettive future sono minacciate: l’instabilità alimentare attuale significa rischiare una vita adulta di povertà estrema, di soffrire la fame, di vivere in contesti incapaci di far fronte ai disastri climatici e all’intrecciarsi di altre crisi.

Ad aver di fronte lo scenario più buio sono, in particolare, le ragazze: donne e bambine rappresentano circa il 60% delle vittime della fame acuta, mentre il lavoro di assistenza non pagato le sovraccarica, tanto da triplicare la loro probabilità di non accedere a lavori retribuiti rispetto ai loro omologhi:

“Il punteggio di GHI 2023 per il mondo è 18,3, considerato moderato, meno di un punto in meno rispetto a quello di GHI 2015, pari a 19,1. Inoltre, dal 2017 la prevalenza della denutrizione, uno degli indicatori utilizzati nel calcolo dei punteggi di GHI, è aumentata e il numero di persone denutrite è passato da 572.000.000 a circa 735.000.000. L’Asia meridionale e l’Africa a Sud del Sahara sono le Regioni del mondo con i livelli di fame più alti: i loro punteggi di GHI, 27,0 ciascuna, sono indice di una fame grave.

Negli ultimi vent’anni queste due Regioni hanno costantemente registrato i più alti livelli di fame. Se entrambe hanno compiuto notevoli progressi tra il 2000 e il 2015, a partire dal 2015 hanno vista la riduzione della fame arenarsi, in linea con la tendenza osservata per il mondo nel suo complesso”.

Il cambiamento climatico ha un impatto diretto e significativo sull’insicurezza alimentare: all’aumentare di temperature e disastri climatici, crescono la difficoltà e l’incertezza nel produrre alimenti. Gli effetti sono particolarmente evidenti nei Paesi poveri e sulla salute dei loro abitanti: il 75% di chi vive in povertà nelle zone rurali si affida alle risorse naturali, come foreste e oceani per la sopravvivenza, essendo quindi particolarmente vulnerabile ai disastri;

inoltre, stima il World Food Program, l’80% delle persone che soffrono la fame sul Pianeta vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. Secondo la Banca mondiale, dal 2019 al 2022 il numero di persone che vivono in insicurezza alimentare è aumentato da 135.000.000 a 345.000.000, sotto l’effetto combinato delle varie crisi ed emergenze, come ha evidenziato Gloria Zavatta, presidente di Fondazione CESVI:

“La sovrapposizione delle crisi sta intensificando le diseguaglianze sociali ed economiche, vanificando i progressi sulla fame, mentre il peso più grave è sui gruppi più vulnerabili, come donne e giovani. I giovani devono avere un ruolo centrale nei processi decisionali, mentre il diritto al cibo va posto al centro delle politiche e dei progressi di governance dei sistemi alimentari.

Nei prossimi anni è previsto che il mondo affronti un numero crescente di shock, provocati soprattutto dai cambiamenti climatici. L’efficacia della preparazione e della capacità di risposta alle catastrofi è destinata a diventare sempre più centrale dal punto di vista della sicurezza alimentare”.

Dopo che i passi avanti nella lotta alla fame si sono interrotti nel 2015, il punteggio di GHI 2023 per il mondo è 18,3, considerato moderato, meno di un punto in meno dal 2015 (19,1), e dal 2017 il numero di persone denutrite è aumentato da 572.000.000 a 735.000.000. Le regioni con i dati peggiori sono Asia meridionale e Africa Subsahariana (27,0 per entrambe, ossia fame grave): negli ultimi vent’anni hanno costantemente registrato i più alti livelli di fame e, dopo i progressi dal 2000, nel 2015 la situazione è entrata in stallo.

Nel 2023 in nove Paesi la fame è allarmante: Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen. In altri 34 Paesi è grave. In 18 nazioni dal 2015 la fame è aumentata (situazioni moderate, gravi o allarmanti) e in altri 14 il calo è stato trascurabile (inferiore al 5%). Al ritmo attuale, 58 Paesi non raggiungeranno un livello di fame basso entro il 2030.

A destare le maggiori preoccupazioni nel 2023 sono Afghanistan, Haiti, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Yemen, oltre a Burkina Faso e Mali nel Sahel: tra i fattori chiave ci sono conflitti e cambiamento climatico, nonché la recessione economica. In sette Paesi il miglioramento è superiore al 5% dal 2015: Bangladesh, Ciad, Gibuti, Mozambico, Nepal, Laos e Timor Est.

E le vittime sono le persone giovani: una su cinque non lavora, né è impegnata in corsi di studio o formazione, mentre la pandemia di COVID-19 ha causato la perdita di milioni di posti di lavoro, colpendo in particolarmente la fascia giovanile, che anche quando lavora ha il doppio delle probabilità degli adulti di vivere in povertà estrema, con meno di 1,90 dollari al giorno, e molte più probabilità di essere impiegata in modo informale.

Questo quadro è ancora più fosco per le ragazze, su cui continua a ricadere il lavoro di assistenza non retribuito, che sottrae loro tempo, energie e opportunità per la propria formazione e per accedere a impieghi retribuiti. Inoltre entro la metà del secolo la fame potrebbe spingere fino a 158.300.000 donne e ragazze in più nella povertà (16.000.000 in più rispetto a uomini e ragazzi), mentre l’insicurezza alimentare colpirà almeno 236.000.000 in più di donne e ragazze (rispetto ai 131.000.000 di omologhi).

Al tasso attuale di progressi sul divario di genere nel mondo, inoltre, la prossima generazione di donne dedicherà ancora al lavoro non pagato di cura e domestico 2,3 ore in più dei maschi.

In Asia meridionale i tassi di sottonutrizione infantile sono preoccupanti e la denutrizione della popolazione in generale è elevata. Il tasso di deperimento infantile è del 14,8%, il più alto al mondo, più del doppio dell’Africa subsahariana (6,0%). Un fattore centrale è il cattivo stato nutrizionale materno.

L’Africa a Sud del Sahara ha il livello di denutrizione (21,7%, in forte aumento dal 16,8% del 2010-2012) e il tasso di mortalità infantile (7,4%) più alti al mondo: ad aumentare l’insicurezza alimentare è il cambiamento climatico, visto che nella regione si verificano in modo sproporzionato disastri che impattano su agricoltura e sicurezza alimentare, assieme a fattori come la pandemia di Covid-19 e la guerra russo-ucraina.

L’Africa è l’unica zona al mondo dove si prevede un aumento significativo del numero di persone denutrite: dai 282.000.000 del 2022 a 298.000.000 nel 2030. Asia occidentale e Nord Africa hanno il terzo punteggio di GHI 2023 più alto (11,9, moderato), con i dati più elevati in Yemen e Siria (39,9 e 26,1), entrambi devastati da conflitti armati.

Preoccupa il peggioramento in America Latina e Caraibi dal 2015, dove in nove Paesi la fame è aumentata: Argentina, Bolivia, Brasile, Costa Rica, Ecuador, Haiti, Paraguay, Trinidad e Tobago e Venezuela. Il costo medio di una dieta sana nella regione è il più alto al mondo, così come lo è la disuguaglianza di reddito, e il costo degli alimenti è in aumento.

In Asia orientale e Sud-est asiatico si trova il secondo punteggio di GHI 2023 più basso: per Corea del Nord, Papua Nuova Guinea e Timor Est i livelli sono gravi, moderati in vari Paesi, bassi in Cina, Figi e Mongolia.

L’Italia non è immune agli shock climatici, trovandosi nella regione Mediterranea, uno degli ‘hotspot’ del cambiamento climatico, con un riscaldamento che supera del 20% l’incremento medio globale e con una forte riduzione delle precipitazioni.

Secondo le previsioni, nel 2050 nei giorni di forte pioggia l’intensità delle precipitazioni aumenterà in ogni scenario, mentre le notti tropicali in cui la temperatura non scende mai sotto i 20°C arriveranno fino a 18 in un anno e i giorni consecutivi senza pioggia aumenteranno, alimentando gli incendi.

Nelle città, i cambiamenti climatici amplificano i rischi per la salute, con aumento della mortalità e dei casi di malattie cardiovascolari e respiratorie. Questo mentre nel 2080 calerà fino a -40% la portata di acqua nei fiumi e nei prossimi decenni il rischio d’incendi salirà del 20%.

Il punteggio GHI di ogni Paese è calcolato sulla base di una formula che combina quattro indicatori che insieme riflettono la natura multidimensionale della fame: denutrizione attraverso la percentuale di popolazione denutrita; arresto della crescita infantile attraverso la percentuale di bambini di età inferiore ai cinque anni che ha un’altezza insufficiente in rapporto all’età, che è indice di sottonutrizione cronica;

deperimento infantile, attraverso la percentuale di bambini di età inferiore ai cinque il cui peso è insufficiente in rapporto all’altezza, che è indice di sottonutrizione acuta; mortalità infantile attraverso il tasso di mortalità tra i bambini al di sotto dei cinque anni, che riflette parzialmente la fatale combinazione di un’alimentazione insufficiente e di ambienti insalubri.

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