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Simone Varisco e Paolo Alliata: raccontare il Vangelo con l’arte e la letteratura
“Cosa unisce la vigna di van Gogh al filobus di Rodari? Oppure il disperato di Courbet all’idiota di Dostoevskij? E’ il punto di vista, lo sguardo su di noi e sugli altri, che accomuna arte, letteratura e parabole. Ad esempio, è il collocarci fra gli ultimi arrivati, e non fra i primi operai della vigna, a rendere il racconto di Gesù un felice paradosso e non un’incomprensibile ingiustizia. Lo stesso accade se svestiamo i panni del fratello maggiore per calarci in quelli del figlio prodigo, che più ci appartengono.
Perché neppure il più virtuoso o il più lavoratore fra gli uomini e le donne può vantare un credito verso Dio, come ci insegnano le parabole del fariseo e del pubblicano o quella del padrone e del servo. Siamo pecore smarrite fra grano e zizzania, chiamati ad essere samaritani, ‘prossimi’ tanto dell’uno quanto dell’altra. Germogli soffocati fra le spine, corriamo il rischio di uccidere e gettare fuori dalla vigna della nostra vita il Figlio”.
E’ il percorso proposto nel libro, ‘Le parabole fra pittura e letteratura’, scritto da Simone Varisco, storico e saggista, e da don Paolo Alliata, responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico della diocesi di Milano, che raccoglie, rielabora ed amplia le meditazioni sui Vangeli offerte ogni settimana sul blog di cultura, attualità e fede Caffestoria.it, unendo ad esse il ‘respiro largo’ dell’arte, accompagnate da un brano letterario, già autori dei precedenti volumi ‘La Pasqua fra pittura e letteratura’ ed ‘Il Natale fra pittura e letteratura’.
A Simone Varisco chiediamo il motivo per cui c’è bisogno di raccontare le parabole attraverso la pittura e la letteratura: “Prima ancora che un genere letterario, le parabole sono un eccezionale stile di comunicazione, e l’arte (che sia pittura, letteratura od altro) costituisce un ulteriore esempio di linguaggio efficace. Al di là delle evidenti differenze, parabole e arte hanno in comune l’immediatezza, la potenza espressiva, l’eloquenza, la capacità di ‘incarnare’ un messaggio e di farlo sopravvivere alla prova del tempo. Dopo aver percorso insieme alla pittura e alla letteratura le strade del Natale e della Pasqua, nei due libri precedenti, ci è parso naturale incamminarci lungo la via delle parabole in compagnia di queste due forme di arte”.
Con quale criterio sono state scelte le parabole?
“Come già per gli altri libri scritti insieme in passato, anche ‘Le parabole fra pittura e letteratura’ ha origine nell’amicizia e nelle passioni che condividiamo, don Paolo Alliata e io. Le parabole sono state scelte insieme, per lo più fra quelle commentate durante l’anno liturgico da don Paolo nella rubrica ‘La Parola, la Chiesa, il mondo’ del mio blog Caffestoria.it. Si tratta di un excursus che comprende alcune delle parabole evangeliche più celebri, come quella dei talenti o della pecora smarrita, ma anche racconti sui quali soffermarci con rinnovata attenzione. Penso, ad esempio, ai vignaioli omicidi od al campo in cui si mescolano grano e zizzania: di straordinaria attualità in un mondo che ha imboccato la via dell’autodistruzione, non solo con la guerra, e in cui sembra prevalere il male, nell’apparente indifferenza di Dio”.
Allora, in quale modo la Parola diventa lievito?
“Poche immagini sono in grado di rendere l’idea di quali dinamiche appartengano al Regno di Dio e ai suoi testimoni come il lievito e il sale. Uno può fermentare in noi e negli altri, se gli diamo l’occasione per farlo; l’altro dà sapore, anche se è pressoché invisibile. Si tratta di un processo delicato, serve prestare attenzione alle dosi, per così dire, ma l’esito è inevitabile, nelle giuste condizioni. La Parola ‘fermenta’ in noi, perché appartiene al quotidiano di ognuno: anche se spesso lo dimentichiamo, nessuno escluso, siamo pecore smarrite, germogli che stentano a crescere fra sassi e spine, corriamo costantemente il rischio di uccidere e di gettare fuori dalla vigna della nostra vita il Figlio.
Ogni giorno ci muoviamo in un campo dove convivono grano e zizzania, spesso anche per nostra responsabilità, e nondimeno (anzi, forse proprio per questo) siamo chiamati ad essere samaritani, a farci ‘prossimi’ tanto dell’uno quanto dell’altra”.
Per quale motivo artisti ed autori hanno sentito l’esigenza di confrontarsi con il Vangelo?
“Il Vangelo ha segnato (e continua a segnare, anche se è impopolare affermarlo) la storia di molta parte del mondo, e naturalmente anche la storia dell’arte. Vale la pena sottolineare che gli orizzonti evangelici appartengono in gran parte alla tradizione ebraica, come è particolarmente evidente proprio nelle parabole. Sublimati in seguito dal cristianesimo, non sono estranei neppure al mondo islamico. Va da sé, ci sono anche ragioni più prosaiche nel rapporto che lega artisti e parabole: la Chiesa è sempre stata una straordinaria committente d’arte”.
Perché nel libro nessuna opera d’arte ‘sacra’?
“Cosa c’è di ‘sacro’ in una moneta caduta da qualche parte in casa, in una lampada a corto di olio oppure in una rete piena di pesci? Eppure sono queste le immagini con cui Gesù ha scelto di raccontarci i misteri più insondabili della nostra esistenza. E le ha scelte, possiamo supporre, perché appartengono al nostro quotidiano. E’ la dimostrazione di un Dio incredibilmente elegante nel suo stile. Nulla, in nessun tempo, gli è estraneo, né può esserlo. Ogni dipinto, ogni barra rap, ogni piega che l’artista potrà mai imprimere nel marmo o nel legno raccontano dell’uomo ed, inevitabilmente di Dio. Anche quando l’intento è altro, o addirittura contrario”.
Con quale linguaggio è possibile oggi narrare ai giovani le parabole?
“Anche se gli orizzonti di vita sono molto cambiati da quelli delle società rurali di un tempo, e del tempo di Cristo, il significato delle parabole è ancora comprensibile oggi. Non hanno perso nulla della loro attualità: le parabole sono più ricche di significato di ogni analisi geopolitica o sociologica. Ed i giovani, cui dovremmo riconoscere più fiducia, ne sono consapevoli: meglio di altri intuiscono che il messaggio delle parabole li riguarda. Invece che interrogarci su una presunta ‘vecchiaia’ del Vangelo, perciò, dovremmo chiederci perché troviamo difficile coinvolgerli. Più che un problema di linguaggio, che sia un problema di testimonianza, e di credibilità dei testimoni?”
Papa Francesco all’Azione Cattolica Italiana: siate portatori di abbracci
Questa mattina 80.000 tesserati dell’Azione Cattolica Italiana hanno accolto in piazza san Pietro a ‘braccia aperte’, che per ricambiare l’affetto ha compiuto due giri della piazza, aprendo i lavori della XVIII Assemblea nazionale elettiva dell’Associazione, che si intitola ‘Testimoni di tutte le cose da lui compiute’ e che si svolgerà a Sacrofano fino a domenica 28 aprile: “Poco fa, passando in mezzo a voi, ho incrociato sguardi pieni di gioia , pieni di speranza. Grazie per questo abbraccio così intenso e bello, che da qui vuole allargarsi a tutta l’umanità, specialmente a chi soffre. Mai dobbiamo dimenticare le persone che soffrono”.
Il discorso del papa è stato un invito a ‘coltivare’ la cultura della pace: “L’abbraccio è una delle espressioni più spontanee dell’esperienza umana. La vita dell’uomo si apre con un abbraccio, quello dei genitori, primo gesto di accoglienza, a cui ne seguono tanti altri, che danno senso e valore ai giorni e agli anni, fino all’ultimo, quello del congedo dal cammino terreno”.
L’abbraccio umano può avvenire se si sente l’abbraccio di Dio: “E soprattutto è avvolta dal grande abbraccio di Dio, che ci ama, ci ama per primo e non smette mai di stringerci a sé, specialmente quando ritorniamo dopo esserci perduti, come ci mostra la parabola del Padre misericordioso. Cosa sarebbe la nostra vita, e come potrebbe realizzarsi la missione della Chiesa senza questi abbracci? Perciò vorrei proporvi, come spunti di riflessione, tre tipi di abbraccio: l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva e l’abbraccio che cambia la vita”.
Se manca l’abbraccio si avvera la violenza: “Lo slancio che oggi esprimete in modo così festoso non è sempre accolto con favore nel nostro mondo: a volte incontra chiusure, a volte incontra resistenze, per cui le braccia si irrigidiscono e le mani si serrano minacciose, divenendo non più veicoli di fraternità, ma di rifiuto, di contrapposizione, anche violenta a volte, un segno di diffidenza nei confronti degli altri, vicini e lontani, fino a portare al conflitto”.
Un abbraccio non dato si trasforma in guerra: “Quando l’abbraccio si trasforma in un pugno è molto pericoloso. All’origine delle guerre ci sono spesso abbracci mancati o abbracci rifiutati, a cui seguono pregiudizi, incomprensioni, sospetti, fino a vedere l’altro un nemico. E tutto ciò purtroppo, in questi giorni, è sotto i nostri occhi, in troppe parti del mondo! Con la vostra presenza e con il vostro lavoro, invece, voi potete testimoniare a tutti che la via dell’abbraccio è la via della vita”.
Quindi per il papa è necessario un abbraccio salvifico: “Già umanamente abbracciarsi significa esprimere valori positivi e fondamentali come l’affetto, la stima, la fiducia, l’incoraggiamento, la riconciliazione. Ma diventa ancora più vitale quando lo si vive nella dimensione della fede. Al centro della nostra esistenza, infatti, c’è proprio l’abbraccio misericordioso di Dio che salva, l’abbraccio del Padre buono che si è rivelato in Cristo, e il cui volto è riflesso in ogni suo gesto (di perdono, di guarigione, di liberazione, di servizio) ed il cui svelarsi raggiunge il suo culmine nell’Eucaristia e sulla Croce, quando Cristo offre la sua vita per la salvezza del mondo, per il bene di chiunque lo accolga con cuore sincero, perdonando anche ai suoi crocifissori”.
L’abbraccio è il centro dell’azione di Dio: “E tutto questo ci è mostrato perché anche noi impariamo a fare lo stesso. Perciò, non perdiamo mai di vista l’abbraccio del Padre che salva, paradigma della vita e cuore del Vangelo, modello di radicalità dell’amore, che si nutre e si ispira al dono gratuito e sempre sovrabbondante di Dio. Fratelli e sorelle, lasciamoci abbracciare da Lui, come bambini, lasciamoci abbracciare da Lui come bambini. Ognuno di noi ha nel cuore qualcosa di bambino che ha bisogno di un abbraccio. Lasciamoci abbracciare dal Signore. Così, nell’abbraccio del Signore impariamo ad abbracciare gli altri”.
Il terzo movimento sottolineato dal papa consiste in un abbraccio che cambia la vita, come ha fatto san Francesco: “Un abbraccio può cambiare la vita, mostrare strade nuove, strade di speranza. Sono molti i santi nella cui esistenza un abbraccio ha segnato una svolta decisiva, come san Francesco, che lasciò tutto per seguire il Signore dopo aver stretto a sé un lebbroso, come lui stesso ricorda nel suo testamento. E se questo è stato valido per loro, lo è anche per noi”.
Questo movimento può essere compiuto attraverso un gesto di carità: “Ad esempio per la vostra vita associativa, che è multiforme e trova il denominatore comune proprio nell’abbraccio della carità, unico contrassegno essenziale dei discepoli di Cristo, regola, forma e fine di ogni mezzo di santificazione e di apostolato. Lasciate che sia essa a plasmare ogni vostro sforzo e servizio, perché possiate vivere fedeli alla vostra vocazione e alla vostra storia”.
Per questo è necessaria la cultura dell’abbraccio: “Amici, voi sarete tanto più presenza di Cristo quanto più saprete stringere a voi e sorreggere ogni fratello bisognoso con braccia misericordiose e compassionevoli, da laici impegnati nelle vicende del mondo e della storia, ricchi di una grande tradizione, formati e competenti in ciò che riguarda le vostre responsabilità, e al tempo stesso umili e ferventi nella vita dello spirito”.
La cultura dell’abbraccio genera la pace: “Così potrete porre segni concreti di cambiamento secondo il Vangelo a livello sociale, culturale, politico ed economico nei contesti in cui operate. Allora, fratelli e sorelle, la ‘cultura dell’abbraccio’, attraverso i vostri cammini personali e comunitari, crescerà nella Chiesa e nella società, rinnovando le relazioni familiari ed educative, rinnovando i processi di riconciliazione e di giustizia, rinnovando gli sforzi di comunione e di corresponsabilità, costruendo legami per un futuro di pace”.
Ed infine questa presenza di molte generazioni in piazza san Pietro è una bella manifestazione di sinodalità: “E penso al Sinodo in corso, che giunge alla sua terza tappa, la più impegnativa e importante, quella profetica. Ora si tratta di tradurre il lavoro delle fasi precedenti in scelte che diano slancio e vita nuova alla missione della Chiesa nel nostro tempo. Ma la cosa più importante di questo Sinodo è la sinodalità”.
Insomma è un invito ad essere ‘pellegrini di speranza’: “Per questo c’è bisogno di uomini e donne sinodali, che sappiano dialogare, interloquire, cercare insieme. C’è bisogno di gente forgiata dallo Spirito, di “pellegrini di speranza”, come dice il tema del Giubileo ormai vicino, uomini e donne capaci di tracciare e percorrere sentieri nuovi e impegnativi. Vi invito dunque ad essere ‘atleti e portabandiera di sinodalità’, nelle diocesi e nelle parrocchie di cui fate parte, per una piena attuazione del cammino fatto fino ad oggi”.
(Foto: Santa Sede)
L’Azione Cattolica Italiana accoglie il papa ‘A braccia aperte’
Venerdì 19 aprile è stato presentato l’incontro dell’Azione Cattolica Italiana, che aprirà i lavori della XVIII Assemblea nazionale elettiva dell’Ac, ‘Testimoni di tutte le cose da lui compiute’, con papa Francesco, che si svolgerà giovedì 25 aprile 2024 in piazza San Pietro alla presenza di 50.000 persone, provenienti da tutte le diocesi italiane con l’invito ‘A braccia aperte’ per una giornata di dialogo in seno alla Chiesa ma aperta alla partecipazione di tutti coloro che vorranno esserci per fare un’esperienza viva di Chiesa sinodale, come ha sottolineato il presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana Giuseppe Notarstefano:
”Abbiamo voluto vivere questo incontro nella dimensione ordinaria, in un tempo in cui la questione della democrazia e delle sue sfide è sotto gli occhi di tutti. Lo viviamo come un’espressione di vita democratica che coinvolge soprattutto i ragazzi. Ricordo che i nostri responsabili sono frutto di un percorso di elezione democratica che vedrà il suo culmine nell’elezione dei nuovi organi durante l’Assemblea generale che seguirà l’incontro con il papa.
In questo tempo complicato e difficile per l’intera vita della Chiesa, noi guadiamo con grande fiducia all’impegno che tutti noi di Ac possiamo porre verso la comunità. Siamo molto preoccupati per la guerra, alla quale ci stiamo forse rassegnando. Noi di Ac vogliamo ribadire che la pace deve essere il nostro obiettivo e che occorre tessere quell’artigianato di pace di cui parla papa Francesco”.
Mentre l’Assistente ecclesiastico generale dell’Associazione, mons. Claudio Giuliodori, ha ricordato lo stretto legame dell’Azione Cattolica Italiana con i papi: “Questo evento è frutto di una consuetudine che lega l’Ac ai pontefici. Con papa Francesco la tradizione di legame con la Santa Sede si è consolidato attraverso tanti incontri; l’incontro per i 150 anni dell’Azione Cattolica. Siamo in attesa delle parole del papa perché sono sempre parole che stimolano e provocano.
Vogliamo esprimere la vicinanza al pontefice sui temi a cui lui tiene molto. Vogliamo affiancarlo nel cammino sinodale della Chiesa in Italia e lo slogan, A braccia aperte, vuole essere traduzione plastica di questo camminare insieme come comunità consapevole di dover procedere in maniera sinergica valorizzando le diversità e andando incontro a uomini e donne di questo tempo. L’enciclica ‘Fratelli Tutti’ è la piattaforma di questo evento di piazza con il papa”.
La vicinanza al papa è sottolineata anche dal messaggio dei vescovi italiani con l’invito a stare in ‘prima linea’: “Attendiamo da voi la testimonianza cristiana nell’ambito sociale e politico, ora tanto urgente. Ripercorrendo la storia dell’Azione Cattolica in Italia, molte conquiste sociali sono state ottenute proprio grazie ai vostri padri e alle vostre madri. Numerosi soci hanno lasciato una traccia umana e cristiana ancora valida per il nostro tempo. Basta ricordare la bellezza della vita del beato Pier Giorgio Frassati per capire che oggi bisogna coltivare la passione evangelica in ciascuno”.
E’ un invito ad uscire dalla mediocrità sull’esempio del beato Frassati: “La mediocrità non appartiene alla nostra fede. Frassati lascia questo messaggio forte: il Vangelo è vita in ciascuno di noi. Bisogna vivere la forza del lieto annuncio quotidianamente. Guardate alla sua testimonianza, mentre percorriamo la strada della sinodalità nelle nostre comunità. Siamo consapevoli del supporto che date al Cammino sinodale delle Chiese in Italia e di questo vi siamo grati, così come per la cura con cui accompagnate la formazione di un laicato maturo e responsabile, capace di assumere le sfide ecclesiali e sociali del nostro tempo. Riecheggiano, però, le parole del beato Frassati: vivere, non vivacchiare!”
Però l’incontro si svolgerà in una data simbolo dell’Italia democratica e per questo Neri Marcorè leggerà alcuni brani per ricordare la Resistenza dei cattolici, che hanno partecipato alla lotta partigiana contro il Nazifascismo e per la liberazione dell’Italia, come ha ribadito il presidente Notarstefano:
“La data del 25 aprile ci dà la possibilità di ricordare un progetto che è stato messo in campo dall’Associazione e in particolare dall’Istituto Paolo VI, in cui viene trattata la storia del movimento cattolico: ‘Biografie resistenti’ progetto curato da storici e studiosi, ma anche aperto agli iscritti all’associazione. Sacerdoti e laici e soprattutto giovani di Ac come Tina Anselmi che dentro le sue fila hanno maturato scelte importanti che sono state a volte persino scelte di martirio come quella di Gino Pistoni”.
Durante la conferenza stampa, inoltre, sono stati presentati i dati del Bilancio di sostenibilità 2024, in cui è stato evidenziato che l’associazione è in crescita: dopo il calo di soci/e dovuto alla pandemia di Covid 19, per il secondo anno consecutivo si è registrato un + 3,7% di iscritti sull’anno precedente, superando quota 200.000 (221.598). I responsabili associativi sono 38.111 per un totale stimato di 5.000.000 di ore donate per l’associazione ogni anno. Gli educatori e gli animatori dei ragazzi e giovani di Ac sono circa 42.000, per un totale di 7.500.000 di ore donate.
Significativa anche la cifra dei soci impegnati nel volontariato (circa 20.000), nel sindacato e nelle associazioni (circa 1.500), in politica (circa 2.500) ed il numero degli assistenti ecclesiastici nelle diocesi e nei territori (6.900).
Per questo ad inizio aprile l’Azione Cattolica Italiana ha vinto il secondo premio del contest sui bilanci di sostenibilità promosso da ‘Buone Notizie’, l’inserto del Corriere che racconta le buone pratiche e il bene esistente in giro per il Paese, e da ‘NeXt – Nuova Economia per Tutti’, associazione nazionale di promozione sociale che ha l’ambiziosa mission di cambiare dal di dentro i modelli economici dominanti.
Sono state più di 250 le realtà iscritte alla terza edizione del premio (+49% al 2023), suddivise in varie categorie (grandi, medie, piccole aziende ed enti del Terzo Settore), a significare come il tema interessi sempre più realtà del Paese e come stia diventando importante raccontare e misurare il proprio impegno e i propri sforzi nell’azione non finanziaria. I pilastri della rendicontazione restano quelli ormai riconosciuti a livello internazionale, gli ESG, che delineano in maniera dettagliata il concetto di sostenibilità: l’attenzione verso l’ambiente (environmental), il sociale (social) e la governance.
Ritirando il premio, il vicepresidente nazionale per il settore adulti, Paolo Seghedoni, ha espresso soddisfazione per il traguardo raggiunto: “Siamo molto contenti perché l’Ac ha cominciato tempo fa questo percorso sulla strada della sostenibilità. Il miglioramento che c’è stato nel documento premiato quest’anno non riguarda solo la rendicontazione, ma soprattutto il dinamismo che ci ha portati ad uscire dalla nostra zona di comfort e che sta diventando sempre di più radicato nei territori in cui abitiamo e in cui viviamo”.
(Foto: Alessia Giuliani)
Terza domenica di Pasqua: Essere testimoni veri del Risorto
‘Di questo voi siete testimoni’. E’ una consegna ufficiale che Gesù dà ai suoi discepoli. Gli Apostoli capirono abbastanza bene la loro missione, non si scoraggiarono, compresero che il loro compito sarebbe stato uno solo: Rendere testimonianza di ciò che avevano visto compiersi in Gesù di Nazareth. Il termine ‘apostolo’ divenne sinonimo di testimone della risurrezione. Il Maestro divino si presenta ai suoi, che aveva scelto, rassicurandoli: non sono un fantasma, avvicinatevi, toccatemi e poi mangia con loro per tranquillizzarli. In tutto prevale nel Vangelo l’amore di Dio per l’uomo, che è caratterizzato da tre verbi: guardare, toccare, mangiare.
Il ‘guardare’ non è solo vedere, è un richiamo all’interesse per non avere dubbi. Il ‘toccare’ richiede la vicinanza ma anche il contatto fisico. L’amore, l’interesse spinge sempre ad essere sempre più vicini. Il buon Samaritano nella parabola non si limita a guardare, ma scende da cavallo, medica le ferite e si interessa sino a portare l’altro all’ospedale e pagare le spese. Il ‘mangiare’ insieme è l’espressione più vera e tangibile dell’amore dal quale si evince la condivisione e il nutrimento.
L’amore per Cristo Gesù porta il vero discepolo a prendere coscienza che Egli è il Risorto, a testimoniare tale realtà davanti a tutti e a nutrirsi del suo corpo e sangue per avere la vera gioia cristiana. Allora è veramente Pasqua. Il brano del Vangelo di questa domenica si articola in due scene: l’apparizione del Risorto agli undici Apostoli ; la missione di Gesù affidata ad essi.
L’apparizione avviene all’improvviso e agli Apostoli viene data una ulteriore prova della sua risurrezione: Gesù chiede qualcosa da mangiare e mangia in mezzo ad essi: non è perciò un fantasma. La fede degli Apostoli in Gesù risorto non è una conquista ma un dono dello Spirito Santo, di Dio. Gesù ha voluto conferire loro questo dono ed essi lo hanno testimoniato nel mondo con il martirio.
Simon Pietro, che durante la passione di Gesù tremava e lo aveva per paura rinnegato davanti ad una cameriera, ora, dopo la Risurrezione, parla apertamente della passione, morte e risurrezione di Gesù davanti ad ascoltatori che avevano preso parte agli avvenimenti in forma diretta: ‘Voi lo avete rinnegato di fronte a Pilato, avete chiesto che fosse graziato un assassino (Barabba) e avete ucciso l’autore della vita. Ma il Dio di Abramo, Isacco, di Giacobbe, il Dio dei nostri padri lo ha risuscitato e noi siamo testimoni. Voi l’avete respinto, rifiutato; noi, i testimoni della sua risurrezione, siamo chiamati a testimoniarlo a voi’.
Pietro è un apostolo ed invita alla conversione: ‘So bene che avete agito per ignoranza: convertitevi, cambiate vita perché siano cancellati i vostri peccati’. Pentirsi e cambiare vita sono i due momenti della conversione. Gesù non è morto per condannare all’inferno i suoi crocifissori; diceva. ‘Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno’. Nel sacrificio di Cristo Gesù in croce, che è morto per tutti noi, si fonda la speranza cristiana; il Crocifisso intercede per ciascuno di noi solo per un giudizio di salvezza eterna.
La risurrezione di Cristo Gesù è la garanzia che saremo salvati se aderiamo a Cristo; conversione, umiltà, perdono, fede ed amore, e Gesù ci garantisce un posto presso il Padre nel Regno dei cieli. Ogni cristiano è un ‘chiamato’ ha una vocazione perché riceve dallo Spirito Santo nel Battesimo i tre doni (Fede, Speranza, Carità) che lo abilitano, conforme ai talenti e ai carismi ricevuti, ad essere un apostolo, un testimone di Cristo Risorto.
E’ la vocazione del cristiano, sacerdote o laico, uomo o donna,: tutti con eguale dignità e responsabilità anche se con ruoli diversi. Le vie dell’amore sono diverse, ma tutte conducono alla stessa meta, lo Spirito spira dove, come e quando vuole; tutti siamo chiamati ad essere testimoni del Risorto. Stupenda è l’esperienza del Papà e della Mamma che si amano, si perdonano a vicenda ed insegnano al figlio ad amare e perdonare. Pasqua è amore e Dio ci insegna ad amare.
Se ti senti debole, Gesù ti ripete: ‘Prendete e mangiate: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue’ venite a me ed io vi ristorerò. Questa è la missione affidata da Gesù agli Apostoli e a quanti si dicono suoi discepoli. Questo è vivere la Pasqua di risurrezione.
32^ Giornata dei missionari martiri: un cuore che arde
“Il 24 marzo 2024 segnerà la trentaduesima Giornata dei Missionari Martiri. L’evento ha origine nella commemorazione di Sant’Oscar Romero, ucciso nella stessa data nel 1980. La sua figura continua, anno dopo anno, ad incarnare il simbolo della vicinanza agli ultimi e l’incessante dedizione alla causa del Vangelo. Il suo impegno accanto al popolo salvadoregno, in lotta contro un regime elitario indifferente alle condizioni dei più deboli e dei lavoratori, continua a parlare ai giovani e non solo, richiamando alla necessità di una vita cristiana attenta alla preghiera tanto quanto alla cura della sorella e del fratello”: così introduce alla giornata dei missionari martiri, che si celebra oggi, Giovanni Rocca, segretario nazionale di ‘Missio Giovani’.
Il giorno è stato scelto in quanto il 24 marzo 1980 fu ucciso mons. Romero: “Questo giorno, scelto in coincidenza con l’uccisione dell’arcivescovo di San Salvador, è un’occasione per riflettere sul significato dell’eredità che ha lasciato e per onorare quanti, come lui, hanno sacrificato la propria vita nel servizio.
L’attivismo e l’impegno di Romero a favore dei marginalizzati e degli oppressi, furono
immediatamente riconosciuti dal popolo salvadoregno, che lo onorò con il titolo di ‘Santo de
America’. Il suo assassinio, perpetrato da mani legate al governo, scosse le coscienze, generando
un culto popolare e suscitando un profondo movimento di preghiera e impegno che si diffuse
velocemente in tutto il mondo”.
Ed ha spiegato il titolo della giornata: “In quest’occasione, la comunità è invitata a commemorare non solo i missionari caduti, ma anche a riflettere sul significato del loro sacrificio. Il loro esempio ci spinge a un impegno rinnovato nell’assistenza ai più bisognosi e nel combattere le ingiustizie sociali, ricordandoci che anche nei luoghi più remoti e dimenticati, il messaggio di speranza del Vangelo resta vitale e trasformativo.
Per questa edizione, abbiamo scelto il titolo ‘Un cuore che arde’, un riferimento al brano dei
discepoli di Emmaus che ha guidato il nostro cammino durante il mese missionario. Richiama la forza della testimonianza dei martiri che, come Gesù attraverso la condivisione della Parola e il pane spezzato, con il loro sacrificio accendono una luce e riscaldano i cuori di intere comunità cristiane, ispirando una nuova conversione, dedizione al prossimo e al bene comune”.
Il titolo di questa Giornata è stato sviluppato in una riflessione del biblista Angelo Fracchia, che ha chiarito la parola ‘martire’: “Martire, nella lingua greca che ci ha regalato questa parola, significa ‘testimone’: in un tribunale, in piazza, con parole, con gesti, con la presenza… Nel linguaggio dei cristiani, però, è ‘testimone/martire’ una persona capace di mostrare quanto sia centrale il suo rapporto con Gesù, al punto da preferirlo addirittura alla propria vita. Detta così, potrebbe sembrarci difficile distinguere i martiri da fanatici integralisti. Proprio per questo vale la pena guardare al primo dei ‘testimoni’ cristiani, su cui l’evangelista Luca, negli Atti degli Apostoli, ci offre molte informazioni. Stefano è il suo nome”.
Raccontando il martirio di Stefano il biblista ha sottolineato che il martire cristiano non cerca ad ogni costo la morte: “Stefano, in realtà, non ha cercato la morte. Quella in qualche modo garantisce che il suo impegno non fosse finto o parziale. Ciò che ha cercato è una vita in rapporto con Gesù, nel dialogo ed attenzione agli altri, senza durezza né ripicche. Incarnando nelle proprie scelte, parole e gesti l’amore del Padre. Chiunque vive in questo modo, si fa testimone/martire accanto e con Stefano. E Gesù”.
L’impegno di mons. Oscar Romero accanto al popolo salvadoregno, in lotta contro un regime elitario indifferente alle condizioni dei più deboli e dei lavoratori, continua tuttora a parlare, richiamando la necessità di una vita cristiana attenta alla preghiera e alla cura dei fratelli e delle sorelle.
Le informazioni raccolte dall’Agenzia Fides rilevano che nel 2023 sono stati uccisi nel mondo 20 missionari: 1 Vescovo, 8 sacerdoti, 2 religiosi non sacerdoti, 1 seminarista, 1 novizio e 7 tra laici e laiche. Rispetto all’anno precedente, si registrano 2 missionari uccisi in più. Secondo la ripartizione continentale, quest’anno il numero più elevato torna ad essere in Africa, dove sono stati uccisi 9 missionari: 5 sacerdoti, 2 religiosi, 1 seminarista, 1 novizio. In America sono stati assassinati 6 missionari: 1 Vescovo, 3 sacerdoti, 2 laiche. In Asia sono morti, uccisi dalla violenza, 4 laici e laiche. Infine in Europa è stato ucciso un missionario laico.
8 Marzo: il contributo della donna nella società
“Donne e arte o, meglio, donne dell’arte è il tema che abbiamo scelto per questa giornata della donna 2024. Un argomento che vuole sottolineare il contributo femminile nella immaginazione, nella creatività delle arti”: in questo modo inizia il discorso del presidente della repubblica italiana, Sergio Mattarella, per la Giornata Internazionale della Donna con tema ‘Donne dell’arte’, condotta da Teresa Saponangelo ed aperta dalla proiezione di un video di Rai Storia, ‘Lavinia e Artemisia, donne pittrici del ‘600’ con le testimonianza della cantautrice Etta Scollo, Francesca Cappelletti, storica dell’arte e direttrice della Galleria Borghese, la scrittrice Helena Janeczek, l’artista di strada Chiara Capobianco, ed Eugenia Maria Roccella, ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità.
Nell’intervento il presidente della Repubblica italiana ha evidenziato l’importanza dell’arte nella società: “L’arte non è fuga dalla realtà, non rappresenta il superfluo. Chi la valuta così ha una visione angusta e distorta dell’esistenza e nega alla radice la natura stessa della persona umana, il suo innato e insopprimibile desiderio di ricerca, di ispirazione, di interpretazione della realtà. L’arte è parte essenziale della storia dell’umanità. Senza di essa il mondo sarebbe grigio e spento. Eugène Ionesco sosteneva: il bisogno di immaginare, di creare è fondamentale quanto quello di respirare. Respirare è vivere e non evadere dalla vita”.
Nell’arte la donna è stata ispiratrice fondamentale: “E’ facile constatare che la donna, nella pittura, nella musica, nella letteratura, è stata, a lungo, feconda e continua fonte di ispirazione, celebrata, dipinta, raccontata: ma, a ben vedere, lo è stata prevalentemente come oggetto, come motivo di ispirazione della creazione artistica. Ben di rado come soggetto operante. Ispiratrice di capolavori,ma raramente artefice e realizzatrice. Ma lo sguardo delle donne, nell’arte, ha attraversato i millenni, spesso assumendo il volto della tragedia e della spinta al cambiamento; sin dall’antica Grecia. Il volto della tragedia, il volto della speranza”.
L’arte è libertà: “L’arte, difatti, è libertà. Libertà di creare, libertà di pensare, libertà dai condizionamenti. Risiede in questa attitudine il suo potenziale rivoluzionario: e non è un caso che i regimi autoritari guardino con sospetto gli artisti e vigilino su di loro con spasmodica attenzione, spiandoli, censurandoli, persino incarcerandoli.
Le dittature cercano in tutti i modi di promuovere un’arte e una cultura di Stato, che non sono altro che un’arte e una cultura fittizia, di regime, che premia il servilismo dei cantori ufficiali e punisce e reprime gli artisti autentici”.
Per questa espressione di libertà le donne finiscono incarcerate od uccise: “Le donne, con la loro sensibilità e la loro passione, hanno dato e danno molto all’arte, alla letteratura, allo spettacolo, ad ogni ambito della cultura…
Donne di grande tempra, di sicuro e immenso talento, personalità che hanno percorso un cammino di emancipazione, favorendo la crescita libera e consapevole di tutte le altre donne, artiste o con altre vocazioni”.
Ed infine ha espresso che le donne raggiungano pari opportunità e pari dignità senza subire più alcuna violenza: “Non esistono più settori, campi, recinti, barriere che limitino la creatività delle donne e la loro libera capacità di scelta. E’ una nuova primavera, che dobbiamo accogliere con soddisfazione, senza però dimenticare i tanti ostacoli che tuttora esistono, di natura materiale e culturale, per il raggiungimento di una effettiva piena parità. Senza ignorare che sono ancora frequenti inaccettabili molestie, violenze, pressioni illecite nel mondo del lavoro, discriminazioni, così come da anni viene denunciato”.
In effetti nel report ‘8 marzo. Giornata internazionale dei diritti della donna. Donne vittime di violenza’, diffuso dal Servizio analisi criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale sono state 120 le donne uccise nel 2023, delle quali 64 da partner o ex compagni. Nel rapporto è definito ‘interessante’ il dato inerente all’applicazione del ‘Codice rosso’ a causa di un ‘significativo incremento’ sia dei delitti commessi che delle ‘segnalazioni a carico dei presunti autori noti’, come la violazione di provvedimenti di allontanamento della casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Anche suor Maria Rosa Bernardinis, priora del monastero Santa Rita da Cascia, ha rivolto un pensiero per questa giornata attraverso l’esempio di tre donne che saranno premiate nel prossimo mese di maggio: “In questo 8 marzo, tra bilanci di morte e un clima di grande sfiducia, celebriamo le donne che sono culle di vita e ali di speranza. Da donna e per l’umanità, oggi che si fa un gran parlare di intelligenza artificiale, invito tutti a riscoprire e allenare una ‘intelligenza materna’, più tipica ma non esclusiva delle donne. Quella che chiama ogni essere umano al coraggio, alla gioia e alla speranza della vita, per costruire una fiducia ritrovata, nel domani e nella vita stessa, di cui c’è estremo bisogno.
Lo sanno bene le donne che ogni giorno sono terreni fertili e custodi di vita e futuro. Come Cristina Fazzi, che da medico nello Zambia cura i bambini che sono gli ultimi della società, Virginia Campanile, che ha perso suo figlio ma è mamma per tanti genitori e ragazzi in difficoltà, ed Anna Jabbour, profuga siriana che per sua figlia ha attraversato la guerra divenendo testimone di pace. Sono le donne che premieremo a maggio alla Festa di Santa Rita: tre donne diverse ma unite, come tante nel mondo, dalla scelta di essere strumenti di vita oggi, come Rita ieri”.
Inoltre la Fondazione ISMU ETS, in collaborazione con Fondazione Cariplo, ha fatto il punto sulla condizione lavorativa delle donne con cittadinanza non italiana e background migratorio in Italia, secondo cui i dati dell’European Institute for Gender Equality EIGE collocano l’Italia al 13° posto tra i paesi europei con 68,2 punti su 100 del Gender Equality Index nel periodo 2021-2022.
Il punteggio italiano si trova al di sotto della media europea che corrisponde a 70,2 punti e il principale ambito in cui si rileva discriminazione di genere è proprio quello lavorativo, con 65 punti, collocando l’Italia al 27° e ultimo posto tra i paesi europei, anche se dal 2020 vi è stato un leggero miglioramento.
Inoltre, l’Italia evidenzia anche un importante dato di disparità nell’ambito del potere politico,economico e sociale, con 62,7 punti. Le elaborazioni di Fondazione ISMU sui dati Eurostat del 2022, riportati all’interno del Ventinovesimo Rapporto sulle migrazioni 2023, relativi alla partecipazione al mercato del lavoro italiano e alla disoccupazione per cittadinanza e genere segnalano una forte penalizzazione delle donne con cittadinanza non italiana (CNI) non comunitarie per i livelli di disoccupazione stimati al 15,2% rispetto al 9,6% degli uomini.
Mentre Amnesty International punta il focus sulla situazione della donna in Afghanistan: “Da quando i talebani sono tornati al potere nell’agosto del 2021, i diritti e le libertà delle donne afgane sono progressivamente scomparsi in un clima di violenze e oppressione. Una vera e propria guerra contro le donne fatta di divieti, torture e sparizioni.
Oggi, in Afghanistan, donne e ragazze non possono lavorare, studiare, frequentare gli spazi pubblici, viaggiare e vestirsi come vogliono. Sono state escluse dai ruoli pubblici e dalla maggior parte degli impieghi nel settore pubblico. Ragazze e bambine non possono studiare dopo la scuola primaria e l’accesso all’università è stato proibito. Tutte queste limitazioni si accompagnano a imprigionamenti, sparizioni forzate, torture e maltrattamenti”.
Davanti alla repressione Amnesty International ha ricordato i nomi di chi lotta per la libertà: “Nonostante ciò, donne e ragazze continuano a guidare proteste pacifiche contro i talebani in varie città afgane, tra cui Kabul, Faizabad, Herat e Mazar-i-Sharif, e a battersi per riottenere libertà e diritti.
Tra loro, ci sono Neda Parwani, popolare Youtuber detenuta per tre mesi con il figlio di quattro anni, l’attivista Parisa Azada, Zholia Parsi, una delle fondatrici del Movimento spontaneo delle donne afgane, e Manizha Seddiqi, sparita per settimane e attualmente ancora detenuta. Mentre le donne afgane continuano a sfidare questa tempesta, siamo sempre al loro fianco per difendere il loro diritto a vivere in libertà”.
Papa Francesco: la devozione eucaristica di Mama Antula apre alla carità
María Antonia de Paz y Figueroa nacque nel 1730 nella provincia di Tucumán, Argentina, in una famiglia patrizia e benestante. Sin da fanciulla fu educata secondo i valori ed i principi cristiani ed entrò ben presto in contatto con la spiritualità ignaziana. Nel 1745 vestì l’abito di ‘beata’ gesuita emettendo i voti privati e, ritiratasi nel cosiddetto locale ‘Beaterio’, iniziò a condurre un’esistenza comunitaria insieme ad altre donne consacrate.
Il card. Eduardo Francisco Pironio è beato
Il card. Eduardo Francisco Pironio, morto nel 1998, sabato 16 dicembre è stato beatificato nella basilica di Nostra Signora di Luján, dove fu ordinato sacerdote nel dicembre del 1943, dal card. Fernando Vergez Alzaga, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, che per anni è stato segretario particolare del porporato argentino. La festa del nuovo beato sarà celebrata il 4 febbraio.
Federico Violo è il nuovo Coordinatore Interregionale Piemonte e Valle d’Aosta della Società San Vincenzo de’ Paoli
Mons. Bettazzi è stato un testimone della Chiesa in cammino
Domenica scorsa il vescovo emerito di Ivrea, mons. Luigi Bettazzi è morto all’età di 99 anni, in quanto era nato a Treviso il 26 novembre 1923. Il vescovo di Ivrea, mons. Edoardo Cerrato, aveva invitato nelle ore precedenti alla morte alla preghiera: “Accompagniamo monsignor Bettazzi che si sta avviando lucidamente al tramonto terreno. La nostra preghiera lo sostenga”.