Daniele Mencarelli mette in scena il rapporto tra genitore e figlio
Anche l’opera prima di Daniele Mencarelli scritta per il teatro è autobiografica e apre uno squarcio sull’inquieta vita di un adolescente che cerca di comprendere se stesso e il mondo: ‘Agnello di Dio’, Prodotto dal Centro Teatrale Bresciano per la regia di Piero Maccarinelli, che dopo Milano è approdato a Roma, rappresenta l’altra faccia del romanzo ‘Tutto chiede salvezza’.
La scena si svolge ai giorni nostri e comprende un padre manager tutto affari e famiglia, suo figlio quasi diciottenne Samuele e suor Lucia, la preside che li riceve nell’ufficio all’ultimo piano di una scuola paritaria d’élite di una grande città. Partecipa alla vicenda anche suor Cristiana, anziana consorella della dirigente scolastica che sembra un po’ svampita ma invece è l’unica capace di tenerezza verso i ragazzi che frequentano l’istituto.
Il caso da discutere è: perché Samuele, studente modello, ha scritto un tema nel quale afferma che vorrebbe ‘buttare tutto alle fiamme’? I tre parlano tra loro, ma nessuno ascolta davvero Samuele-Daniele, nemmeno quando scoppia nel pianto più disperato e scomposto.
Ad un certo punto il colloquio, che si è ridotto a un processo verso di lui, si trasforma in un dramma che trasuda dolore, dove si aggrovigliano le storie dei tre personaggi principali.
E si scopre così che ognuno di loro ha un suo segreto tormento dovuto all’incapacità di comprendere le esigenze profonde del proprio ‘io’. Con soprusi subiti, intime e inascoltate solitudini, inconfessabili peccati “passati in giudicato” dalla propria coscienza.
Lo spettacolo è un ‘dramma’ che fa riflettere tutti, come denuncia Samuele, il giovane protagonista: “Mi sento come un orologio o una macchina che si porta dal meccanico se qualcosa non va, voi siete come i soldatini di un carillon che fa sempre lo stesso giro e non c’è niente di quello che fate che abbia la forza di sedurmi davvero”.
All’autore del testo, Daniele Mencarelli, abbiamo chiesto di raccontarci la sua genesi: “Nasce dalla collaborazione con Piero Maccarinelli, che è il regista dello spettacolo. Ci siamo conosciuti al Premio Strega e mi ha chiesto di provare a scrivere un testo teatrale ed è scaturito Agnello di Dio”.
Cosa è successo prima dell’alzarsi del sipario?
“Il ragazzo, Samuele, è stato convocato perché in un tema d’italiano con argomento ‘Illustra la tua festa di laurea’ ha scritto di non vedere un futuro e che darebbe fuoco a tutto. Questo fa scattare l’allarme sia nel padre sia nella preside, rappresentanti di due forme di istituzione sclerotizzate, la famiglia e la scuola.
In fondo Samuele pone una serie di interrogativi che sono quelli che l’uomo si è sempre proposto, specie a quell’età, e cui nessuno dei due adulti, soprattutto la suora, è capace di fronteggiare, di convogliarli e trasformarli in energia positiva. L’inquietudine, l’energia, la curiosità incarnate dal ragazzo sono un fenomeno di per sé né buono né cattivo.
E’ un magnifico carburante che sta a noi utilizzare nel modo migliore. Né l’istituzione scolastica né quella famigliare riescono a dialogare con il ragazzo se non attraverso una serie di luoghi comuni”.
Per quale motivo il protagonista vuole ‘buttare tutto alle fiamme’?
“Per il motivo che è un ragazzo di 18 anni, che non si ritrova in tutto quello che gli adulti hanno creato per lui. Vuole vivere le domande che oggi non sono più concesse, a partire da quelle esistenziali (‘chi siamo’? ‘Per quale motivo siamo qui?’), sul nostro destino, sulla malattia e sulla morte.
Tutte domande che l’uomo contemporaneo vive in una chiave ormai iperpatologizzata. Appena ha una domanda, come quella del giovane protagonista, l’adulto corre ai ripari attraverso una soluzione ‘sanitaria’. Non sempre che tali situazioni siano sempre patologiche, perché l’uomo si è sempre fatto tali domande”.
Perché il testo teatrale si muove con un crescendo narrativo drammatico?
“Alla fine lo scontro diventa molto aspro e padre e suora, pur se alleati, entrano in conflitto anche tra di loro. Samuele diventa così una preda, una responsabilità, una colpa da rinfacciarsi a vicenda in maniera malevola. Il mondo degli adulti, che tenta di soccorrere quello dei ragazzi, è un mondo che non ha ancora emendato i propri mali e non solo in termini religiosi, ma anche morali.
L’Agnello di Dio va letto come quindi come titolo ironico: dovrebbe essere il ragazzo a togliere i peccati dal mondo, ma non può farlo da solo finché padre e suora, quindi le istituzioni, non mettono sul piatto le proprie responsabilità, le proprie colpe, le proprie ferite”.
In quale modo è possibile uscire dal conflitto ‘padre-figlio’?
“Più che un conflitto tra padre e figlio, questo è un conflitto tra due generazioni molto diverse: quella dei giovani, che sono molto consapevoli della situazione attuale ed anche molto colti; e quella dei loro genitori, nati negli anni ’70, che su alcuni argomenti sono meno preparati.
Però, più in generale, il grande ‘conflitto’ eterno tra padre e figlio si può risolvere solo ricordando ad entrambi che sono stati generati e sono generanti sempre attraverso l’affetto.
Nel testo si assiste alla messa all’indice di una generazione nata negli anni ’70, figlia del consumismo, che ha smesso di farsi domande nei confronti del mondo e della vita”.
Allora in questo conflitto è possibile un dialogo tra generazioni?
“E’ possibile se da una parte c’è la volontà degli adulti a prendere atto che non hanno gli ‘strumenti’ per ragionare intorno alla complessità che chiedono i figli; però da parte dei figli ci deve essere la buona volontà di essere ‘maestri’ dei loro genitori”.
Chi è l’Agnello di Dio in questo spettacolo teatrale?
“E’ quella parte di buona fede che nasce in ogni generazione e che è sacrificata da ogni istituzione-mondo in nome della sua stessa sopravvivenza, offrendo al ‘pasto’ questi giovani per perpetuare quest’istituzione che in fondo ha a cuore solo se stessa”.
(Foto: Centro Teatrale Bresciano)