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Acutis e Frassati santi nel 2025

“L’anno prossimo, durante la Giornata degli adolescenti, canonizzerò il beato Carlo Acutis, e nella Giornata dei giovani canonizzerò il beato Piergiorgio Frassati”, ha affermato papa Francesco nei saluti ai fedeli italiani nell’udienza generale di mercoledì scorso. E nel calendario dell’Anno Santo il Giubileo degli adolescenti è programmato da venerdì 25 a domenica 27 aprile; mentre il Giubileo dei giovani da lunedì 28 luglio a domenica 3 agosto.

Ed ha poi continuato dando appuntamento ai bambin nel prossimo febbraio: “In occasione della Giornata Internazionale dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che si celebra oggi, desidero annunciare che il prossimo 3 febbraio si svolgerà qui in Vaticano l’incontro Mondiale dei diritti dei bambini intitolato ‘Amiamoli e proteggiamoli’ con la partecipazione di esperti, di personalità di diversi Paesi. Sarà l’occasione per individuare nuove vie volte a soccorrere e proteggere milioni di bambini ancora senza diritti, che vivono in condizioni precarie, vengono sfruttati e abusati e subiscono le conseguenze drammatiche delle guerre”.

A tal proposito il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, mons. Domenico Sorrentino, ha sottolineato che la data di canonizzazione del beato Carlo Acutis, sarà domenica 27 aprile: “Assisi esulta per questa importante notizia che ci consente di avviarci al giorno della canonizzazione del beato Carlo Acutis con tutto l’entusiasmo e la buona preparazione necessaria. Abbiamo già in programma alcuni momenti significativi di approfondimento, riflessione e coordinamento che ci vedranno impegnati in città, in tutta la diocesi, nella diocesi sorella di Foligno e nelle diocesi umbre”.

Ed ha descritto il momento di ‘grazia’, che sta vivendo la Chiesa: “Sento questo momento come una grazia per la nostra Chiesa, la Chiesa italiana e del mondo intero. La Chiesa e specialmente i giovani sentono Carlo come un raggio di luce, come lo sono stati Francesco e Chiara sulle cui orme egli è venuto a santificarsi e ora riposa. E’ stato davvero originale non fotocopia, ha voluto conformarsi pienamente a Gesù, ha voluto essere un sorriso di Dio e una calamita di santità per i giovani. Condividono la nostra gioia il papà Andrea, la mamma Antonia, la sorella Francesca e il fratello Michele. E’ bello che Carlo ci indichi la strada della famiglia come strada di santità. Ringraziamo Papa Francesco e ci prepariamo con gioia a questo momento”.

 Anche dalla città natale di Carlo Acutis l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha evidenziato che egli è un santo della ‘porta accanto’: “La nostra terra è terra di santi. Ci sono i santi della porta accanto, quelli dei quali nessuno scrive la vita o per i quali nessuno costruisce altari. Sono la moltitudine che nessuno può contare e che quotidianamente, senza imprese degne di nota, silenziosamente tiene in piedi il mondo.

Ci sono i beati che hanno vissuto nei nostri paesi e che la Chiesa ha riconosciuto come vite esemplari, che meritano di essere conosciute perché possano essere imitate. Ci sono i santi che hanno vissuto tra noi ma che sono di tutti, che la Chiesa propone a tutti perché tutti li preghino con fiducia, ne ascoltino le parole, ne conoscano le opere”.

La canonizzazione di Carlo Acutis è un invito alla santità: “Posto sugli altari, potrà continuare a dire quanto ha detto in questi anni con la sua straordinaria popolarità. Ha detto – infatti – che tutti siamo chiamati alla santità: non solo i poveri, ma anche i ricchi, non solo le personalità straordinarie, ma anche le persone qualsiasi, non solo i fondatori di ordini religiosi, ma anche gli ammiratori dei consacrati e delle consacrate, non solo i sani, ma anche i malati, non solo gli adulti, ma anche gli adolescenti.

Il messaggio è quindi rivolto in modo particolare agli adolescenti: forse lo ascolteranno e saranno chiamati fuori di casa, fuori dalle loro tristezze, dai loro complessi, dalla loro rabbia, dalla loro inconcludenza. Forse ascolteranno la voce che viene dal cielo per loro e troveranno la gioia di vivere, il coraggio di amare, la fortezza nel soffrire. Troveranno forse la via della santità giovane, seguendo la pista percorsa da san Carlo Acutis”.

Anche l’Azione Cattolica Italiana è in festa per la canonizzazione del beato Pier Giorgio Frassati, che avviene a 100 anni dalla sua morte: “Una gioia e una gratitudine condivisa con le altre realtà ecclesiali presenti come l’Azione cattolica nel comitato di canonizzazione e parimenti con tutta la Chiesa.

La santità di questo giovane di Azione cattolica (a un secolo dalla morte, avvenuta a Torino il 4 luglio 1925) ancora oggi scalda i cuori e motiva i giovani a mettere al centro della loro vita l’amore di Dio e un servizio generoso e appassionato per il prossimo. La sua regola di vita, ‘lasciarsi coinvolgere’, è un monito contro l’indifferenza e l’isolamento, l’invito a sperimentare l’apertura del cuore da lui incarnata, uno spiraglio prezioso per entrare veramente in contatto con le persone e la realtà intorno a noi”.

La vita del beato Frassati è un esempio di impegno per la socialità nella città: “Specialmente per i più giovani, che quotidianamente si misurano con le tante insicurezze che minacciano la loro capacità di sognare il futuro, nell’opacità del disinteresse per il bene comune, nell’apatia che ogni tanto travolge le esistenze, il beato Pier Giorgio Frassati è esempio di persona che costruendo la sua vita sulla libertà ha saputo dimostrare che in poco tempo si possono raggiungere mete alte.

Come le vette delle montagne che amava scalare, la santità non è una vetta irraggiungibile; non un sentiero per pochi, ma un sentiero che ognuno può percorrere con i mezzi del quotidiano, di una vita normale ma ancorata a ideali alti”.

Tale notizia è uno stimolo in più per vivere l’Anno Santo: “Con il beato Pier Giorgio Frassati nel cuore, i ragazzi, i giovani e gli adulti di Azione cattolica si preparano a vivere in pienezza l’anno giubilare che si sta per aprire. Con la certezza di avere accanto un compagno di strada speciale, e con lui la numerosa schiera di santi, beati, venerabili e servi di Dio di Ac, donne e uomini di ogni età, laici e sacerdoti, testimoni ieri e oggi di un’Azione cattolica scuola di santità”.

Mentre l’arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole, ha ringraziato il papa per questo ‘regalo’ giubilare: “L’annuncio della canonizzazione del giovane Pier Giorgio Frassati è il più bel regalo che il papa poteva fare a Torino in vista del Giubileo della Speranza, che si apre fra poche settimane. Frassati è stato un grande testimone della Speranza cristiana:

aveva fiducia nella presenza viva e fedele di Cristo fra gli uomini. Era un giovane normale, studiava, amava lo sport, la montagna, ma aveva scoperto Dio e lo cercava nella preghiera quotidiana e in un esercizio instancabile della carità, soprattutto nei confronti dei poveri. Contagiò gli amici con il suo straordinario entusiasmo e lungo tutto il Novecento ha continuato a contagiare generazioni di giovani in tutto il mondo, fino ad oggi. Sarà proclamato Santo, questo è un giorno di grande festa per la Chiesa torinese e per tutta Torino”.

Mons. Sigalini: giocare è sempre un inno alla vita

“Chiarito che sport è gioco e non business, professione e non avventura, gara e non guerra, divertimento e non violenza… e tanti altri elementi che ne conseguono; chiarito che educazione non è operazione idraulica di travasi, imbuti e contenitori, ma offerta di ragioni di vita… è interessante collegare lo sport a tutta quella urgenza che i giovani di oggi hanno di sentirsi offrire ragioni, di vita, cercarle, approfondirle entro una esperienza che le permette, le affina, le fa esaltare, le scrive con determinazione nelle coscienze, le fa trovare nella concretezza dei rapporti, degli sforzi, del superamento di sé”: lo ha scritto mons. Domenico Sigalini, presidente del Centro Orientamento Pastorale (COP), in una riflessione pubblicata sulla newsletter del sito, in cui spiega il significato di sportivo:


“Essere sportivi è avere una meta, è godere di una compagnia, è sentirsi di una squadra. Essere sportivi è allenarsi a vivere la partita della vita, in cui ci vuole tutta la grinta possibile, perché in quella non si può perdere mai. Giocare è sempre un inno alla vita, che arriva dritto al suo Signore”.


Mons. Sigalini offre una riflessione sul valore del gioco: “Chi gioca non si monta la testa, ma la usa. I piedi sono solo per calciare il pallone, o per dare stabilità e slancio al corpo; le gambe solo per scattare e correre, il cuore per pompare sangue e non dimenticare mai che anche lo sport sta in piedi per amore. Le gare misurano le forze; le partite mettono in gioco le relazioni.

Lì nel campo ci stanno giovani con i loro corpi scattanti, ci sono gli altri. Gli altri sono sempre e solo amici, non sono mai solo concorrenti, altrettanto ben allenati, intelligenti e vivaci. Vincere o perdere conta molto, ma non è tutto. Ogni partita è una partita della vita non di un torneo. Ci si mette corpo e anima, personalità e sogni, se stessi e si cresce come uomini e donne. Lo sport inoltre immette ideali laddove c’è la noia, offre compagnia dove vince la solitudine, amicizia dove prevale lo sfruttamento reciproco”.

Però l’obiettivo più importante è far ‘combaciare’ gli obiettivi dello sport con quelli della vita: “Il punto più delicato è far incontrare domande e obiettivi, non ridurre lo sport ad assoluto, per cui comanda l’obiettivo della riuscita della prestazione, della vittoria ad ogni costo, isolandolo dall’obiettivo fondamentale che è quello del vivere aperti e solidali, felici e generosi, entusiasti e sereni”.

Per ‘creare’ un campione occorre considerare importanti anche le ‘esigenze’ del giovane: “Nello stesso tempo è assolutamente oggi necessario che il giovane sia tenuto in conto per quello che è e non per la prestazione che dà. Ha delle domande, dei sogni, delle attese, dei bisogni che devono essere fatti emergere e armonizzati nel corso della preparazione e della prestazione sportiva. Se questo è vero ogni dimensione della vita deve essere tenuta sotto traccia: l’affettività, il progetto del futuro, la religiosità, il lavoro, lo studio, la professione, le amicizie, la salute”.

Per questo lo sport non può essere autosufficiente per formare la personalità di un giovane: “In una società globalizzata anche nel modo di interagire delle risorse e dei problemi non si possono creare isole specialistiche che ignorano il resto e creare mostri o fenomeni che sanno tutto del pallone o dei campi e niente della vita, e del suo Signore.

E’ pure dimostrato che uno sportivo che ha una personalità armonica è più capace di resistere e di qualificarsi. Per questo anche lo sport non è autosufficiente nell’educare alla vita, ha bisogno di entrare in circolo con una sorta di costituente educativa fatta da tutti gli inter-attori della vita”.

E sempre sullo stesso sito il prof. Antonio Mastantuono, direttore di ‘Orientamenti Pastorali’, esamina il valore sociale del gioco: “Indispensabile come l’aria che respiriamo, il gioco è però qualcosa di più di un bisogno. E’ ciò che la tradizione cristiana chiama eutrapelia, la virtù del buon umore, quella forma di distacco e di eleganza spirituale che consente di cogliere e di apprezzare i lati giocosi della vita: virtù di santi, di mistici e di tutti coloro che non esitano a lanciarsi nella danza in risposta all’invito di Cristo. Allora la festa sarà di nuovo comunione, la liturgia un mosaico di canti, di luci e di danze, e la politica sarà restituita all’immaginazione…

Ed una Chiesa che confidi nell’azione dello Spirito, più che nell’ordine delle cerimonie o nel rigore formale e nei paramenti inamidati dei suoi ministri, non può non aprirsi alla dimensione ludica. Anche perché il diavolo (come diceva Friedrich Nietzsche) è lo spirito di pesantezza. Cioè il contrario dell’aerea leggerezza del gioco”.

(Foto:Cop)

I leoni dell’Atlante

‘No, non è un semplice gioco, è una terapia!’ Ha ragione padre Modeste, giovane missionario congolese dei Padri Bianchi. Lui fa l’arbitro. Sul verde campo da calcio li vedi scorazzare con un’energia che  impressiona. Scattanti sull’erba, interattivi, quasi danzando con il pallone al piede, e poi come un lampo… gooaaal!! Un urlo di gioia che squarcia le gole. L’adrenalina, qui, allora vola al massimo.

Mi stropiccio gli occhi, e mi domando incredulo: ma sono gli stessi giovani? Sì, li incontrate nei giorni normali per le strade di Rabat. Malconci e malvestiti, faccia tirata, atteggiamento supplichevole, elemosinano 1 dirham. Ed è il loro unico modo di sopravvivere. Alla fine della giornata, raccoglieranno appena due o tre euro, se tutto va bene. A volte, nulla.

“L’altra sera sono andato a dormire a stomaco vuoto, non c’era niente!”, vi dice amaro Ahmad, 17 anni, facendovi pietà. O perchè spesso cascano in retate delle forze dell’ordine, trasportati all’istante ai confini del deserto. Mendicare qui è proibito. Una città bella, tutta bianca, affacciata sul blu dell’oceano, Rabat, la capitale, non se lo può permettere. ‘Noblesse oblige’.

Ma sul terreno da calcio, dimenticano tutto. E vengono fuori loro tutte le energie dell’anima e del corpo. Dimenticano la loro immensa odissea tra deserti e frontiere. Provengono dal Senegal, dalla Guinea, insomma dai Paesi subsahariani, attraversano per mesi, anche a piedi, Mali e Algeria… Qui dimenticano le sofferenze, le violenze, le difficoltà di ogni genere, ferite o malattie, fame e sete incontrate. E anche le tragedie viste o vissute.

‘E’formidabilmente catartico per loro!’, mi fa ancora père Modeste. Sì, purificare la memoria. Far emergere giocando l’amarezza della loro vita, ma anche la sua sorprendente vitalità.  Vincere l’ansia, la solitudine e l’abbandono. Mostrare, così, un coraggio senza limiti, e la voglia di andare avanti ad ogni costo. Perfino a costo della vita. E lo sanno… Il loro sogno è l’Europa. ‘Hanno un coraggio che trasporta le montagne!’ mi fa qualcuno.

Le loro famiglie li seguono da lontano, passo dopo passo: questi giovani raminghi sono la loro speranza. Finché un giorno non sentiranno più la loro voce, ed allora, tutto è perduto! Resterà solo il pianto a far loro compagnia. Un’avventura, questa, inimmaginabile per loro stessi. Sì, impensabile. Ma qui, sull’erba di un campo da calcio ritrovano un po’ di umanità. E una nuova energia interiore. ‘Voilà, les vrais lions de l’Atlas!’ (‘Eccoli, i veri leoni dell’Atlante’, il nome dell’equipe del Marocco) esclama p. Modeste, per incoraggiarli.

Da poco, hanno pensato di mettere su una ‘cassa del calcio’ per tutte le loro spese, ma é sempre vuota. Dovrebbe servire a medicinali di emergenza, al trasporto, a un pasto insieme, all’affitto orario del campo… Perchè vivono in quartieri poverissimi della periferia e vengono in centro città per giocare. A volte li vedi apparire a decine. E sono tutti musulmani.

Alcuni come Aliou o Mamadou semplicemente adolescenti, ma a cui la vita dura ha dato grinta e talento. Il loro match, poi, inizia sempre con una preghiera. E’ vero, l’invocazione ad Allah li accompagna ad ogni istante. La sentite spesso sulla bocca di una vita giovane, selvatica e disperata come la loro.

E vi sorprende. Perchè solo Dio li tiene per mano, in un mondo tutt’attorno di avversità. E così, alla fine, padre Modeste sembra concludere con Bonhoeuffer: ‘La Chiesa non è realmente Chiesa, se non quando esiste per coloro che non ne fanno parte’. Ammirevole missionarietà!

Se per caso desiderate inviare un vostro piccolo obolo per la cassa dei nostri giovani subsahariani, l’IBAN è IT98WO2008106403903 Unicredit

Il presidente di Athletica Vaticana: le Olimpiadi per costruire ponti di pace

Aperti i Giochi Olimpici che si svolgono a Parigi fino a domenica 11 agosto, papa Francesco ha scritto un messaggio all’arcivescovo di Parigi, mons. Laurent Ulrich, invitando le comunità cristiane all’accoglienza: “So, infatti, che le comunità cristiane si preparano ad aprire ampiamente le porte delle loro chiese, delle loro scuole, delle loro case. Soprattutto aprano le porte del loro cuore, testimoniando, con la gratuità e la generosità dell’accoglienza verso tutti, il Cristo che li abita e che comunica loro la sua gioia”.

Nel messaggio la speranza di superare le contrapposizioni attraverso lo sport: “I Giochi Olimpici, se restano davvero ‘giochi’, possono quindi essere un luogo eccezionale di incontro tra le persone, anche le più ostili. I cinque anelli intrecciati rappresentano questo spirito di fraternità che deve caratterizzare l’evento olimpico e la competizione sportiva in generale”.

Infine il papa aveva sottolineato la necessità di una tregua olimpica: “E’ con questo spirito che l’Antichità stabilì saggiamente una tregua durante i Giochi e che l’età moderna tenta regolarmente di riprendere questa felice tradizione. In questo periodo travagliato in cui la pace nel mondo è seriamente minacciata, auspico vivamente che tutti siano desiderosi di rispettare questa tregua nella speranza di una risoluzione dei conflitti e di un ritorno all’armonia”.

Per comprendere veramente lo spirito olimpico abbiamo chiesto al presidente di Athletica Vaticana, dott. Giampaolo Mattei, di illustrarci l’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi, che inizieranno lunedì 12 agosto: “Ai Giochi di Tokyo, nel 2021, il Comitato olimpico internazionale ha aggiunto la parola ‘Communiter’ (‘Insieme’) al celebre motto olimpico (‘Più veloce, più in alto, più forte’), coniato per Pierre de Coubertin dal domenicano francese Henri Didon. Oggi più che mai l’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi è proprio l’esperienza di fare sport ‘communiter’.

Del resto, scrive papa Francesco nella prefazione del libro ‘Giochi di pace’, pubblicato su iniziativa di Athletica Vaticana, ‘la Carta olimpica indica il principio della centralità della persona nella sua dignità e si impegna a contribuire alla costruzione di un mondo migliore, senza guerre, educando i giovani attraverso lo sport praticato senza discriminazioni, in uno spirito di amicizia e solidarietà.

E’ nell’anima dell’attività sportiva unire e non dividere e i cinque anelli intrecciati, simbolo e bandiera dei Giochi olimpici, stanno proprio a rappresentare lo spirito di fratellanza che deve caratterizzare la manifestazione olimpica e la competizione sportiva in generale’”.

 Veramente le Olimpiadi sono giochi di pace?

“Lo sport è, senza dubbio, l’espressione culturale più popolare e diffusa nel mondo. Nella sua essenza è esperienza di fraternità e di pace. I Giochi però sono legati a sangue (Monaco 1972) ed a boicottaggi che hanno impedito la partecipazione di tutti. Con questa consapevolezza, è opportuno rilanciare la proposta di vivere le Olimpiadi e le Paralimpiadi con lo stile ‘communiter’. E così la parola-chiave per lo sport, oggi più che mai, è ‘vicinanza’. Nella prefazione di ‘Giochi di pace’ il papa scrive che ‘vicinanza’ è ‘il primo suggerimento che, come allenatore del cuore’, propongo sempre ad Athletica Vaticana per delineare l’essenza della sua presenza di condivisione: correndo o pedalando o giocando insieme con tutti gli sportivi’”.

‘Ripensando al valore della tregua olimpica, la mia speranza è che lo sport possa concretamente costruire ponti, abbattere barriere, favorire relazioni di pace’: ha scritto papa Francesco. Lo sport può veramente costruire ponti?

“Non c’è dubbio che lo sport olimpico e paralimpico (con le sue appassionanti storie umane di riscatto e di fraternità, di sacrificio e di lealtà, di spirito di gruppo e di inclusione) possa essere anche un originale canale diplomatico per saltare ostacoli apparentemente insormontabili, ‘mettendo insieme talenti diversi anche per costruire una società migliore, più giusta’ rilancia Francesco: ‘Quando si fa sport insieme non importa la provenienza, la lingua o la cultura o la religione di una persona. Questo è anche un insegnamento per la nostra vita e ci richiama alla fraternità tra le persone, aldilà delle loro abilità fisiche, economiche o sociali’. E questa è una proposta di pace, proprio attraverso l’esperienza sportiva che ha nelle Olimpiadi e nelle Paralimpiadi la sua massima espressione”.

Anche quest’anno alle Olimpiadi c’è una squadra di rifugiati: quale è il significato per il mondo?

“La partecipazione (per la terza edizioni dei Giochi) di un Team olimpico e paralimpico composto da rifugiati è un progetto di pace ed un’esperienza di inclusione, non solo simbolica. Ed è anche motivo di speranza per tutte le persone rifugiate, sfollate. E’ un po’ ‘la squadra di tutti’. Le storie delle atlete e degli atleti che ne fanno parte sono impressionanti: molti vivono nei campi profughi e lo sport è motivo di riscatto non solo personale: dalla nuotatrice olimpionica siriana che spinge il gommone in mare aperto fino all’isola di Lesbo mettendo in salvo 18 persone, al nuotatore afghano nato senza braccia che diventa campione paralimpico”.

Dal 1960 dopo le Olimpiadi si svolgono sempre le Paralimpiadi: con quale visibilità?

“L’obiettivo del movimento paralimpico non è soltanto celebrare un grande evento, ma dimostrare quello che persone, pur fortemente ferite nella vita, riescono a raggiungere quando sono messe nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere per la vita. Con una significativa nota: all’inizio del secolo scorso le prime gare sportive con la partecipazione di atleti con disabilità si sono svolte in Vaticano, davanti a papa Pio X. L’Osservatore Romano ha documentato fin nei dettagli quelle straordinarie esperienze di inclusione, con atleti non vedenti e amputati, mezzo secolo prima delle Paralimpiadi a Roma”.

Per quale motivo una squadra di atleti vaticani? 

“Athletica Vaticana è l’associazione polisportiva ufficiale della Santa Sede. Ha detto papa Francesco, lo scorso 13 gennaio, ricevendo la ‘sua’ squadra: ‘Con uno stile improntato alla semplicità, Athletica Vaticana si impegna a promuovere la fraternità, l’inclusione e la solidarietà, testimoniando la fede cristiana tra le donne e gli uomini di sport, amatori e professionisti’. Non si tratta, quindi, di ‘fare sport e basta’ ma di costruire insieme un’esperienza di comunità tra persone negli stadi, nei campi, nelle piste e nelle palestre”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco sollecita la pace olimpica

“Mi unisco alle intenzioni della Messa che lei celebra, Eccellenza, poiché presto nella sua Città si svolgeranno i Giochi Olimpici. Chiedo al Signore di colmare dei suoi doni tutti coloro che in un modo o nell’altro vi parteciperanno (siano essi atleti o spettatori), e anche di sostenere e benedire coloro che li accoglieranno, in particolare i fedeli di Parigi e di altrove”.

A pochi giorni dall’apertura Giochi Olimpici che si terranno a Parigi dal 26 luglio all’11 agosto, papa Francesco ha scritto un messaggio all’arcivescovo di Parigi, mons. Laurent Ulrich, invitando le comunità cristiane all’accoglienza: “So, infatti, che le comunità cristiane si preparano ad aprire ampiamente le porte delle loro chiese, delle loro scuole, delle loro case. Soprattutto aprano le porte del loro cuore, testimoniando, con la gratuità e la generosità dell’accoglienza verso tutti, il Cristo che li abita e che comunica loro la sua gioia”.

Un particolare apprezzamento è dedicato all’arcivescovo per l’accoglienza alle persone vulnerabili: “Apprezzo molto che tu non abbia dimenticato le persone più vulnerabili, in particolare coloro che si trovano in situazioni molto precarie, e che l’accesso al partito sia loro facilitato. Più in generale, auspico che l’organizzazione di questi Giochi costituisca per tutto il popolo francese una grande occasione di concordia fraterna che consenta, al di là delle differenze e delle contrapposizioni, di rafforzare l’unità della Nazione”.

Nel messaggio la speranza di superare le contrapposizioni attraverso lo sport: “Lo sport è un linguaggio universale che trascende confini, lingue, razze, nazionalità e religioni; ha la capacità di unire le persone, di promuovere il dialogo e l’accoglienza reciproca; stimola l’automiglioramento, allena lo spirito di sacrificio, promuove la lealtà nei rapporti interpersonali; ci invita a riconoscere i nostri limiti e il valore degli altri. I Giochi Olimpici, se restano davvero ‘giochi’, possono quindi essere un luogo eccezionale di incontro tra le persone, anche le più ostili. I cinque anelli intrecciati rappresentano questo spirito di fraternità che deve caratterizzare l’evento olimpico e la competizione sportiva in generale”.

E’ questo l’augurio del papa: “Mi auguro quindi che le Olimpiadi di Parigi siano per tutti coloro che provengono da tutti i Paesi del mondo un’occasione imperdibile per scoprire e apprezzare se stessi, per abbattere pregiudizi, per creare stima dove trovano disprezzo e diffidenza, amicizia dove trovano posto disprezzo e sfiducia è l’odio. I Giochi Olimpici portano, per loro natura, la pace e non la guerra”.

Infine il papa ha sottolineato la necessità di una tregua olimpica: “E’ con questo spirito che l’Antichità stabilì saggiamente una tregua durante i Giochi e che l’età moderna tenta regolarmente di riprendere questa felice tradizione. In questo periodo travagliato in cui la pace nel mondo è seriamente minacciata, auspico vivamente che tutti siano desiderosi di rispettare questa tregua nella speranza di una risoluzione dei conflitti e di un ritorno all’armonia”.

Athletica Vaticana a Gibilterra per i Campionati dei Piccoli Stati d’Europa

Sabato 22 giugno Athletica Vaticana sarà in pista a Gibilterra con i 18 Piccoli Stati d’Europa per i Campionati di atletica leggera. Porterà in segno di fraternità sportiva il testimone della staffetta benedetto e firmato da papa Francesco. La presenza sportiva vaticana a Gibilterra, affacciata sul Mediterraneo, è particolarmente significativa: la ‘squadra del Papa’ rilancerà, con umiltà e semplicità, i contenuti del messaggio di fraternità, inclusione e pace, anche attraverso lo sport, testimoniato da Francesco.

Con i cinque atleti vaticani (Emiliano Morbidelli, Carlo Pellegrini, Rien Schuurhuis, Giuseppe Tetto, Giuseppe Zapparata) scenderanno in pista sportivi in rappresentanza di Albania, Andorra, Armenia, Azerbaigian, Bosnia ed Erzegovina, Cipro, Georgia, Gibilterra, Islanda, Kosovo, Liechtenstein, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Malta, Moldova, Monaco, Montenegro e  San Marino. Tra loro ci sono atleti protagonisti di finali olimpiche e di finali mondiali. Per la terza volta Athletica Vaticana partecipa a questa manifestazione europea, dopo le edizioni organizzate a San Marino e a Malta dove Sara Carnicelli ha ottenuto uno ‘storico’ terzo posto nei 5000 metri.

Athletica Vaticana rilancia il suo servizio di fraternità sul palcoscenico sportivo internazionale insieme a popoli che, non solo sportivamente, non hanno la grande ribalta, per testimoniare concretamente la ‘cultura della fraternità’ e la ‘cultura dell’incontro’. Costruendo ponti di amicizia e di dialogo con tutti. In un contesto internazionale di tensione e di guerra, proprio lo sport può essere  opportunità di conoscenza reciproca che fa cadere pregiudizi e ostilità attraverso il dialogo tra culture e religioni diverse. Un messaggio che papa Francesco ha riproposto nei giorni scorsi, nella prefazione del libro ‘Giochi di pace. L’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi’ (Libreria editrice vaticana) promosso proprio da Athletica Vaticana.

A Gibilterra, nello stile indicato da papa Francesco, la squadra di atletica leggera vaticana (partita da Roma ieri mattina) incontra le realtà sociali: in particolare preparerà una cena italiana per le persone con disabilità intellettiva, ed i loro familiari, che fanno parte dell’associazione ‘Fede e luce’.

Significativo l’abbraccio con la comunità cristiana di Gibilterra che ospiterà fraternamente la squadra. Con gli atleti ci saranno alcuni familiari, la vicepresidente Valentina Giacometti, e Claudio Carmosino che, dopo 40 anni di esperienza nel Gruppo sportivo Fiamme Gialle della Guardia di finanza, coordina gli allenamenti di Athletica Vaticana.

(Foto: Athletica Vaticana)

Mettere la vita in gioco: convegno sulla spiritualità nello sport

Lunedì scorso si è svolta la presentazione del convegno internazionale su sport e spiritualità (‘Mettere la vita in gioco’) in programma dal 16 al 18 maggio per iniziativa del Dicastero per la cultura e l’educazione e l’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede con interventi dell’ambasciatrice di Francia presso la Santa Sede, Florence Mangin; Emanuele Isidori, professore di Filosofia dello Sport all’università di Roma Foro Italico) e l’atleta atleta paralimpico Antonio Mariani; e del card. José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, il quale ha osservato che l’organizzazione di un convegno che parla di sport da parte della Chiesa può sembrare ‘strano’, ma in fondo non lo è, come è stato affermato in un’intervista alla Gazzetta dello Sport da papa Francesco:

“Ma partendo dalle parole di Papa Francesco, quando paragona lo sport alla santità, ci rendiamo conto dei tanti punti di connessione che esistono tra sport e spiritualità. Papa Francesco ce lo dice in un’intervista rilasciata nel 2021 a due giornalisti della Gazzetta dello Sport… L’organizzazione di questo Convegno si propone di fare proprio questo: osservare lo sport oggi. Capire perché è così popolare. Identificare i suoi rischi. Valutare la sua rilevanza per la costruzione di una società più fraterna, tollerante ed equa. Discernere come Dio si manifesta in questa manifestazione culturale”.

Anzi tra storia dello sport e storia della Chiesa ci sono molti contatti, ricordando le parole di san Giovanni Paolo II nel 2000 durante il Giubileo degli sportivi: “Se guardiamo alla storia dello sport in parallelo con la storia della Chiesa, ci sono stati molti momenti in cui lo sport è stato un’ispirazione e una metafora per la vita dei cristiani, oppure il cristianesimo stesso ha arricchito lo sport con la sua visione umanistica”.

Ed ha citato il motto olimpico, introdotto alle Olimpiadi del 1924 svoltesi a Parigi su proposta di un religioso: “Ecco un breve esempio a proposito: quest’anno si celebra il centenario dell’introduzione del motto olimpico ‘citius, altius, fortius’ (più veloce, più alto, più forte) ai Giochi Olimpici di Parigi del 1924. Un motto che era stato ideato da un ecclesiastico, il frate domenicano Henri Didon, e proposto a Pierre de Coubertin, il fondatore dei Giochi Olimpici moderni (Atene – 1896).

L’esempio di Fra Henri Didon esprime così il desiderio della Chiesa nei confronti dello sport: la Chiesa non vuole controllare lo sport o creare uno sport alternativo, ma umanizzarlo attraverso una visione cristiana dello sport”.

Insomma, tra lo sport e la Chiesa intercorre la ‘sinodalità sportiva’: “E’ vero, la figura di Gesù, nel suo messaggio e nei suoi gesti, ha molto da offrire allo sport. Allo stesso modo, la Chiesa ha molto da imparare dal fenomeno sportivo. Questo è essenzialmente ciò che vogliamo ottenere con questo Convegno internazionale, portando qui non solo voci dall’interno della Chiesa, ma anche voci esterne alla Chiesa che ci aiuteranno con le loro riflessioni. Si tratta di un bellissimo esercizio di ‘sinodalità sportiva’. E così si rischia una cultura dell’incontro, come sottolinea papa Francesco”.

Mentre l’ambasciatrice francese, mademoiselle Mangin, ha sottolineato che “i Giochi di Parigi del 1924 si aprirono, al pari dei precedenti, con una messa olimpica celebrata nella Cattedrale Notre-Dame. Nel 2024, la Chiesa dei Giochi sarà quella della Madeleine a Parigi, dove si celebrerà a partire dal 19 luglio la messa di apertura della Tregua Olimpica, mentre il 4 agosto un evento interreligioso si svolgerà sul sagrato della Cattedrale Notre-Dame, ancora chiusa”.

Inoltre ha richiamato al preambolo della Carta olimpica (‘L’Olimpismo è una filosofia di vita, che esalta e unisce in un insieme equilibrato le qualità del corpo, della volontà e della mente. Mescolando lo sport con la cultura e l’educazione, l’Olimpismo vuole essere creatore di uno stile di vita basato sulla gioia nello sforzo, sul valore educativo del buon esempio, sulla responsabilità sociale e sul rispetto dei principi etici fondamentali universali’) che si coniuga con l’enciclica di papa Francesco, ‘Fratelli tutti’:

“I Giochi di Parigi 2024 riprenderanno questi grandi orientamenti, ponendo l’accento sulla sobrietà delle installazioni, sull’inclusività, con una sola squadra di Francia che riunisce gli atleti olimpici e paralimpici e con un’attenzione particolare ai più poveri. S’impegneranno ad essere anche durevoli, con la promozione dello sport nella vita quotidiana dei giovani e come mezzo di inclusione sociale. Infine, saranno completamente paritari riguardo agli atleti olimpici, con tanti atleti uomini quante atlete donne”.

Infine il prof. Isidori ha presentato la struttura dell’incontro: “Il convegno che abbiamo organizzato mira a riflettere su questo fenomeno da un punto di vista telescopico e microscopico, in altre parole: vedere lo sport oltre lo sport. Più precisamente, per comprenderne le radici culturali, individuarne i rischi, apprezzarne l’importanza nella costruzione di una società più fraterna, valutarne il potenziale pedagogico e, soprattutto, approfondirne la rilevanza spirituale”.

Questo il programma delle giornate: “La prima giornata (16 maggio) affronterà il rapporto tra ‘Chiesa e Sport’, attraverso la condivisione della testimonianza di atleti di alto livello e di alcune esperienze pastorali concrete che mettono lo sport al servizio del Vangelo e il Vangelo al servizio dello sport…

La seconda giornata (17 maggio) si concentrerà sul rapporto tra ‘Uomo e Sport’, attraverso la riflessione di un gruppo di relatori altamente qualificati provenienti da università italiane e francesi, che discuteranno dello sport in termini di rilevanza pedagogica, filosofica, sociologica e teologica…

La terza giornata (18 maggio) avrà una dimensione più pratica, e vedrà l’organizzazione di un evento sportivo di solidarietà (la staffetta della fraternità) per mostrare alla società civile la rilevanza sociale dello sport stesso”.

(Foto: Vatican Media)

Papa Francesco agli atleti vaticani: lo sport favorisca la pace

Nell’anno delle Olimpiadi papa Francesco ha incontrato gli atleti di Athletica Vaticana, accompagnati dalle famiglie, sottolineando l’importanza dello sport come espressione culturale: “Esprimo la mia gioia per la presenza di Athletica Vaticana sulle strade, nelle piste e nei campi da gioco, e per la vostra testimonianza cristiana nel grande mondo dello sport, che oggi rappresenta la più diffusa espressione culturale, a patto che si mantenga sempre quella amatorialità che custodisce lo sport. Il mio saluto riconoscente va anche alle Autorità sportive internazionali e italiane che, con la loro presenza, testimoniano la vivacità del dialogo e della collaborazione con la Santa Sede”.

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