Papa Francesco invita alla pazienza della ‘visione’ di Dio

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Nella celebrazione eucaristica per la Giornata Mondiale della Vita Consacrata, celebrata nella basilica di san Pietro, nelle raccomandazioni finali papa Francesco  ha invitato a fuggire il ‘chiacchiericcio’, molto in voga oggi in alcuni ambienti ecclesiali, sempre pronti a contestare, consigliando una medicina:

“Vorrei indicare due cose che potranno aiutare: per favore, fuggire dal chiacchiericcio. Quello che uccide la vita comunitaria è il chiacchiericcio. Non sparlare degli altri… Sì, c’è una medicina, che è molto ‘casalinga’: morditi la lingua. Prima di sparlare degli altri, morditi la lingua, così si gonfierà la lingua e occuperà la bocca e tu non potrai parlare male. Per favore, fuggire dal chiacchiericcio che distrugge la comunità!”

Ed invece di parlar male della Chiesa il papa ha consigliato la vita comunitaria, come Gesù con gli Apostoli, con un po’ di umorismo: “E poi, l’altra cosa che vi raccomando nella vita in comunità: ci sono tante cose che non vanno bene, sempre. Dal superiore, dalla superiora, dal consultore, dalla consultora, di quell’altro…

Non perdere il senso dell’umorismo, per favore: questo ci aiuta tanto. E’ l’anti-chiacchiericcio: saper ridere di sé stessi, delle situazioni, anche degli altri, con buon cuore, ma non perdere il senso dell’umorismo. E fuggire dal chiacchiericcio.

Questo che io vi raccomando non è un consiglio troppo clericale, diciamo così, ma è umano: è umano per portare avanti la pazienza. Mai sparlare degli altri: morditi la lingua. E poi, non perdere il senso dell’umorismo: ci aiuterà tanto”.

Le raccomandazioni finali fanno da corollario all’omelia incentrata sulla figura di Simeone, che attende con pazienza la visione del Figlio di Dio: “Guardiamo da vicino la pazienza di questo vecchio. Per tutta la vita egli è rimasto in attesa e ha esercitato la pazienza del cuore.

Nella preghiera ha imparato che Dio non viene in eventi straordinari, ma compie la sua opera nell’apparente monotonia delle nostre giornate, nel ritmo a volte stancante delle attività, nelle piccole cose che con tenacia e umiltà portiamo avanti cercando di fare la sua volontà. Camminando con pazienza, Simeone non si è lasciato logorare dallo scorrere del tempo”.

Richiamando Romano Guardini il papa ha sottolineato che la pazienza di Simeone è la pazienza di Dio: “La speranza dell’attesa in lui si è tradotta nella pazienza quotidiana di chi, malgrado tutto, è rimasto vigilante, fino a quando, finalmente, ‘i suoi occhi hanno visto la salvezza’…  

E soprattutto il Messia, Gesù, che Simeone stringe tra le braccia, ci svela la pazienza di Dio, il Padre che ci usa misericordia e ci chiama fino all’ultima ora, che non esige la perfezione ma lo slancio del cuore, che apre nuove possibilità dove tutto sembra perduto, che cerca di fare breccia dentro di noi anche quando il nostro cuore è chiuso, che lascia crescere il buon grano senza strappare la zizzania”.

La speranza del cristiano sta nella pazienza di Dio: “Questo è il motivo della nostra speranza: Dio ci attende senza stancarsi mai. Dio ci attende senza stancarsi mai. E questo è il motivo della nostra speranza. Quando ci allontaniamo ci viene a cercare, quando cadiamo a terra ci rialza, quando ritorniamo a Lui dopo esserci perduti ci aspetta a braccia aperte.

Il suo amore non si misura sulla bilancia dei nostri calcoli umani, ma ci infonde sempre il coraggio di ricominciare. Ci insegna la resilienza, il coraggio di ricominciare. Sempre, tutti i giorni. Dopo le cadute, sempre, ricominciare. Lui è paziente”.

Ed ha indicato tre ‘luoghi’ in cui la pazienza si concretizza, iniziando dalla vita personale: “Può capitare, nella nostra vita di consacrati, che la speranza si logori a causa delle aspettative deluse. Dobbiamo avere pazienza con noi stessi e attendere fiduciosi i tempi e i modi di Dio: Egli è fedele alle sue promesse.

Questa è la pietra basale: Egli è fedele alle sue promesse. Ricordare questo ci permette di ripensare i percorsi, di rinvigorire i nostri sogni, senza cedere alla tristezza interiore e alla sfiducia. Fratelli e sorelle, la tristezza interiore in noi consacrati è un verme, un verme che ci mangia da dentro. Fuggite dalla tristezza interiore!”

Il secondo luogo è la vita comunitaria: “Non lasciarsi confondere dalle tempeste… Mai potremo fare un buon discernimento, vedere la verità, se il nostro cuore è agitato e impaziente. Mai. Nelle nostre comunità occorre questa pazienza reciproca: sopportare, cioè portare sulle proprie spalle la vita del fratello o della sorella, anche le sue debolezze e i suoi difetti.

Tutti. Ricordiamoci questo: il Signore non ci chiama ad essere solisti (ce ne sono tanti, nella Chiesa, lo sappiamo), no, non ci chiama ad essere solisti, ma ad essere parte di un coro, che a volte stona, ma sempre deve provare a cantare insieme”.

Infine l’apertura al mondo con lo stesso atteggiamento di Simeone ed Anna: “Simeone e Anna coltivano nel cuore la speranza annunciata dai profeti, anche se tarda a realizzarsi e cresce lentamente dentro alle infedeltà e alle rovine del mondo.

Essi non intonano il lamento per le cose che non vanno, ma con pazienza attendono la luce nell’oscurità della storia. Attendere la luce nell’oscurità della storia. Attendere la luce nell’oscurità della propria comunità. Abbiamo bisogno di questa pazienza, per non restare prigionieri della lamentela. Alcuni sono maestri di lamentele, sono dottori in lamentele, sono bravissimi a lamentarsi!”

Ed ha concluso con l’invito a non rimanere prigionieri del passato: “Sono sfide per la nostra vita consacrata: noi non possiamo restare fermi nella nostalgia del passato o limitarci a ripetere le cose di sempre, né nelle lamentele di ogni giorno.

Abbiamo bisogno della coraggiosa pazienza di camminare, di esplorare strade nuove, di cercare cosa lo Spirito Santo ci suggerisce.  E questo si fa con umiltà, con semplicità, senza grande propaganda, senza grande pubblicità”.

(Foto: Santa Sede)

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