Mons. Brambilla: la carità è educativa

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A fine giugno il vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, ha presentato nel Santuario di Boca la sua lettera pastorale per l’anno 2023-2024 dal titolo ‘Chi è il mio prossimo? La sapienza della Carità evangelica’, che offre una meditazione sulla parabola del ‘Buon Samaritano’ del Vangelo di Luca per leggere e comprendere, attraverso uno dei racconti più belli del Vangelo, le sfide che si propongono alla comunità cristiana chiamata all’attenzione e alla vicinanza ai poveri e a chi vive le diverse forme di fragilità odierne:

“Abbiamo bisogno di generare una carità nuova, dove il soggetto è la comunità cristiana che crea nuove relazioni, che partecipa attivamente e che, a vari livelli, si interroga su come essere l’albergatore della parabola che si prende cura della fragilità umana che Cristo, buon Samaritano, gli affida nell’attesa del suo ritorno nella storia”.

Per il vescovo di Novara la carità non è solo prestazione di servizi: “Non possiamo pensare che la carità si esaurisca nella consegna di un pacco viveri o di vestiti e nel pagamento di bollette o affitti di casa.

Siamo circondati da solitudini, da attività o sostanze che creano dipendenze, da bisogni abitativi e lavorativi che non riusciamo a soddisfare, da famiglie ferite che non trovano pace, da ex carcerati che non riescono a reinserirsi nella società, da diversamente abili che rimangono ai margini, da tante persone private dei loro diritti fondamentali. Questo primo livello impone ad ogni nostra comunità di mettersi in ascolto, di osservare e disegnare la propria ‘mappa della povertà’. Il samaritano, dopo aver provato compassione, si avvicina alla povertà”.

Nella lettera mons. Brambilla ha sottolineato alcuni luoghi comuni per non affrontare la povertà: “Si è spento il coraggio di andare a fondo per comprendere ed affrontare le cause della povertà, smorzando così la forza di contrastare la povertà e accontentandosi di alleviarla, perché il povero è considerato come oggetto della nostra carità e non soggetto di dignità, di diritti e proteso al suo cambiamento; infine il povero viene aiutato e sostenuto ma spesso senza la preoccupazione di includerlo nella vita sociale, accompagnandolo nell’integrazione e nelle relazioni”.

E il vescovo novarese ha auspicato la creazione in ogni parrocchia di piccoli gruppi caritativi: “L’auspicio è di creare in ogni parrocchia un piccolo gruppo di persone che, in sinergia con il Consiglio pastorale parrocchiale, lavori con i seguenti compiti: conoscenza puntuale e concreta (mappatura) delle situazioni e condizioni di difficoltà, fragilità e disagio esistenti all’interno della vita della comunità; creazione di un luogo di incontro e di ascolto attivo delle persone in stato di fragilità come momento di condivisione, di scambio, di crescita reciproca e di lettura dei bisogni;

sensibilizzazione, animazione ed educazione della comunità alla testimonianza della carità evangelica: la comunità va aiutata a superare una mentalità assistenzialista e di delega della carità, pensandosi essa stessa come soggetto impegnato a crescere nella carità;

coordinamento e collaborazione con l’ente pubblico (servizi sociali), con altri enti del terzo settore (associazioni, fondazioni, cooperative) o con eventuali altre attività caritative (enti religiosi, movimenti ecclesiali) presenti sul territorio per una proposta organica sia dal punto di vista civile che pastorale”.

E’ un invito anche ad ‘accompagnare’ i giovani alla carità: “Nell’ambito della catechesi e dell’accompagnamento dei più giovani: attivare un dialogo con le famiglie per provare a fare una mappatura dei ragazzi del catechismo che necessitano di interventi educativi personalizzati, perché talora vivono in situazioni famigliari o psicologiche svantaggiate (BES, DSA, ADHD, diversamente abili);

analizzare e verificare l’adeguatezza dello spazio e del tempo dedicato alla dimensione caritativa nella programmazione degli eventi e degli incontri di catechesi coi ragazzi;

ripensare, rilanciare o creare delle iniziative che coinvolgano i ragazzi e le famiglie nell’ambito della carità, per renderli testimoni dell’amore di Dio (ad esempio visite agli anziani in alcuni momenti dell’anno, conoscenza e collaborazione temporanea di ragazzi e famiglie con la Caritas parrocchiale o altre associazioni che operano in tal senso nella comunità cristiana; raccolta di generi alimentari o altro in cui rendere i ragazzi protagonisti)”.

Ed ha tracciato il ‘compito’ della Caritas all’interno della comunità cristiana: “La Caritas ha anzitutto il compito di aiutare l’intera comunità a mettere la carità al centro della testimonianza cristiana, così che ne faccia esperienza concreta e quotidiana e impari a servire il suo Signore presente nei poveri, a seguire l’esempio di lui che, da ricco che era, si fece povero.

In questo compito la Caritas deve aiutare a superare sia la mentalità assistenziale per aprirsi alla carità evangelica in termini di prossimità e condivisione, sia la tentazione della delega (il sacerdote e il levita della parabola) che spesso accompagna, magari involontariamente, le azioni caritative”.

La Caritas infatti è Chiesa: “Occorre ribadire che soggetto di carità è la Chiesa tutta, e progettare cammini educativi (cioè graduali, progressivamente coinvolgenti) che attuino il passaggio dai gesti occasionali alla scelta della condivisione, mentre cresce la consapevolezza del valore evangelizzante del servizio e della liberazione dei poveri”.

Per il vescovo tutto dipende dall’educazione: “Tutta la comunità, attraverso la Caritas, andrà educata a vivere una spiritualità e una cultura dell’accoglienza e del dono, attenta a tutto ciò che concerne gli uomini e le donne, non solo gli aspetti problematici ma l’arco dell’intera esistenza personale e sociale, e quindi l’educazione e la scuola, le professioni e il lavoro, la società civile e le istituzioni, la salute e la malattia, l’amore e la famiglia: come pure i valori della pace e della mondialità, del servizio e della solidarietà, della giustizia e della carità”.

La lettera si conclude con una visione di rete: “La carità non è autoreferenziale, individualista e privata, ma si allarga a tutti e ha bisogno della responsabilità di tanti ‘albergatori’ della parabola per diventare momento condiviso e partecipato.

Si evidenzia sempre di più l’urgenza di ‘lavorare in rete’, per valorizzare quanto il territorio già dispone e per far nascere, con caratteristiche innovative e creative, modi e proposte nuove che traducano nella ‘pedagogia dei fatti’ la carità evangelica.

Soprattutto la carità va vissuta nello spirito dell’autentico servizio, senza voler primeggiare o senza farne un luogo di autoaffermazione, ma come spazio di crescita di se stessi e di liberazione dai bisogni del povero”.

(Foto: Diocesi di Novara)

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