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Mons. Delpini: non dimenticare l’eredità di sant’Ambrogio
“Come sarà quel giorno in cui si troveranno vicini chi ha bussato alle porte d’Italia e d’Europa e chi ha chiuso la porta; chi ha chiesto di lavorare, di rendersi utile senza morire di fame e di guerra e si è sentito dire: qui non puoi entrare perché non mi fido di te, perché ho paura, vai pure a morire altrove?… Come sarà quel giorno in cui nella luce di Cristo risorto si troveranno vicini l’assassino e la sua vittima, chi ha bombardato e chi è morto sotto i bombardamenti, chi ha subito violenza e chi ha commesso violenza? Signore che cosa sarà quel giorno?”: è stato un monito severo quello che l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha rivolto ai fedeli che hanno gremito la basilica di sant’Ambrogio per il pontificale nella solennità del santo vescovo della città di Milano e della regione Lombardia.
L’arcivescovo ambrosiano ha comunque sottolineato che tale monito deve rendere anche saggi: “Possiamo ancora accogliere la rivelazione del grande mistero affidato all’apostolo Paolo e predicato a tutte le genti: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, a essere partecipi della stessa promessa, per mezzo del Vangelo. Siamo in tempo per convertirci”.
E’ stato un invito a riscoprire il pensiero di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio amò intensamente i poveri e i prigionieri, per i quali donò tutto l’oro e l’argento che possedeva. Sant’Ambrogio accolse nella Chiesa Agostino, l’illustre intellettuale di origine africana, che proprio a Milano ha portato a compimento il suo cammino di conversione e ha ricevuto il battesimo”.
Ecco la nuova visione, sempre attuale, di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio aveva una visione del mondo e dei popoli ispirata dalla universalità cattolica e dalla visione politica dell’impero romano. L’impero romano è finito da un pezzo, ma la coscienza della vocazione alla fraternità universale è irrinunciabile per la coscienza cattolica”.
E’ stato un richiamo a non dimenticare l’eredità del santo vescovo ambrosiano: “Per essere degni dell’eredità di Ambrogio noi siamo chiamati a condividere questa visione cattolica. La radice del nostro desiderio di costruire una comunità unita nella fede e nella carità ha la sua radice e la sua forza nel desiderio di Gesù: ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.
La fraternità universale in cui tutti sono accolti non è una confusione indistinta, ma un superamento della separazione tra le genti che genera la contrapposizione, i nazionalismi e infine persino le guerre (così insegna Paolo nella lettera agli Efesini). Occorre resistere alla divisione che contrappone i fratelli, i popoli. ‘Attenzione al lupo’: c’è un nemico che insidia il gregge, rapisce le pecore e le disperde. La rovina è la divisione, che si conclude con l’essere schiavi di padrone, invece che abitare nella casa della libertà”.
Quindi la fraternità è solidarietà, che pone interrogativi: “La fraternità universale in cui tutti sono accolti, e hanno tutto in comune, non è una forma di comunismo, ma una pratica della solidarietà in cui i ricchi non sono troppo ricchi ed i poveri non sono troppo poveri. Come sarà quel giorno? Come incroceremo lo sguardo degli altri? Come incroceremo lo sguardo di Gesù?”
Anche nel ‘discorso alla città’ mons. Delpini ha invitato a lasciare ‘riposare la terra. Il Giubileo 2025, tempo propizio per una società amica del futuro’, perché la gente è stanca: “La gente non è stanca della vita, perché la vita è un dono di Dio che continua a essere motivo di stupore e di gratitudine. La gente è stanca di una vita senza senso, che è interpretata come un ineluttabile andare verso la morte. E’ stanca di una previsione di futuro che non lascia speranza. E’ stanca di una vita appiattita sulla terra, tra le cose ridotte a oggetti, nei rapporti ridotti a esperimenti precari. E’ stanca perché è stata derubata dell’ ‘oltre’ che dà senso al presente, sostanza al desiderio, significato al futuro”.
Ed invita ad una riflessione sul valore del lavoro: “La stanchezza della gente non è per la fatica del lavoro, perché la gente lavora con passione e serietà, impegna le sue forze, le sue risorse intellettuali, le sue competenze. Lavora bene ed è fiera del lavoro ben fatto. La gente è stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti. La gente è stanca degli incidenti sul lavoro. La gente è stanca di constatare che i giovani non trovano lavoro e le pretese del lavoro sono frustranti. La gente è stanca della burocrazia, dell’ossessione dei controlli che tratta ogni cittadino come un soggetto da vigilare, piuttosto che come una persona da coinvolgere nella responsabilità per il bene comune”.
Ed ecco la ‘novità’ del Giubileo: “Non vogliamo e non possiamo, infatti, sottrarci al compito di interpretare e affrontare la crisi antropologica che travaglia la nostra società. Siamo chiamati a comporre le tensioni che sembrano inconciliabili: sviluppo contro sostenibilità, crisi ambientale contro crisi sociale, dimensione globale contro quella locale. Occorre un punto di vista più alto, di tipo culturale e spirituale, capace di abbracciare i vari aspetti che sono contemporaneamente in gioco. Ciò sarà possibile operando tutti insieme attraverso uno sguardo ‘contemplativo’, l’unico in grado di imprimere alla realtà umana, sociale, politica ed economica una direzione che componga aspetti vitali che da soli si presentano in termini conflittuali”.
Il Giubileo è un’occasione per riscoprire il ‘principio sabbatico’: “Il Giubileo, che si sta per aprire, deve essere un’occasione per prestare ascolto al grido di sofferenza che si leva dai popoli e dalla terra. Il Giubileo che il papa ha indetto per l’anno 2025 è un’attuazione storica del ‘principio sabbatico’: se Dio ha sentito l’esigenza di riposare, così occorre lasciare anche agli esseri umani e alla terra la possibilità di farlo.
Il ‘principio sabbatico’ custodisce il mistero del cosmo come dono di benevolenza e creatività. Senza il rispetto di tale principio, non solo non c’è più festa, ma viene a esaurirsi lo spazio dello spirito umano: la stanchezza non trova sollievo, l’umano affaticato non vive le condizioni per una ri-creazione. Il riposo è essenziale agli uomini come alla terra”.
Nel giubileo risiede il significato del riposo: “Lasciare riposare la terra non significa scegliere di assentarsi dalla storia o immaginare un periodo di semplice inerzia. Al contrario, si tratta di un esercizio fortemente attivo: chiede di raccogliere tutte le energie per evitare di continuare a fare quello che si è sempre fatto e riuscire a sospendere le abituali azioni per ascoltare e cogliere il grido di aiuto che si eleva dalla terra”.
In questo senso si può ancora sperare, in quanto nasce dalla responsabilità: “La speranza nasce anche grazie alla (e in conseguenza della) assunzione di responsabilità individuali e collettive. Significa lasciarci guidare da Dio, nel leggere e accogliere tutte le grida e le domande di riparazione che la terra mal coltivata e sfruttata eleva ogni giorno, dentro le nostre vite”.
E’ una benedizione anche per il popolo: “E benedico la gente. Benedetti tutti voi abitanti di questa terra che portate il peso della vita con la dignità operosa di chi fa fronte, di chi ha fiducia nelle istituzioni e con realismo pretende quello che è dovuto perché la stanchezza non esasperi gli animi, non opprima i fragili, non condanni i poveri.
Benedico voi che siete disponibili a portare i pesi gli uni degli altri e vi dedicate ad alimentare la speranza, a praticare una solidarietà senza discriminazioni, perché tutti possano affaticarsi nell’edificare la società e tutti possano trovare ristoro e riposo in questo nostro convivere… Che siate tutti benedetti, voi che vi prendete cura della stanchezza della gente, della città, della terra e cercate come offrire riposo nell’anno del Giubileo e in ogni anno a venire. E riposate un po’ anche voi!”
(Foto: Diocesi di Milano)
Carlo Acutis e il suo amico Gesù
E’ presto per pensare ai regali di Natale? Forse sì, ma chissà che non ci sia tra voi qualcuno che gradirebbe già qualche idea, per non trovarsi, poi, all’ultimo, con l’acqua alla gola. E allora, se siete tra coloro che si muovono in anticipo, lasciate che vi proponga un libro, adatto per i bambini dai sette anni in su, dedicato a Carlo Acutis, il beato millennial, prossimo alla canonizzazione: Carlo Acutis e il suo amico Gesù (Mimep Docete).
Ecco la trama. Lucia, la mamma di due gemelli, Filippo e Alessia, decide di raccontare ai suoi figli ogni sera un episodio della vita di questo giovane per aiutarli a conoscere meglio Gesù attraverso i gesti di Carlo e ad entrare nel mistero dell’Eucaristia, in vista della loro prima comunione.
Filippo e Alessia, allora, scoprono cosa ha fatto questo ragazzino originario di Milano e morto a soli 15 anni nel 2006, a causa di una leucemia fulminante. Scoprono che Carlo è stato un giovane cristiano appassionato del Vangelo e del Santissimo Sacramento, davanti al quale riponeva tutta la sua vita, scoprendo di sentirsi ‘leggero’ nell’affrontare la vita con Gesù. Veniva da una famiglia ricca, ma il suo ‘mito’ era san Francesco, il poverello di Assisi, che era riuscito a cercare l’essenziale, avendo così un cuore libero dalla schiavitù del possedere.
Anche Carlo voleva spogliarsi del superfluo, condividere con gli altri ciò che aveva, e lo faceva con i piccoli grandi gesti di un bambino (ad esempio, usava la sua paghetta per donare sacchi a pelo ai senzatetto di Milano). ‘Non io, ma Dio’, ripeteva, certo che la felicità fosse spostare lo sguardo da noi stessi al Signore e, come conseguenza di questa relazione intima, sugli altri.
Carlo insegna a questi due gemellini che la santità non è una questione di luoghi, età, possibilità, ma di cuore: si può essere santi ovunque, basta essere uniti a Dio in tutto ciò che facciamo, basta non perdere – in questo mondo iperconnesso – la connessione più importante, quella con il Padre. Il libro vuole mostrare un modello di vita semplice e al tempo stesso straordinario, per piccoli o grandi.
Vi ho incuriosito? Vi aspetto tra le pagine di ‘Carlo e il suo amico Gesù!’ Dall’introduzione del libro: ‘Mamma: tu sei proprio sicura che quando fai la comunione ricevi il corpo di Gesù?’
Alessia è una bambina molto riflessiva, non ama fare le cose senza pensare. Da tempo, soprattutto con l’avvicinarsi della data in cui riceverà quel sacramento, si interroga su come sia possibile che in un pezzetto di Pane si nasconda proprio Dio!
La mamma la guarda con dolcezza e annuisce. Lucia pensa davvero che nell’Eucaristia ci sia Gesù. Ci crede perché ha sperimentato la gioia, la speranza, la forza che entrano nel cuore quando viene in lei il Signore. Sa che Cristo è vivo, in quel piccolo e prezioso pezzettino di pane e che ogni comunione è una carezza per l’anima. Capisce, però, che si tratta di un mistero grande e che la figlia possa avere dei dubbi. Così, dopo aver parlato a lungo con la figlia, quella sera, pensa ad un modo per aiutare i suoi bambini a capire meglio questo grande regalo. Sa che i catechisti e il parroco li hanno preparati molto bene, ma sente il desiderio di donare qualcosa di unico anche lei, per questa occasione particolare.
Ecco che Lucia decide di scrivere per loro la storia di un ragazzino speciale, che ha vissuto un rapporto intimo e bellissimo con Gesù. Volete sapere di chi stiamo parlando? Lo scoprirete nelle prossime pagine, leggendo il racconto che Lucia ha voluto condividere con Filippo e Alessia, ma che ora è anche per ognuno di voi.
Papa Francesco: il Cuore di Gesù apre alla gioia dell’annuncio
“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo, per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’. Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’. Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’. Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo. Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’.
Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”.
Con queste parole papa Francesco inizia l’enciclica ‘Dilexit nos. Sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo’, pubblicata mentre sono in corso le celebrazioni per il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù, nel 1673, a Santa Margherita Maria Alacoque, fino al 27 giugno prossimo.
L’invito dell’enciclica è un ritorno al ‘cuore’: “In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede”.
Ed il cuore non è mai stato al centro del pensiero umano: “Si sono preferiti altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà. Il suo significato è impreciso e non gli è stato concesso un posto specifico nella vita umana. Forse perché non era facile collocarlo tra le idee “chiare e distinte” o per la difficoltà che comporta la conoscenza di sé stessi: sembrerebbe che la realtà più intima sia anche la più lontana per la nostra conoscenza.
Probabilmente perché l’incontro con l’altro non si consolida come via per trovare sé stessi, giacché il pensiero sfocia ancora una volta in un individualismo malsano. Molti si sono sentiti sicuri nell’ambito più controllabile dell’intelligenza e della volontà per costruire i loro sistemi di pensiero. E non trovando un posto per il cuore, distinto dalle facoltà e dalle passioni umane considerate separatamente le une dalle altre, non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore”.
Però il cuore è importante: “Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo”.
Il cuore è importante perché è capace di unire i ‘frammenti’ della vita, cioè di custodire: “Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso. Questo è ciò che il Vangelo esprime nello sguardo di Maria, che guardava con il cuore. Ella sapeva dialogare con le esperienze custodite meditandole nel suo cuore, dando loro tempo: rappresentandole e conservandole dentro per ricordare”.
L’enciclica è un invito ad affidarsi al cuore di Gesù: “Abbiamo bisogno dell’aiuto dell’amore divino. Andiamo al Cuore di Cristo, il centro del suo essere, che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano. E’ lì, in quel Cuore, che riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare”.
Il papa chiede di pregare il cuore di Gesù: “Davanti al Cuore di Cristo, chiedo al Signore di avere ancora una volta compassione di questa terra ferita, che Lui ha voluto abitare come uno di noi. Che riversi i tesori della sua luce e del suo amore, affinché il nostro mondo, che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore”.
Per questo è necessaria l’adorazione: “La devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore… E’ indispensabile sottolineare che ci relazioniamo con la Persona di Cristo, nell’amicizia e nell’adorazione, attratti dall’amore rappresentato nell’immagine del suo Cuore. Veneriamo tale immagine che lo rappresenta, ma l’adorazione è rivolta solo a Cristo vivo, nella sua divinità e in tutta la sua umanità, per lasciarci abbracciare dal suo amore umano e divino”.
Si adora il Cuore di Gesù, in quanto è inseparabile da Dio: “Pertanto, ogni atto d’amore o adorazione del suo Cuore è in realtà ‘veramente e realmente tributato a Cristo stesso’, poiché tale figura rimanda spontaneamente a Lui ed è ‘simbolo e immagine espressiva dell’infinita carità di Gesù Cristo’.
Per questo motivo nessuno dovrebbe pensare che questa devozione possa separarci o distrarci da Gesù Cristo e dal suo amore. In modo spontaneo e diretto ci indirizza a Lui e a Lui solo, che ci chiama a una preziosa amicizia fatta di dialogo, affetto, fiducia, adorazione. Questo Cristo dal cuore trafitto e ardente è lo stesso che è nato a Betlemme per amore; è quello che camminava per la Galilea guarendo, accarezzando, riversando misericordia; è quello che ci ha amati fino alla fine aprendo le braccia sulla croce. Infine, è lo stesso che è risorto e vive glorioso in mezzo a noi”.
Ecco il motivo per cui la Chiesa ha scelto il cuore: “Si comprende allora che la Chiesa abbia scelto l’immagine del cuore per rappresentare l’amore umano e divino di Gesù Cristo e il nucleo più intimo della sua Persona. Tuttavia, benché il disegno di un cuore con fiamme di fuoco possa essere un simbolo eloquente che ci ricorda l’amore di Gesù, è conveniente che questo cuore faccia parte di un’immagine di Gesù Cristo. In tal modo risulta ancora più significativa la sua chiamata a una relazione personale, di incontro e di dialogo”.
E’ il cuore l’organo che mette in contatto con Gesù: “Il cuore ha il pregio di essere percepito non come un organo separato, ma come un intimo centro unificatore e, allo stesso tempo, come espressione della totalità della persona, cosa che non succede con altri organi del corpo umano. Se è il centro intimo della totalità della persona, e quindi una parte che rappresenta il tutto, possiamo facilmente snaturarlo se lo contempliamo separatamente dalla figura del Signore. L’immagine del cuore deve metterci in relazione con la totalità di Gesù Cristo nel suo centro unificatore e, contemporaneamente, da quel centro unificatore, deve orientarci a contemplare Cristo in tutta la bellezza e la ricchezza della sua umanità e della sua divinità”.
In conclusione il cuore di Gesù invita alla missione: “Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro. Per questo ti chiama con una vocazione di servizio: farai del bene come medico, come madre, come insegnante, come sacerdote… Se ti chiudi nelle tue comodità, questo non ti darà sicurezza, i timori, le tristezze, le angosce appariranno sempre.
Chi non compie la propria missione su questa terra non può essere felice, è frustrato. Quindi è meglio che ti lasci inviare, che ti lasci condurre da Lui dove vuole. Non dimenticare che Lui ti accompagna. Non ti getta nell’abisso e ti lascia abbandonato alle tue forze. Lui ti spinge e ti accompagna”.
La missione consiste nell’annuncio dell’amore di Gesù: “In qualche modo devi essere missionario, missionaria, come lo furono gli apostoli di Gesù e i primi discepoli, che andarono ad annunciare l’amore di Dio, andarono a raccontare che Cristo è vivo e vale la pena di conoscerlo… Questa è anche la tua missione. Ognuno la compie a modo suo, e tu vedrai come potrai essere missionario, missionaria.
Gesù lo merita. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà. Ti accompagnerà e ti rafforzerà, e vivrai un’esperienza preziosa che ti farà molto bene. Non importa se riuscirai a vedere dei risultati, questo lascialo al Signore che lavora nel segreto dei cuori, ma non smettere di vivere la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri”.
(Foto: Vatican News)
Presentata l’enciclica di Papa Francesco: il cuore di Gesù salva
“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’ (Rm 8,39). Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’ (Gv 15,9.12). Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’ (Gv 15,15). Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’ (1 Gv 4,16)”: lo ha scritto nell’enciclica ‘Dilexit nos sull’amore umano e di divino del cuore di Gesù’ di papa Francesco, presentata oggi, dal teologo mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e da suor Antonella Fraccaro, responsabile generale delle Discepole del Vangelo.
Nell’introdurre l’enciclica mons. Forte ha ricordato l’origine dell’enciclica: “La Lettera Enciclica… nasce dall’esperienza spirituale di papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi sofferenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi soffre proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci”.
L’enciclica papale mette in evidenza l’amore di Dio per l’umanità: “E’ la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e continua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. In questa luce risulta particolarmente toccante il fatto che egli espliciti come fonte di molte delle idee esposte alcuni scritti inediti di un Testimone della fede recentemente scomparso, che egli stesso aveva accolto nella Compagnia di Gesù”.
Ecco l’importanza del cuore: “Perciò è importante ritornare al cuore: è il cuore che unisce i frammenti della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona, come mostra l’esempio della Vergine Maria, che custodisce e medita nel suo cuore quanto di assolutamente unico le accade. Tutto ciò che viviamo è ‘unificato nel cuore’: le tante piccole cose che fanno la vita, come le grandi ferite prodotte dalle guerre, dalle violenze, dalle infermità e dalla morte, ci toccano nel cuore. Chi non lo percepisce mostra di essersi inaridito: così, vedere delle nonne ‘piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto … senza che questo risulti intollerabile’ è segno di un mondo senza cuore”.
Ed ha spiegato il ruolo della Chiesa: “E’ qui che va collocato il ruolo decisivo della Chiesa… In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria, madre, membro, modello e tipo della Chiesa: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra ‘nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola’, aiutandoci ad amare meglio e di più”.
In sintesi papa Francesco ha raccontato l’amore di Dio: “Si comprende da quanto detto come l’Enciclica possa essere considerata una sorta di compendio di quello che Papa Francesco ha voluto e vuole dire a ogni fratello o sorella in umanità: Dio ti ama e te lo ha mostrato nella maniera più luminosa nella vicenda di Gesù di Nazareth; guardando a Lui saprai di essere amato/a da sempre e per sempre e potrai riconoscere i doni, di cui il Padre ha voluto arricchirti; seguendo Lui potrai discernere la via per spenderli con amore lì dove nel Suo Spirito Egli vorrà condurti”.
Sulla stessa sintonia l’intervento di sorella Antonella Fraccaro: “Papa Francesco ci ricorda che ‘io sono il mio cuore’; dunque, è decisivo che ‘tutte le azioni’ della mia vita ‘siano poste sotto il dominio politico del cuore’, cioè siano governate da quello che è il centro del mio essere e del mio operare…
Attenzione, avverte Papa Francesco, a non trascurare il cuore, a non perderlo, all’indifferenza sempre più diffusa tra noi e intorno a noi; un pericolo dal quale proteggerci. E attenzione alle nostre chiusure di cuore, alle nostre corte vedute, perché con le nostre sicurezze e senza il confronto tra di noi non raggiungiamo gli altri, vicini e lontani, nella loro ricchezza, e ci costruiamo un mondo a nostra misura”.
Ed infine un accenno al Giubileo: “Dio chiama a diffondere il suo amore sulla terra. C’è bisogno che ci lasciamo mandare da Lui a compiere questa missione e la compiremo ciascuno a modo nostro, con o senza risultati,con ‘la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri’. In un mondo in cui sembra che la nostra dignità dipenda da ciò che abbiamo, da ciò che consumiamo, accecati dai nostri bisogni immediati, papa Francesco ci incoraggia a tenerci fuori da questi ingranaggi perversi, per lasciare spazio in noi all’incontro con l’amore gratuito di Dio, che ‘libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità’.
Il Giubileo, che è alle porte, in cui sosteremo sul pellegrinaggio e sulla speranza (pellegrini di speranza), ci aiuti a camminare con fiducia, insieme, nella speranza. Possiamo farlo dato che, come dice Paolo, ‘la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato’.Camminiamo insieme con la forza della speranza, che il Cuore di Gesù ci dona ogni giorno nella nostra fraterna quotidianità”.
(Foto: Vatican News)
Papa Francesco invita alla Pasqua unitaria
Giornata intensa per papa Francesco, che ha ricevuto in udienza i membri del Centro di Alta Formazione ‘Laudato sì’, incoraggiandoli sul lavoro da svolgere e ricordando il percorso del Centro: “Per rendere visibile e concreta la volontà di promuovere la conversione ecologica, ho pensato di realizzare un modello tangibile di pensiero, di struttura e di azione, che ho denominato Borgo ‘Laudato sì’. E ho ritenuto che le attinenze e le dipendenze delle Ville di Castel Gandolfo fossero lo spazio adatto ad ospitare questa sorta di “laboratorio”, dove sperimentare i contenuti formativi.
A tale scopo, all’inizio del 2023 ho costituito il Centro di Alta Formazione ‘Laudato sì’, quale organismo scientifico, educativo e di attività sociale. Esso è dotato di propria autonomia patrimoniale, tecnica, amministrativa e contabile, e opera per la formazione integrale della persona nell’ambito dell’economia sostenibile e secondo i principi dell’Enciclica Laudato sì”.
Ed ha elogiato il progetto del ‘Borgo’: “Dopo mesi di lavoro intenso, il Direttivo del Centro di Alta Formazione mi ha presentato il risultato: si tratta di un progetto complesso e poliedrico, che interessa vari aspetti dell’ecologia integrale. Uno degli elementi essenziali è senza dubbio l’agricoltura, che nel Borgo ‘Laudato sì’ vuole distinguersi per sostenibilità e diversificazione, investendo in infrastrutture, sistemi di irrigazione e sviluppo di tecniche agricole rispettosi dell’ecosistema e della biodiversità”.
Tale progetto è una sintesi tra tradizione ed innovazione: “Nel progetto agricolo del Borgo ha trovato posto lo sviluppo di una nuova vigna per la produzione di vino. Essa vuole porsi come una sintesi di tradizione e innovazione, come si dice un “marchio di fabbrica” del Borgo. Anche in questo, il Centro di Alta Formazione si è avvalso della consulenza di alcuni tra i maggiori esperti, perché l’intenzione è quella di puntare all’eccellenza. E’ molto importante non rimanere nella ‘media’, perché dalla media si va alla mediocrità. Sempre puntare all’eccellenza”.
Poi ha incontrato i delegati del gruppo ‘Pasqua Together 2025’, a cui ha ricordato l’anniversario del Concilio di Nicea: “L’anno prossimo infatti (che per la Chiesa Cattolica sarà Giubileo ordinario), la celebrazione della Pasqua, a motivo della coincidenza dei calendari, sarà comune per tutti i cristiani. È un segno importante, a cui si aggiunge la ricorrenza dei 1700 anni dalla celebrazione del primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea, che, oltre a promulgare il Simbolo della fede, trattò anche il tema della data della Pasqua, a causa delle differenti tradizioni esistenti già a quel tempo”.
Ed ha prospettato la necessità di una celebrazione pasquale unitaria: “In più di un’occasione mi è stato rivolto l’appello a cercare una soluzione a tale questione, affinché la celebrazione comune del giorno della Risurrezione non sia più un’eccezione, ma diventi la normalità. Incoraggio pertanto chi si sta impegnando in questo cammino a perseverare, e a fare ogni sforzo nella ricerca di una comunione possibile, evitando tutto ciò che può invece portare a ulteriori divisioni tra i fratelli”.
La Pasqua, infatti, non dipende da ‘noi’: “Soprattutto, però, mi preme affidare a tutti un pensiero, che ci rimanda al cuore della tematica: la Pasqua non accade per nostra iniziativa o per un calendario o un altro: l’evento Pasquale è avvenuto perché Dio ‘ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna’. Non dimentichiamo il primato di Dio, il suo primerear, il suo aver fatto il primo passo.
Non chiudiamoci nei nostri schemi, nei nostri progetti, nei nostri calendari, nella ‘nostra’ Pasqua. La Pasqua è di Cristo! E a noi fa bene chiedere la grazia di essere sempre più suoi discepoli, lasciando che sia Lui a indicarci il cammino da seguire e accettando con umiltà l’invito, fatto un giorno già a Pietro, a metterci sulle sue orme, e a non pensare secondo gli uomini, ma secondo Dio”.
Ed infine ha ricevuto ha ricevuto la congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria e le Suore del Divino Salvatore, suggerendo tre consigli mariani (parlare poco, ascoltare molto, custodire nel cuore): Ce lo insegna Maria, ‘stella polare’ della missione, che nel Vangelo parla poco, ascolta molto e custodisce nel cuore. Sono atteggiamenti validi anche per noi: parlare poco, confrontarsi, aprirsi, ma non perdersi in chiacchiere inutili (il chiacchiericcio è una peste!), ascoltare molto, nella preghiera, nel silenzio, nell’attenzione agli altri. A
volte non sappiamo ascoltare: l’altro parla e a metà del discorso rispondiamo. No, ascolta tutto, fino alla fine. Ascolta anche il Signore! Ascoltare e custodire nel cuore, per essere apostoli della speranza, nel mondo che oggi ne ha tanto bisogno. E in proposito vorrei concludere ricordando un tratto caratteristico della Madonna: lei non mostra mai sé stessa (è interessante questo) ma sempre Gesù… Sempre indica Gesù. Dobbiamo imparare questo: mostrare agli altri Gesù, non noi stessi, perché per tutti, oggi e sempre, la nostra speranza è nel Signore, è in Lui”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco ai seminaristi: al centro dell’azione Gesù
‘… se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo; non di spavento, ma di amore’: con questa frase di san Giovanni Vianney papa Francesco ha ricevuto i seminaristi del Seminario Maggiore di Getafe, in Spagna, in pellegrinaggio sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, in occasione delle celebrazioni del 30° anniversario della fondazione del seminario.
Papa Francesco si è ispirato al pensiero del sacerdote santo per sottolineare che anche loro hanno ricevuto tale chiamata: “Ispirandomi a questo pensiero del santo Curato d’Ars, nel quale troviamo riassunta la sua vita di totale consacrazione a Dio e ai suoi parrocchiani, vorrei ricordarvi, cari seminaristi, che anche voi avete ricevuto questa chiamata di amore del Signore, e con l’aiuto dei vostri formatori e di molte altre persone vi state preparando a ricevere un giorno il dono del sacerdozio”.
Però il cammino sacerdotale presenta alcune difficoltà, che possono essere superate attraverso alcune azioni: “Questo cammino di configurazione a Gesù, buon pastore, non è privo di difficoltà; perciò, ogni volta che incontro voi seminaristi, vi ricordo che dovete percorrerlo curando quattro aspetti fondamentali, che sono la vita spirituale, lo studio, la vita comunitaria e l’attività apostolica.
E’ indispensabile che non perdiate di vista l’armonizzazione che dovete compiere di questa quadrupla realtà, perché il Signore, e la Chiesa, si aspettano che voi seminaristi siate, prima di tutto, uomini integri e generosi nella risposta alla vocazione ricevuta, sempre disponibili all’ascolto e al perdono, decisi a vivere fino in fondo la vostra totale dedizione a Dio e ai fratelli, con una particolare predilezione per coloro che più soffrono, per i poveri e gli esclusi”.
Infine, attraverso un riferimento geografico, ha chiesto di avere sempre al centro della loro vita Gesù: “Cari seminaristi, non è un caso che il seminario maggiore si trovi sul Cerro de los Ángeles, tradizionalmente considerato il centro geografico della penisola iberica. Lì si trovano anche il Monumento al Sacro Cuore e l’eremo di Nostra Signora degli Angeli, patrona di Getafe.
Chiedo al Signore Gesù di essere per ognuno di voi il centro della vostra vita, di modellare il vostro cuore secondo il suo, di tenervi sempre molto vicini al suo cuore. Ed a Nostra Signora degli Angeli di vegliare su di voi e di accompagnarvi nel vostro cammino”.
(Foto: Santa Sede)
Onoriamo la Santissima Trinità. Dio: il più grande mistero di amore
Il Vangelo oggi ci rivela la natura intima di Dio. Talvolta siamo tentati di credere che il Dio di tutte le religioni in fondo è lo stesso; niente di più errato; il monoteismo cristiano, a differenza della religione ebraica e di quella musulmana, è ‘Trinità’: Dio uno nella sostanza, trino nelle persone: Padre, Figlio, Spirito Santo. Il Dio nel quale crediamo è comunione, è amore., è vita. Questo mistero è stato svelato a noi da Gesù stesso: in quanto amore, Dio pur essendo uno ed unico non è solitudine ma comunione: l’amore è dono di sé e nella sua essenza è il Padre che si dona generando il Figlio; il loro reciproco amore genera lo Spirito santo.
Se vogliamo farci una idea di Dio, basta guardare l’uomo che, in quanto tale, pensa ed ama: noi, limitati e circoscritti, pensiamo successivamente tante cose e le possiamo accettare o no, a seconda; in Dio, realtà infinita ed eterna, il suo unico pensiero (o sapienza eterna), o Verbum, o Figlio costituisce la seconda persona (uguale e sostanziale a Dio Padre); l’amore reciproco tra il Padre e il Figlio genera o determina la terza persona o Spirito santo. Nella pienezza dei tempi il Verbo eterno assunse in sé la natura umana per salvare l’uomo; lo Spirito santo, inviato dal Padre e dal Figlio, guida la Chiesa.
Con il cristianesimo istituito da Gesù, crolla l’idea pagana di un Dio che vive nell’Olimpo, distaccato dal popolo: Dio è vita, è amore, è comunione. Se Israele ha ricevuto la grazia di conoscere l’unità di Dio, il cristianesimo, grazie a Gesù Cristo, ha ricevuto la rivelazione di un Dio unico nella sostanza, trino nelle persone. Gesù espressamente dirà ai suoi discepoli: ‘Venuto dal Padre, ritorno al Padre, ma vi invierò lo Spirito del Padre… andate e battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’.
Si entra a far parte della Chiesa, ci si innesta a Cristo con il Battesimo in nome della SS. Trinità. Gesù ci ha rivelato la natura intima di Dio, che rimane sempre un mistero di amore, come ci esprimiamo nella ‘Professione di fede’: Dio uno nella sostanza, trino nelle persone; Dio è il Padre misericordioso e creatore; Dio è il Figlio unigenito, sapienza eterna, Verbum incarnato, morto e risorto per noi; Dio è lo Spirito santo, amore che muove tutte le cose (cosmo e storia) e li muove verso la ricapitolazione finale.
Il catechismo di san Pio X evidenzia in modo lapidario: i misteri principali della fede sono due: 1°) unità e trinità di Dio, 2°) incarnazione, passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo. I teologi e i padri della Chiesa, sulla scia dell’insegnamento apostolico e dei Concili ecumenici, si sono sforzati di spiegare il mistero della SS. Trinità, siamo però sempre di fronte a Dio infinito ed eterno mentre la nostra mente rimane piccola e circoscritta; il finito non può mai cogliere pienamente l’infinito.
La Trinità, mistero inaccessibile al nostro intelletto, è verità rivelata a noi solo da Cristo Gesù. Il Vangelo evidenzia chiaramente: ‘Nessuno ha mai visto Dio; proprio il Figlio unigenito ce lo ha rivelato’, mentre l’apostolo Giovanni scrive: ‘Dio è amore’; cioè non solo Dio ama ma la sua natura è amore. Oltre che nella creazione questo mistero di amore si rivela nella istituzione dell’Eucaristia, sintesi e vertice dell’amore divino, in essa, infatti, sotto le specie eucaristiche (pane e vino) Gesù si fa nutrimento e forza del suo popolo. E’ il sacrificio della Nuova Alleanza tra Dio e il mondo: ‘Prendete e mangiate, questo è il mio corpo’.
Questo mistero, che sembra riguardare solo Gesù, coinvolge le tre divine persone: infatti ad operare la transustanziazione non è il sacerdote celebrante ma l’azione dello Spirito Santo che opera davanti al Padre, che dona nell’Eucaristia il suo Figlio in favore dell’uomo. La SS. Trinità non pregiudica l’unità di Dio, che si presenta a noi non come un Dio solitario ma Dio che è amore, è comunione. Tutta la vita del cristiano è intessuta sull’esperienza dell’amore misericordioso di Dio Uno e Trino.
Innestati a Cristo con il Battesimo ricevuto nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, siamo riconciliati con Dio nel nome delle tre divine persone. A ragione il grande poeta Dante mette sulla porta dell’inferno la scritta: ‘Fecimi la Divina Potestate, la Somma Sapienza e il Primo Amore. Maria, la Santissima Vergine, madre di Gesù e nostra, specchio purissimo della Trinità divina, implori per noi grazie e benedizioni’.
Papa Francesco: Cristo vive
Aspettando l’incontro con i bambini nel pomeriggio questa mattina è stata molto intensa per papa Francesco, che ha incontrato i partecipanti al Congresso Internazionale di Pastorale giovanile promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita sul tema: ‘Per una pastorale giovanile sinodale: nuovi stili e strategie di leadership’, che hanno cooperato alla realizzazione della Giornata mondiale della Gioventù a Lisbona, con un pensiero a quella del prossimo anno a Roma:
“Pensando al Giubileo dei Giovani (l’anno prossimo) ed alla GMG di Seoul (fra tre anni), il mio ‘sogno’ è che possano far incontrare Gesù a tanti giovani, anche tra quelli che normalmente non frequentano la Chiesa, portando loro il messaggio della speranza. Penso a quei ragazzi e ragazze che hanno ‘abbassato lo sguardo’, che hanno smarrito l’orizzonte, che hanno messo da parte i sogni grandi e sono rimasti impigliati nella tristezza e nel male di vivere… Gli appuntamenti di Roma e di Seoul sono le occasioni che Dio ci offre per dire a tutti i giovani del mondo che Gesù è speranza per te, è speranza per noi, è speranza per tutti!”
Per questo occorre aiutare i giovani ad alcune certezze: “I giovani, infatti, risentono in modo particolare delle notizie negative che ci assediano, ma queste non devono oscurare la certezza che Cristo risorto è con loro ed è più forte di ogni male. Pensiamo, non dico alle notizie, alle pubblicità delle guerre, pensiamo a questo. I giovani sentono questo.
Sì, Cristo vive! Tutto vive, è in mano sua e Lui solo conosce i destini del mondo e il corso della nostra vita. E’ importante offrire ai giovani occasioni per sperimentare Cristo vivo nella preghiera, nella celebrazione eucaristica e della riconciliazione, negli incontri comunitari, nel servizio ai poveri, nella testimonianza dei santi. I giovani stessi che ne fanno esperienza sono i portatori di questo annuncio-testimonianza”.
Per questo è essenziale il discernimento spirituale: “Il discernimento è un’arte che gli operatori pastorali per primi devono imparare: sacerdoti e religiosi, catechisti, accompagnatori, giovani stessi che seguono altri giovani. E’ un’arte che non si improvvisa, che va approfondita, sperimentata e vissuta. Per un giovane, trovare una persona capace di discernimento è trovare un tesoro…
Una guida che non toglie la libertà ma accompagna. Sul discernimento ho tenuto anche un ciclo di catechesi, potrete andare a cercarle, che spiega come si fa il discernimento. Qui vorrei sottolineare solo tre qualità: è sinodale, è personale, è orientato alla verità. Il discernimento è sinodale, personale e orientato alla verità”.
Insomma è stato un invito ad ascoltare i giovani: “Un ascolto reale, che non rimanga ‘a metà’, o solo ‘di facciata’. I giovani non vanno strumentalizzati per realizzare idee già decise da altri o che non rispondono realmente alle loro esigenze. I giovani vanno responsabilizzati, coinvolti nel dialogo, nella programmazione delle attività, nelle decisioni. Bisogna far sentire loro che sono parte attiva e a pieno titolo della vita della Chiesa; e soprattutto che loro stessi sono i primi annunciatori del Vangelo ai loro coetanei”.
Ugualmente ai direttori delle Pontificie Opere Missionarie ha sottolineato l’esigenza della comunione: “In questa prospettiva, siamo chiamati a vivere la spiritualità della comunione con Dio e con i fratelli. La missione cristiana non è trasmettere qualche verità astratta o qualche convincimento religioso (meno fare proselitismo, meno ancora), ma è anzitutto permettere a coloro che incontriamo di poter fare l’esperienza fondamentale dell’amore di Dio, e potranno trovarlo nella nostra vita e nella vita della Chiesa se ne saremo testimoni luminosi, riflettendo un raggio del mistero trinitario”.
La seconda parola è la creatività, in quanto solo l’amore crea, come disse san Massimiliano Kolbe: “Ed allora, ricordiamoci che la creatività evangelica nasce dall’amore, dall’amore divino, e che ogni attività missionaria è creativa nella misura in cui la carità di Cristo è la sua origine, la sua forma e il suo fine. Così, con fantasia inesauribile, crea modi sempre nuovi di evangelizzare e di servire i fratelli, specialmente i più poveri. Espressione di tale carità sono anche le tradizionali raccolte destinate ai fondi universali di solidarietà per le missioni”.
L’ultima parola è tenacia: “Anche questo tratto possiamo contemplarlo nell’Amore di Dio Trinità che, per realizzare il disegno di salvezza, con fedeltà costante ha inviato i suoi servi nel corso della storia e nella pienezza dei tempi ha donato sé stesso in Gesù… E su questo vorrei soffermarmi per ringraziare Dio per la testimonianza martiriale che hanno dato, in questi giorni passati, un gruppo di cattolici del Congo, del nord Kivu.
tSono stati sgozzati, semplicemente perché erano cristiani e non volevano passare all’islam. Oggi c’è questa grandezza della Chiesa nel martirio. E andiamo un po’ indietro, cinque anni fa, nella spiaggia della Libia, quei copti che sono stati sgozzati e in ginocchio dicevano: ‘Gesù, Gesù, Gesù’. La Chiesa martiriale è la Chiesa della tenacia del Signore che porta avanti”.
Ad inizio giornata il papa aveva ricevuto i partecipanti all’incontro internazionale promosso da ‘Somos Community Care’, in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita, mettendo al centro della riflessione il medico che si prende cura: “Possiamo accedere a terapie fino a pochi decenni fa inimmaginabili. Ma la medicina, anche quella più tecnologizzata, è sempre prima di tutto un incontro umano, fatto di cura, vicinanza e ascolto e questa è la missione del medico di famiglia.
Quando stiamo male, nel medico cerchiamo, oltre al professionista competente, una presenza amica su cui contare, che ci infonda fiducia nella guarigione e che, anche quando questa non fosse possibile, non ci lasci soli, ma continui a guardarci negli occhi e ad assisterci, fino alla fine”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: Cristo è via nuova per il mondo
“Oggi risuona in tutto il mondo l’annuncio partito duemila anni fa da Gerusalemme: Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto!”: nella benedizione ‘Urbi et Orbi’ di Pasqua papa Francesco ha raccontato lo stupore delle donne davanti ad una pietra che non chiude più il sepolcro dove era Gesù. Uno stupore che rivive ancora oggi davanti ai ‘massi’ posti nel mondo, come quello delle guerre:
“La Chiesa rivive lo stupore delle donne che andarono al sepolcro all’alba del primo giorno della settimana. La tomba di Gesù era stata chiusa con una grossa pietra; e così anche oggi massi pesanti, troppo pesanti chiudono le speranze dell’umanità: il masso della guerra, il masso delle crisi umanitarie, il masso delle violazioni dei diritti umani, il masso della tratta di persone umane, e altri ancora. Anche noi, come le donne discepole di Gesù, ci chiediamo l’un l’altro: Chi ci farà rotolare via queste pietre?”
Ma la Pasqua cambia la prospettiva: “Ed ecco la scoperta del mattino di Pasqua: la pietra, quella pietra così grande, è stata già fatta rotolare. Lo stupore delle donne è il nostro stupore: la tomba di Gesù è aperta ed è vuota! Da qui comincia tutto. Attraverso quel sepolcro vuoto passa la via nuova, quella che nessuno di noi ma solo Dio ha potuto aprire: la via della vita in mezzo alla morte, la via della pace in mezzo alla guerra, la via della riconciliazione in mezzo all’odio, la via della fraternità in mezzo all’inimicizia”.
Gesù è vivo ed apre la strada verso il Paradiso: “Fratelli e sorelle, Gesù Cristo è risorto, e solo Lui è capace di far rotolare le pietre che chiudono il cammino verso la vita. Anzi, Lui stesso, il Vivente, è la Via: la Via della vita, della pace, della riconciliazione, della fraternità. Lui ci apre il passaggio umanamente impossibile, perché solo Lui toglie il peccato del mondo e perdona i nostri peccati. E senza il perdono di Dio quella pietra non si toglie. Senza il perdono dei peccati non si esce dalle chiusure, dai pregiudizi, dai sospetti reciproci, dalle presunzioni che sempre assolvono sé stessi e accusano gli altri. Solo Cristo Risorto, donandoci il perdono dei peccati, apre la via per un mondo rinnovato”.
Lui apre la porta della vita, chiusa dai conflitti: “Solo lui ci apre le porte della vita, quelle porte che continuamente chiudiamo con le guerre che dilagano nel mondo. Oggi volgiamo anzitutto lo sguardo verso la Città Santa di Gerusalemme, testimone del mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù e a tutte le comunità cristiane della Terra Santa”.
Ed il pensiero corre alle vittime dei conflitti: “Il mio pensiero va soprattutto alle vittime dei tanti conflitti che sono in corso nel mondo, a cominciare da quelli in Israele e Palestina, e in Ucraina. Cristo Risorto apra una via di pace per le martoriate popolazioni di quelle regioni. Mentre invito al rispetto dei principi del diritto internazionale, auspico uno scambio generale di tutti i prigionieri tra Russia e Ucraina: tutti per tutti!”
Un appello in cui ha chiesto pace per la Terra Santa: “Inoltre, faccio nuovamente appello a che sia garantita la possibilità di accesso agli aiuti umanitari a Gaza, esortando nuovamente a un pronto rilascio degli ostaggi rapiti il 7 ottobre scorso e a un immediato cessate-il-fuoco nella Striscia. Non permettiamo che le ostilità in atto continuino ad avere gravi ripercussioni sulla popolazione civile, ormai stremata, e soprattutto sui bambini”.
Ed ha ribadito che la guerra è assurda: “Quanta sofferenza vediamo negli occhi dei bambini: hanno dimenticato di sorridere quei bambini in quelle terre di guerra! Con il loro sguardo ci chiedono: perché? Perché tanta morte? Perché tanta distruzione? La guerra è sempre un’assurdità, la guerra è sempre una sconfitta! Non lasciamo che venti di guerra sempre più forti spirino sull’Europa e sul Mediterraneo. Non si ceda alla logica delle armi e del riarmo. La pace non si costruisce mai con le armi, ma tendendo le mani e aprendo i cuori”.
Quindi ha rivolto un appello di pace per le nazioni in guerra: “E fratelli e sorelle, non dimentichiamoci della Siria, che da tredici anni patisce le conseguenze di una guerra lunga e devastante. Tantissimi morti, persone scomparse, tanta povertà e distruzione aspettano risposte da parte di tutti, anche dalla Comunità internazionale.
Il mio sguardo va oggi in modo speciale al Libano, da tempo interessato da un blocco istituzionale e da una profonda crisi economica e sociale, aggravate ora dalle ostilità alla frontiera con Israele. Il Risorto conforti l’amato popolo libanese e sostenga tutto il Paese nella sua vocazione ad essere una terra di incontro, convivenza e pluralismo”.
Dal Medio Oriente ai Balcani: “Un pensiero particolare rivolgo alla Regione dei Balcani Occidentali, dove si stanno compiendo passi significativi verso l’integrazione nel progetto europeo: le differenze etniche, culturali e confessionali non siano causa di divisione, ma diventino fonte di ricchezza per tutta l’Europa e per il mondo intero”.
Al conflitto tra Armenia ed Azerbaigian: “Parimenti incoraggio i colloqui tra l’Armenia e l’Azerbaigian, perché, con il sostegno della Comunità internazionale, possano proseguire il dialogo, soccorrere gli sfollati, rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni religiose e arrivare al più presto ad un accordo di pace definitivo”.
Ed in altre parti del mondo, anche a causa dei cambiamenti climatici:”Cristo risorto apra una via di speranza alle persone che in altre parti del mondo patiscono violenze, conflitti, insicurezza alimentare, come pure gli effetti dei cambiamenti climatici. Il Signore doni conforto alle vittime di ogni forma di terrorismo. Preghiamo per quanti hanno perso la vita e imploriamo il pentimento e la conversione degli autori di tali crimini.
Il Risorto assista il popolo haitiano, affinché cessino quanto prima le violenze che lacerano e insanguinano il Paese ed esso possa progredire nel cammino della democrazia e della fraternità. Dia conforto ai Rohingya, afflitti da una grave crisi umanitaria, e apra la strada della riconciliazione in Myanmar lacerato da anni di conflitti interni, affinché si abbandoni definitivamente ogni logica di violenza”.
E non ha dimenticato l’Africa: “Il Signore apra vie di pace nel continente africano, specialmente per le popolazioni provate in Sudan e nell’intera regione del Sahel, nel Corno d’Africa, nella Regione del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo e nella Provincia di Capo Delgado in Mozambico, e faccia cessare la prolungata situazione di siccità che interessa vaste aree e provoca carestia e fame”.
Inoltre non ha dimenticato i migranti: “Il Risorto faccia risplendere la sua luce sui migranti e su coloro che stanno attraversando un periodo di difficoltà economica, offrendo loro conforto e speranza nel momento del bisogno. Cristo guidi tutte le persone di buona volontà ad unirsi nella solidarietà, per affrontare insieme le molte sfide che incombono sulle famiglie più povere nella loro ricerca di una vita migliore e della felicità”.
E’ stato un invito a non dimenticare l’amore di Dio: “In questo giorno in cui celebriamo la vita che ci è donata nella risurrezione del Figlio, ricordiamoci dell’amore infinito di Dio per ciascuno di noi: un amore che supera ogni limite e ogni debolezza. Eppure come è tanto spesso disprezzato il prezioso dono della vita. Quanti bambini non possono nemmeno vedere la luce? Quanti muoiono di fame o sono privi di cure essenziali o sono vittime di abusi e violenze? Quante vite sono fatte oggetto di mercimonio per il crescente commercio di essere umani?”
Cristo ha liberato l’umanità dalla morte: “Fratelli e sorelle, nel giorno in cui Cristo ci ha resi liberi dalla schiavitù della morte, esorto quanti hanno responsabilità politiche perché non risparmino sforzi nel combattere il flagello della tratta di esseri umani, lavorando instancabilmente per smantellarne le reti di sfruttamento e portare libertà a coloro che ne sono vittime. Il Signore consoli le loro famiglie, soprattutto quelle che attendono con ansia notizie dei loro cari, assicurando loro conforto e speranza”.
(Foto: Santa Sede)
32^ Giornata dei missionari martiri: un cuore che arde
“Il 24 marzo 2024 segnerà la trentaduesima Giornata dei Missionari Martiri. L’evento ha origine nella commemorazione di Sant’Oscar Romero, ucciso nella stessa data nel 1980. La sua figura continua, anno dopo anno, ad incarnare il simbolo della vicinanza agli ultimi e l’incessante dedizione alla causa del Vangelo. Il suo impegno accanto al popolo salvadoregno, in lotta contro un regime elitario indifferente alle condizioni dei più deboli e dei lavoratori, continua a parlare ai giovani e non solo, richiamando alla necessità di una vita cristiana attenta alla preghiera tanto quanto alla cura della sorella e del fratello”: così introduce alla giornata dei missionari martiri, che si celebra oggi, Giovanni Rocca, segretario nazionale di ‘Missio Giovani’.
Il giorno è stato scelto in quanto il 24 marzo 1980 fu ucciso mons. Romero: “Questo giorno, scelto in coincidenza con l’uccisione dell’arcivescovo di San Salvador, è un’occasione per riflettere sul significato dell’eredità che ha lasciato e per onorare quanti, come lui, hanno sacrificato la propria vita nel servizio.
L’attivismo e l’impegno di Romero a favore dei marginalizzati e degli oppressi, furono
immediatamente riconosciuti dal popolo salvadoregno, che lo onorò con il titolo di ‘Santo de
America’. Il suo assassinio, perpetrato da mani legate al governo, scosse le coscienze, generando
un culto popolare e suscitando un profondo movimento di preghiera e impegno che si diffuse
velocemente in tutto il mondo”.
Ed ha spiegato il titolo della giornata: “In quest’occasione, la comunità è invitata a commemorare non solo i missionari caduti, ma anche a riflettere sul significato del loro sacrificio. Il loro esempio ci spinge a un impegno rinnovato nell’assistenza ai più bisognosi e nel combattere le ingiustizie sociali, ricordandoci che anche nei luoghi più remoti e dimenticati, il messaggio di speranza del Vangelo resta vitale e trasformativo.
Per questa edizione, abbiamo scelto il titolo ‘Un cuore che arde’, un riferimento al brano dei
discepoli di Emmaus che ha guidato il nostro cammino durante il mese missionario. Richiama la forza della testimonianza dei martiri che, come Gesù attraverso la condivisione della Parola e il pane spezzato, con il loro sacrificio accendono una luce e riscaldano i cuori di intere comunità cristiane, ispirando una nuova conversione, dedizione al prossimo e al bene comune”.
Il titolo di questa Giornata è stato sviluppato in una riflessione del biblista Angelo Fracchia, che ha chiarito la parola ‘martire’: “Martire, nella lingua greca che ci ha regalato questa parola, significa ‘testimone’: in un tribunale, in piazza, con parole, con gesti, con la presenza… Nel linguaggio dei cristiani, però, è ‘testimone/martire’ una persona capace di mostrare quanto sia centrale il suo rapporto con Gesù, al punto da preferirlo addirittura alla propria vita. Detta così, potrebbe sembrarci difficile distinguere i martiri da fanatici integralisti. Proprio per questo vale la pena guardare al primo dei ‘testimoni’ cristiani, su cui l’evangelista Luca, negli Atti degli Apostoli, ci offre molte informazioni. Stefano è il suo nome”.
Raccontando il martirio di Stefano il biblista ha sottolineato che il martire cristiano non cerca ad ogni costo la morte: “Stefano, in realtà, non ha cercato la morte. Quella in qualche modo garantisce che il suo impegno non fosse finto o parziale. Ciò che ha cercato è una vita in rapporto con Gesù, nel dialogo ed attenzione agli altri, senza durezza né ripicche. Incarnando nelle proprie scelte, parole e gesti l’amore del Padre. Chiunque vive in questo modo, si fa testimone/martire accanto e con Stefano. E Gesù”.
L’impegno di mons. Oscar Romero accanto al popolo salvadoregno, in lotta contro un regime elitario indifferente alle condizioni dei più deboli e dei lavoratori, continua tuttora a parlare, richiamando la necessità di una vita cristiana attenta alla preghiera e alla cura dei fratelli e delle sorelle.
Le informazioni raccolte dall’Agenzia Fides rilevano che nel 2023 sono stati uccisi nel mondo 20 missionari: 1 Vescovo, 8 sacerdoti, 2 religiosi non sacerdoti, 1 seminarista, 1 novizio e 7 tra laici e laiche. Rispetto all’anno precedente, si registrano 2 missionari uccisi in più. Secondo la ripartizione continentale, quest’anno il numero più elevato torna ad essere in Africa, dove sono stati uccisi 9 missionari: 5 sacerdoti, 2 religiosi, 1 seminarista, 1 novizio. In America sono stati assassinati 6 missionari: 1 Vescovo, 3 sacerdoti, 2 laiche. In Asia sono morti, uccisi dalla violenza, 4 laici e laiche. Infine in Europa è stato ucciso un missionario laico.