Storie di donne dall’Afghanistan

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Il 15 agosto del 2021 i talebani riprendevano definitivamente il controllo di Kabul, capitale dell’Afghanistan, ripristinando il loro dominio sul paese dopo 20 anni di presenza occidentale. L’esercito regolare afghano, fedele al governo civile di Ashraf Ghani e addestrato dalle forze occidentali, sembrò sciogliersi come neve al sole di fronte all’offensiva dei talebani, disarcionati dall’invasione a guida USA nel paese iniziata il 7 ottobre 2001.

Con la caduta di Kabul si concludevano bruscamente due decenni di intervento occidentale, soprattutto statunitense, nel paese centrasiatico, dove l’amministrazione di George W. Bush aveva deciso di avviare la parte più consistente della ‘War on Terror’ dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York e Washington.

Il ritorno dei talebani ha riportato l’Afghanistan a una situazione che presenta molte somiglianze rispetto al periodo pre-invasione. Il movimento islamico fondamentalista, colpito dagli USA perché accusato di connivenza con Al-Qaida e il suo leader Osama Bin Laden, ha annunciato poche ore dopo la presa di Kabul la nascita dell’Emirato islamico dell’Afghanistan e il ripristino come legge vigente della Shari’a, nella sua interpretazione più rigida e fondamentalista.

Il ritorno al potere dei talebani ha provocato un lento ma deciso deterioramento nel quadro dei diritti personali e civili. A pagare il prezzo più alto sono state le donne.

Ed Amnesty International, attraverso un accurato lavoro di ricerca, ha documentato la repressione violenta delle proteste pacifiche, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, la sistematica persecuzione contro le donne e le ragazze. Dal 15 agosto 2021, quando hanno preso il potere in Afghanistan, i talebani hanno avviato una nuova era di violenze e violazioni dei diritti umani:

“Oggi, due anni dopo, il paese è sull’orlo di una rovina irreversibile. I talebani, che sono le autorità di fatto del paese,  hanno commesso un’infinità di violenze e violazioni dei diritti umani in totale impunità. In due anni, hanno sistematicamente smantellato le istituzioni chiave per la protezione dei diritti umani e represso la libertà di espressione, associazione, il diritto a un processo equo e altri diritti umani.

I diritti fondamentali delle donne e delle ragazze sono stati soppressi. Migliaia di persone sono state arbitrariamente arrestate, torturate, rapite e persino uccise: esponenti del giornalismo, dello sport e dell’arte, attiviste, difensori dei diritti umani, accademici e accademiche, minoranze religiose ed etniche restano particolarmente a rischio.

I diritti umani sono sotto attacco su tutti i fronti. Mentre la popolazione afgana continua a sfidare questa tempesta, noi dobbiamo essere al suo fianco e difendere il suo diritto a vivere in libertà, dignità e uguaglianza”.

La campagna di persecuzione dei talebani ha ristretto sempre di più lo spazio sociale, culturale e di vita delle donne. Fin da subito, le donne sono state escluse dai ruoli politici e dalla maggior parte degli impieghi nel settore pubblico. Dal 17 settembre 2021 le ragazze sopra i 12 anni non possono più studiare:

“Molte donne non possono più uscire di casa o viaggiare senza la supervisione di un uomo. Nel 2022 le restrizioni aumentano a dismisura: le donne non possono più frequentare l’università, i parchi, le palestre, persino i bagni femminili.

Alle giornaliste viene imposto il divieto di mostrare il volto, le donne non possono più lavorare nelle Ong locali o internazionali. Nel 2023 chiudono anche i saloni di bellezza: viene così chiuso uno dei pochi settori lavorativi rimasti accessibili alle donne”.

Nel 2023, l’Afghanistan è stato classificato al 156° posto su 180 paesi nell’Indice mondiale della libertà di stampa di Reporter senza frontiere. Molti giornalisti sono stati arrestati, picchiati e torturati, solo per aver cercato di raccontare quello che stava succedendo nel Paese, come ha raccontato Yunis (pseudonimo), giornalista e attivista della società civile:

“Sono stato trattenuto per diversi giorni. Sono stato picchiato e frustato così forte sulle gambe che non riuscivo a stare in piedi. La mia famiglia aveva sentito da passanti che ero stato rapito dai talebani ma non avevano idea di dove fossi”.

Mentre l’ong ‘Nove’ ha raccontato alcune storie di donne afgane, come quella di Aida: “Quando mi sono sposata avevo 12 anni. Dopo la morte di mio padre, mia madre si è risposata e il suocero l’ha costretta a darmi in moglie un uomo di 74 anni. Ero piccola e non mi ricordo molto di quel periodo. Volevo andare a scuola, mio marito era d’accordo, ma vivevamo in campagna e la scuola era lontana, così sono rimasta analfabeta”.

Durante i combattimenti Aida è stata ferita a una mano. La lesione non era molto grave ma non avevano soldi per comprare le medicine ed è subentrata una infezione. Quando è riuscita a raggiungere un ospedale era troppo tardi, la mano è stata amputata.

Aida oggi ha 27 anni, è vedova, ha quattro figli sotto i 12 anni ed una bambina di 8 anni, che li ha cresciuti con amore cercando di dargli tutto il possibile. La situazione nella sua zona non era migliorata molto negli anni e non voleva che subissero come lei menomazioni fisiche o culturali:  “Nella nostra provincia correvano dei pericoli e non potevano andare a scuola, sarebbero rimasti analfabeti come me”. 

Per Aida e il marito l’istruzione dei figli era molto importante perciò hanno deciso di trasferirsi a Kabul, anche se questo significava affrontare pesanti sacrifici e vivere tutti in una piccola stanza in affitto: “Mio marito è morto qualche anno fa, prima che tornassero i talebani.

Siamo riusciti ad andare avanti grazie all’aiuto del governo e soprattutto di parenti e amici, che ci regalavano cibo e vestiti”. Con il nuovo regime talebano la popolazione afghana è sprofondata ancora di più nella povertà. Nessuno ce la fa più ad aiutare Aida che, invalida e analfabeta, non ha speranza di trovare lavoro.

Altra storia: prima dell’agosto 2021 Meena lavorava in un ufficio. Con il ritorno dei Talebani si è trovata da un giorno all’altro senza lavoro e senza soldi. Di fatto senza futuro. Ma non poteva e non voleva restare ferma. Attraverso il passaparola ha conosciuto i corsi di formazione e business per l’avviamento professionale organizzati dall’ong ‘Nove’. Alcune donne che li frequentavano volevano diventare sarte, altre estetiste. Meena ha scelto la pasticceria.

Ha avviato insieme a sua figlia Fatima la sua bakery in casa e gli ordini hanno cominciato ad arrivare. Soprattutto biscotti e torte di compleanno: “Sono ai fornelli tutto il giorno. Mia figlia, che ha 18 anni, voleva continuare a studiare ma non ha potuto, così ora sto insegnando anche lei. Mio figlio invece ci aiuta con le consegne a domicilio”.

Meena ha creato la sua attività dal nulla, con pochissima attrezzatura a disposizione. Eppure dopo qualche mese andava già così bene che è riuscita a spostarla in un locale in affitto, e anche ad aiutare altre donne.

A causa dei divieti talebani, moltissime donne capofamiglia non possono più procurarsi da vivere e sfamare i loro bambini, tante sono state anche costrette a chiedere l’elemosina in strada. Meena finora ha dato lavoro a quindici donne.

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