Palermo ha ricordato il beato Pino Puglisi

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Una fiaccolata lungo le vie del quartiere Brancaccio per fare memoria del sacrificio e del martirio di don Pino Puglisi e per continuare a seminare speranza: l’itinerario, nella sera di giovedì 14 settembre, si è snodato dalla piazzetta Padre Pino Puglisi (nel luogo dove il parroco di Brancaccio trovò la morte per mano mafiosa) sino a via Fichi d’India, lì dove sorgerà il nuovo complesso parrocchiale, guidata dall’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice:

“Mi chiedete se Brancaccio c’è io vi dico che Padre Pino Puglisi è presente attraverso noi. Noi dobbiamo porre i segni, proprio come diceva don Pino. Palermo, con il sangue versato dai martiri della giustizia e della fede, ha avuto modo di acquisire una coscienza civile, ma rientriamo anche nel quotidiano e nel feriale. Dobbiamo aprire un varco nel cuore”.

Mentre su L’Osservatore Romano ha tratteggiato un ricordo: “Don Pino ha educato sempre i giovani al rispetto della creazione, li ha fatti crescere col senso della bellezza e della sacralità di ogni forma di vita, di fronte al quotidiano culto della morte in cui, soprattutto nel quartiere Brancaccio, erano immersi.

Don Pino ha interpretato il proprio dimorare in un luogo dominato dalla mafia, dal suo potere e dalla sua logica, come un ascolto infinito del bisogno e del grido inespresso di un popolo, in attesa di una liberazione dall’oppressione e dalla schiavitù mafiose che sfigurano il volto degli umani e riducono le persone a sudditi”.

E nel giorno del suo assassinio, ringraziando il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi per la concelebrazione eucaristica, ha sottolineato il saper ascoltare le persone:“Don Pino è stato uomo e prete di ascolto. Ascolto del suo Vescovo, a cui ha sempre obbedito con umiltà e docilità filiale; ascolto dei confratelli, con cui ha sempre collaborato fattivamente; ascolto di quanti hanno lavorato accanto a lui (fedeli laici, consacrate, uomini e donne di buona volontà)…

L’ascolto profondo rendeva Padre Puglisi partecipe della vita della sua gente, spingendolo anche a partecipare alle manifestazioni di protesta contro le ingiustizie. Perché la fedeltà alle persone era la sua stella polare, soprattutto i poveri, gli scarti umani che producono le nostre città. E poi don Pino educava i bambini, i ragazzi ad ascoltare sé stessi e il Creato, prima Parola di Dio che a Dio porta”.

Nell’omelia il card. Zuppi ha sottolineato che la santità si diffonde senza clamore: “E’ sempre così la santità: si diffonde da sola e fa sentire amico e vicino chi la trasmette. Questa è la comunione dei santi, legame affettivo che ci unisce e supera il tempo e le distanze, generativa di vita e di amore. La Chiesa è comunione tra i suoi figli e tra la comunità del cielo e quella della terra.

La voce di Padre Pino, schiva ma chiarissima, non urlata, non esibita, da innamorato di Cristo che per questo faceva innamorare del Vangelo, ci incoraggia a spenderci per il bene e richiama le nostre coscienze assopite o pavide a non abituarci o giustificare atteggiamenti e sistemi ingiusti, disumani e non cristiani.

Il male lo vincono gli umili e i semplici. Padre Pino lo ha vinto anche con il sorriso, che ricorda la gentilezza indicata da papa Francesco come il primo modo per essere fratelli tutti. Il sorriso mette a proprio agio il prossimo, fa sentire chi lo riceve accolto e libera dal sussiego e dall’alterigia chi si prende troppo sul serio invece di prende sul serio l’altro”.

P. Puglisi ‘amava’ ed ha dato la vita per i ragazzi: “Padre Pino con il sorriso disarmato disarmava e dava cuore a chi incontrava, creava casa. Non era un prete antimafia secondo le etichette sociali e mediatiche. Peraltro, un cristiano, se è tale, è sempre contro le mafie! Era un prete, un prete buono, un cristiano, che divorava la Parola di Dio e non si è mai stancato di spezzarla per tutti e, proprio perché uomo di preghiera, combatteva per la libertà dei suoi ragazzi.

Non condannava nessuno, ma cercava di salvare tutti come poteva, più che poteva. Non si è mai risparmiato. Amava farsi aiutare da tanti, chiedendo a ciascuno di fare un pezzo, il proprio, dando valore a questo. E lui era sempre il primo a fare la sua parte”.

Questa è la differenza che rende santi: “Ecco la differenza tra il protagonista e l’umile lavoratore: il primo si serve degli altri, il secondo li serve; uno brilla di luce e la tiene per sé, il secondo accende di luce il fratello e la dona a chi è nel buio. Il primo ha sempre bisogno di farsi vedere, l’altro vuole far vedere chi non è visto, far parlare chi non è ascoltato, far conoscere la sofferenza che non trova comprensione”.

(Foto: arcidiocesi  di Palermo)

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