Mons. Battaglia: la vita ha sempre valore
L’arcivescovo di Napoli, mons. Domenico Battaglia, è positivo al covid-19 ed ha sospeso tutte le attività, le celebrazioni e le visite programmate e in cui era coinvolto l’arcivescovo, però nella Giornata mondiale del malato ha inviato una lettera ai fedeli, intitolata ‘Ogni rinascita riparte dalla fatica del deserto’, raccontando la sua esperienza di malato di covid 19:
“Come sicuramente saprete, da qualche giorno, ho scoperto la mia positività al Coronavirus e questa, mi impedisce di vivere quella quotidianità, fatta di incontri, di storie, di volti, di vite intrecciate che si guardano, si toccano, percorrono passi insieme.
Per questa Giornata del Malato, avevamo in programma la mia visita agli ammalati ricoverati presso l’ospedale Cardarelli e la celebrazione della S. Messa insieme a chi sta vivendo il tempo della fatica; purtroppo, però, la mia positività ci ha costretti ad annullare tutto”.
Però la malattia può offrire qualche opportunità: “E’ un battesimo nuovo, quello che ricevo in questo deserto. Battezzato, immerso. Sono battezzato, siamo battezzati: non è solo ricordo di un rito, ma è segno di rinascita. Rinascere. Sempre. Rinati a nuova vita, in Cristo. Per Cristo. E ogni rinascita, ogni nuovo inizio, nella fede, riparte dal deserto, dalla fatica del deserto. Come per il popolo, come per Gesù”.
Un’opportunità che deve maturare nel deserto della quotidianità: “Immerso, immersi in questo deserto. Più volte, in questi giorni, mi sono soffermato sul senso di questo immergerci nella storia, nella quotidianità… come Gesù, capace di entrare senza paura, con coraggio, nella storia, nelle ferite di chi incontra”.
Occorre immergersi nella storia per offrire cura: “Ed è capace di cura proprio perché si immerge. Immergerci nella storia, nella nostra storia, quella complessa, a tratti contraddittoria, che noi viviamo e sperimentiamo sulla nostra pelle. Immergerci nelle piaghe sofferenti di questa terra, senza paura.
Immergerci nella sofferenza silenziosa, di chi vive da solo, anche il dramma della pandemia. È il senso del nostro battesimo, che oggi con urgenza si rinnova! Immersi per rinascere! Immersi, per essere e dare speranza! Immersi, nel silenzio del deserto, per condividere insieme il dolore che attraversa la vita, che tocca il mondo”.
Nel ‘deserto’ si è capace di ascoltare la ‘Voce’: “Troppo spesso, corriamo il rischio che il nostro fare, il nostro pensare, il nostro essere nella e per la Chiesa, diventi una vetrina che mette al centro noi, e non il Signore. Troppo spesso, permettiamo che i riflettori siano puntati su di noi.
E, allora, questo tempo in cui sono costretto a fermarmi mi invita a ripetere a me stesso e a questa Chiesa, che al centro di tutto, non c’è il vescovo con le sue opere, non ci sono i programmi perfetti, non ci sono gli schemi rigidi che ci ingabbiano… Al cuore di tutto, nel cuore di tutti, c’è e ci deve essere solo il Cristo. E’ Lui, solo Lui, il centro!”
Il pensiero corre a chi ha contratto il covid 19: “Il mio pensiero, oggi e in questi giorni, va in modo particolare a quanti stanno soffrendo o hanno sofferto a causa del virus, a quanti nel corso di questa pandemia, hanno perso qualcuno e hanno il cuore ferito pensando alle carezze non date, agli abbracci perduti. Penso a quanti, nei letti di ospedale o tra le mura della propria camera, combattono in solitudine, contro questo male e contro tutti gli altri mali.
Penso alla sofferenza di tanti bambini. Al grido del dolore innocente. Penso a quanti portano nel cuore i segni dell’afflizione, della stanchezza, della desolazione… sono lì’, accanto a ciascuno di voi, nel silenzio del mio deserto.
Ed è in quel silenzio condiviso, in quel deserto, mio e vostro, nostro, che possiamo imparare a scorgere il segno di una Presenza, la speranza di una certezza: il Signore non ci abbandona mai e vive con noi dentro ogni condizione umana”.
Davanti alla sofferenza è difficile ‘entrare’: “Di fronte alla sofferenza esiste una soglia che non può essere valicata neppure dall’amico più intimo, neppure dal tuo vescovo. Nessuno, per quanto animato dalle migliori intenzioni, riesce a spingersi fin là. Né lo deve fare.
Puoi partecipare, ma non puoi entrare. Nessuno riesce a capire (accogliere) totalmente il dolore di un altro. Puoi stare accanto… ma devi toglierti i sandali… perché anche quel luogo è terra santa. E il Signore è presente, non abbandona mai. E’ davvero presente!”
Infine ha ringraziato tutti coloro che si sono presi cura: “Sento il desiderio di ringraziarvi per il vostro servizio, per la vostra vita donata accanto a chi fa più fatica, per le vostre mani delicate che esprimono l’arte della cura, per i vostri occhi attenti alla vita del fratello che vi è accanto. Mi sento con voi e vi sento con me! E questa vicinanza reciproca si fa abbraccio e luce, nonostante la paura, nonostante la solitudine…
Anche se nella preghiera, possiamo avvertire la fatica del buio, l’oscurità della notte, conserviamo nel cuore la certezza di non essere mai lasciati soli. Da qui, riparte la speranza, la nostra speranza. Perché essa, non è mai un’illusione. E’ racchiusa in un noi, da riscoprire e accogliere. E’ racchiusa nell’altro, da benedire e custodire. La vita ha valore, dignità, senso… sempre!”
Anche nell’omelia del suo ingresso in diocesi, mons. Battaglia, ha affermato che il coronavirus ha messo in crisi lo stile di vita: “La pandemia ci ha messi di fronte ai passi di una conversione possibile che tocchi davvero la nostra vita concreta, i criteri con cui attuiamo le nostre scelte, i nostri stili di vita.
Mi chiedo dove sono oggi i testimoni della resurrezione. Mi sembra di sorprenderli nel numero di coloro che, uomini e donne, quotidianamente sanno ricucire le speranze, impegnando il proprio tempo, le proprie risorse, le proprie competenze”.