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Giuseppe Lubrino invita a scoprire le virtù cristiane per stare nel mondo
“Proporre oggi le virtù cristiane non è una scelta nostalgica, ma un gesto profetico. In un’epoca segnata da smarrimento e frammentazione, le virtù rappresentano la risposta più umana e più vera al bisogno di pienezza che ciascuno porta nel cuore. Esse sono forma della libertà, incarnazione del desiderio di bene, struttura interiore della santità possibile e concreta. Questo testo non intende essere un trattato astratto, ma una proposta educativa e culturale: educare alla virtù significa educare alla realtà, alla verità, alla bellezza, alla speranza. E’ insegnare a vivere in rapporto con tutto ciò che c’è, alla luce di un’appartenenza che rende l’uomo intero”.
Così scrive il prof. Giancarlo Restivo, direttore della Schola ‘Carlo Magno’, nella prefazione al libro del prof. Giuseppe Lubrino, docente di religione cattolica, ‘Alla scoperta delle virtù cristiane: dalle radici greco-romane a Benedetto XVI’, che racconta il motivo per cui ha scritto un libro sulle virtù cristiane:
“Dopo un’attenta analisi, condotta insieme al direttore della ‘Schola Carlo Magno’, Giancarlo Restivo, delle derive antropologiche e culturali che caratterizzano lo scenario educativo contemporaneo, abbiamo ritenuto necessario esplorare e approfondire il valore educativo e l’attualità delle virtù cristiane. Le virtù rappresentano uno strumento fondamentale attraverso cui i giovani possono imparare a leggere e decifrare la realtà, crescere e maturare in umanità”.
Quanto sono importanti oggi le virtù cristiane per ‘abitare il mondo’?
“Assistiamo a una diffusa perdita di senso tra i giovani: fragilità emotive e caratteriali, isolamento sociale, disturbi alimentari, fenomeni di autolesionismo. Molti sembrano incapaci di immaginare un futuro possibile. Le virtù, per loro natura intrinseca, costituiscono da sempre un supporto per affrontare la complessità del reale. Riscoprirne il valore è oggi fondamentale per sviluppare capacità decisionali e resilienza, partendo da un’identità personale solida”.
Esiste una differenza tra le virtù del mondo ellenistico e quelle del mondo cristiano?
“La peculiarità del Cristianesimo rispetto alla tradizione greco-romana risiede nell’introduzione delle virtù teologali, in particolare della carità. Per greci e romani, il fondamento delle virtù era la ragione. Il Cristianesimo ha invece introdotto la dimensione della trascendenza, il bisogno di perdono e redenzione, l’umiltà. Le virtù teologali sono indispensabili per crescere ed evolversi, penetrando il mistero della vita”.
In che modo la virtù cristiana può condurre alla santità?
“La santità è spesso percepita come una meta straordinaria, irraggiungibile, utopica. E’ invece necessario recuperare la dimensione ordinaria della santità, facendo comprendere che essa si costruisce giorno per giorno, vivendo con onestà, verità, giustizia e solidarietà. La virtù cristiana è il cammino quotidiano verso la santità”.
Perché, secondo sant’Agostino, le virtù cristiane sono il frutto di una conversione?
“Per sant’Agostino, la conversione è una condizione costante della vita umana. L’essere umano ha sempre bisogno di riprendere il cammino, le inclinazioni al male, il desiderio di possesso, l’egoismo sono, talvolta, uno ostacolo alla crescita e allo sviluppo e alla realizzazione dell’esistenza umana. L’essere umano è chiamato ogni giorno a scegliere il bene, rinunciando al male. Le virtù diventano strumenti essenziali per un sano discernimento. Nella misura in cui l’uomo si apre all’azione della grazia, viene modellato e conformato a Cristo”.
Qual è il rapporto tra virtù cardinali e virtù teologali?
“Si tratta di un legame inscindibile. Le virtù cardinali orientano e favoriscono le azioni umane; le virtù teologali ne rivelano il senso profondo e costituiscono il compimento del cammino educativo dell’uomo”.
(Tratto da Aci Stampa)
Il Leone e la Tiara, in una storia del XVI secolo la collaborazione tra potere temporale e potere ecclesiale
“L’idea del libro è nata dal confronto con Thomas Mancin, con cui condivido la passione per la storia delle istituzioni e delle relazioni tra potere politico e religioso. Abbiamo voluto analizzare non solo i conflitti giuridici e territoriali, ma anche il modo in cui la diplomazia, l’economia e la dottrina politica dell’epoca influenzavano la gestione di una risorsa così strategica. Attraverso un’attenta lettura delle fonti, abbiamo ricostruito episodi cruciali che testimoniano come l’equilibrio tra Stato e Chiesa non fosse mai statico, ma sempre oggetto di ridefinizione e compromesso”: questa è la spiegazione del prof. Matteo Cantori, docente universitario in Storia dei Rapporti tra Stato e Chiesa e Santa Sede e cooperazione internazionale e postulatore per le cause dei Santi, che con l’ufficiale dell’esercito italiano Thomas Manchin, ha scritto il libro ‘Il Leone e la Tiara’.
Perché ‘il Leone e la Tiara’?
“Il titolo racchiude un forte valore simbolico e storico, evocando due emblemi rappresentativi di due grandi potenze dell’Italia preunitaria: il Leone di San Marco, simbolo della Repubblica Serenissima di Venezia, e la Tiara, ovvero il triregno pontificio, emblema dell’autorità spirituale e temporale dello Stato della Chiesa.
Attraverso questi simboli, l’opera richiama il complesso intreccio di rapporti (spesso dialettici, talvolta conflittuali) tra due entità statali che, per secoli, hanno esercitato un’influenza determinante su una parte consistente della Penisola. In questo contesto, il ‘Grande Fiume’, il Po, assume il ruolo di confine naturale e insieme di punto d’incontro tra due visioni del potere: una laica e repubblicana, l’altra teocratica e universale.
‘Il Leone la Tiara’ è il frutto di una scrittura a quattro mani con Thomas Manchin, pubblicato da ‘Nuova Editoriale Romani’ all’interno della collana Auxilia Iuridica, dedicata agli approfondimenti giuridici, storici e istituzionali. L’opera si propone come un dialogo tra passato e presente, tra diritto e storia, tra simboli e territori”.
Allora in quale modo il ‘Leone’ e la ‘Tiara’ possono collaborare?
“Per rispondere a questa domanda, occorre innanzitutto ricordare che il titolo ‘Il Leone la Tiara’ è intriso di un forte valore simbolico. Il Leone richiama il potere temporale della Repubblica Serenissima di Venezia, mentre la Tiara (ovvero il triregno) rappresenta l’autorità spirituale dello Stato Pontificio. Due poteri distinti, ma profondamente intrecciati nella storia italiana ed europea.
Queste due sfere, il laico e il sacro, il governo civile e la guida spirituale, non sono mai state realmente autonome l’una dall’altra. Al contrario, per lunghi secoli si sono trovate in un equilibrio dinamico, talvolta conflittuale, talvolta cooperativo, ma quasi mai indifferente. Del resto, il cittadino (o, nel linguaggio storico, il suddito, il regnicolo) non vive mai in una sola dimensione. È, allo stesso tempo, parte di un ordine giuridico e di una comunità di fede. La sua esistenza quotidiana è plasmata da leggi terrene e da valori spirituali, che si intrecciano e si influenzano a vicenda.
Proprio in questa interdipendenza risiede la possibilità (e la necessità) di un dialogo tra Leone e Tiara: un confronto tra potere e coscienza, tra norma e morale, tra Stato e Chiesa. Il volume esplora questo delicato ma fondamentale rapporto, offrendo una riflessione che è al tempo stesso storica, giuridica e profondamente umana”.
Perché racconta la storia di un rapporto tra lo Stato Pontificio e la Repubblica di Venezia nel XVI secolo?
“La scelta di concentrarsi sul rapporto tra lo Stato Pontificio e la Repubblica di Venezia nel corso del XVI secolo risponde a un intento duplice, di natura storico-giuridica. Questo periodo (in particolare la seconda metà del Cinquecento) è segnato da profonde tensioni tra le due potenze, ma anche da importanti tentativi di composizione, di mediazione e di equilibrio tra interessi divergenti.
Il XVI secolo rappresenta infatti un momento cruciale per la definizione dei rapporti tra potere temporale e autorità spirituale, tra l’autonomia degli Stati e la pretesa universale della Chiesa. In questo contesto, la Repubblica di Venezia si afferma come una realtà politica estremamente coerente, capace di esprimere una forte identità unitaria non solo sul piano istituzionale, ma anche su quello culturale e giuridico.
Venezia nel Cinquecento è molto più di uno Stato: è un modello politico, una visione del mondo, un laboratorio di convivenza tra diritto civile e sensibilità religiosa, tra ragione di Stato e libertà di pensiero. Raccontare la sua relazione (a tratti conflittuale, a tratti diplomatica) con lo Stato Pontificio significa entrare nel cuore di una riflessione che ancora oggi parla di sovranità, di pluralismo giuridico e del difficile ma necessario dialogo tra autorità terrena e istanze spirituali.
Quanto è importante il nome di Leone nella Chiesa?
“Il nome di Leone nella Chiesa non è soltanto un semplice appellativo: è un simbolo di straordinaria forza e profonda autorità morale, capace di attraversare i secoli con un richiamo potente e suggestivo. Il nome stesso evoca un ruggito: non solo un’espressione di potere temporale, ma soprattutto un segno di guida, fermezza e protezione.
Il nome Leone è programmatico, indubbiamente. Non è solo il nome assunto da papa Pecci alla morte di Pio IX, ma ricorda anche il primo papa a chiamarsi Leone. Papa san Leone Magno bloccò l’avanzata di Attila, salvando vite, prima ancora che territori. E, quindi, di papa Leone XIII non si dimentichi l’attenzione al sociale che, con la lettera enciclica ‘Rerum Novarum’, apre la Chiesa ad uno sguardo ancora più aperto nei confronti delle classi operaie e dei braccianti, che richiedono una maggiore attenzione e tutela. Ecco, quindi, che l’ultimo Leone, come abbiamo appreso anche dai suoi primi discorsi, pare aver fissato come linea portante del suo pontificato la pace e l’interesse verso chi soffre.
Non si tratta solo di papa Leone XIII, il papa della rivoluzione industriale, noto per l’enciclica Rerum Novarum, che ha aperto una nuova stagione di impegno sociale e giustizia; ma anche del primo Leone, papa Leone I, colui che con la sua sola presenza e autorità morale fermò l’avanzata di Attila, il re degli Unni.
Il nome Leone simboleggia dunque non solo la sovranità, ma un’autorità morale indiscussa, una figura di riferimento solida e rispettata, un primus inter pares (un ‘primo tra pari’) che si erge a guida sicura e sostegno affidabile, capace di offrire orientamento non solo ai credenti, ma anche a chi, pur senza fede, riconosce la sua autorevolezza etica.
Oggi, immersi in una rivoluzione digitale e sociale (o meglio, in una rivoluzione sociale digitalizzata) il ‘ruggito’ di Leone acquista un valore ancora più attuale e necessario. In un mondo in rapido cambiamento, segnato da sfide tecnologiche, culturali e umane, la Chiesa e le sue figure di guida sono chiamate a incarnare questa autorità morale, offrendo un punto di riferimento stabile, saggio e coraggioso. Il nome di Leone diventa così il simbolo di una leadership che unisce forza e saggezza, autorità e compassione, rappresentando un faro di speranza e stabilità in un’epoca di grandi trasformazioni”.
Come sarà il pontificato di papa Leone XIV?
Risponde con un sorriso: “Non ho la sfera di cristallo! Ma qualcosa si può già intuire. In queste prime settimane, papa Leone XIV ha delineato alcune direttrici chiare. Al centro del suo messaggio c’è la pace, invocata con forza e costanza. Papa Prevost non affronta un’epoca più complessa di altre. Ogni tempo ha le sue sfide. La differenza sta nella capacità di leggere i segni dei tempi e di rispondere con coraggio e umiltà.
Proprio l’umiltà sembra essere la cifra di questo pontificato. Mi viene in mente sant’Agostino: ‘La prima virtù è l’umiltà. La seconda è l’umiltà. La terza è ancora l’umiltà’. L’umiltà di papa Leone XIV non è fatta di gesti appariscenti, ma si esprime nel tono sobrio, nella riflessione, nell’ascolto. E’ un atteggiamento che non cerca il clamore, ma la sostanza. Tuttavia, ritengo sia ancora troppo presto per dare un giudizio. Ma i primi passi indicano un pontificato attento, radicato, e pronto ad accompagnare la Chiesa in un tempo di cambiamento, nel solco dei suoi predecessori di venerata memoria”.
Come è sorta la sua ‘passione’ per lo studio dei rapporti tra Chiesa e Stato?
“La mia passione? In realtà, credo che ogni autentico interesse nasca dalla curiosità. E’ la curiosità, quella tensione interiore a voler comprendere di più, a spingerci oltre l’apparenza delle cose, che costituisce la radice più profonda di ciò che comunemente chiamiamo ‘passione’. Nel mio caso, è stata proprio la curiosità intellettuale e spirituale a guidarmi verso lo studio dei rapporti tra Chiesa e Stato: una relazione complessa, ricca di sfumature storiche, giuridiche e religiose, che ha plasmato la nostra civiltà in modi profondi e talvolta contraddittori.
Con il tempo, questa curiosità si è trasformata in desiderio di approfondimento, in volontà di ricerca, condotta con semplicità, senza pretese, ma con un forte senso di responsabilità verso la verità. Non ho mai considerato questo interesse come qualcosa di ‘astratto’ od ‘accademico’, bensì come un percorso di conoscenza che interroga anche il presente e che ha molto da dire sull’equilibrio tra potere spirituale e potere temporale, tra coscienza e istituzioni.
In definitiva, potrei dire che più che una ‘passione’, è stata una chiamata al discernimento, un invito costante a comprendere come la fede e la politica si siano incontrate, scontrate e influenzate nel corso dei secoli, e cosa questo possa significare ancora oggi”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Leone XIV all’Ordine di Malta invita ad essere testimoni di Gesù
“Sono particolarmente lieto d’indirizzarvi questo mio messaggio in occasione della celebrazione della solennità di San Giovanni Battista, protettore del vostro Ordine religioso, che ne porta il nome. La Chiesa vi ringrazia per tutto il bene che fate lì dove c’è bisogno di amore, in situazioni talvolta molto difficili”: ieri, festa di san Giovanni Battista papa Leone XIV ha indirizzato una lettera ai membri del Sovrano Militare Ordine di Malta, in cui ha ricordato l’importanza di discernere i segni dello Spirito per non cadere nella mondanità.
Per questo ha ricordato quale è stata la missione del Battista: “Possiamo dire che san Giovanni Battista fin da prima della sua nascita ha adempiuto la missione ricevuta da Dio di essere annunciatore di Gesù. Lo farà con radicale austerità durante tutta la sua vita. La sua idea di Messia all’inizio era ancora troppo legata a quella di giudice rigoroso”.
Però anche lui è stato chiamato a convertirsi per dare testimonianza: “Gesù lo aiuta a cambiare prospettiva, a convertirsi, innanzitutto quando si presenta a lui chiedendo di essere battezzato, umilmente mischiato tra tanti penitenti. Dopo questa manifestazione, Giovanni indica Gesù come l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Seguendo il suo invito, due dei suoi discepoli si fanno discepoli di Gesù. Ed il Battista, dando la sua vita nell’affermazione della verità, si farà testimone di Gesù, che è la Verità”.
Per tale sua missione è patrono dell’Ordine di Malta: “San Giovanni Battista, vostro celeste Protettore, deve illuminare la vostra vita e la missione che nella Chiesa siete chiamati ad adempiere per azione dello Spirito Santo. Il vostro Ordine ha come finalità la tuitio fidei e l’obsequium pauperum”.
Quindi il papa ha sottolineato questi due particolari ‘doti’: “Due aspetti di un unico carisma: la fede che viene propagata e tutelata nella dedizione amorosa ai poveri, agli emarginati, a tutti coloro che hanno bisogno del sostegno, dell’aiuto altrui. Non limitarsi a soccorrere le necessità dei poveri, ma annunciare loro l’amore di Dio con la parola e la testimonianza. Se venisse a mancare questo, l’Ordine perderebbe il proprio carattere religioso e si ridurrebbe a essere un’organizzazione a scopo filantropico”.
L’amore può essere ricevuto solo se ci si abbassa: “L’amore che ognuno di noi deve offrire agli altri è quello che si pone al livello di chi lo riceve, così come ha fatto Gesù che si è messo al nostro livello, solidale con chi è disprezzato, con coloro ai quali è tolta la vita perché considerata di nessun valore.
Perciò Gesù può ricevere una risposta d’amore da noi, perché in questo suo abbassarsi ci comunica il suo amore, che possiamo restituire a Lui nella gratitudine. Così è con il povero. Se lo amiamo mettendoci al suo livello, l’amore che gli comunichiamo ci ritorna nella sua gratitudine, fatta non di umiliazione, ma di gioia. E’ questa la tuitio fidei, perché così facendo voi trasmettete concretamente la fede in Dio amore, offrendo l’esperienza della sua vicinanza”.
Insomma è una ‘resistenza’: “Anche Gesù è stato tentato in questo, quando il maligno ‘gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria’ e gli promise di darglieli, se lo avesse adorato. Ma allora Gesù non sarebbe più stato il Servo sofferente di Dio, che nell’umiltà si spoglia di ogni potere mondano per conquistare, con l’amore, l’amore dell’uomo. Gesù riafferma, anche in questa tentazione particolarmente subdola, la supremazia di Dio e non si vende alla potenza di questo mondo. Se avesse acconsentito alla tentazione, Gesù avrebbe adottato dei mezzi illeciti e non avrebbe conseguito il fine posto dal Padre alla sua missione”.
Tale missione è chiesta anche all’Ordine di Malta: “L’Ordine di Malta, nel corso della storia, ha assunto a seconda delle contingenze mezzi differenti, che però vanno vagliati nella loro validità attuale per raggiungere il fine di tuitio fidei e obsequium pauperum.
Lungo i secoli, l’Ordine ha assunto una sempre maggiore rilevanza nell’ambito internazionale, un tipo del tutto particolare di sovranità, con prerogative in tale ambito che devono necessariamente essere funzionali alla finalità di tuitio fidei e obsequium pauperum”.
Per tale motivo il papa ha esortato a non tralasciare tali prerogative: “Se tali prerogative venissero da voi usate lasciandovi attrarre nella mondanità, magari senza accorgervene, proprio per l’illusione che la mondanità comporta, correreste il pericolo di agire perdendo di vista il fine. E’ da fare continuamente nostro quanto insegnato da Gesù, che non ha chiesto al Padre di toglierci dal mondo, perché ci manda nel mondo, ma che non siamo del mondo come Lui non è del mondo; e ha chiesto al Padre che ci custodisca dal maligno”.
Mentre a Torino, il card. Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, ha evidenziato il valore di una nascita: “Nel riportare la notizia della natività di Giovanni il Battista, l’evangelista Luca non spende molte parole. Gliene bastano pochissime. Liquida la questione in un solo versetto. Sembra decisamente più interessato a rilevare quali siano i sentimenti e le reazioni di chi fa i conti con l’assolutamente inedito di quella nascita: gli astanti, i parenti, i vicini. Quasi a dirci che la natività di Giovanni come quella di ogni cucciolo d’uomo avviene solo laddove si crei uno spazio di attesa, di accoglienza calda, di apertura fattiva alla novità imprevedibile che ogni nuovo nato rappresenta e porta con sé”.
Un’omelia che ha affrontato la responsabilità degli adulti: “Quasi a dire che non ci può essere sopravvivenza di nessun infante se non c’è riconoscimento, cura e presa in carico da parte del mondo degli adulti. Quasi a rimarcare ciò che non avrebbe neppure bisogno di essere rimarcato, tanto è inscritto nelle fibre del nostro essere, ma che può essere oscurato ad ogni generazione dal peccato degli uomini, quello che Bonhoeffer descrive in maniera lucida come il cor in se curvum: che, cioè, la vita umana, perché si dia e ci sia, perché cresca e perché si esprima, domanda che qualcuno vi si chini sopra benevolmente, vi si accosti con meraviglia, la accolga con senso di responsabilità, con attesa indifesa e con la decisione ferma e tenace di mettere a disposizione ad ogni passo tutto ciò che quella vita richiede per essere custodita, protetta, alimentata, fatta crescere, educata”.
Infatti ogni nascita comporta una responsabilità adulta: “Quasi a dire, in definitiva, che solo se ci sono donne e uomini adulti capaci di non avere paura e di accogliere la libertà inedita che ogni nuovo nato rappresenta, solo allora può esserci davvero e fino in fondo la nascita e la presa in carico di un nuovo essere umano.
Forse per questo Luca è così spiccio nell’annotare la natività del Battista, mentre si sofferma più a lungo a rimarcare il senso di gratitudine e di profonda gioia che essa inietta attorno a sé. Una gratitudine e una gioia tanto più intense quanto più esprimono il riconoscimento della straordinarietà di quella nascita: Giovanni è infatti il frutto dell’attenzione e della misericordia di Dio verso il suo popolo”.
Per diventare adulto è necessaria l’educazione: “Non solo. L’evangelista riassume tutta la fanciullezza del Battista con parole altamente simboliche. Il fanciullo cresce e si fortifica nello spirito, abitando regioni desertiche, luoghi cioè che per lungo tempo lo rendono invisibile agli occhi dei più. Ma questo tempo non è infinito. Arriva il giorno in cui si manifesta davanti a Israele. Il verbo, nel testo greco originale, è molto significativo: indica il momento del manifestarsi, ma anche del prendere il proprio compito, dell’assumere la propria funzione pubblica”.
Papa Leone XIV ai seminaristi: servitori di una Chiesa missionaria
“Sono molto contento di incontrarvi e ringrazio tutti, seminaristi e formatori, per la vostra calorosa presenza. Grazie innanzitutto per la vostra gioia e questo vostro entusiasmo. Grazie perché con la vostra energia voi alimentate la fiamma della speranza nella vita della Chiesa!”: oggi nella basilica di san Pietro papa Leone XIV ha incontrato i futuri sacerdoti riuniti per il loro giubileo, invitandoli alla preghiera ed al discernimento per essere ‘testimoni di speranza’ ed evangelizzatori ‘miti e forti’ in un mondo segnato da conflitti, narcisismo e sete di potere.
Destreggiandosi tra l’italiano e lo spagnolo papa Leone XIV li ha invitati ad essere testimoni della speranza con coraggio: “Oggi non siete solo pellegrini, ma anche testimoni di speranza: la testimoniate a me e a tutti, perché vi siete lasciati coinvolgere dall’avventura affascinante della vocazione sacerdotale in un tempo non facile. Avete accolto la chiamata a diventare annunciatori miti e forti della Parola che salva, servitori di una Chiesa aperta e una Chiesa in uscita missionaria.
E dico una parola anche in spagnolo: grazie per aver accettato con coraggio l’invito del Signore a seguirlo, ad essere discepoli, a entrare in Seminario. Bisogna essere coraggiosi e non abbiate paura! A Cristo che chiama voi state dicendo ‘sì’, con umiltà e coraggio; e questo vostro ‘eccomi’, che rivolgete a Lui, germoglia dentro la vita della Chiesa e si lascia accompagnare dal necessario cammino di discernimento e formazione”.
Però l’incontro con Gesù avviene attraverso l’amicizia: “Gesù, lo sapete, vi chiama anzitutto a vivere un’esperienza di amicizia con Lui e con i compagni di cordata; un’esperienza destinata a crescere in modo permanente anche dopo l’Ordinazione e che coinvolge tutti gli aspetti della vita. Non c’è niente di voi, infatti, che debba essere scartato, ma tutto dovrà essere assunto e trasfigurato nella logica del chicco di grano, al fine di diventare persone e preti felici, ‘ponti’ e non ostacoli all’incontro con Cristo per tutti coloro che vi accostano. Sì, Lui deve crescere e noi diminuire, perché possiamo essere pastori secondo il suo Cuore”.
Ed ha chiesto di mettere al centro della lor azione il Cuore di Gesù, riprendendo l’enciclica ‘Dilexit nos’ di papa Francesco: “Oggi in modo particolare, in un contesto sociale e culturale segnato dal conflitto e dal narcisismo, abbiamo bisogno di imparare ad amare e di farlo come Gesù. Come Cristo ha amato con cuore di uomo, voi siete chiamati ad amare con il Cuore di Cristo! Amare con il cuore di Gesù. Ma per apprendere quest’arte bisogna lavorare sulla propria interiorità, dove Dio fa sentire la sua voce e da dove partono le decisioni più profonde; ma che è anche luogo di tensioni e di lotte, da convertire perché tutta la vostra umanità profumi di Vangelo”.
Riprendendo il pensiero di sant’Agostino papa Leone XIV ha invitato a ‘ritornare’ al cuore: “Il primo lavoro dunque va fatto sull’interiorità. Ricordate bene l’invito di Sant’Agostino a ritornare al cuore, perché lì ritroviamo le tracce di Dio. Scendere nel cuore a volte può farci paura, perché in esso ci sono anche delle ferite. Non abbiate paura di prendervene cura, lasciatevi aiutare, perché proprio da quelle ferite nascerà la capacità di stare accanto a coloro che soffrono. Senza la vita interiore non è possibile neanche la vita spirituale, perché Dio ci parla proprio lì, nel cuore”.
Ed in spagnolo ha sottolineato che si deve imparare ad ascoltare Dio che parla al cuore: “Dio ci parla nel cuore, dobbiamo saperlo ascoltare. Di questo lavoro interiore fa parte anche l’allenamento per imparare a riconoscere i movimenti del cuore: non solo le emozioni rapide e immediate che caratterizzano l’animo dei giovani, ma soprattutto i vostri sentimenti, che vi aiutano a scoprire la direzione della vostra vita. Se imparerete a conoscere il vostro cuore, sarete sempre più autentici e non avrete bisogno di mettervi delle maschere”.
Questo ascolto interiore avviene attraverso la preghiera con l’invocazione allo Spirito Santo: “E la strada privilegiata che ci conduce nell’interiorità è la preghiera: in un’epoca in cui siamo iperconnessi, diventa sempre più difficile fare l’esperienza del silenzio e della solitudine. Senza l’incontro con Lui, non riusciamo neanche a conoscere veramente noi stessi.
Vi invito a invocare frequentemente lo Spirito Santo, perché plasmi in voi un cuore docile, capace di cogliere la presenza di Dio, anche ascoltando le voci della natura e dell’arte, della poesia, della letteratura e della musica, come delle scienze umane. Nell’impegno rigoroso dello studio teologico, sappiate altresì ascoltare con mente e cuore aperti le voci della cultura, come le recenti sfide dell’intelligenza artificiale e quelle dei social media. Soprattutto, come faceva Gesù, sappiate ascoltare il grido spesso silenzioso dei piccoli, dei poveri e degli oppressi e di tanti, soprattutto giovani, che cercano un senso per la loro vita”.
Ed attraverso la cura del cuore avviene il discernimento: “Se vi prenderete cura del vostro cuore, con i momenti quotidiani di silenzio, meditazione e preghiera, potrete apprendere l’arte del discernimento. Anche questo è un lavoro importante: imparare a discernere. Quando siamo giovani, ci portiamo dentro tanti desideri, tanti sogni e ambizioni. Il cuore spesso è affollato e capita di sentirsi confusi.
Invece, sul modello della Vergine Maria, la nostra interiorità deve diventare capace di custodire e meditare. Capace di synballein, come scrive l’evangelista Luca: mettere insieme i frammenti. Guardatevi dalla superficialità, e mettete insieme i frammenti della vita nella preghiera e nella meditazione, chiedendovi: quello che sto vivendo cosa mi insegna? Cosa sta dicendo al mio cammino? Dove mi sta guidando il Signore?”
Ed infine si è rivolto a loro con un’esortazione a testimoniare Cristo: “In un mondo dove spesso c’è ingratitudine e sete di potere, dove a volte sembra prevalere la logica dello scarto, voi siete chiamati a testimoniare la gratitudine e la gratuità di Cristo, l’esultanza e la gioia, la tenerezza e la misericordia del suo Cuore. A praticare lo stile di accoglienza e vicinanza, di servizio generoso e disinteressato, lasciando che lo Spirito Santo ‘unga’ la vostra umanità prima ancora dell’ordinazione”.
E’ stato un invito ad avere un cuore ‘compassionevole’ come quello di Gesù: “Il Cuore di Cristo è animato da un’immensa compassione: è il buon Samaritano dell’umanità e ci dice: ‘Va’ e anche tu fa’ così’. Questa compassione lo spinge a spezzare per le folle il pane della Parola e della condivisione, lasciando intravedere il gesto del Cenacolo e della Croce, quando avrebbe dato sé stesso da mangiare, e ci dice: ‘Voi stessi date loro da mangiare’, cioè fate della vostra vita un dono d’amore”.
Augurando un buon cammino il papa li ha invitati ad appassionarsi della vita sacerdotale: “Cari Seminaristi, la saggezza della Madre Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, nel corso del tempo cerca sempre le modalità più adatte alla formazione dei ministri ordinati, secondo le esigenze dei luoghi. In questo impegno, qual è il vostro compito?
E’ quello di non giocare mai al ribasso, di non accontentarvi, di non essere solo ricettori passivi, ma appassionarvi alla vita sacerdotale, vivendo il presente e guardando al futuro con cuore profetico. Spero che questo nostro incontro aiuti ciascuno di voi ad approfondire il dialogo personale con il Signore, in cui chiedergli di assimilare sempre più i sentimenti di Cristo, i sentimenti del suo Cuore. Quel Cuore che palpita d’amore per voi e per tutta l’umanità”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Leone XIV invita a vivere il Vangelo ‘sine glossa’
“Poter accogliere insieme Francescani e Trinitari mi ha ricordato un dipinto che si trova nell’abside della Basilica di san Giovanni in Laterano, che raffigura un’udienza di cui questa potrebbe essere una bella rievocazione. Infatti, l’immagine mostra papa Innocenzo III che riceve san Francesco e san Juan de Mata insieme, per onorare il loro grande apporto alla riforma della vita religiosa”: con queste parole papa ha ricevuto in udienza i partecipanti ai capitoli generali di Francescani Conventuali e Trinitari.
Rileggendo tale quadro papa Leone XIV ha evidenziato gli ‘atteggiamenti’ dei due santi: “E’ interessante notare che San Francesco è raffigurato in ginocchio con un enorme libro aperto, quasi come se stesse per dire al Pontefice: ‘Santità, le chiedo solo di vivere la regola del Santo Vangelo sine glossa’. San Juan de Mata, invece, è in piedi e tiene in mano la Regola che ha redatto insieme al Pontefice”.
Una sottolineatura che esprime il loro servizio alla Chiesa: “Se san Francesco mostra la sua docilità alla Chiesa, presentando il suo progetto non come proprio ma come dono divino, san Juan de Mata mostra il testo approvato, dopo lo studio e il discernimento, come il culmine di un lavoro assolutamente necessario per realizzare il proposito che Dio ha ispirato. I due atteggiamenti, lungi dall’essere in contrasto tra loro, si sarebbero illuminati a vicenda e sarebbero stati una linea guida per il servizio che la Santa Sede ha svolto da allora a favore di tutti i carismi”.
Due posizioni che convergono sulla stessa linea: “Dio ha ispirato a questi due santi non solo un cammino spirituale di servizio, ma anche il desiderio di confrontarsi con il Successore di Pietro sul dono ricevuto dallo Spirito per metterlo a disposizione della Chiesa. San Francesco espone al Papa la necessità di seguire Gesù senza riserve, senza altri fini, senza ambiguità o artifici. San Juan de Mata ha espresso questa verità con parole che si riveleranno poi fondamentali e che san Francesco farà sue”.
La linea è quella del servizio verso la Chiesa: “Un bell’esempio sarà quello di vivere ‘senza nulla di proprio’, senza nulla di ‘nascosto nella camera della tasca o del cuore’, come ha sottolineato papa Francesco… Un altro di questi termini esprime la necessità che tale dedizione si trasformi in servizio, che il superiore sia percepito come un ministro, cioè colui che si fa più piccolo, per essere il servo di tutti. E’ interessante notare come il versetto di san Matteo abbia influenzato il vocabolario di tutta la vita religiosa, perché chiamare priore, maestro, magister o ministro modella l’intera concezione dell’autorità come servizio”.
Rivolgendosi, in particolare alla congregazione dei Trinitari, in spagnolo il papa ha sottolineato di non dimenticare chi è perseguitato a causa della fede: “Mi unisco a questa preghiera e chiedo anche alla Trinità che questo sia uno dei frutti della vostra assemblea, affinché non cessiate di ricordare nella vostra preghiera e nel vostro impegno quotidiano quanti sono perseguitati a causa della loro fede. Questa parte, la terza riferita ai perseguitati, secondo l’insegnamento di sant’Agostino, è la parte di Dio e quella che segna la vocazione del liberatore del suo Popolo. Inoltre, questa tensione verso i membri più sofferenti della Chiesa attirerà l’attenzione delle vocazioni, dei fedeli e delle persone di buona volontà su questa realtà e vi terrà disponibili per i servizi di frontiera che svolgete nella Penisola Arabica, in Medio Oriente, in Africa e nel subcontinente indiano”.
Concludendo con un brano tratto dalle Fonti francescane papa Leone XIV h invitato i componenti dei due ordini a lodare Dio: “Non è il nostro interesse personale che ci deve muovere, ma quello di Cristo; è il suo Spirito che dobbiamo anzitutto ascoltare, per ‘scrivere il futuro nel presente’, come dice il motto del vostro Capitolo. Ascoltarlo nella voce del fratello, nel discernimento della comunità, nell’attenzione ai segni dei tempi, negli appelli del Magistero.
Cari figli di San Francesco d’Assisi, nell’ottavo centenario della composizione del Cantico delle creature o di frate sole, vi esorto ad essere, ciascuno personalmente e in ognuna delle vostre fraternità, vivente richiamo al primato della lode di Dio nella vita cristiana. E non voglio dimenticare che voi Conventuali celebrate l’anniversario della vostra rinnovata presenza in Estremo Oriente”.
In precedenza papa Leone XIV aveva incontrato gli alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica appena tornati dall’anno missionario all’estero, una novità formativa introdotta da papa Francesco, con l’invito ad essere fedeli al Cristo ed alla Chiesa: “Per questo esorto anche voi ad esercitare il dono del vostro sacerdozio con umiltà e mitezza, capacità di ascolto e prossimità, come fedeli ed instancabili discepoli di Cristo Buon Pastore. Quali che siano i compiti che vi verranno affidati, in qualunque parte del mondo vi troverete, il Papa deve poter contare su sacerdoti che, nella preghiera come nel lavoro, non si risparmino nel portare la Sua vicinanza ai popoli e alle Chiese con la loro testimonianza”.
Infine ha inviato un messaggio ai partecipanti alla Seconda Conferenza Annuale su ‘Intelligenza Artificiale, Etica e Governance d’Impresa’ che si conclude oggi a Roma, evidenziando il contributo che la Chiesa può offrire: “Da parte sua, la Chiesa desidera contribuire a un dibattito sereno e informato su queste urgenti questioni, sottolineando soprattutto la necessità di misurare le implicazioni dell’IA alla luce dello ‘sviluppo integrale della persona e della società’. Ciò implica che si tenga conto del benessere della persona umana, non solo dal punto di vista materiale, ma anche intellettuale e spirituale.
Ciò significa salvaguardare l’inviolabile dignità di ogni persona umana e rispettare la ricchezza culturale e spirituale dei popoli del mondo. In definitiva, i benefici o i rischi dell’intelligenza artificiale devono essere valutati esattamente alla luce di questo standard etico più elevato”.
Infine ha mostrato preoccupazione per le cause a cui sono sottoposti le giovani generazioni: “Sono certo che siamo tutti preoccupati per i bambini e i giovani e per le possibili conseguenze dell’uso dell’intelligenza artificiale sullo sviluppo intellettuale e neurologico. Dobbiamo aiutare i nostri giovani, non ostacolarli, nel loro cammino verso la maturità e la vera responsabilità. Sono la nostra speranza per il futuro e il benessere della società dipende dalla loro capacità di sviluppare i doni e le capacità che Dio ha dato loro e di rispondere alle sfide del nostro tempo e ai bisogni degli altri con spirito libero e generoso”.
(Foto: Santa Sede)
Nella Giornata di preghiera per le vocazioni suor Raffaella Spiezio invita a coniugare preghiera e carità
“In questa LXII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, desidero rivolgervi un invito gioioso e incoraggiante ad essere pellegrini di speranza donando la vita con generosità. La vocazione è un dono prezioso che Dio semina nei cuori, una chiamata a uscire da sé stessi per intraprendere un cammino di amore e di servizio. Ed ogni vocazione nella Chiesa (sia essa laicale o al ministero ordinato o alla vita consacrata) è segno della speranza che Dio nutre per il mondo e per ciascuno dei suoi figli”: così scriveva papa Francesco nel messaggio ‘Pellegrini di speranza: il dono della vita’ in occasione della 62^ Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, in programma 11 maggio.
Da questo inizio del messaggio abbiamo dialogato con la ‘Figlia di Carità’ di san Vincenzo de’ Paoli, suor Raffaella Spiezio, responsabile della comunità ‘Casa Papa Francesco’ di Quercianella a Livorno, è una comunità educativa a dimensione familiare nata nel 2015 da un’intuizione delle ‘Figlie della Carità’ in collaborazione con la Caritas diocesana, che accoglie bambini fino a 16 anni, progettata e realizzata pensando al bene dei bambini, valorizzando il contatto con la natura e predisponendo ampi spazi all’aperto per i momenti di gioco e di fraternità.
Per quale motivo in questa giornata il papa rivolge l’invito ad essere pellegrini di speranza?
“Da molto tempo la domenica del Buon Pastore è dedicata alla giornata delle vocazioni. Questo anno si inserisce in una cornice speciale, perché è all’interno dell’anno del giubileo. Per tale motivo Papa Francesco ci ha invitati ad essere pellegrini Speranza, per ricordarci che la nostra vita si realizza in un cammino e nella ricerca della felicità che il Signore a pensato per ognuno di noi. La vocazione cristiana – in tutte le sue forme, dal sacerdozio alla vita consacrata, fino alla vocazione laicale e familiare – è sempre una risposta a una chiamata che porta luce, senso, fiducia e speranza. Essere pellegrini per mettersi in cammino con fiducia; testimoniare il Vangelo con la vita, diventando segno concreto di speranza nel mondo; accogliere la propria vocazione come un dono a servizio degli altri”.
Perchè papa Francesco nel messaggio si è rivolto proprio ai giovani con l’invito ad essere ‘protagonisti’ nel cammino vocazionale?
“Papa Francesco aveva sempre creduto molto nei giovani ed aveva chiesto loro sempre di essere protagonisti nel loro cammino, mettendosi in gioco e donando la propria con coraggio e libertà. Donare la loro vita soprattutto nel servizio ai piccoli e agli ultimi. Il papa aveva fiducia che i giovani erano capaci di saper ascoltare la chiamata di Dio e di poter rispondere in modo creativo e concreto.
Inoltre incoraggiava i giovani a ‘svegliare il mondo’, a ‘sognare in grande’ ed ad essere ‘coraggiosi cercatori di senso’. In un’epoca segnata da incertezze, conflitti e crisi di senso, i giovani sono chiamati a testimoniare con la loro vita che seguire Cristo è fonte di gioia e speranza”.
In quale modo è possibile discernere il proprio cammino vocazionale?
“Atteggiamento necessario per discernere la propria vocazione è innanzitutto avere il cuore e la mente aperta e disponibile. E’ necessario mettersi in ascolto della Parola di Dio, della vita così come si presenta e di una guida spirituale. Ci sono degli strumenti concreti che possono aiutare nel cammino e sono: la direzione spirituale, che vuol dire essere accompagnati da una persona di fede che ci aiuti a rileggere la nostra vita quotidiana alla luce della Parola di Dio. Nessuno può discernere da solo.
Esperienze di servizio: è importante e necessario conoscere sé stessi nel servizio e nel dono agli altri. Ciò avviene attraverso la vita comunitaria: vivere e condividere nella fraternità il proprio cammino, la propria ricerca di felicità, il proprio bisogno profondo di relazione. Ma è fondamentale una preghiera personale e comunitaria. Tutto questo facendo dei piccoli passi ogni giorno, affidandosi al Signore della vita e a chi ci mette accanto nel cammino”.
Cosa vuol dire compiere un cammino di discernimento?
“Significa intraprendere un percorso interiore, personale e spirituale… E’ un mettersi in ricerca della volontà di Dio per fare delle scelte autentiche, libere, belle e responsabili. Papa Francesco ha insistito molto nel dire che è un mettersi in ascolto dello Spirito Santo, non è una ricetta pronta ma è una dinamica di vivere”.
In quale modo è possibile coniugare preghiera e carità?
“Per noi ‘Figlie della Carità’ coniugare queste due dimensioni vuol dire vivere una fede concreta, è contemplare Cristo nel povero, amarlo con tenerezza… La preghiera è sempre abitata dalla storia dei poveri, non è mai una preghiera intimistica. San Vincenzo De’ Paoli diceva ‘non mi basta amare Dio se il mio prossimo non lo ama’. La preghiera si fa sempre azione, diventa contemplazione.
San Vincenzo De’ Paoli inoltre diceva che a volte era necessario ‘lasciare Dio per Dio’ lasciare la preghiera per ritrovarlo nella vita dei piccoli e nei fragili perché lì c’è Dio come meditiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo”.
‘Abbiate un cuore grande che nulla trova difficile per amore di Dio’, scriveva santa Luisa de Marillac: allora tutto è facile?
“Non è facile ma questa frase dice che l’amore rende possibile anche ciò che sembra impossibile. La ricerca della propria vocazione non è una strada senza fatica, ostacoli o dubbi ma non è questo ciò che è importante ma è la ricerca di una vita da vivere in pienezza donata a Dio per gli altri.
San Vincenzo e santa Luisa hanno vissuto in un’epoca particolare, dove i poveri se trovati a chiedere aiuto venivano messi nelle carceri. Non c’era posto per loro da nessuna parte. San Vincenzo è stato il rivoluzionario della Carità. Mettersi al servizio del fratello allarga il cuore. Tutto cambia quando ci fidiamo di Dio e si sceglie di amare. Chi dona la sua vita con coraggio: nel cuore del povero troverà il sogno di Dio per se e per il mondo la speranza”.
Papa Francesco: la vocazione è un pellegrinaggio di speranza
Nel Messaggio per la Giornata di preghiera per le vocazioni, in programma domenica 11 maggio, papa Francesco invita ad affidarsi a Dio che ‘non delude’ mai ed ad essere ‘Pellegrini di speranza: il dono della vita’: “In questa LXII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, desidero rivolgervi un invito gioioso e incoraggiante ad essere pellegrini di speranza donando la vita con generosità. La vocazione è un dono prezioso che Dio semina nei cuori, una chiamata a uscire da sé stessi per intraprendere un cammino di amore e di servizio. Ed ogni vocazione nella Chiesa (sia essa laicale o al ministero ordinato o alla vita consacrata) è segno della speranza che Dio nutre per il mondo e per ciascuno dei suoi figli”.
E’ un particolare invito ai giovani a non perdere la fiducia: “In questo nostro tempo, molti giovani si sentono smarriti di fronte al futuro. Sperimentano spesso incertezza sulle prospettive lavorative e, più a fondo, una crisi d’identità che è crisi di senso e di valori e che la confusione digitale rende ancora più difficile da attraversare. Le ingiustizie verso i deboli e i poveri, l’indifferenza di un benessere egoista, la violenza della guerra minacciano i progetti di vita buona che coltivano nell’animo”.
Ma nello stesso tempo è un invito alla Chiesa all’accoglienza: “Eppure il Signore, che conosce il cuore dell’uomo, non abbandona nell’insicurezza, anzi, vuole suscitare in ognuno la consapevolezza di essere amato, chiamato e inviato come pellegrino di speranza. Per questo, noi membri adulti della Chiesa, specialmente i pastori, siamo sollecitati ad accogliere, discernere e accompagnare il cammino vocazionale delle nuove generazioni. E voi giovani siete chiamati ad esserne protagonisti, o meglio co-protagonisti con lo Spirito Santo, che suscita in voi il desiderio di fare della vita un dono d’amore”.
Un messaggio rivolto ai giovani con l’invito a dare una risposta alla vita, come hanno fatto i santi: “E’ necessario prendere coscienza che il dono della vita chiede una risposta generosa e fedele. Guardate ai giovani santi e beati che hanno risposto con gioia alla chiamata del Signore: a Santa Rosa di Lima, San Domenico Savio, Santa Teresa di Gesù Bambino, San Gabriele dell’Addolorata, ai Beati (tra poco Santi) Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati e a tanti altri. Ciascuno di loro ha vissuto la vocazione come cammino verso la felicità piena, nella relazione con Gesù vivo. Quando ascoltiamo la sua parola, ci arde il cuore nel petto e sentiamo il desiderio di consacrare a Dio la nostra vita! Allora vogliamo scoprire in che modo, in quale forma di vita ricambiare l’amore che Lui per primo ci dona”.
Per questo la vocazione non va disgiunta dalla speranza: “Ogni vocazione, percepita nella profondità del cuore, fa germogliare la risposta come spinta interiore all’amore e al servizio, come sorgente di speranza e di carità e non come ricerca di autoaffermazione. Vocazione e speranza, dunque, si intrecciano nel progetto divino per la gioia di ogni uomo e di ogni donna, tutti chiamati in prima persona ad offrire la vita per gli altri. Sono molti i giovani che cercano di conoscere la strada che Dio li chiama a percorrere: alcuni riconoscono, spesso con stupore, la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata; altri scoprono la bellezza della chiamata al matrimonio e alla vita familiare, come pure all’impegno per il bene comune e alla testimonianza della fede tra i colleghi e gli amici”.
Per tale motivo la speranza è ‘radicata’ nella Provvidenza con impegno: “Ogni vocazione è animata dalla speranza, che si traduce in fiducia nella Provvidenza. Infatti, per il cristiano, sperare è ben più di un semplice ottimismo umano: è piuttosto una certezza radicata nella fede in Dio, che opera nella storia di ogni persona. E così la vocazione matura attraverso l’impegno quotidiano di fedeltà al Vangelo, nella preghiera, nel discernimento, nel servizio”.
Ma un cammino vocazionale ha bisogno di discernimento: “La scoperta della propria vocazione avviene attraverso un cammino di discernimento. Questo percorso non è mai solitario, ma si sviluppa all’interno della comunità cristiana e insieme ad essa. Cari giovani, il mondo vi spinge a fare scelte affrettate, a riempire le giornate di rumore, impedendovi di sperimentare un silenzio aperto a Dio, che parla al cuore”.
E’ un invito ad ascoltare: “Abbiate il coraggio di fermarvi, di ascoltare dentro voi stessi e di chiedere a Dio cosa sogna per voi. Il silenzio della preghiera è indispensabile per ‘leggere’ la chiamata di Dio nella propria storia e per dare una risposta libera e consapevole”.
Ascoltare significa prestare attenzione alle ‘ferite’ dell’umanità: “Il raccoglimento permette di comprendere che tutti possiamo essere pellegrini di speranza se facciamo della nostra vita un dono, specialmente al servizio di coloro che abitano le periferie materiali ed esistenziali del mondo. Chi si mette in ascolto di Dio che chiama non può ignorare il grido di tanti fratelli e sorelle che si sentono esclusi, feriti, abbandonati. Ogni vocazione apre alla missione di essere presenza di Cristo là dove più c’è bisogno di luce e consolazione. In particolare, i fedeli laici sono chiamati ad essere “sale, luce e lievito” del Regno di Dio attraverso l’impegno sociale e professionale”.
E per far sì che ciò accade c’è necessità di ‘guide sagge’: “In tale orizzonte, gli operatori pastorali e vocazionali, soprattutto gli accompagnatori spirituali, non abbiano paura di accompagnare i giovani con la speranzosa e paziente fiducia della pedagogia divina. Si tratta di essere per loro persone capaci di ascolto e di accoglienza rispettosa; persone di cui possano fidarsi, guide sagge, pronte ad aiutarli e attente a riconoscere i segni di Dio nel loro cammino.
Esorto pertanto a promuovere la cura della vocazione cristiana nei diversi ambiti della vita e dell’attività umana, favorendo l’apertura spirituale di ciascuno alla voce di Dio. A questo scopo è importante che gli itinerari educativi e pastorali prevedano spazi adeguati di accompagnamento delle vocazioni”.
Il Sinodo apre con un nuovo cammino
Lo scorso 11 marzo scorso papa Francesco dal policlinico Gemelli ha approvato il processo di accompagnamento e valutazione della fase attuativa del Sinodo, intitolato ‘Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione’, come ha scritto in una lettera il card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, un itinerario che culminerà in un’Assemblea ecclesiale che si terrà nell’ottobre 2028 in Vaticano e che sarà scandito da alcune precise tappe, con un appuntamento a fine ottobre con il Giubileo delle équipe sinodali e degli organismi di partecipazione.
Riprendendo la nota del documento conclusivo del Sinodo il card. Grech ha evidenziato il carattere processuale del cammino: “Alla luce di queste indicazioni, perciò, la fase attuativa del Sinodo va intesa non come una semplice ‘applicazione’ di direttive provenienti dall’alto, ma piuttosto come un processo di ‘recezione’ degli orientamenti espressi dal Documento finale in maniera adeguata alle culture locali e ai bisogni delle comunità. Al contempo, è necessario procedere insieme come Chiesa tutta, armonizzando la recezione nei diversi contesti ecclesiali. Questo è il motivo del processo di accompagnamento e valutazione, che nulla toglie alla responsabilità di ogni Chiesa”.
Tale percorso permetterà di ‘tastare’ la creatività delle chiese locali: “Il percorso costituirà, inoltre, un’occasione per valutare insieme le scelte effettuate a livello locale e riconoscere i progressi compiuti in termini di sinodalità. Grazie a questo percorso, il Santo Padre potrà ascoltare e confermare gli orientamenti ritenuti validi per la Chiesa tutta. Infine, questo processo costituisce la cornice al cui interno situare le molte e diverse iniziative di attuazione degli orientamenti del Sinodo, in particolare i risultati dei lavori dei Gruppi di Studio e i contributi della Commissione canonistica”.
La lettera è anche un invito ad ampliare il coinvolgimento delle persone: “E’ di fondamentale importanza assicurare che la fase attuativa sia l’occasione per coinvolgere nuovamente le persone che hanno dato il loro contributo e restituire i frutti dell’ascolto di tutte le Chiese e del discernimento dei Pastori nell’Assemblea sinodale: proseguirà così il dialogo già avviato nella fase dell’ascolto… Questo processo offrirà anche alle Diocesi che finora hanno investito meno sul cammino sinodale un’opportunità di recuperare i passi non ancora compiuti e di formare a loro volta équipe sinodali”.
Quindi ecco il calendario delle prossime tappe sinodali fino all’Assemblea sinodale del 2028: “marzo 2025: annuncio del percorso di accompagnamento e valutazione; maggio 2025: pubblicazione del Documento di sostegno per la fase attuativa con le indicazioni per il suo svolgimento; giugno 2025 – dicembre 2026: percorsi di attuazione nelle Chiese locali e loro raggruppamenti; 24-26 ottobre 2025: Giubileo delle équipe sinodali e degli organismi di partecipazione; primo semestre 2027: Assemblee di valutazione nelle Diocesi ed Eparchie; secondo semestre 2027: Assemblee di valutazione nelle Conferenze episcopali nazionali e internazionali, nelle Strutture gerarchiche orientali e in altri raggruppamenti di Chiese; primo semestre 2028: Assemblee continentali di valutazione; giugno 2028: pubblicazione dell’Instrumentum laboris per i lavori dell’Assemblea ecclesiale di ottobre 2028; ottobre 2028: celebrazione dell’Assemblea ecclesiale in Vaticano”.
Infatti in un’intervista a Vatican News a cura di Andrea Tornielli il card. Grech ha spiegato lo scopo del percorso: “L’obiettivo è che l’attuazione non avvenga in modo isolato, come se ogni diocesi o eparchia fosse un’entità a sé stante, ma che si rafforzino i legami tra le Chiese a livello nazionale, regionale e continentale.
Allo stesso tempo, questi momenti di confronto permetteranno un autentico ‘camminare insieme’, offrendo l’opportunità di valutare, in uno spirito di corresponsabilità, le scelte compiute… L’attuazione e la valutazione devono procedere insieme, intrecciandosi in un processo dinamico e condiviso: è proprio questa la cultura del rendiconto evocata dal Documento finale”.
Inoltre ha ricordato il pellegrinaggio sinodale del prossimo ottobre: “Il Giubileo è strettamente associato al pellegrinaggio. La Chiesa sinodale è Chiesa pellegrina, che si rende evidente nel ‘camminare insieme’ del Popolo di Dio verso il compimento del Regno. Il giubileo delle équipe sinodali e degli organi di partecipazione (perché anche queste strutture offrono spazi di vita sinodale nelle Chiese locali) vuol essere il momento celebrativo nel quale questa dimensione sinodale della Chiesa si rende manifesta nel cammino del Popolo di Dio alla tomba di Pietro, raccogliendosi al contempo intorno al Successore di Pietro, principio della comunione di tutti i battezzati, di tutte le Chiese, di tutti i vescovi.
Anche in questo caso, in pellegrinaggio dovrebbe esserci tutta la Chiesa. Abbiamo pensato di convocare le équipe sinodali, perché sono formate da persone che hanno messo il loro tempo e le loro energie a servizio del processo sinodale. Abbiamo chiesto la loro riattivazione perché saranno ‘punta avanzata’ in questo percorso di attuazione”.
Assunta Steccanella è la nuova vicepreside della Facoltà Teologica del Triveneto
Il preside, don Maurizio Girolami, rende noto che il gran cancelliere, S.E. mons. Francesco Moraglia, in data 8 gennaio 2025 ha nominato la prof.ssa Assunta Steccanella vicepreside della Facoltà teologica del Triveneto per il quadriennio accademico 2025-2028. La professoressa, attualmente direttrice del Ciclo di licenza della Facoltà, succede allo stesso don Maurizio Girolami, che dal primo settembre 2024 è divenuto preside. E’ la prima donna e laica ad assumere nella Facoltà questo incarico, finora ricoperto da presbiteri.
Assunta Steccanella è sposata, ha tre figli, ed è teologa pastoralista. Si occupa di catechesi e di formazione degli adulti. Ha compiuto gli studi istituzionali di Teologia presso lo Studio teologico del Seminario di Vicenza, che si sono conclusi con il baccalaureato (2004) conseguito all’Istituto teologico Sant’Antonio Dottore di Padova; ha poi conseguito la Licenza (2009) e il Dottorato (2013) alla Facoltà teologica del Triveneto.
E’ docente stabile straordinaria per la cattedra di Teologia pastorale presso la stessa Facoltà, dove insegna dal 2010, e presso l’Istituto superiore di Scienze religiose ‘Mons. A. Onisto’ di Vicenza. Nel 2020 è stata nominata pro-direttrice del ciclo di Licenza e, nel 2023, direttrice. Oltre a diversi articoli in riviste, contributi e curatele in volumi miscellanei, ha pubblicato ‘Segni dei tempi. Dialogo tra Vangelo e storia’, Padova 2024; ‘Ascolto attivo. Nella dinamica della fede e nel discernimento pastorale’, Padova 2020; ‘Alla scuola del Concilio per leggere i segni dei tempi’, Padova 2014.
Il gran cancelliere ha inoltre confermato per un secondo mandato nel quadriennio accademico 2025-2028 i membri del Consiglio di amministrazione della Facoltà teologica del Triveneto: dott. Marco Pasquale Aliotta, dott. Roberto Battiston e dott. Lorenzo Gassa.
Mons. Anselmi: amare per essere felici
“In questi mesi ho appreso che durante la Seconda Guerra Mondiale anche Rimini e i territori circostanti sono stati teatro di guerra; i nostri nonni e bisnonni, ottant’anni fa hanno vissuto scene di morte e distruzione; nella storia rimangono i quasi quattrocento bombardamenti, l’80 % della città distrutta, i morti della battaglia di Rimini, circa 20.000 tedeschi e 15.00 alleati, i campi di prigionia per più di 150.00 persone allestiti sul litorale.
Una tragedia testimoniata da rovine ancora presenti in città, dai cimiteri di guerra di Rimini e Coriano, dal ricordo vivo dei tre giovani martiri impiccati in piazza, dai resti della chiesa della Pace di Trarivi e soprattutto dal ricordo di tanti testimoni oculari. Grazie alla Repubblica di san Marino che ha accolto decine di migliaia di profughi sfollati. Signore, dona la pace al mondo e aiutaci ad essere operatori di pace”: dopo l’invocazione allo Spirito Santo, così inizia la lettera pastorale del vescovo della diocesi di Rimini, mons. Nicolò Anselmi, intitolata ‘Amerai, sarai felice e godrai di ogni bene, ora e nei secoli eterni’.
Nella lettera pastorale il vescovo ha spiegato il titolo della lettera: “Ho scelto questo titolo per sottolineare il fatto che la felicità è lo scopo della vita, è il grande desiderio di Dio e che l’amore è la strada per essere felici. Penso che tutti possiamo essere concordi nel riconoscere l’importanza
dell’amore come strada verso la felicità, a prescindere da ogni religione e cultura; qualcuno può essere indifferente al fatto religioso ma tutti siamo interessati all’amore. Non ho mai ascoltato persone teorizzare l’odio verso gli altri esseri umani; tutti siamo in fondo convinti che l’amore sia la strada maestra verso una vita bella e gioiosa. Chi è credente sa che il vero modo di amare Dio, di renderlo felice, è quello di amarci fra noi; la gioia di Dio è quella di vederci uniti come fratelli e sorelle. In questa situazione di unità l’amore per Dio e l’amore per il prossimo coincidono”.
Inoltre il vescovo ha sottolineato che la religione cristiana discende da un fatto storico: “La religione cristiana è prima di tutto figlia di un fatto storico: la Resurrezione di Gesù il giorno di Pasqua; Gesù è vivo, è risorto, è Dio. Gli apostoli e molti discepoli sono i testimoni oculari di Gesù risorto e lo hanno comunicato ai loro successori, oralmente e scrivendo testi chiamati vangeli; dai cosiddetti Padri Apostolici, coloro che hanno conosciuto personalmente gli apostoli ma non hanno incontrato direttamente Gesù, attraverso una lunga catena di fedeltà, pagata fino al sangue del martirio, questa certezza di Fede è arrivata fino a noi. E i vescovi sono i successori dei dodici apostoli. Ogni settimana, la domenica, celebriamo la Pasqua basandoci su questa catena di testimonianza comunitaria che collega gli apostoli e la comunità primitiva con i vescovi e la comunità cristiana di oggi: la chiesa è il popolo che da duemila anni trasmette la verità della resurrezione di Gesù e quindi la sua divinità”.
La lettera è un invito ad ‘essere costruttori del Regno di Dio: “Essere costruttori del Regno di Dio, il regno dell’amore, della pace, della gioia è la vocazione più bella che abbiamo ricevuto, è il senso della vita; tutti siamo invitati a fare la nostra parte, a lavorare nella vigna del Signore, sani e malati, ricchi e poveri, uomini e donne, giovani e adulti, bambini e anziani, sacerdoti e laici, di qualunque nazione e cultura.
Un modo per essere costruttori del regno, messaggeri di amore, missionari di pace è raccontare la presenza trasformante di Dio nelle nostre giornate, nelle grandi svolte della nostra esistenza, le luci quotidiane, la gioia dei piccoli gesti d’amore, l’essere guidati, aiutati, consolati dallo Spirito Santo; è importante raccontare con umiltà, con le parole e le opere, la gioia che abbiamo provato nel compiere gesti di carità, di bontà, di perdono, di servizio verso gli ultimi, verso chi soffre, sostenuti dallo Spirito Santo”.
Al contempo mons. Anselmi ha evidenziato la necessità di pregare: “Pregare è un atteggiamento del cuore sempre presente durante la giornata. Pregare è un modo di vivere; pregando ogni ghiaccio si scioglie, ogni durezza si ammorbidisce, ogni paura svanisce, le parole incomprensibili diventano chiare, la stanchezza diventa vigore, le lacrime puliscono gli occhi e ci aiutano a vedere meglio. Lo Spirito Santo di Gesù prega in noi. La preghiera personale ci è necessaria per assaporare il senso della vita”.
Ed ecco la necessità del discernimento per porsi in ascolto dello Spirito Santo: “Se lo Spirito Santo è presente in ogni essere umano, per scoprire ed ascoltare la voce dello Spirito, è necessario che le persone siano capaci di ascoltare gli altri, nel silenzio, nella profondità, nella verità e nella libertà. Lo stare insieme fra persone dovrebbe sempre avere le caratteristiche dell’ascolto e della scoperta di ciò che è più luminoso, brillante, profumato. Sarebbe bello che, quando ci si ritrova, tutti avessero la possibilità di parlare e di essere ascoltati.
Chi è più espansivo, esperto, preparato deve saper dare spazio agli altri, a tutti, ai più giovani; tutti devono potersi esprimere. La conversazione spirituale in cui tutti parlano e sono ascoltati è una scuola per non giudicare rapidamente, per non voler imporre a tutti i costi la propria idea. Ogni conversazione dovrebbe iniziare con l’invocazione dello Spirito, proseguire con l’ascolto della Parola di Dio, essere pacata, leggera, mite, buona, sottolineare ciò che hanno detto gli altri e concludersi con un rendimento di grazie a Dio. La conversazione spirituale può aiutare a scegliere attraverso il discernimento personale e comunitario”.
Non poteva mancare un capitolo dedicato a don Oreste Benzi: “Lo Spirito Santo attraverso don Oreste ha donato al mondo l’intuizione pastorale che la famiglia è il grembo originario in cui il Vangelo si incarna e può essere vissuto. Le Case-Famiglia da lui volute sono luci che brillano, illuminano la Chiesa e la società, suscitano il desiderio in altre famiglie di essere aperte, accoglienti, vere chiese domestiche, sacramenti dell’amore di Dio, scaldate dalla presenza eucaristica.
Don Oreste, e tante persone con lui, hanno risposto a una molteplicità infinita di domande di amore; i preti e i giovani sono stati le sue grandi passioni testimoniate dalla vita comune da lui vissuta con alcuni fratelli sacerdoti e dall’impegno costante con e verso i giovani, nei campi estivi ed in mille esperienze. Con i giovani e per i giovani si è speso in tutte le situazioni invitandoli ad essere santi e ad affidarsi a Gesù.
Ha seminato il Vangelo in tutti i terreni possibili: la dipendenza dalle droghe, la sofferenza del carcere, la schiavitù della prostituzione, la cura della disabilità, l’accoglienza dello straniero, l’amicizia con le persone nomadi e Rom, l’amore per la vita nascente, l’impegno per evitare ogni interruzione di gravidanza e la disponibilità ad aiutare le famiglie e ad accogliere i neonati, la gratitudine verso gli anziani, l’operatività a favore della pace, l’animazione missionaria.
La molteplicità di queste risposte e l’opera dello Spirito Santo ha fatto nascere un’associazione di laici e consacrati, ispirata alla bontà di San Giovanni XXIII che chiedeva ai giovani porte, finestre, chiese e case aperte”.
Un capitolo è dedicato alla famiglia, che Dio chiama attraverso il matrimonio: “Il matrimonio è una chiamata di Dio, nasce nella comunità cristiana. Tutti devono pregare perché i ragazzi scoprano questa vocazione. Le persone si innamorano se sentono che qualcuno le ama, si prende cura di loro.
Il sacramento del matrimonio è la presenza di Dio nella vita dei due coniugi; c’è chi dice che l’amore può spegnersi e finire, ma la preghiera, la Parola di Dio, i sacramenti dell’Eucarestia e della Confessione sono Amerai, sarai felice e godrai di ogni bene ora e nei secoli eterni sostegni sicuri perché il fuoco dell’amore e dell’unità continuino ad ardere incessantemente”.
Un pensiero anche per le famiglie separate e divorziate: “Un caro abbraccio alle coppie separate, divorziate, risposate civilmente e ai vostri figli; la Chiesa di cui fate parte vi è vicina, prega per voi e con voi desidera cercare nuove strade di presenza nella comunità cristiana perché possiate far fruttificare il dono che ogni essere umano porta con sé; cercate un accompagnatore spirituale e cominciate a camminare secondo lo Spirito di Gesù.
In alcuni casi, dopo un percorso sempre doloroso, gli sposi hanno scoperto che alla base della loro separazione c’era una scelta non pienamente consapevole; in queste situazioni si può arrivare a una dichiarazione di nullità del matrimonio che non consiste nella cancellazione del sacramento bensì nell’affermazione che il sacramento, per vari motivi, non c’è mai stato. Oggi il percorso per la dichiarazione di nullità è più semplice di un tempo”.
Inoltre il vescovo ha sollecitato ad una presenza in politica: “L’impegno in politica è una vera e propria vocazione; gli amministratori locali hanno la possibilità di ben operare per la vita delle persone; invito giovani e adulti a rendersi disponibili ad assumere ruoli di responsabilità e coordinamento nell’associazionismo, nel volontariato, nelle organizzazioni di categoria, negli organismi di partecipazione a scuola e nelle università; servire il bene comune può essere faticoso ma dona gioia.
Anche studiare, leggere, informarsi, partecipare, andare a votare nei vari turni elettorali, cercando di sostenere le realtà e le persone che portano idee in armonia con il vangelo, sono gesti di amore per il bene comune”.
La lettera si chiude con una visione giubilare: “E’ bello che tutte le persone sappiano ascoltare le richieste di aiuto che silenziosamente ci raggiungono, che tutti sappiano dare speranza, senza giudicare, perché la persona è più grande anche delle proprie fragilità. La storia della nostra salvezza è piena di peccatori convertiti, perdonati: Mosè, il grande re Davide, San Paolo persecutore della Chiesa.
Una persona mi ha confidato che vorrebbe vivere un giubileo cantato, un inno di lode alla presenza di Dio. Le chiese aperte, abitate dal canto e dalla preghiera, anche in pausa pranzo o di sera, sarebbero un segno bello del Giubileo. Il Giubileo ha bisogno di tutti, ed in particolare, di volontari, disponibili ad accompagnare i pellegrini nella visita ai luoghi giubilari ed a proporre un cammino spirituale”.
(Foto: Diocesi di Rimini)



























