Tag Archives: patria
Wlodzimierz Redzioch racconta Padre Jerzy Popiełuszko

“Le mie omelie non sono dirette contro nessuno. Sono dirette contro la menzogna, contro l’ingiustizia, contro l’abuso della dignità umana, contro certe azioni contrarie alla dignità umana e alla libertà umana; ma non attacco mai nessuno direttamente perché ritengo che ci sia un pò di bene in ogni essere umano, ma a volte l’uomo si lega molto fortemente al sistema del male e io piuttosto combatto contro il sistema del male e non contro l’uomo. Alla Santa Messa, preghiamo anche per coloro che si sono venduti alla menzogna, all’ingiustizia e alla violenza… Quando un uomo perde la speranza perde tutto. Allora è facile maltrattarlo. Le persone devono sapere che le loro difficoltà hanno un significato. Io sono continuamente in mezzo agli operai”.
Partiamo da questa intervista apparsa nel documentario prodotto da ‘Video Studio Gdańsk 1990’ su p. Jerzy Popieluszko per iniziare l’intervista con l’autore del libro ‘Jerzy Popieluszko: martire del comunismo’ (https://www.edizioniares.it/prodotto/jerzy-popieluszko/), Włodzimierz Rędzioch, con i testi del giornalista Grzegorz Górny, che descrivono la realtà dei tempi in cui visse e svolse il suo ministero, a 40 dal suo omicidio avvenuto il 19 ottobre 1984.
Il libro, che contiene le foto del fotografo polacco Janusz Rosikoń, si basa su 15 conversazioni che il vaticanista Włodzimierz Rędzioch ha condotto con i testimoni della vita e del martirio di Popiełuszko. Tra i suoi interlocutori ci sono parenti, parrocchiani e collaboratori, ma anche coloro che da una prospettiva diversa hanno osservato il suo cammino verso la santità come il card. Angelo Amato, prefetto emerito del Dicastero per le Cause dei Santi, che ha presieduto la cerimonia di beatificazione, ed il card. Stanisław Dziwisz, testimone del legame che legava il beato Popiełuszko e san Giovanni Paolo II.
Wlodzimierz Redzioch è un ingegnere polacco prestato al giornalismo: dal 1981 al 2012 ha lavorato all’amministrazione de L’Osservatore romano e dal 1995 collabora con il più diffuso settimanale cattolico polacco Niedziela, con il mensile americano d’ispirazione cattolica Inside the Vatican e con l’agenzia d’informazione Zenit. Per la sua attività di vaticanista nel 2000 ha ricevuto in Polonia il premio cattolico per il giornalismo ‘Mater Verbi’; mentre nel 2006 papa Benedetto XVI gli ha conferito il titolo di commendatore dell’Ordine di san Silvestro papa; è autore di diverse pubblicazioni.
Nell’udienza generale dello scorso 16 ottobre papa Francesco aveva invitato i fedeli polacchi a non dimenticare l’eredità spirituale e sociale di p. Popieluszko: ‘Questo Beato, che ha insegnato a vincere il male con il bene, vi sostenga nel costruire l’unità nello spirito della verità e del rispetto per la dignità della persona umana’. Come accogliere questo invito del papa?
“Il Papa si riferiva al più significativo messaggio che ci ha lasciato il beato Popieluszko che si trova nell’ultima omelia pronunciata il giorno del suo rapimento e assassinio. Il 19 ottobre 1984 don Jerzy aveva celebrato la Messa e invitato i fedeli a ‘chiedere di essere liberi dalla paura, dal terrore, ma soprattutto dal desiderio di vendetta. Dobbiamo vincere il male con il bene – aveva detto – e mantenere intatta la nostra dignità di uomini, per questo non possiamo fare uso della violenza’. Nella società si può costruire l’unità rinunciando alla spirale delle vendette e sopraffazioni, ma senza rinunciare alla difesa della verità e della dignità dell’uomo”.
Quali sono le finalità di questo libro?
“Volevo far conoscere meglio un martire dei nostri tempi, un martire del comunismo. Lo spiega nella sua introduzione al libro anche il card. Semeraro: Auspico di cuore che l’edizione in lingua italiana di questo lavoro contribuisca a diffondere ulteriormente e accrescere la conoscenza di questo sacerdote, beato e martire. E spiega perché: Sarà davvero un bene per tutti, perché attraverso il sacrificio dei martiri, Dio cambia i cuori degli uomini”.
Per quale motivo diede vita alle ‘Messe per la Patria’?
“L’iniziativa di celebrare ‘Messe per la Patria’ fu avviata da don Teofil Bogucki, parroco della parrocchia di san Stanislao Kostka, nell’ottobre 1980, ma acquisirono una particolare importanza dopo l’introduzione della legge marziale. Il 28 febbraio 1982, ebbe luogo la prima ‘Messa per la Patria’ (‘e per coloro che per essa soffrono maggiormente’, dizione aggiunta dopo l’introduzione della legge marziale il 13 dicembre 1981) celebrata da don Jerzy Popiełuszko. Alle funzioni partecipavano residenti di Varsavia, oppositori provenienti da tutta la Polonia, lavoratori e intellettuali. Si pregava per la Polonia, per la libertà, per i perseguitati, per i prigionieri politici.
Nel periodo della legge marziale la gente trovava nella Chiesa ‘un’isola di libertà nell’oceano della schiavitù’. La gente, andando alla Messa, trovava l’incoraggiamento, le parole di verità nel mondo della menzogna, il conforto, non soltanto religioso. Ma bisogna sottolineare che nelle omelie di don Jerzy non c’era alcun contenuto politico. Esse si basavano soprattutto sugli scritti di san Giovanni Paolo II, del primate beato Stefan Wyszyński e sul magistero sociale della Chiesa, oltre ad attingere ai testi di grandi poeti e pensatori polacchi. Come mi ha confidato l’amico di don Jerzy, l’imprenditore Adam Nowosad i capi del regime comunista polacco ‘capirono che era arrivato qualcuno estremamente carismatico, che in futuro avrebbe potuto minacciare il sistema basato sulla schiavitù, sulla menzogna e sulla paura’”.
‘Compito del cristiano è rimanere attaccato alla verità, anche se dovesse costargli molto. Solo la pula non costa niente. Per il buon seme della verità a volte bisogna pagare un prezzo molto alto’, diceva prima di essere ucciso, raccolto nel libro ‘Non si può uccidere la speranza’ a cura di Annalia Guglielmi. Perché non si può uccidere la speranza?
“Perché l’uomo non può vivere senza sperare nel mondo di giustizia, della verità, dell’amore. Per questo motivo il sindacato ‘Solidarność’ chiedeva non soltanto il pane quotidiano ma prima di tutto la giustizia. Don Popieluszko ricordava che ‘fonte della giustizia è Dio stesso’, ma spiegava che ‘l’uomo giusto è colui che si lascia guidare dalla verità e dall’amore, poiché più verità e amore ci sono in una persona, più giustizia c’è in essa’”.
A 40 anni dalla sua uccisione cosa resta della sua memoria?
“Quando la sera del 30 ottobre 1984 la notizia del ritrovamento del corpo di don Jerzy Popieluszko nelle acque della Vistola giunse alla parrocchia di san Stanislao Kostka proprio mentre si celebrava una Messa solenne, tanti fedeli cominciarono a piangere ed a disperarsi. In questo momento drammatico il padre pallottino Feliks Folejewski disse al microfono: ‘Gente, ci rendiamo conto di quanto è successo? Stiamo vivendo un evento storico. Abbiamo un martire, un nuovo santo. Ringraziamo Dio e preghiamo affinché noi sopportiamo questa separazione coraggiosamente’. Quattro giorni dopo quasi 1.000.000 di polacchi partecipavano al funerale: fu il più grande funerale nella storia della Polonia.
La sua tomba fu preparata sul prato, presso la parrocchia di san Stanislao Kostka, dove risiedeva, e dal primo giorno fu luogo di pellegrinaggio. Fino ad oggi più di 23.000.000 persone si sono recato presso la tomba di don Jerzy Popieluszko. E’ un segno evidente che la gente ha sempre bisogno della sua testimonianza di fede fino al martirio, del suo messaggio di vincere il male con il bene e della sua intercessione presso Dio (la Chiesa l’ha già dichiarato beato)”.
(Tratto da Aci Stampa)
Le frontiere migranti di Abdou Boubacar

Quelle esistenti tra il Niger dei colonnelli e il Benin di Patrice Talon, re del cotone indiscusso e presidente del Paese, sono vergognosamente chiuse. A causa delle sanzioni applicate in risposta al golpe militare di fine luglio dell’anno scorso,centinaia di camion e container sono bloccati dall’altra parte del ponte. Adesso è pure l’innocua piroga, che permetteva ai passeggeri di attraversare il fiume Niger, ad aver ricevuto l’ordine di arresto.
Ciò significa che, come in un lontano passato, le frontiere tra i due Paesi confinanti sono completamente chiuse o quasi. In effetti c’è il disputato oleodotto che trasporta petrolio ‘cinese’ dal Niger alla costa atlantica del Benin che mantiene ‘in vita’ una frontiera che altrimenti sarebbe del tutto invalicabile. Il libero movimento di persone e beni nello spazio dei Paesi dell’Africa Occidentale, in breve la tanto contestata CEDEAO, si allontana dalla realtà una volta di più.
Non affatto è il caso di Abdou Boubacar, uscito dall’ultima frontiera che lo ha imprigionato per quattordici mesi a causa di un reato mai commesso nella città di Dosso, non lontano dalla capitale Niamey. Dice di essere nato in Costa d’Avorio ma nel foglio di uscita del carcere c’è scritto Monrovia, la capitale della Liberia. Dice di aver studiato in Liberia dove si parla inglese ma il suo francese è quasi perfetto.
Afferma che, essendo sua madre ivoriana, passava le vacanze da lei e questo spiegherebbe tutto. Adolescente segue ii fratello maggiore fino in Mauritania per poi tornare in una patria a scelta del momento e delle circostanze. Abdou, secondo il foglio di rilascio, è nato nel 2003 circa e avrebbe dunque la bellezza di 23 anni e lo stesso numero di frontiere sedotte, se non di più. Decide di attraversare il mare e per questo parte dalla Liberia, passa la Guinea, il Mali e, navigato il deserto del Sahara, approda in Algeria.
Lavora per qualche mese ad Algeri nei cantieri edili come piastrellista, manovale e imbianchino. Il tempo necessario di andare in Libia e tentare finalmente il sogno del Mediterraneo per raggiungere l’Italia. Dopo un breve soggiorno a Tripoli paga 1700 E al ‘passeur’ per l’ultimo posto disponibile nel battello. Assicura che c’erano 113 passeggeri di tutte le nazionalità dell’Africa e altrove, comprese donne e bambini. Partiti all’imbrunire sono stati fermati dalla guardia costiera libica ad appena un centinaio di metri dalla costa.
Messo a lavorare per qualche mese gratuitamente da qualche capo, torna in Algeria dove, stavolta, le guardie e i militari lo arrestano e deportano sino al confine col Niger. Passa, con altri come lui, la frontiera invisibile tra i due Paesi la notte per raggiungere una cittadina abitata soprattutto da migranti espulsi chiamata Assamaka. Dopo un breve soggiorno, coi soldi nascosti nelle parte intime del suo corpo, raggiunge Arlit, Agadez e, nella cittadina di Dosso, passa la porta della prigione civile.
Esibisce il foglio di uscita del carcere come l’unico trofeo guadagnato in questi anni di trasgressioni delle frontiere. Quattordici mesi inutili di carcere per un giovane di poco più di vent’anni non sono pochi. Abdou si sorprende, affamato e sperduto, a contare il numero di frontiere che l’hanno attraversato da quando è nato non si sa dove, quando e perché. Forse tornerà dove era partito per tentare ancora la pazienza del deserto e l’incertezza del mare. Abdou chiederà la meta del suo viaggio alle frontiere che, finora, non l’hanno mai tradito.
Don Giovanni Minzoni nel racconto di Andrea Bosio: un martire della fede

La sera del 23 agosto 1923 i fascisti uccidono a bastonate la loro prima vittima illustre: don Giovanni Minzoni, medaglia d’argento al valor militare come cappellano militare. Sesto di 9 figli, di una famiglia piccolo-borghese, nasce il 29 giugno 1885 a Ravenna, anticlericale e risorgimentale, socialista e anarchica, ma la famiglia conserva la fede e il ragazzo entra in seminario.