In Italia non ci si cura

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Tra il 2010 e il 2019, in Italia la quota di PIL destinata alla spesa sanitaria pubblica corrente è stata in media del 6,6%, in linea con Spagna (6,5%) e Portogallo (6,7%), superiore alla Grecia (5,1%), ma sensibilmente inferiore a Regno Unito (11,4%), Germania (9,4%) e Francia (8,9%). Negli stessi anni, per effetto delle politiche di consolidamento fiscale implementate dopo la crisi dei debiti sovrani seguita alla recessione del 2009, nelle economie europee con maggiori problemi di finanza pubblica si è ridotta anche la spesa sanitaria pro capite, indicatore correlato anche alla tipologia e qualità dei servizi offerti e alla composizione per età della popolazione.

La punta dell’iceberg del disinvestimento in sanità si è registrata in Grecia (-26%). L’Italia è l’unica tra le grandi economie europee con un dato negativo: tra il 2010 e il 2019, le risorse pubbliche in termini reali allocate alla salute di ogni cittadino sono diminuite di oltre il 2%, in controtendenza rispetto a Spagna (+9%), Portogallo (+15%), Regno Unito (+27%), Francia (+32%) e Germania (+38%).

Sono dati contenuti nel report ‘Un Paese, due cure. I divari Nord – Sud nel diritto alla salute’, presentato nei giorni scorsi dalla SVIMEZ, in collaborazione con Save the Children con Luca Bianchi direttore generale della SVIMEZ, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, Annalisa Mandorino segretaria generale di Cittadinanzattiva, Raffaela Milano responsabile programmi Italia – Europa Save The Children.

Al Sud i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi. Aumentare la spesa sanitaria è la priorità nazionale. Andrebbe inoltre corretto il metodo di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale per tenere conto dei maggiori bisogni di cura nei territori a più elevato disagio socio-economico. L’autonomia differenziata rischia di ampliare le disuguaglianze nelle condizioni di accesso al diritto alla salute.

Contestualmente, Save the Children ha ribadito come i divari territoriali siano evidenti già a partire dalla nascita. Sebbene nel panorama mondiale il Servizio Sanitario nazionale si posizioni come una eccellenza per la cura dei bambini, sia dal punto di vista delle professionalità che della universalità di accesso alle cure, le disuguaglianze territoriali sono molto accentuate.

Secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9). Già prima della pandemia, il numero dei consultori familiari si era andato assottigliando, con la conseguente carenza di presidi territoriali di prossimità fondamentali per sostenere la salute e il benessere materno-infantile.

In base alle recenti valutazioni del CREA (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), sono il 6,1% le famiglie italiane in povertà sanitaria, perché hanno riscontrato difficoltà o hanno rinunciato a sostenere spese sanitarie. Nel Mezzogiorno la quota la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord-Est (5,9% al Nord-Ovest, 5% al Centro).

Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES (Benessere Equo e Sostenibile) sulla salute, è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Gli indicatori relativi alla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Analoghi differenziali sfavorevoli al Sud si osservano per la mortalità evitabile causata da deficit nell’assistenza sanitaria e nell’offerta di servizi di prevenzione. Il tasso di mortalità per tumore è pari al 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord. E’ cresciuto il divario per le donne: 8,2 al Sud con meno del 7 al Nord; nel 2010 i due dati erano allineati.

La ‘fuga’ dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi: nel 2022, dei 629.000 migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un SSR del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso.

E’ la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza.

Save the Children evidenzia numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche da Sud verso il Centro-Nord, segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno: l’indice di fuga (ovvero il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza) nel 2020 si attesta  in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria.

In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) pediatrici.

Per il direttore generale della Svimez Luca Bianchi, intervenuto nella tavola rotonda coordinata dal giornalista di Repubblica Antonio Fraschilla senza stanziamento di fondi la situazione è preoccupante: “I dati del report offrono la fotografia preoccupante di un divario di cura che si traduce in minori aspettative di vita e più alti tassi di mortalità per le patologie più gravi nelle regioni del Mezzogiorno.

La scelta, spesso obbligata, di emigrare per curarsi oltre ai costi individuali finisce per amplificare i divari nella capacità di spesa dei diversi sistemi regionali. Rafforzare la dimensione universale del Sistema sanitario nazionale è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute. Una direzione opposta a quella che invece si propone con l’autonomia differenziata dalla quale deriverebbero ulteriori ampliamenti dei divari territoriali di salute e una conseguente crescita della mobilità di cura”.

Per Raffaela Milano, responsabile dei Programmi Italia – Europa di Save the Children, la povertà familiare incide sulla prevenzione: “La condizione di povertà familiare incide fortemente sui percorsi di prevenzione e sull’accesso alle cure da parte dei bambini.

E’ necessario un impegno delle istituzioni a tutti i livelli per assicurare una rete di servizi di prevenzione e cura per l’infanzia e l’adolescenza all’altezza delle necessità, con un investimento mirato nelle aree più deprivate. Occorre conoscere e superare i divari territoriali che oggi condizionano l’accesso ad un servizio sanitario che rischia di essere ‘nazionale’ solo sulla carta. E’ un investimento da mettere al centro dell’agenda della politica”.

Mentre Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva, ha parlato di un Paese diviso: “I dati del report restituiscono l’immagine di un Paese diviso a metà nell’accesso alle cure sanitarie. Dal nostro osservatorio, ed è un ulteriore elemento di preoccupazione, emerge una frammentazione che si aggiunge alle disuguaglianze Sud-Nord poiché riguarda questioni diffuse come la desertificazione dei professionisti e dei servizi. Medici di medicina generale ed infermieri, ad esempio, sono carenti al Nord più che al Sud, ma mancano in generale nelle aree interne, come anche alcuni servizi caratterizzati da alta innovazione e specializzazione”.

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