Il prof. Bazzichi spiega la modernità dell’economia francescana

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“Quando san Francesco scelse l’ideale evangelico della povertà, la cui autenticità trova senso ed espressione nella minorità, realizzando il carisma della fraternità verso gli uomini e il creato, viveva in un mondo per certi versi somigliante al nostro, dove la sproporzione tra ricchi e poveri era incommensurabile e gli aspetti antropologici ed etici in campo socio-economico erano problematici. L’intuizione di Francesco sulla povertà divenne una forma di conoscenza sempre più approfondita dell’usus fruttifero dell’agire economico, e i poveri iniziano a essere considerati una risorsa sociale”.

 Partendo dal suo articolo ‘Radici francescane dell’economia moderna’, apparso sulla rivista ‘Credere Oggi’, chiediamo al docente di Sociologia alla Pontificia Facoltà Teologica ‘San Bonaventura – Seraphicum di Roma’ e di Deontologia nel Master in comunicazione d’impresa alla Pontificia Università ‘San Tommaso’ di Roma, prof. Oreste Bazzichi, autore con Fabio Reali del volume ‘Economia di Francesco. Un cammino verso l’umanità e la fraternità dell’economia’, di spiegare su quali basi poggia l’economia francescana:

“I fondamenti l’ha precisati molto bene papa Francesco nelle sue due ultime encicliche. Nell’enciclica ‘Laudato sì’ (2015), motivata dal Cantico delle Creature, e quindi imperniata teologicamente sulla libertà creativa di Dio, trasmessa dal volto di Dio al volto dell’uomo, il mondo e la storia diventano espressione della libertà di entrambi, nel senso che sia il mondo che la storia sono ciò che Dio e l’uomo hanno voluto che fossero.

Elaborata dai maestri francescani nel secolo XIII, questa prospettiva è rimasta offuscata e progressivamente emarginata e alla fine sopraffatta dalle ideologie. L’enciclica riscopre questi concetti sintetizzandoli nel paradigma ‘ecologia integrale’ (nn. 137-155), ovvero economica, sociale, ambientale, etica, culturale, della vita quotidiana, che protegge il bene comune e che sa discernere i segni dei tempi e guardare al futuro.

Se non fosse così san Bonaventura da Bagnoregio come avrebbe potuto scrivere che il creato è il ‘primo libro’ che Dio ha aperto davanti ai nostri occhi, perché ammirandone la varietà ordinata fossimo ricondotti ad ascoltare la voce sinfonica del creato, che ci invita all’alterità, ad uscire dalle chiusure autoreferenziali per riscoprici dono di Dio, fratelli tra noi, connessi con Cristo (Breviloquium, II, 5,11).

Nell’enciclica ‘Fratelli tutti’, fondata sull’assunto della fraternità universale, essendo tutti figli dello stesso Padre: ‘E dopo che il Signore mi donò dei fratelli’ (Testamento, v. 16), nacque la prima la primitiva fraternitas, non preventivata, e si ritrova con fratelli e sorelle che vogliono condividere la sua scelta.

Una vita tutta da inventare. Già papa Benedetto XVI nell’enciclica ‘Caritas in veritate’ aveva investito buona parte del proprio discorso sulla fraternità, che ingloba i concetti di reciprocità, dono e condivisione: fraternità, non fratellanza, identitaria sociale e civile della Rivoluzione Francese, nella quale essa viene schiacciata dagli altri due principi della libertà e uguaglianza, finendo nella storia come la sorella povera”.

Perché l’economia francescana è cammino verso l’umanità e la fraternità dell’economia?

“Due virtù (povertà e minorità) sono per san Francesco le qualità che aiutano a realizzare un carisma più grande, la carità, la quale si esprime nella fraternità verso gli uomini e il creato. Fu questa vita di fraternità evangelica che attirò intorno a sé persone di ogni condizione sociale e intellettuale.

L’incontro con la società, instaurato da un profondo legame e condivisione con la gente, con le comunità, con i territori, i gruppi e le istituzioni (non dimentichiamo che san Francesco, al contrario dei monaci, ha voluto i suoi frati in mezzo al popolo), ha contribuito all’evolvere della vita cittadina, nei suoi diversi aspetti, in direzione di uno sviluppo dell’etica mercantile all’interno di una civiltà umanista, dove inglobare le pratiche della gratuità, del dono, della solidarietà e degli scambi relazionali.

Quindi prospetta, in una società bloccata dal feudalesimo, l’unione tra efficienza e solidarietà, beni materiali e beni relazionali, capitale economico e capitale sociale (fiducia, affidabilità, rispetto delle regole e della dignità delle persone). E quale miglior metodo ‘per cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia di domani’, basata ‘sull’umanesimo della fraternità’, come ha scritto papa Francesco nel messaggio per l’evento di Assisi Economy of Francesco”.

Quale contributo ha fornito all’economia la scuola francescana?

“A Bonaventura, all’Olivi, a Duns Scoto, Alessandro di Alessandria, Astesano di Asti, Occam, Bernardino da Siena e a tantissimi altri pensatori francescani va il merito di aver formulato il principio secondo cui la sfera socio-economica, quella governativa (della civitas) e quella evangelica (della relazionalità, della reciprocità e della fraternitas) sono tre gradi differenti, ma integrabili, di un’organizzazione della realtà sociale.

Se questa integrazione si realizza, essa genera frutti copiosi, così che se nella società c’è uno che soffre, tutta la comunità deve sentirsi a disagio finché il problema non viene risolto.

Ebbene, l’integrazione dei tre gradi può realizzarsi entro un assetto istituzionale (il mercato) quando garantisce risultati efficienti nella produzione di beni e servizi e risponde efficacemente ai bisogni, stabilendo un giusto rapporto tra mezzi e fini (come scrive anche, riprendendo il concetto dell’enciclica ‘Centesimus annus’, nn. 34 e.41), puntualizzato dal concetto scotista di utilità sociale, in cui sono compresi i quattro principi ispiratori della buona economia:

il lavoro, libero e creativo; la funzione produttiva del capitale per lo sviluppo; l’impresa come bene sociale e collettivo; il valore comunitario della moneta, nata come bene prezioso della res publica. Essi sono orientati al fine ultimo che è il bene comune.

L’avvento della rivoluzione industriale e in seguito l’affermazione della filosofia utilitaristica, iniziata da Cesare Beccaria (1738-1794), sviluppata da Jeremy Bentham (1748–1832) e proseguita, dopo la caduta del muro di Berlino (1989), da un neoliberismo, che ha guardato più al profitto finanziario che all’economia reale, il fine del bene comune è mutato in bene totale (somma dei beni particolari di ciascun individuo).

Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, e (come ribadisce Bernardino da Siena) soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in prospettiva futura. Ecco perché oggi è importante non disperdere il patrimonio costituito dall’impegno di innumerevoli pensatori che con competenza, con forza, con passione, con fede, con discernimento, con entusiasmo, con speranza hanno costruito una metodologia etico-sociale, che ha come esito la felice intuizione dei Monti di Pietà e Frumentari. La libertà è come la carità è sempre creativa: per questo i francescani seppero passare dalla teoria alla prassi”.

Quale è stato l’atteggiamento di san Francesco nei confronti della povertà?

“San Francesco, l’inventore della povertà volontaria (nuovo concetto che si oppone a miseria), pone l’attenzione sulle ricchezze del creato e sulla loro utilità: beni che non devono essere posseduti, ma soltanto usati e fatti circolare. Da qui la valutazione della giusta distanza dell’usus pauper dei frati dalla funzione produttiva del denaro; in altre parole, l’usus pauper diventa il criterio di un’economia del possibile, che favorì il salto qualitativo dall’economia monastica all’uso razionale delle risorse per il bene-vivere del territorio e della comunità.

Il distacco materiale dei beni come segno di perfezione di vita, diventa, paradossalmente, riflessione sistematica sull’economia: la leva e il punto d’appoggio per costruire una civiltà dell’amore, che può aprire prospettive nuove anche oggi, non solo nell’ambito dell’evoluzione storica delle strutture economiche e finanziarie, ma anche nel processo di integrazione culturale e di inclusione sociale, due dimensioni che i francescani coniugano mettendo al centro il rapporto dialogale.

Essi, attenti alla vita sociale del popolo e liberi dal potere del possedere, non potevano considerare estranei i problemi socio-economici e politici, dal momento che la loro scelta di fondo era di stare e vivere in mezzo alla gente. Ecco dove sta la profezia francescana.

Nel semplice, ma significativo, fatto storico: i francescani erano usciti dal mondo, vendendo tutto e rinunciando a tutto, e vi fecero ritorno attrezzandosi di strumenti di lettura discernitiva, intercettando la matrice dello sviluppo socio-economico, sottraendolo alla logica dell’usura, proponendo i Monti di Pietà per erogare prestiti a modico interesse, fondati non sull’elemosina, ma sul sostegno economico. Questo impegno socio-economico ha significato perché si inserisce nell’ambito di una più vasta totalità ideale segnata dalla fraternità universale, anima profetica della prospettiva francescana”.

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