Papa Francesco ringrazia i sacerdoti romani per il loro ministero

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Da Lisbona, nel giorno della Dedicazione della basilica Lateranense, papa Francesco ha scritto una lettera ai sacerdoti romani, con un pensiero di ringraziamento, facendo proprio l’invito di Gesù ai discepoli a ‘riposarsi’: “Abbiamo bisogno di scambiarci sguardi pieni di cura e compassione, imparando da Gesù che così guardava gli apostoli, senza esigere da loro una tabella di marcia dettata dal criterio dell’efficienza, ma offrendo attenzioni e ristoro…

Penso a voi, in questo momento in cui ci può essere, insieme alle attività estive, anche un po’ di riposo dopo le fatiche pastorali dei mesi scorsi. E vorrei anzitutto rinnovarvi il mio grazie: Grazie per la vostra testimonianza, grazie per il vostro servizio; grazie per tanto bene nascosto che fate, grazie per il perdono e la consolazione che regalate in nome di Dio…; grazie per il vostro ministero, che spesso si svolge tra tante fatiche, incomprensioni e pochi riconoscimenti”.

Il papa ha sottolineato che il ministero sacerdotale si misura con la tenerezza: “D’altronde, il nostro ministero sacerdotale non si misura sui successi pastorali (il Signore stesso ne ha avuti, col passare del tempo, sempre di meno!). Al cuore della nostra vita non c’è nemmeno la frenesia delle attività, ma il rimanere nel Signore per portare frutto. E’ Lui il nostro ristoro”.

D’altra parte la tenerezza scaturisce dalla misericordia: “E la tenerezza che ci consola scaturisce dalla sua misericordia, dall’accogliere il ‘magis’ della sua grazia, che ci permette di andare avanti nel lavoro apostolico, di sopportare gli insuccessi e i fallimenti, di gioire con semplicità di cuore, di essere miti e pazienti, di ripartire e ricominciare sempre, di tendere la mano agli altri.

Infatti, i nostri necessari ‘momenti di ricarica’ non avvengono solo quando ci riposiamo fisicamente o spiritualmente, ma anche quando ci apriamo all’incontro fraterno tra di noi: la fraternità conforta, offre spazi di libertà interiore e non ci fa sentire soli davanti alle sfide del ministero”.

Riprendendo la ‘Meditazione sulla Chiesa di p. De Lubac’ il papa ha ribadito che “la mondanità spirituale, infatti, è pericolosa perché è un modo di vivere che riduce la spiritualità ad apparenza: ci porta a essere ‘mestieranti dello spirito’, uomini rivestiti di forme sacrali che in realtà continuano a pensare e agire secondo le mode del mondo. Ciò accade quando ci lasciamo affascinare dalle seduzioni dell’effimero, dalla mediocrità e dall’abitudinarietà, dalle tentazioni del potere e dell’influenza sociale.

E, ancora, da vanagloria e narcisismo, da intransigenze dottrinali ed estetismi liturgici, forme e modi in cui la mondanità ‘si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa’, ma in realtà ‘consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale’. Come non riconoscere in tutto ciò la versione aggiornata di quel formalismo ipocrita, che Gesù vedeva in certe autorità religiose del tempo e che nel corso della sua vita pubblica lo fece soffrire forse più di ogni altra cosa?”

E la mondanità si trasforma anche in clericalismo: “Scusate se lo ribadisco, ma da sacerdoti penso che mi capiate, perché anche voi condividete ciò in cui credete in modo accorato, secondo quel bel tratto tipicamente romano (romanesco!) per cui la sincerità delle labbra proviene dal cuore, e sa di cuore!

Ed io, da anziano e dal cuore, sento di dirvi che mi preoccupa quando ricadiamo nelle forme del clericalismo; quando, magari senza accorgercene, diamo a vedere alla gente di essere superiori, privilegiati, collocati ‘in alto’ e quindi separati dal resto del Popolo santo di Dio. Come mi ha scritto una volta un bravo sacerdote, ‘il clericalismo è sintomo di una vita sacerdotale e laicale tentata di vivere nel ruolo e non nel vincolo reale con Dio e i fratelli’.

Denota insomma una malattia che ci fa perdere la memoria del Battesimo ricevuto, lasciando sullo sfondo la nostra appartenenza al medesimo Popolo santo e portandoci a vivere l’autorità nelle varie forme del potere, senza più accorgerci delle doppiezze, senza umiltà ma con atteggiamenti distaccati e altezzosi”.

La lettera del papa è un invito a fissare Gesù: “Abbiamo bisogno di guardare proprio a Gesù, alla compassione con cui Egli vede la nostra umanità ferita, alla gratuità con cui ha offerto la sua vita per noi sulla croce. Ecco l’antidoto quotidiano alla mondanità e al clericalismo: guardare Gesù crocifisso, fissare gli occhi ogni giorno su di Lui che ha svuotato sé stesso e si è umiliato per noi fino alla morte. Egli ha accettato l’umiliazione per rialzarci dalle nostre cadute e liberarci dal potere del male”.

Fissare lo sguardo su Gesù vuol dire essere vigilanti: “Così, guardando le piaghe di Gesù, guardando Lui umiliato, impariamo che siamo chiamati a offrire noi stessi, a farci pane spezzato per chi ha fame, a condividere il cammino di chi è affaticato e oppresso. Questo è lo spirito sacerdotale: farci servi del Popolo di Dio e non padroni, lavare i piedi ai fratelli e non schiacciarli sotto i nostri piedi.

Restiamo dunque vigilanti verso il clericalismo. Ci aiuti a starne lontano l’Apostolo Pietro che, come ci ricorda la tradizione, anche nel momento della morte si è umiliato a testa in giù pur di non essere all’altezza del suo Signore. Ce ne preservi l’Apostolo Paolo, che a motivo di Cristo Signore ha considerato tutti i guadagni della vita e del mondo come spazzatura”.

La lettera è un invito a vincere lo scoraggiamento: “In tutto ciò, nelle nostre fragilità e nelle nostre inadeguatezze, così come nella crisi odierna della fede, non scoraggiamoci!.. Fratelli, questa è la speranza che sostiene i nostri passi, alleggerisce i nostri pesi, ridà slancio al nostro ministero.

Rimbocchiamoci le maniche e pieghiamo le ginocchia (voi che potete!): preghiamo lo Spirito gli uni per gli altri, chiediamogli di aiutarci a non cadere, nella vita personale come nell’azione pastorale, in quell’apparenza religiosa piena di tante cose ma vuota di Dio, per non essere funzionari del sacro, ma appassionati annunciatori del Vangelo, non ‘chierici di Stato’, ma pastori del popolo. Abbiamo bisogno di conversione personale e pastorale”.

Ed ha affidato i sacerdoti alla protezione della Madre di Dio: “Davanti all’immagine della Salus Populi Romani ho pregato per voi. Ho chiesto alla Madonna di custodirvi e di proteggervi, di asciugare le vostre lacrime segrete, di ravvivare in voi la gioia del ministero e di rendervi ogni giorno pastori innamorati di Gesù, pronti a dare la vita senza misura per amore suo. Grazie per quello che fate e per quello che siete. Vi benedico e vi accompagno con la preghiera. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me”.

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