Mons. Redaelli: senza perdono non c’è giustizia

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Gorizia si appresta ad affiancare la slovena Nova Gorica dal 1° gennaio 2025 nell’esperienza della Capitale europea della cultura: un’occasione preziosa per poter rileggere la storia complessa che le terre bagnate dall’Isonzo hanno vissuto nell’ultimo secolo.

Se ne è fatto interprete l’arcivescovo mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, durante la liturgia presieduta in cattedrale nella festa dei Santi Ilario e Taziano, patroni di Gorizia, avviando una riflessione su cosa abbia favorito le situazioni di conflitto che hanno portato allo scoppio delle due ultime guerre mondiali ma anche su quanto abbia permesso il crescere di percorsi di pace e riconciliazione:

“Una peculiarità che ci rende particolarmente responsabili nei confronti non solo dell’Italia, della Slovenia e di altre nazioni vicine, ma dell’Europa. Una responsabilità verso la pace da cui non possiamo sottrarci e che deve trovare nell’essere capitale europea della cultura tra due anni un’occasione preziosa per esprimersi con coraggio e con contenuti veri.

Lo richiede non tanto un’occorrenza così importante e non facilmente ripetibile nel tempo, ma la situazione che stiamo vivendo oggi nel cuore dell’Europa. Non dimentichiamo che la distanza tra noi e il confine con l’Ucraina è poco più di quella che dobbiamo percorrere per arrivare a Napoli. Ma la condizione di progressivo oscuramento della pace e spesso di aperti conflitti riguarda tutto il mondo”.

Ha ricordato che già nel 2014 papa Francesco accennava alla terza guerra mondiale ‘a pezzi’, frutto delle ideologie: “Uno dei motivi più convincenti delle ideologie è dato dal fatto che contengono pure degli elementi di verità, anche se estremizzati. Per fare un solo esempio, pensiamo alla ideologia nazionalista. La nazione è un valore e non un disvalore e anche preoccuparsi per essa è un bene, anzi un dovere…

Ma se in nome della nazione si pretendono confini artificialmente stabiliti (magari solo su presunte coerenze geografiche) a prescindere dalle popolazioni che abitano su quel territorio, si considerano i popoli confinanti come possibili minacce se non come ovvi nemici, si avanzano pretese territoriali al di là delle frontiere stabilite internazionalmente, si discriminano e si perseguitano le minoranze, si impone una lingua e una cultura,… è evidente ed inevitabile cadere prima o poi in un conflitto.

Quando dominano le ideologie si attivano, inoltre, processi perversi di polarizzazione: chi è, per così dire, in mezzo, per opporsi agli effetti devastanti di una ideologia, alla fine si deve schierare con quella contrapposta, che pure ha molti elementi negativi. Così, in nome anche di ideali giusti, non si fa che accentuare lo scontro tra ideologie con i relativi esiti disastrosi che provocano migliaia di morti”.

E l’ideologia si alimenta di propaganda, secondo il racconto dell’Apocalisse: “Sorella e serva della ideologia è la propaganda, che strumentalizza e spesso nasconde la verità, che contemporaneamente semplifica e assolutizza le informazioni, che sfrutta abilmente le emozioni della gente estremizzandole e ponendole al servizio dei potenti.

Nell’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, che non è il racconto della fine del mondo bensì l’offerta di una chiave interpretativa della storia, si dà rilievo, come attore del male del mondo, al drago, che però è accompagnato da due bestie: la prima che fa la guerra contro i giusti (la forza militare), la seconda che porta a servire la prima bestia: la forza della propaganda”.

Inoltre la guerra è alimentata anche da mancanze: “Anzitutto l’incapacità di costruire e mantenere una struttura giuridico-amministrativa regionale, statale o sovrastatale capace di custodire e promuover l’unità nella diversità, nel rispetto della dignità e dei diritti di tutti, singoli e comunità. Secondariamente, il non essere in grado di soddisfare i bisogni primari della gente, di gestire e superare le crisi economiche, di offrire delle prospettive ai giovani.

Anche il non rispetto dei diritti fondamentali, la coercizione delle libertà democratiche, la mancata libertà di espressione, la sottomissione della cultura alla ideologia dominante,.. possono incrementare tensioni e conflitti”.

Riprendendo il messaggio di san Giovanni Paolo II mons. Redaelli ha tracciato per l’Europa la strada della riconciliazione: “E’ giusto chiedere la giustizia e pretendere che chi ha sbagliato paghi, ma quando ci si trova dopo una situazione estremamente intricata e complessa, dove diventa difficile ricostruire torti e ragioni e dove la ricerca astratta di una presunta giustizia porta inevitabilmente a riaprire ferite, a risuscitare emozioni pericolose, a offrire spunti a derive ideologiche, a metter in questione confini palesemente ingiusti ma ormai approvati internazionalmente, forse la via più saggia e costruttiva e persino più ‘giusta’ è quella di perdonare, di chiedere perdono, di avviare percorsi di riconciliazione e di ripartire con coraggio e fiducia. Mi pare che qui da noi e non da oggi, la maggior parte delle persone si sia messa su questa strada anche sostenute da tanti progetti positivi”.

Però mons. Redaelli ha messo in guardia anche la Chiesa dall’ideologia: “Come Chiesa non siamo indenni e innocenti: anche la religione può diventare un’ideologia, può fare propaganda e può promuovere la divisione. Ma se si rimane attaccati al Vangelo la fede diventa riferimento a un Assoluto che aiuta a relativizzare le ideologie; la fede non si diffonde per propaganda, ma per testimonianza di chi dona la propria vita per amore, come hanno fatto i martiri Ilario e Taziano che oggi ricordiamo.

L’azione dello Spirito permette di apprezzare la ricchezza della diversità nell’unità: tensione da tenere insieme difficilmente solo con le nostre forze, ma possibile allo Spirito di Dio. In un mondo lacerato da guerra e violenza, talvolta è difficile vedere in che modo il Vangelo possa portare alla pace. Ma la nostra fede ci assicura che Gesù è il Dio che agisce nella storia umana ed è l’incarnazione della pace”.

(Foto:  Arcidiocesi di Gorizia)

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