Nella Lunigiana dei librai
Ogni tanto (leggi due o tre volte l’anno) trascorro qualche giorno a Marina di Massa, perché lì ci sono dei cari amici e così l’occasione per una vacanzina si trasforma sempre in un ritorno a casa: il pontile sul mare e le lunghe spiagge, i paesi della Versilia dove è normale vedere gente in biciletta (ognuna con un cestino di vimini adornato di fiori in plastica o stoffa) e le piazze arredate con monumenti in marmo di Carrara sono uno scenario ormai famigliare. Così, anche in questa estate ‘particolare’ in bilico tra il desiderio di normalità e il rigore delle misure di sicurezza anti Covid, mi sono sentita un po’ ‘marinella’ come si dice da quelle parti.
Non è stato tempo di soli bagni (di sole e nell’acqua salata) perché mi piace andare alla scoperta dell’intorno e vengo piacevolmente accontentata. A questo giro ci siamo spinti un po’ più in là, in Lunigiana, sull’Appennino tosco emiliano, prima a Montereggio e poi a Pontremoli (luogo caro a M., che già ha fatto capolino in questo blog nell’estate 2013, qui) passando per il Passo della Cisa.
E forse la scelta non è stata neppure troppo casuale dato che questi luoghi si coniugano con la parola ‘libro’ e noi amiamo la lettura: il primo, frazione di Mulazzo, è il borgo da cui sono partiti i librai ambulanti con tanto di gerla in spalla (ne scrisse anche Oriana Fallaci in un bell’articolo del 1952 su ‘Epoca’), il secondo è il comune che ospita il Premio Bancarella e il terzo… bhe, lo scoprirete leggendo l’articolo.
Per arrivare a Montereggio, noto come “il paese dei librai”, 650 metri d’altitudine e 62 abitanti, si attraversano fitti boschi di castagni lungo una strada ricca di curve. Ci si trova in un piccolo centro sulla cima dell’altura, con case tutte di pietra e ben curate (fa eccezione un muro sventrato che guarda sulla valle ed è attrazione per chi ama scattare foto). Vicoli, vie e piazze sono intitolate a librai e editori.
Non ci sono negozi se non un bar che accoglie i turisti all’ingresso del borgo dopo la chiesa vecchia fortificata dotata di feritoie e intitolata a sant’Apollinare e san Francesco Fogolla, vescovo martire nativo di Montereggio canonizzato nel 2000.
All’interno della cappella, lungo le pareti sono disposti una serie di stendardi che riportano i nomi di antiche famiglie di librai originari del paese; tra questi mi è balzato subito agli occhi quello dei Fogola, non solo perché di colore blu ma perché quel cognome ai torinesi rievoca una bella libreria storica.
Infatti, fu proprio Giovanni Battista Fogola che nel 1911 (anno dell’Esposizione Internazionale) aprì un chiosco in piazza Carlo Felice, seguito da altri due e nel 1931 al numero civico 15 la Libreria Dante Alighieri; nel 1961 il più giovane dei figli inaugurò la galleria d’arte al primo piano, mentre è del 1963 la nascita della casa editrice che portava il nome di famiglia (famosa la collana ‘I Gialli di Fogola’ ambientati tutti nel capoluogo piemontese).
E se vogliamo raccontarla tutta, la manifestazione libraria torinese Portici di Carta può dirsi una discendente della “Festa del Libro” che organizzava Fogola e che a sua volta richiama la festa che ad agosto anima Montereggio. Ma, ahinoi!, nel 2014, a causa della crisi di settore, libreria e casa editrice torinese Fogola tirarono giù la saracinesca e questo capitolo di storia si chiude.
A Montereggio resta una libreria molto particolare come segno della tradizione: un servizio curato dalla pro loco (altro elemento che parla dell’intraprendenza locale legata alla tradizione) dove ci si può servire da soli. Sugli scaffali si trovano volumi già datati accanto a intere collane, novità e finalisti del Premio Bancarella; quando si è scelto cosa comprare si lasciano i soldi in una cassetta. Ho pensato sarebbe bello che un’idea così fosse accolta da pro loco di altri comuni che non hanno le normali librerie, chissà!
Faccio però un passo indietro perché è affascinante conoscere l’origine della tradizione dei librai ambulanti. La storia racconta che il primo a lasciare il borgo per andare a Milano ad apprendere l’arte dei caratteri mobili fu Sebastiano da Pontremoli nel Cinquecento, molti lo seguirono e il culmine dell’attività si ebbe nell’Ottocento; questi ambulanti che andavano verso la pianura iniziarono dapprima a vendere libri che davano loro i Carbonari e poco per volta, vedendo il successo di questo commercio rispetto a quello delle pietre, aggiunsero lunari, almanacchi e altri tipi di libri.
Quindi la gerla non bastava più e non era facile da trasportare, così passarono ai carretti (bancarelle). Di paese in città, di fiera in fiera, alcuni diventarono librai e altri editori dando vita a realtà che esistono ancora oggi e cito nomi come Giovannacci, Tarantola, Lazzarelli; qualcuno arrivò persino a Barcellona e Buenos Aires.
Il Premio Bancarella nacque a Pontremoli proprio nel 1952 (anno che ci rimanda all’articolo della Fallaci, che partecipò all’evento). La locandina di quest’anno immortala la nota sagoma di marmo del libraio con gerla di Montereggio con tanto di mascherina: insomma, un’edizione che raccoglie anche uno dei segni di questi tempi. Così, Pontremoli, è similmente considerato paese di librai bancarellai.
I librai pontremolesi si davano appuntamento in primavera sul Passo della Cisa (dove si trova anche la porta toscana per la Via Francigena), che divide Lunigiana e Padania, per definire le aree di vendita di competenza di ogni famiglia e permettere a tutti di lavorare serenamente senza concorrenza. Tra i titoli che fecero circolare ci sono testi divenuti famosi come I tre moschettieri e Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, l’Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata. Per approfondirne la storia si veda la pagina del Premio Bancarella, che decretò ad esempio la vittoria e la fama nel 1953 de Il vecchio e il mare di Hemingway.
A questo punto aggiungo una nota per concludere il racconto del tour. Appena arrivata a Marina di Massa, M. mi ha dato un regalo che portava il sigillo della Antica Libreria Savi di Pontremoli: il libro che ha vinto il Premio Selezione Bancarella 2020, proclamato il 19 luglio, Le verità sepolte di Angela Marsons (Newton Compton). Che fosse un indizio per condurmi verso la nostra gita?
(Dal blog Inchiostro Indelebile)