Mons. Castellucci: la Chiesa collabora per il bene della persona

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Dalle diocesi di Modena-Nonantola e Carpi a fine aprile mons. Erio Castellucci aveva scritto ai sindaci delle città delle diocesi una ‘lettera aperta’ per descrivere la situazione, anche psicologica, in cui si trovano i cittadini: “Sono settimane in cui ci sentiamo frastornati e impauriti; solo ora ci stiamo orientando, prospettando un graduale allentamento delle misure, in corrispondenza del contenimento dell’epidemia.

Ma rimarranno centinaia di immagini impresse nei nostri occhi: una per tutte, i trentuno feretri portati dai camion dell’esercito da Bergamo a Modena, in fila per il cimitero di San Cataldo, oltre un mese fa. La solitudine rende ancora più oscura la morte”.

Innanzitutto ha ringraziato i sindaci e le istituzioni per l’impegno nell’alleviare le sofferenze: “Desidero poi ringraziarvi, in questo quadro, per l’impegno intenso che state esprimendo a tutti i livelli, sia nel rapporto con le altre istituzioni, sia nella relazione attenta con i cittadini. Anche i parroci delle nostre Diocesi mi hanno espresso ripetutamente la loro riconoscenza nei vostri confronti.

Stiamo attraversando la più grande crisi planetaria dopo la Seconda guerra mondiale e voi, con i vostri collaboratori, siete tra coloro che si collocano in prima linea, insieme a medici, infermieri, operatori sanitari, forze dell’ordine, volontari e Protezione civile, lavoratori impegnati nelle attività rimaste attive sul campo o a distanza: generi alimentari, operatori ecologici, farmacie, edicole e operatori della comunicazione, negozi, banche e poste, assistenti familiari, psicoterapeuti, insegnanti….

Anche questo elenco è incompleto; ma vi aggiungo volentieri i presbiteri, i diaconi, gli altri ministri delle comunità e collaboratori pastorali, soprattutto quelli coinvolti nell’assistenza e nell’educazione. E desidero ringraziare anche quei medici e infermieri che, in prossimità della Pasqua, si sono offerti, su mandato dei cappellani ospedalieri, anche come ministri straordinari della comunione per il malati di Covid-19. Un esercito di pace e consolazione, un grande solidale abbraccio, che fa riferimento soprattutto a voi per il coordinamento e il consiglio”.

In questa situazione anche i cristiani hanno collaborato a rendere efficienti i provvedimenti: “Questi provvedimenti stanno dimostrando giorno dopo giorno la loro efficacia: sappiamo bene che altre nazioni, dopo un iniziale scetticismo, li hanno a loro volta adottati per lottare contro la pandemia.

I cristiani del resto, per essere tali, devono essere dei buoni cittadini: e il dovere di custodire la salute propria e altrui, specialmente quella delle persone più deboli ed esposte, richiede un’attenzione primaria rispetto a qualsiasi diritto. In termini cristiani si chiama ‘carità’: per questo i vescovi italiani hanno respinto con decisione i tentativi di forzare in qualsiasi maniera le disposizioni, richiamando i principi di precauzione, di responsabilità e di solidarietà, conformi al Vangelo e all’ordinamento democratico”.

Però ha sottolineato che la persona non è soltanto corpo, ma anche anima: “La scelta di continuare ad offrire quasi esclusivamente servizi per l’alimentazione e la salute è comprensibile e giustificata (con l’eccezione, lo metto tra parentesi, delle dipendenze: tabacco e lotterie); ma esistono, oltre ai beni materiali, che sono la base per la vita biologica, anche dei beni relazionali e dei beni spirituali, che contribuiscono insieme al ‘benessere’ globale della persona: corpo, affetti, mente, anima.

La caduta verticale delle possibilità di relazione diretta (penso soprattutto a bambini, disabili e anziani)– in alcuni casi produce conseguenze difficili da sanare. Non tutti i bambini e ragazzi hanno potuto proseguire la scuola, perché alcuni non hanno la possibilità di collegarsi a internet; molti disabili, ad esempio i ragazzi down, hanno patito il distanziamento come rifiuto; e alcuni anziani non hanno potuto vedere di persona i loro figli o nipoti per settimane. Con tutte le misure necessarie, non era impossibile attivare gli insegnanti di sostegno e permettere con maggior fluidità l’incontro dei familiari lontani con i loro congiunti”.

Ed ecco che il vescovo ha prospettato alcuni ‘obiettivi’ per la ‘fase 2’: “Tutto fa pensare che dovremo presto affannarci di meno nell’organizzazione e occuparci di più della relazione, legarci di meno a spazi e strutture e concentrarci di più sulla vicinanza alle persone, nelle loro fragilità e nella loro vita quotidiana. La creatività che parrocchie, gruppi, associazioni e singoli stanno mettendo in campo è stupefacente e dimostra una grande vitalità e un desiderio di recuperare l’essenziale…

La ‘fase due’ non può essere impostata come se si trattasse di allentare dei pezzi di corda, di concedere delle piccole aperture a singhiozzo, di allargare le maglie a malincuore; può essere efficace solo se concertata insieme ai rappresentanti della base sociale. Per quanto ci riguarda come Chiesa, non rivendichiamo l’occupazione di spazi o particolari prerogative, ma crediamo di poter continuare ad offrire un servizio alle persone”.

In questo senso la Chiesa si interroga sulla propria attività pastorale: “Ci stiamo quindi interrogando su come poter gradualmente tornare a celebrare con il popolo di Dio, assicurando il distanziamento vigilato, i dispositivi igienici, la pulizia e l’eventuale turnazione.

Le Caritas, le mense diocesane e tanti volontari (basta citare per tutti l’Agesci) stanno coordinando i servizi primari in modo rigidamente conforme alle normative: certo la loro esperienza sarà di aiuto anche nella ripresa graduale delle celebrazioni nelle chiese, per le quali è comunque in arrivo un protocollo nazionale, su cui lo stesso Governo sta lavorando.

Ci stiamo poi interrogando su tanti altri aspetti della vita di fede, di annuncio e catechesi, anch’esse provate da questa epidemia; ci stiamo chiedendo come poter continuare a svolgere, nelle forme permesse, il servizio educativo in estate e anche dopo; i ‘centri estivi’ vengono già richiesti da alcuni genitori, che torneranno presto al lavoro e non possono contare su nonni o su baby sitter: e se è chiaro che non si potranno svolgere nei prossimi mesi dei campeggi, è auspicabile invece, secondo un protocollo regionale in preparazione, che vi siano dei centri diurni, perfettamente in regola con le normative. Dopo l’estate, poi, potranno riprendere anche oratori e doposcuola, nelle modalità nuove che dovranno essere studiate”.

Ci stiamo interrogando infine su come continuare al meglio e in sicurezza l’opera di assistenza delle persone povere, coordinata dalle Caritas, dai Centri di ascolto e dagli altri Enti; l’assistenza delle persone traumatizzate, con l’aiuto dei due Consultori diocesani; l’accompagnamento delle persone in difficoltà e un ‘paracadute’ per i disoccupati.

Non abbiamo molte forze e siamo consapevoli delle nostre povertà, per quanto ci dia un momento di respiro l’elargizione straordinaria che la Cei in questi giorni sta predisponendo per tutte le Diocesi. Ma siamo comunque disponibili, come e più di prima, a collaborare con voi, ad offrire il nostro piccolo contributo per il bene comune, messo così tanto alla prova dalla pandemia”.

Ed ha concluso chiedendo ai sindaci di sostenere l’impegno della Chiesa nel concorso al bene comune: “Non chiediamo quindi a voi Sindaci null’altro che di appoggiare questa graduale ripresa nella ‘fase 2’, custodendo (come già fate e ve ne sono grato) la particolare natura della comunità cristiana, perché possa continuare ad essere uno dei soggetti che concorrono all’edificazione del bene comune, un soggetto sociale che vive di una dinamica interiore propria e specifica”.

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