Giovanni Paolo II: no al terrorismo ed ai conflitti armati

Condividi su...

45 anni fa, in piazza San Pietro, è risuonato ‘Habemus Papam!’, con l’annuncio che un cardinale polacco di Cracovia era stato eletto papa. Che pronunciò tali parole: “siamo ancora tutti addolorati dopo la morte del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo I. Ed ecco che gli Eminentissimi Cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma.

Lo hanno chiamato da un paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana. Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l’ho fatto nello spirito dell’ubbidienza verso Nostro Signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso la sua Madre, la Madonna Santissima.

Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete. E così mi presento a voi tutti, per confessare la nostra fede comune, la nostra speranza, la nostra fiducia nella Madre di Cristo e della Chiesa, e anche per incominciare di nuovo su questa strada della storia e della Chiesa, con l’aiuto di Dio e con l’aiuto degli uomini”.

Però al termine del pontificato anche san Giovanni Paolo II si trovò ad affrontare situazioni drammatiche, come la guerra in Iraq, e molte volte disse che la guerra ‘può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni’, ma non fu ascoltato; anzi fu maltrattato dai governi occidentali.

E nel 2003 ai diplomatici ribadì e giustificò che la guerra era un’avventura ‘senza ritorno’: “La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell’uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi. Dico questo pensando a coloro che ripongono ancora la loro fiducia nell’arma nucleare e ai troppi conflitti che tengono ancora in ostaggio nostri fratelli in umanità”.

Ed anche in quel periodo il pensiero era rivolto al Medio Oriente: “A Natale, Betlemme ci ha richiamato la crisi non risolta del Medio Oriente dove due popoli, quello israeliano e quello palestinese, sono chiamati a vivere fianco a fianco, ugualmente liberi e sovrani, rispettosi l’uno dell’altro.

Senza dover ripetere ciò che dicevo l’anno scorso in questa stessa circostanza, mi accontenterò oggi di aggiungere, davanti al costante aggravarsi della crisi mediorientale, che la sua soluzione non potrà mai essere imposta ricorrendo al terrorismo o ai conflitti armati, ritenendo addirittura che vittorie militari possano essere la soluzione”.

Denunciò anche la grande ‘voglia’ occidentale di annientare l’Iraq: “E che dire delle minacce di una guerra che potrebbe abbattersi sulle popolazioni dell’Iraq, terra dei profeti, popolazioni già estenuate da più di dodici anni di embargo?

Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni. Come ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, né vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari”.

Mentre qualche mese più tardi nel messaggio per la pace per il 2004, ‘Un impegno sempre attuale: educare alla pace’, scrisse che con il rispetto del diritto si raggiunge la pace: “Al termine di queste considerazioni ritengo, però, doveroso ricordare che, per l’instaurazione della vera pace nel mondo, la giustizia deve trovare il suo completamento nella carità.

Certo, il diritto è la prima strada da imboccare per giungere alla pace. Ed i popoli debbono essere educati al rispetto di tale diritto. Non si arriverà però al termine del cammino, se la giustizia non sarà integrata dall’amore. Giustizia e amore appaiono, a volte, come forze antagoniste.

In verità, non sono che le due facce di una medesima realtà, due dimensioni dell’esistenza umana che devono vicendevolmente completarsi. E’ l’esperienza storica a confermarlo. Essa mostra come la giustizia non riesca spesso a liberarsi dal rancore, dall’odio e perfino dalla crudeltà. Da sola, la giustizia non basta. Può anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza più profonda che è l’amore”.

Inoltre non si può dimenticare l’Angelus di domenica 16 marzo 2003: “Certo, i Responsabili politici di Baghdad hanno l’urgente dovere di collaborare pienamente con la comunità internazionale, per eliminare ogni motivo d’intervento armato. A loro è rivolto il mio pressante appello: le sorti dei loro concittadini abbiano sempre la priorità!

Ma vorrei pure ricordare ai Paesi membri delle Nazioni Unite, ed in particolare a quelli che compongono il Consiglio di Sicurezza, che l’uso della forza rappresenta l’ultimo ricorso, dopo aver esaurito ogni altra soluzione pacifica, secondo i ben noti principi della stessa Carta dell’ONU.

Ecco perché, di fronte alle tremende conseguenze che un’operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne, dico a tutti: c’è ancora tempo per negoziare; c’è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare. Riflettere sui propri doveri, impegnarsi in fattivi negoziati non significa umiliarsi, ma lavorare con responsabilità per la pace”.  

Di fronte a tali parole dai governanti ci fu un clamoroso dissenso ed a distanza di anni si ripete la stessa situazione.

Free Webcam Girls
151.11.48.50