Papa Francesco all’AVSI: gli ospedali aperti frutto della fantasia della carità

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E’ una popolazione che vive sofferenze da 12 anni quella siriana, per il sanguinoso conflitto che ha provocato un ‘numero imprecisato di morti e feriti e distruzioni di interi quartieri e villaggi’ e infrastrutture, tra cui quelle ospedaliere, ha ricordato papa Francesco, incontrando i partecipanti all’iniziativa ‘Ospedali Aperti’ in Siria della Fondazione Avsi, insieme al nunzio apostolico, card. Mario Zenari:

“Pensando alla Siria, vengono in mente le parole del Libro delle Lamentazioni: ‘Poiché è grande come il mare la tua rovina, chi potrà guarirti?’ Sono espressioni che si riferiscono alle sofferenze di Gerusalemme e che possono far pensare anche a quelle vissute dalla popolazione siriana in questi dodici anni di sanguinoso conflitto.

Considerando il numero imprecisato di morti e feriti, le distruzioni di interi quartieri e villaggi, e delle principali infrastrutture, tra cui anche quelle ospedaliere, viene spontaneo chiedersi: ‘Chi potrà ora guarirti, Siria?’ Quella siriana, a detta degli osservatori internazionali, rimane una delle più gravi crisi nel mondo, con distruzioni, crescenti bisogni umanitari, collasso socio-economico, povertà e fame a livelli gravissimi”.

Ed ha ricordato che la Chiesa è un ospedale da campo: “Di fronte a questa immensa sofferenza, la Chiesa è chiamata ad essere un ‘ospedale da campo’, per curare le ferite sia spirituali sia fisiche… Il Signore che guarisce…

Facendo tesoro di questa eredità, ho esortato più volte i sacerdoti, specialmente il Giovedì Santo, a toccare le ferite, i peccati, le angustie della gente. Toccare. E ho incoraggiato tutti i fedeli a toccare le piaghe di Gesù, che sono i tanti problemi, le difficoltà, le persecuzioni, le malattie delle persone che soffrono, e le guerre”.

Gli ‘Ospedali aperti’ sono frutto della ‘fantasia della carità’, come scrisse san Giovanni Paolo II nella lettera apostolica ‘Novo millennio ineunte’: “Ospedali Aperti è il vostro programma. Aperti a malati poveri, senza distinzione di appartenenza etnica e religiosa.

Questa caratteristica esprime una Chiesa che vuol essere casa con le porte aperte e luogo di fratellanza umana. Nelle nostre istituzioni assistenziali-caritative, le persone, soprattutto i poveri, devono sentirsi ‘a casa’ e sperimentare un clima di accoglienza dignitosa.

E allora, come avete giustamente sottolineato, il frutto raccolto è duplice: curare i corpi e ricucire il tessuto sociale, promuovendo quel mosaico di convivenza esemplare tra vari gruppi etnico-religiosi caratteristico della Siria. A questo proposito, è significativo che i tantissimi musulmani assistiti nei vostri ospedali sono i più riconoscenti”.

Nell’intervento il papa ha commentato l’icona del ‘buon Samaritano’ regalatogli: “Quel malcapitato della parabola evangelica, derubato e lasciato mezzo morto sul ciglio della strada, può essere un’altra immagine drammatica della Siria, aggredita, derubata e abbandonata mezza morta ai bordi della strada.

Ma non dimenticata e abbandonata da Cristo, il Buon Samaritano, e da tanti buoni samaritani: singole persone, associazioni, istituzioni. Alcune centinaia di questi buoni samaritani, tra cui alcuni volontari, hanno perso la vita soccorrendo il prossimo. A loro va tutta la nostra riconoscenza”.

Ma ogni piccolo intervento serve per alleviare le difficoltà: “Di fronte a tante e gravi necessità, sentiamo tutto il limite delle nostre possibilità di intervento. Ci sentiamo un po’ come i discepoli di Gesù di fronte alla numerosa folla da sfamare: ‘Non abbiamo altro che cinque pani e due pesci; ma che cosa è questo per tanta gente?’

Una goccia d’acqua nel deserto, verrebbe da dire. Tuttavia anche il pietroso deserto siriano, dopo le prime piogge di primavera, si ammanta di una coltre di verde. Tante piccole gocce, tanti fili d’erba!”

E dopo la benedizione il papa ha ripreso un’immagine: “Questa sarà l’immagine, di questo papà siriano che fugge con il figlio, che a me ha fatto venire in mente quando San Giuseppe è dovuto fuggire in Egitto: non se n’è andato in carrozza, no, era così, fuggendo precariamente.

L’originale di questa immagine me l’ha regalata l’autore che è un artista piemontese; io vorrei offrirla a voi perché guardando questo papà siriano e suo figlio pensiate a questa fuga in Egitto di ogni giorno, di questo popolo che soffre tanto”.

(Foto: Vatican Media)

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