Origine sacramentale del matrimonio e cause giustificative del divorzio

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Alla conclusione di quest’anno pastorale (ed in occasione del genetliaco del gruppo fondato da me e mia moglie Marcella ‘Il buon Pastore’ da 2 lustri, coincidente con l’incontro a Palermo il 4/6 del nostro Direttore nazionale della P.F. della CEI Don Marco Vianelli, giudice ecclesiastico, insieme al nostro Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice, nelle foto del link diocesano) ritengo utile ricostruire sinteticamente il nostro percorso penitenziale ( con catechesi mensili) dedicato soltanto ai fedeli separati, divorziati, conviventi o risposati civilmente ( come noi), seguiti spiritualmente dalla nostra guida pastorale Padre Cesare Rattoballi, parroco dell’Annunciazione del Signore in cui operiamo da 10 anni, nelle foto del link diocesano) sottolineando che il matrimonio non sempre è stato qualificato come Sacramento e che il divorzio entrò nel nostro ordinamento soltanto il 18/12/1970 con la Legge n. 898).

Infatti fu recepita la sua sacralità nell’anno 1215 quando Papa Innocenzo III convocò a Roma il Concilio Lateranense IV, poca curiosità venne catalizzata da un aspetto che, prendendo forma nel corso di quel Concilio, era destinato a tracciare un segno indelebile nella storia della nostra civiltà.

Si trattò, appunto, dell’arcaica regolamentazione liturgica e giuridica del matrimonio. Innocenzo III decise di disciplinarlo a livello embrionale ma di collocarlo in un dignitoso orizzonte sacramentale , finanche menzionarlo nel diritto canonico e rendendolo una cerimonia religiosa.

Fino ad allora, il matrimonio ricalcava la tradizione romana: era un patto privato, un mero contratto stipulato tra gli interessati e le rispettive famiglie, c he poi in un secondo momento poteva essere benedetto da un sacerdote. Il Concilio Lateranense IV provvide invece a fissare una serie dipaletti fondamentali.

In primo luogo, onde evitare matrimoni clandestini, venne imposto l’uso delle pubblicazioni, l ’indissolubilità del matrimonio venne inoltre ribadita, al fine di contrastare i divorzi e con essi le unioni di comodo.

Fu richiesto, così da assecondare la libera volontà di chi si accosta al sacramento, il consenso pubblico degli sposi, da dichiarare a viva voce. Per evitare il diffuso costume del matrimonio di bambini, fu poi imposta un’età minima per gli sposi. Infine, furono previste le cause di nullità del matrimonio solo per i casi di violenza sulla persona, rapimento, ecc.

Soltanto due secoli più tardi, tuttavia, il matrimonio venne espressamente dichiarato un sacramento, l’occasione fu un altro Concilio, quello di Firenze del 1439, una pietra miliare, tesa a ristabilire la verità cristiana riguardo i temi della famiglia e del matrimonio, fu l’Arcanum Divinae, quarta enciclica scritta da papa Leone XIII. Il documento, pubblicato nel febbraio 1880, infine esalta la dignità del matrimonio a tutti gli effetti quale sacramento elevato da Gesù, riafferma gli scopi e la disciplina completa del matrimonio cristiano, riafferma l’esclusivo potere legislativo e giudiziario della Chiesa in tale materia.

A tal proposito l’Esortazione apostolica Amoris Laetitia del 19/3/2016, post Sinodo mondiale sullafamiglia (2014-2015) indetto da Papa Francesco, per le cui risposte “ad hoc” (nel nostro sito diocesano pubblicate) al questionario 2013 inviato a tutte le realtà religiose del globo, fummo delegati dalla Diocesi, sotto l’egida del Cardinale Paolo Romeo, io e mia moglie Marcella, sin dal Cap. 2° ( La situazione attuale della famiglia) al n. 32 sottolinea che ‘Fedeli all’insegnamento di Cristo guardiamo alla realtà della famiglia, oggi in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre, il cambiamento antropologico culturale influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato, né la società in cui viviamo, né quella verso la quale camminiamo permettono la sopravvivenza indiscriminata di forme e modelli del passato’ (sul piano giuridico cfr. MOTU PROPRIO MIDI del Pontefice vigente dell’8/12/2015, di riforma del Codice di Diritto Canonico in materia di nullità matrimoniale.

Al n. 62 del cap. 3 viene precisato, sul piano evangelico, che “L’indissolubilità del matrimonio (cioè: quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi, fatta eccezione nel caso di ‘porneia’ Mt 19,9) non è innanzitutto da intendere come giogo imposto agli uomini, bensì come un dono fatto alle persone unite in matrimonio”.

Infatti il n.78 evidenzia “Lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cfr. Gv 1,9 e Gaudium et spes, 22 Costituzione pastorale del Conc. Ecum. Vat. Secondo del 1965) ispira la cura pastorale della Chiesa verso i fedeli che semplicemente convivono o che hanno contratto matrimonio soltanto civile o sono divorziati risposati.

Nella prospettiva della pedagogia divina, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto ed invoca con essi la grazia della conversione ( nota n. 351” In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore», Esort. ap. Evangelii gaudium del 24 novembre 2013, 44: AAS 105 2013, 1038. Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» ibid., 47: 1039) , li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l’uno dell’altro e a mettersi al servizio della comunità nella quale vivono e lavorano.

Conseguentemente il n. 241 (Accompagnare dopo le rotture e i divorzi) sottolinea: “In alcuni casi, la considerazione della propria dignità e del bene dei figli impone di porre un limite fermo alle pretese eccessive dell’altro, a una grande ingiustizia, alla violenza o a una mancanza di rispetto diventata cronica. Bisogna riconoscere che «ci sono casi in cui la separazione, il divorzio o l’abbandono è inevitabile.

A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza, dalla coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza, dalla violenza dall’avvilimento, dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza, quindi dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza, quindi costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza”costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza”.

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