Papa Francesco invita i giovani a creare una nuova ‘coreografia’
In questa mattinata del secondo giorno di permanenza in terra lusitana papa Francesco ha avuto due incontri con il mondo studentesco ed universitario, accolto all’Università Cattolica dal rettore, prof.ssa Isabel Cappeloa Gil, che ha raccontato la storia dell’università, sorta dalla Facoltà di Filosofia della Compagnia di Gesù a Braga:
“Per definizione, l’università è uno spazio di ricerca, di dialogo e di accoglienza. Davanti a realtà segnate dall’esclusione e dalla disuguaglianza, in un’epoca di incertezza, l’università si leva come custode della speranza, il che significa promuovere la capacità di sognare, aiutare a discernere, ascoltare le voci che ci circondano, ascoltare il tempo e intervenire in esso, difendere la dignità delle donne e degli uomini e credere alla loro capacità di trasformazione.
Nella nostra attività si coniugano la ricerca della conoscenza per migliorare la condizione umana, il discernimento etico che guida la possibilità di selezionare e agire, la cura della bellezza e del gesto estetico che è pure ricerca del senso nel mondo”.
E, dopo aver ascoltato le testimonianze dei giovani, papa Francesco li ha invitati a non temere l’inquietudine: “Non dobbiamo aver paura di sentirci inquieti, di pensare che quanto facciamo non basti. Essere insoddisfatti, in questo senso e nella giusta misura, è un buon antidoto contro la presunzione di autosufficienza e contro il narcisismo.
L’incompletezza caratterizza la nostra condizione di cercatori e pellegrini; come dice Gesù, ‘siamo nel mondo, ma non siamo del mondo’. Siamo in cammino verso… Siamo chiamati a qualcosa di più, a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro, com saudade do futuro!”
E’ un invito ad aprirsi al ‘futuro’: “E qui, insieme alla saudade do futuro, non dimenticatevi di mantenere viva la memoria del futuro. Non siamo malati, siamo vivi! Preoccupiamoci piuttosto quando siamo disposti a sostituire la strada da fare col fare sosta in qualsiasi punto di ristoro, purché ci dia l’illusione della comodità;
quando sostituiamo i volti con gli schermi, il reale con il virtuale; quando, al posto delle domande che lacerano, preferiamo le risposte facili che anestetizzano. E le possiamo trovare in qualsiasi manuale sui rapporti sociali, su come comportarsi bene. Le risposte facili anestetizzano”.
Quello del papa è stato un chiaro invito a ‘rischiare’: “In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo.
Ci vuole coraggio per pensare questo. Siate dunque protagonisti di una ‘nuova coreografia’ che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita… Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!”
Il papa ha sollecitato i giovani all’impegno: “Esperienze di servizio fraterno come la ‘Missão País’ e molte altre che nascono in ambito accademico dovrebbero essere considerate indispensabili per chi passa da un’università.
Il titolo di studio non deve infatti essere visto solo come una licenza per costruire il benessere personale, ma come un mandato per dedicarsi a una società più giusta, una società più inclusiva, cioè più progredita”.
E rispondendo alle domande dei giovani universitari il papa ha invitato a prendersi cura della ‘casa comune’: “Tuttavia, ciò non può essere fatto senza una conversione del cuore e un cambiamento della visione antropologica alla base dell’economia e della politica. Non ci si può accontentare di semplici misure palliative o di timidi e ambigui compromessi”.
Però è stato chiaro nella denuncia contro un ‘facile’ progresso: “Non dimenticatelo: le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Si tratta invece di farsi carico di quello che purtroppo continua a venir rinviato: ossia la necessità di ridefinire ciò che chiamiamo progresso ed evoluzione.
Perché, in nome del progresso, si è fatto strada troppo regresso. Studiate bene questo che vi dico: in nome del progresso, si è fatto strada troppo regresso. Voi siete la generazione che può vincere questa sfida: avete gli strumenti scientifici e tecnologici più avanzati ma, per favore, non cadete nella trappola di visioni parziali”.
E per realizzare ciò è necessaria un’ecologia integrale: “Non dimenticate che abbiamo bisogno di un’ecologia integrale, abbiamo bisogno di ascoltare la sofferenza del pianeta insieme a quella dei poveri; abbiamo bisogno di mettere il dramma della desertificazione in parallelo con quello dei rifugiati; il tema delle migrazioni insieme a quello della denatalità; abbiamo bisogno di occuparci della dimensione materiale della vita all’interno di una dimensione spirituale. Non creare polarizzazioni, ma visioni d’insieme”.
Quindi è necessaria anche una ‘voce’ femminile per dare un volto umano all’economia: “Il contributo femminile è indispensabile. Nell’inconscio collettivo, quante volte si pensa che le donne sono di seconda categoria, sono riserve, non giocano come titolari.
Questo esiste nell’inconscio collettivo. Il contributo femminile è indispensabile. Del resto, nella Bibbia si vede come l’economia della famiglia è in larga parte in mano alla donna. Lei, con la sua saggezza, è la vera ‘reggente’ della casa, che non ha per fine esclusivamente il profitto, ma la cura, la convivenza, il benessere fisico e spirituale di tutti, e pure la condivisione con i poveri e i forestieri”.
Mentre agli studenti delle ‘Scholas Occurentes’ ha proposto il buon samaritano: “Questa è la storia del buon Samaritano, e nessuno di noi è esente dall’essere un buon Samaritano. E’ un obbligo che abbiamo tutti. Ognuno deve cercarla nella vita, perché ognuno termina la propria vita… ha perso come nella guerra.
Il buon Samaritano lo trova gettato a terra, ma prima era passato un levita, era passato un sacerdote, però avevano fretta. Non gli hanno dato importanza. Ma oltre ad avere fretta, non potevano toccarlo perché c’era del sangue e secondo la legislazione di quel tempo chi toccava il sangue diventava impuro…
I Samaritani, nella mentalità dell’epoca, erano dei ‘disgraziati’, erano tutti disgraziati e commercianti, non erano puri di mente, di cuore, erano emarginati, ma il buon Samaritano lo vede, si ferma e la storia dice che provò compassione… A volte nella vita bisogna sporcarsi le mani per non sporcarsi il cuore”.
(Foto: Santa Sede)