Papa Francesco: operare per il bene comune

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Prima di intraprendere il viaggio apostolico in Mongolia papa Francesco ha inviato un messaggio agli imprenditori francesi, riuniti fino ad ieri presso l’ippodromo di Longchamp (Parigi), il cui testo è stato letto da mons. Matthieu Rougé, vescovo di Nanterre, in cui ha affermato che anche gli imprenditori operano per il bene comune:

“In effetti, non è possibile oggi immaginare un miglioramento del Bene comune, ossia della vita economica e sociale, della giustizia, delle condizioni di vita dei più poveri, se non si considerano gli imprenditori attori dello sviluppo e del benessere. Voi siete un motore essenziale della ricchezza, della prosperità, della felicità di tutti”.

Il papa ha sottolineato che il momento attuale non è facile: “Il periodo che stiamo attraversando non è facile per nessuno, e anche il mondo imprenditoriale soffre, a volte molto: per diverse ragioni, in particolare per questa guerra assurda e, ancor prima, per gli anni molto difficili della pandemia.

Gli imprenditori soffrono quando la loro azienda soffre, e soffrono molto quando l’azienda fallisce e deve chiudere. I media parlano poco delle difficoltà e del dolore degli imprenditori che chiudono la propria azienda e falliscono non per colpa loro”.

E la Chiesa non ha escluso i mercanti: “Il libro di Giobbe ci insegna che la sventura non è sinonimo di errore perché colpisce anche i giusti, e che il successo non è direttamente sinonimo di virtù e di bontà. La disgrazia colpisce sia i buoni sia i cattivi. La Chiesa comprende la sofferenza del buon imprenditore, comprende la vostra sofferenza.

Essa l’accoglie, vi accompagna, vi ringrazia. Fin dall’inizio, la Chiesa ha anche accolto nel suo seno i mercanti, i precursori degli imprenditori moderni. Nella Bibbia e nei Vangeli, si parla spesso di soldi, di commercio, e tra i racconti più belli della storia della salvezza si trovano anche brani che parlano di economia: di dracme, di talenti, di proprietari terrieri, di amministratori, di perle preziose”.

Quindi anche l’imprenditore è un lavoratore: “Vive del suo lavoro, vive lavorando, e rimane imprenditore finché lavora. Quando l’imprenditore smette di lavorare, si trasforma in speculatore o in possidente e cambia mestiere. Il buon imprenditore, come il ‘buon pastore’ del Vangelo, al contrario del ‘mercenario’, conosce i suoi lavoratori perché conosce il loro lavoro…

Voi siete diventati imprenditori perché un giorno siete rimasti affascinati dall’odore del laboratorio, dalla gioia di toccare con le vostre mani i vostri prodotti, dalla soddisfazione di vedere che i vostri servizi sono utili: non dimenticatelo mai, è così che è nata la vostra vocazione. E in questo assomigliate a Giuseppe, a Gesù che ha trascorso parte della sua vita a lavorare come artigiano: ‘il Verbo si è fatto falegname’. Conosceva l’odore del legno”.

E le ‘sfide’ hanno bisogno di nuovi imprenditori: “Oggi le nuove sfide della nostra complessa società non possono essere affrontate senza dei buoni imprenditori. Voi potete vivere il vostro lavoro come una vocazione, come un compito morale, come un destino esistenziale.

Ma un’impresa non basta, l’economia è troppo poco per voi: la vostra creatività e la vostra innovazione sono altrettanto necessarie nella società civile, nelle comunità, nella cura del creato. Senza nuovi imprenditori, la nostra terra non resisterà all’impatto del capitalismo”.

Mentre ai partecipanti del 60^ congresso dei tossicologici forensi ha sottolineato il grave abuso delle droghe: “Il fenomeno dell’abuso di stupefacenti e di sostanze psicotrope continua a destare allarme e preoccupazione, specialmente per la crescita del consumo che si registra tra gli adolescenti e i giovani e, di conseguenza, per l’incremento delle vendite di droga sulle ‘piazze digitali’ del dark web.

L’adolescenza e l’età giovanile, come sappiamo, costituiscono fasi particolarmente delicate nella vita di ogni persona, caratterizzate da notevoli mutamenti a livello fisico, emotivo e sociale”.

E tutto ciò si riversa nei giovani: “Non si può dimenticare, poi, che dietro a ogni dipendenza ci sono vissuti concreti, storie di solitudine, disuguaglianza, esclusione, mancata integrazione. Di fronte a queste situazioni non possiamo essere indifferenti.

Il Signore Gesù si è fermato, si è fatto vicino, ha curato le piaghe. Sullo stile della sua prossimità siamo chiamati anche noi ad agire, a fermarci davanti alle situazioni di fragilità e di dolore, a saper ascoltare il grido della solitudine e dell’angoscia, a chinarci per sollevare e riportare a nuova vita coloro che cadono nella schiavitù della droga”.

(Foto: Santa Sede)

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