Don Pino Puglisi nel racconto di mons. Corrado Lorefice

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Sabato 9 dicembre il santuario della Madonna dei Rimedi a Palermo (dove il 2 luglio del 1960 il beato Giuseppe Puglisi fu ordinato presbitero della Chiesa di Palermo dal card. Ernesto Ruffini) ha ospitato la Messa cantata, eseguite dal Coro di Imperia ‘con Claudia’, nel trentennale del suo martirio, grazie al centro diocesano ‘Beato Pino Puglisi martire ucciso dalla mafia’.

Qualche mese prima, nel giorno del trentennale dell’uccisione di p. Pino Puglisi, avvenuta il 15 settembre 1993, papa Francesco aveva inviato una lettera all’arcivescovo della diocesi di Palermo, mons. Corrado Lorefice, sottolineando i tratti del’buon pastore:

“Sull’esempio di Gesù, don Pino è andato fino in fondo nell’amore. Possedeva i medesimi tratti del ‘buon pastore’ mite e umile: i suoi ragazzi, che conosceva uno ad uno, sono la testimonianza di un uomo di Dio che ha prediletto i piccoli e gli indifesi, li ha educati alla libertà, ad amare 1a vita e a rispettarla.

Sovente ha gridato con semplicità evangelica il senso del suo instancabile impegno in difesa della famiglia, dei tanti bambini destinati troppo presto a divenire adulti e condannati alla sofferenza, nonché l’urgenza di comunicare loro i valori di una esistenza più dignitosa, strappandola cosi alla schiavitù del male. Questo sacerdote non si è fermato, ha dato sé stesso per amore abbracciando la Croce sino all’effusione del sangue”.

Passo ripreso da mons. Lorefice nella lettera ai fedeli dell’arcidiocesi palermitana: “Don Pino Puglisi è per il Santo Padre l’icona del buon Pastore mite e umile. Ecco, ci dice papa Francesco, come essere pastori in Sicilia… Essere preti vuol dire per il papa fare la nostra ‘opzione preferenziale per i poveri’, essere vicini a quanti sono senza voce, senza diritti, senza speranza.

E’ dalla ‘com-passione’ pastorale di Don Pino che dobbiamo lasciarci interpellare. Come singoli ma soprattutto come comunità discepolari, come Chiesa sinodale, chiamata alla ricerca comune e al discernimento dello Spirito. Solo così, ci ricorda il papa, emergeranno ‘la bellezza e la differenza del Vangelo’…

Siamo profondamente grati al Santo Padre! Impegniamoci a mantenere nella nostra Chiesa di Palermo lo stile di Don Pino e preghiamo per il Papa, perché il Signore continui a custodire e benedire il Suo Servizio Petrino. Sappiamo quanto questa preghiera gli stia a cuore”.

Da queste lettere abbiamo preso occasione per un colloquio con mons. Corrado Lorefice, che ha raccontato don Pino Puglisi: “Don Pino Puglisi ha educato sempre i giovani al rispetto della creazione, li ha fatti crescere col senso della bellezza e della sacralità di ogni forma di vita, di fronte al quotidiano culto della morte in cui, soprattutto nel quartiere Brancaccio, erano immersi.

Don Pino ha interpretato il proprio dimorare in un luogo dominato dalla mafia, dal suo potere e dalla sua logica, come un ascolto infinito del bisogno e del grido inespresso di un popolo, in attesa di una liberazione dall’oppressione e dalla schiavitù mafiose che sfigurano il volto degli umani e riducono le persone a sudditi”.

‘Me l’aspettavo’, ha detto mentre veniva ucciso: quale volto aveva don Pino Puglisi?

“Anche nei Vangeli si dice che Gesù, nei confronti dei Giudei che lo osteggiavano, indurì il suo volto e si diresse verso Gerusalemme,in quanto è consapevole che in quella città i profeti vanno a morire, per cui è chiaro che nel volto di don Puglisi abbiamo la consapevolezza di un uomo che è lucido ed ha deciso di mettere in gioco la propria vita. E’ riduttiva l’immagine di don Puglisi come sacerdote antimafia, perché la sua vita rispecchia pienamente il Vangelo.

Lui era consapevole che l’avrebbero ucciso e si poteva tirare indietro. Don Puglisi rimane nel quartiere Brancaccio solo tre anni e non si capirebbe la sua persona senza cogliere tutto l’arco della sua vita, iniziando da Godrano  nel 1970 con i giovani, che li porta a studiare a Palermo, perché capisce che per sconfiggere la mafia occorre la cultura.

Don Puglisi è il sacerdote che, grazie al Concilio Vaticano II, scopre che la storia è l’altro luogo dove i cristiani devono sapere cogliere l’istanza della presenza di Dio e quello che Dio chiede. Don Pino pensa il suo ministero, collocandolo dentro il contesto sociale in cui vive. Per lui il Vangelo non è solo una dottrina, ma è una visione della storia. Alla mancanza dava sempre una risposta concreta”.

Per quale motivo organizzò la marcia antimafia a Brancaccio, pochi mesi prima di essere ucciso?

“L’istanza evangelica non lo distoglie dall’istanza umana; anzi lo rimanda dentro con la stessa intensità di decidere della propria vita, perché possa servire affinchè altri abbiano vita. Don Puglisi ha assimilato l’essenza evangelica ed, arrivando a Brancaccio, si accorge della situazione esistente con occhio capace di leggere il territorio, avendo una visione di una comunità cristiana incarnata nel territorio.

Don Puglisi è una vocazione adulta per il suo tempo, in quanto è entrato in seminario a 16 anni (quando l’età di ingresso era ad 11 anni), ed aveva già quel ‘taglio’ educativo. E’ stato un educatore ispirato dal Vangelo ed ha avuto una visione del mondo matura. Il Vangelo, per lui, deve incarnarsi nella realtà in cui si vive; quindi comunità capaci di testimoniare il Vangelo. Ha avuto la visione di una Chiesa che attinge al Vangelo, che è una bella notizia che arriva a tutti”.

Come ha’interpretato il Vangelo?

“Don Pino ha sentito il suo stare dalla parte del popolo, il suo lavoro inesausto per sottrarre i bambini ed i ragazzi alla mentalità della mafia (appoggiato da tante donne e tanti uomini, laici e religiosi, attratti dall’esempio di colui che tutti chiamavano affettuosamente ‘3P’), come una risposta al Vangelo delle Beatitudini, come un ascolto di quella parola scandalosa pronunciata dal suo Maestro e Signore: Beati i poveri”.

Come raccontare don Puglisi ai giovani?

“Don Puglisi ha raccontato un Vangelo che abbraccia la vita e raggiunge la carne umana. Don Pino non ha mai saputo che stava facendo qualcosa di particolare e non ha mai pensato di essere un eroe. Una persona che sa incidere nella vita degli altri non solo non lo ostenta, ma lo fa nella normalità: un vero martire non sa che sta facendo qualcosa di straordinario. Quando sono arrivato come vescovo ho detto che questa è la città che mi interpella, perché ha conosciuto tanti santi e ci sono martiri della giustizia e della fede.

Don Puglisi era autentico. Una nota essenziale di don Pino: è stato un uomo di una grande intelligenza e colto. Nella sua casa popolare aveva più di 5.000 libri antropologici e biblici, perché sentiva l’esigenza di formare i giovani. Nella proposta evangelica partiva dal senso della vita. Voleva educare i giovani ad un senso profondo della vita. Da qui arrivava a raccontare ai giovani le Beatitudini ed il Padre Nostro: in questi brani c’è la forza ‘rivoluzionaria’ del Vangelo.

Ecco il motivo per cui non sempre era capito nella Chiesa palermitana. Ho lavorato con lui nella pastorale vocazionale per tre anni e mi ricordo il giorno in cui diede le dimissioni e diceva che la realtà di Brancaccio gli avrebbe richiesto un impegno totale. Questo è stato don Pino Puglisi: era una forza al servizio dei giovani. La sua era una proposta di libertà. Ecco il motivo per cui la mafia lo ha ucciso. Però la morte di don Puglisi è stata feconda”.

(Foto: Arcidiocesi di Palermo)

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