Mons. Delpini: la quaresima indica il cammino verso la ‘felicità’ della Pasqua

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“L’appello della Quaresima è anzitutto personale, ma interpella anche il nostro vivere comune. Siamo chiamati a reagire alla logica del mondo per guardare con fiducia alla possibilità di un cambiamento, di una conversione: non la guerra, ma la pace, non l’iniquità, ma il diritto e la giustizia, non la prepotenza della sopraffazione, ma l’umile gesto di compassione e di condivisione. Cambiare ritornare, convertirci, è questo che ci viene chiesto nel cammino della nostra Quaresima”: nell’introduzione che ieri ha aperto nella diocesi ambrosiana la celebrazione eucaristica della prima domenica di Quaresima con il rito dell’imposizione delle ceneri (dopo il canto dei 12 Kyrie peculiari dei grandi momenti della tradizione ambrosiana), officiata dall’arcivescovo, mons. Mario Delpini.

Nell’omelia ispirata dalle letture tratte dal Libro del profeta Gioele, dalla prima Lettera paolina ai Corinzi e dal Vangelo di Matteo mons. Delpini ha ‘redarguito’ coloro che si ostinano ad essere infelici ed arrabbiati: “Ci sono quelli che si accontentano nella loro infelicità, se ci sono momenti di sollievo e di distrazione per dimenticare, almeno per un po’, la condizione da cui non si può uscire.

Ci sono quelli che si arrabbiano per la loro infelicità: danno la colpa a questo e a quello. Sono arrabbiati con tutti e passano la vita a seminare tensione. Rendono la vita difficile a sé e agli altri. Ci sono quelli che si deprimono per la loro infelicità, sono tristi e rassegnati. Non amano la loro vita e la subiscono come un destino incomprensibile. Talvolta si domandano persino se valga la pena essere vivi”.

Ma anche coloro che ostinatamente cercano la felicità: “Ma da qualche parte ci sono anche quelli che non sopportano più di essere infelici e si mettono in cammino per esplorare il mondo e cercare il Paese della gioia o almeno il mercato dove si può comprare un po’ di gioia. E’ come una traversata nel deserto. E lungo il cammino incontrano un’oasi piena di fascino che porta l’insegna, ripresa da un vecchio film, ‘locanda della felicità’.

Allora pieni di entusiasmo si dicono: ‘Finalmente! Abbiamo trovato!’ Entrano e in ogni angolo della locanda vedono gente allegra e una quantità impressionante di vini, di pani, di prelibatezze. Tutte le asprezze del deserto sembrano trasformate in una sazietà. Ne godono fino ad esserne soddisfatti. E molti decidono di fermarsi”.

Però alcuni non furono soddisfatti e si rimisero in cammino: “Alcuni però erano del tutto insoddisfatti e rifiutarono di fermarsi, dichiarando: ‘Non di solo pane vive l’uomo’. Continuarono quindi la loro ricerca finché giunsero nel villaggio che si chiama Gloria. Furono accolti come eroi, elogiati come gente nobile, applauditi per l’impresa: ecco quelli che hanno attraversato il deserto. Ecco gente che merita riconoscimenti e premi. Alcuni dei cercatori di felicità ne furono entusiasti e decisero di fermarsi: ‘Ecco la felicità: essere riconosciuti, apprezzati, applauditi. Percorrere le strade del paese ed essere accolti dalla simpatia e da quelli che ti chiedono sempre una foto ricordo’.

 Alcuni però erano del tutto insoddisfatti e rifiutarono di fermarsi, dichiarando: ‘E’ persino fastidioso e anche un po’ stupido essere applauditi e ricercati per una foto e un autografo’. Continuarono quindi la loro ricerca finché giunsero al palazzo del gran re. Furono accolti con tutti gli onori e il gran re in persona li accolse nella sala del trono per ricevere l’omaggio richiesto dal protocollo.

E il gran re non nascose la sua ammirazione e come tutti i gran re non fu insensibile agli omaggi e agli inchini degli stranieri. Perciò propose loro di diventare suoi sudditi per assumere il governo di una provincia o di una città, di un esercito o di un ministero. Alcuni dei cercatori di felicità ne furono entusiasti e accettarono d’essere sudditi e di diventare potenti”.

Però tra questi un piccolo gruppo, non contento, riprese il cammino alla ricerca della felicità: “Rimasero pochi, a quanto pare, a rifiutare di fermarsi. Ma questi pochi se ne andarono dal palazzo del gran re, dichiarando: ‘E’ umiliante diventare potenti in balia di chi è più potente, governare gli altri accettando che sia un altro a governare noi stessi’. Questi pochi spiriti liberi non si rassegnarono a tornarsene indietro nel Paese dell’infelicità e proseguirono il cammino nel deserto. Verso dove? Non lo sapevano neppure loro, ma si fidarono di quella intuizione che era per loro come una annunciazione e una promessa: c’è un regno felice”.

E l’arcivescovo ha chiamato questi pochi pellegrini cercatori di speranza: “Sono ancora in cammino: sono pellegrini di speranza. Non sanno se la meta sia vicina o sia lontana, ma continuano il cammino: si fanno coraggio gli uni gli altri, ricordandosi a vicenda della annunciazione e della promessa. Non sanno descrivere in che cosa consista la felicità che cercano, ma raccolgono indizi, smascherano inganni, respingono tentazioni e sperimentano che già il cammino è un anticipo di felicità: corrono, ma non come chi è senza meta, piuttosto come fossero guidati dagli angeli, come fossero spinti da un vento amico, come fossero attratti dalla promessa affidabile”.

Questo è il cammino che la Quaresima consente di intraprendere: “La quaresima è questa intuizione: che la promessa di Dio di renderci felici si compie a Pasqua. Perciò iniziamo il cammino con la gratitudine di essere chiamati, con la determinazione a respingere le tentazioni e a smascherare il diavolo, con la gioia che già è anticipata nella speranza”.

E le ‘ceneri’ cosparse sul capo indicano la strada della speranza e della felicità: “L’imposizione delle ceneri è un invito, non tanto a un’umiliazione, quanto a quella libertà dello spirito che non si lascia ingannare dalle tentazioni, impigliare nei molti lacci che la nostra vita talvolta conosce. E’ un invito alla libertà, a una possibilità di speranza, a una disponibilità alla fatica di essere cercatori della vera felicità”.

(Foto: Arcidiocesi di Milano)  

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