Per Chi andiamo a messa: per il coro o per Cristo?

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Sono sempre più convinta di una cosa: Dio ci chiama a convertirci ogni giorno. Perché ogni giorno – anche dopo averlo incontrato, scelto, amato – rischiamo di perderci e di dimenticarci di Lui. Oppure rischiamo di fissare lo sguardo su cose che non contano, di commettere peccati che ci inaridiscono, di guardare più alla forma che alla sostanza. A me capita: solitamente, proprio dopo aver creduto di toccare il cielo con un dito.

Vorrei raccontarvi ora un episodio che mi ha scosso, che mi ha aiutato a ricentrarmi su Cristo, a vedere con occhi nuovi la sua Chiesa. Nel rispetto delle regole, sto provando a partecipare alla messa quotidiana. Diciamo che di questi tempi mantenere il distanziamento durante una celebrazione feriale in una chiesa di un piccolo paese dell’entroterra marchigiano è l’ultimo dei problemi. La persona più vicina a me non è solo a un metro di distanza, forse anche a 4 o 5.

Di recente ho conosciuto, grazie alla scuola di mio figlio, una persona che era molto lontana dalla Chiesa, perché delusa da uomini e donne che si dicevano cristiani, dalla vita, da tante situazioni brutte che le sono piombate addosso. In ultimo, era delusa da Dio. La prima volta che mi ha aperto il cuore, io l’ho ascoltata senza parlare e ho pianto con lei.

Ho accolto il suo dolore, l’ho fatto mio. In che altro modo avrebbe potuto capire che Dio l’amava se io, che mi dicevo cristiana, non l’avessi amata per Lui, quel giorno? Soltanto dopo un po’, ho provato a dirle che non tutti hanno una fede di facciata, c’è anche chi ha incontrato Gesù e lo segue sul serio. C’è anche chi lo ama.

A forza di vedere nei miei occhi una luce particolare mentre le parlavo di Dio, dell’Eucaristia, della pace che mi dava accostarmi Cristo, ha iniziato a sentire il desiderio di dargli una seconda chance… di ricominciare a parlarci, la sera, a casa sua.

Magari lavando i piatti, mentre il resto della famiglia si trovava nell’altra stanza. Dopo circa due mesi dalla sua prima chiacchierata con il Signore, mi ha chiesto se potevamo andare a messa insieme. Non riuscivo a credere alle mie orecchie: ero molto felice.

Dentro di me, però, pensavo: “Vuole venirci questo martedì. È una messa feriale, frequentata perlopiù da anziani, senza canti e omelia. Il sacerdote è simpatico, ma non è di quelli che ti rapiscono ogni volta che apre bocca. Sarà la messa giusta per cominciare?”

Io, che dico di aver incontrato Cristo, io che so bene come il ministro sia solo ‘un tramite’, mentre il vero Sacerdote è Gesù, facevo discorsi così pagani tra me e me. Invece, la mia amica, durante quella messa, ha pianto tutto il tempo.

È uscita fuori dalla chiesa in lacrime, dicendomi che era stata la messa più ‘forte’ a cui avesse partecipato. Paure, gioie, emozioni contrastanti si erano alternate in quella mezz’ora intensissima per lei, in cui era riuscita a pregare, a mettere davanti a Dio tutte le sue ferite, a fargli domande, a “parlarci in casa sua”.

Lei pregava, parlava con Dio, cuore a cuore, mentre io mi chiedevo se andasse bene una messa senza canti per una persona che non metteva piede in una chiesa da quindici anni. ‘Gli ultimi saranno i primi’, dice Gesù.

E ‘Tanti vi passeranno avanti nel Regno dei Cieli’. Non voglio mettermi al posto di Dio, non sono certo io a poter dire chi entra prima e chi dopo in Paradiso, ma quella sera, uscendo dalla chiesa, ho avuto proprio la sensazione che quel monito fosse per me.

La mia amica, appena convertita, mi ricordava che non è importante se il prete è basso o alto, magro o grasso, moro o biondo, vecchio o giovane, nero o bianco, simpatico o serioso. Noi andiamo a messa per Cristo.

E, se il nostro cuore è aperto, Lui ci raggiunge. Anche in una chiesa di paese, in un giorno qualunque, senza canti. Perché è Lui – e non il chitarrista – la luce vera, come dice l’apostolo Giovanni, quella che ‘illumina ogni uomo’.

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