Don Giovanni Minzoni nel racconto di Andrea Bosio: un martire della fede

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La sera del 23 agosto 1923 i fascisti uccidono a bastonate la loro prima vittima illustre: don Giovanni Minzoni, medaglia d’argento al valor militare come cappellano militare. Sesto di 9 figli, di una famiglia piccolo-borghese, nasce il 29 giugno 1885 a Ravenna, anticlericale e risorgimentale, socialista e anarchica, ma la famiglia conserva la fede e il ragazzo entra in seminario.

Sacerdote il 19 settembre 1909, viceparroco ad Argenta, grosso paese di braccianti socialisti e anticlericali a due passi dalle valli di Comacchio, si interessa alla vita sociale, civile e politica e civile e alle istanze dei lavoratori, organizzando un doposcuola, una biblioteca circolante, un circolo per ragazzi e uno per le ragazze, con un laboratorio di maglieria, una sede-scout.

Vicino alla Democrazia cristiana, in rotta con il nascente fascismo, don Minzoni si iscrive al Partito popolare, che al Congresso di Torino nel 1923 fa la scelta antifascista. Parla, protesta, agisce: organizza i suoi ragazzi; pensa a un’azienda agricola a compartecipazione. I fascisti danno fuoco al circolo giovanile: risponde con un convegno di 500 giovani che protestano per l’uccisione di un militante socialista; la gente lo segue; i fascisti lo detestano; da Roma arrivano richiami; l’arcivescovo Antonio Lega lo difende.

Al tramonto del 23 agosto 1923 per strada, mentre cammina con uno dei suoi ragazzi, arrivano due squadristi con le mazze di ferro: un solo colpo alle spalle gli sfonda il cranio. Il cardinale segretario di Stato, Pietro Gasparri reagisce: ‘Lo hanno ucciso come un cane randagio’. 25 anni dopo (terminata la Seconda guerra mondiale) al processo i due assassini sono condannati a pene varie, subito liberi per l’amnistia firmata da Palmiro Togliatti, ministro della Giustizia.

Ed a 100 dall’omicidio il prof. Andrea Bosio ha ricostruito la vicenda umana del sacerdote nel volume ‘Giovanni Minzoni. Terra incognita. Martirio, educazione, antifascismo’:  perché don Minzoni è ‘terra incognita’?

“L’espressione è stata usata da mons. Ersilio Tonini nell’introduzione a un libro del 1985 di Alberto Comuzzi sulla figura dell’arciprete di Argenta (‘Lo fu, disse l’arcivescovo di Ravenna Ersilio Tonini, perché prete, perché pastore d’anime, in virtù della sua fede’). Penso sia un’espressione capace di dire molto su don Minzoni: don Giovanni Minzoni è noto soprattutto per il suo martirio e per la conclusione della sua vicenda terrena, ma resta spesso nell’ombra buona parte della sua vita, forse quella più importante e sicuramente quella determinante per il martirio. E, così, ho cercato di raccontarla, quella vita”.

‘Sacerdote! Domani sarò discepolo, apostolo di Cristo! Domani la Chiesa avrà nelle sue schiere un santo o…un Giuda!’: cosa significava per don Minzoni essere sacerdote?

“Il servizio presbiterale è, per don Minzoni, a Dio e alle persone: seguendo il Vangelo, è rivolto alle persone perché attraverso esse si pone al servizio di Dio. Al centro del suo ministero, allora, troviamo le persone, con le loro difficoltà e i loro problemi. Soprattutto gli ultimi della sua epoca: poveri, salariati, giovani, ragazze. E’ così fino all’ultimo giorno. Già nel ‘67 l’arcivescovo di Ravenna Baldassarri lo definì ‘prete scomodo’. E lo fu davvero per tanti, anche parti della gerarchia cattolica, che nel suo impegno vedevano una minaccia per il quieto vivere”.

Quanto erano importanti le questioni sociali per don Minzoni?

“L’attenzione ai temi sociali di don Minzoni è una costante di tutto il suo ministero. Poco dopo l’ordinazione, decise di approfondire la sua formazione a Bergamo, presso le Scuole sociali di quella diocesi. Non era un interesse teorico, ma intendeva gli studi (la teologia) come un supporto per l’azione pastorale. Gli anni successivi sono caratterizzati proprio da queste attenzioni: per i più giovani, per i più poveri, per i soldati al fronte.

Senza porsi divisioni basate sulla fede, perché molte famiglie povere, ad esempio, erano socialiste e questo sollevò anche alcune polemiche sugli aiuti forniti dall’arciprete. La sua è una pastorale sociale fondata sull’enciclica ‘Rerum novarum’, ma che abbraccia anche le istanze del cristianesimo democratico (nonostante le condanne) e che già fa intravedere le strade che percorrerà la Chiesa nei decenni del Dopoguerra”.

In quale modo don Minzoni serviva la patria?

“Don Minzoni è stato un cappellano militare durante la Prima guerra mondiale: la risposta semplice parte da qui e ribadisce come la memoria dei caduti sia stata sempre ben custodita nella sua parrocchia. Tuttavia, il Diario di don Giovanni mostra molto bene la sua opposizione a quella ‘inutile strage’ che fu il conflitto e l’inutilità di quella violenza: servì la patria da prete, vivendo insieme ai suoi concittadini e rimanendo al fianco di chi aveva bisogno di lui, sempre. Ha iniziato con i ragazzi e i giovani ad Argenta, ma quando è stata l’ora del fronte non ha esitato. Essere prete, sempre insieme alla sua gente, è il servizio per la patria che don Giovanni ha scelto e l’ha testimoniato con la vita”.

“In questi cinque mesi ho lavorato come un cane per l’inaugurazione del bellissimo salone ricreatorio con teatro e cinematografo. Argenta è rimasta meravigliata di tanto lavoro e quanti hanno veduto ne sono rimasti sinceramente entusiasti. Ora che l’opera materiale è compiuta è necessario intraprendere quella morale”: come educava i giovani?

“La passione per l’educazione dei più giovani è una cifra di tutto il ministero di don Minzoni. E’ una scelta che espone anche nel suo Diario e ribadisce a più riprese: i ragazzi rimangono una priorità anche quando, ormai arciprete e al fronte, pensa a come organizzerà Argenta una volta tornato a casa. Mentre organizza la smobilitazione, il suo pensiero va ai ragazzi di Argenta.

Poi c’è la vicenda con lo scoutismo che, pur brevissima, è altrettanto significativa: non solo per l’enorme successo (un solo reparto non bastò, ne servirono due) ma per l’esplicita caratterizzazione di annuncio del Vangelo che dà al movimento scout. Educare i giovani, per don Giovanni, era parte stessa del suo servizio presbiterale, una sezione inscindibile”.

Perché era antifascista?

“E’ importante ricordarsi che quello del ‘23 era un fascismo ancora agli inizi, non il regime ben strutturato che siamo abituati a immaginare. Aveva, però, molti appoggi in settori diversi, soprattutto il mondo borghese e, tristemente, anche alcuni settori del cattolicesimo.

L’antifascismo di don Minzoni arriva dal suo percorso: l’attenzione alle questioni sociali e la sua profonda vocazione all’educazione dei giovani. L’istituzione di un regime passa sempre per il controllo delle forme di educazione e l’educazione fascista era per don Minzoni del tutto incompatibile con il Vangelo. Anche quando prova a dialogare con le autorità fasciste di Argenta, poche settimane prima dell’omicidio, su questo rimane fermo.

Per lui, ministro di Dio, educare i giovani era parte integrante della sua vocazione e non poteva chinarsi a scelte educative che operassero in direzione diametralmente opposta. Da lì, ad esempio, lo scoutismo, che infatti sarà sciolto dal regime fascista, parteciperà, con una scelta di non violenza, alla Resistenza e, oggi, mantiene l’antifascismo nei suoi valori fondativi ed è tra i promotori principali della causa di beatificazione”.

Per quale motivo don Minzoni può essere considerato martire?

“La morte di don Giovanni è giunta per motivi inestricabilmente legati alla sua fede: la scelta educativa che scatenò l’ultima persecuzione era, come abbiamo già visto, parte ineliminabile del suo servizio e del suo ministero. Fu ucciso per non essere venuto meno alla sua testimonianza di fede ed è questa la definizione più profonda di martirio.

Possiamo porlo di fianco a don Puglisi e a don Diana, tra i martiri italiani del XX secolo. Ma amo accostarlo, per la passione sociale e per l’odio delle fazioni politiche radicalmente anticristiane che ne ha sancito la morte, a san Romero, l’arcivescovo di El Salvador ucciso dalla dittatura di destra del suo paese per la vicinanza ai poveri e per le costanti e pubbliche denunce delle storture dei governi”.

Quale è l’eredità di don Minzoni oggi?

“La coerenza di fondo della propria vita a fronte del Vangelo: non si è cristiani quando si indossa la talare o l’uniforme scout, quando si celebra l’Eucarestia o quando si distribuiscono piatti caldi ai poveri. Il Vangelo parla attraverso ogni gesto della propria vita, vi è strettamente legato: don Giovanni Minzoni ha rifiutato di essere cristiano solo quando presiedeva una messa o quando predicava di vita famigliare. L’eredità che ci lascia è proprio la testimonianza di fede, di politica e di servizio come intessute in un unico arazzo, un esempio che tutti i cristiani sono chiamati a seguire”.

(Tratto da Aci Stampa)

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