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Papa Leone XIV prega per i cristiani del Medio Oriente
“Esprimo il mio profondo dolore per l’attacco dell’esercito israeliano contro la Parrocchia cattolica della Sacra Famiglia in Gaza City; come sapete giovedì scorso ha causato la morte di tre cristiani e il grave ferimento di altri. Prego per le vittime, Saad Issa Kostandi Salameh, Foumia Issa Latif Ayyad, Najwa Ibrahim Latif Abu Daoud, e sono particolarmente vicino ai loro familiari e a tutti i parrocchiani. Tale atto, purtroppo, si aggiunge ai continui attacchi militari contro la popolazione civile e i luoghi di culto a Gaza”: al termine dell’Angelus a Castel Gandolfo, papa Leone XIV ha lanciato un forte appello per la pace, esprimendo dolore per le vittime dell’attacco israeliano contro la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza.
Esprimendo ‘vicinanza’ ai cristiani del Medio Oriente il papa ha chiesto la cessazione del conflitto: “Chiedo nuovamente che si fermi subito la barbarie della guerra e che si raggiunga una risoluzione pacifica del conflitto. Alla comunità internazionale rivolgo l’appello a osservare il diritto umanitario e a rispettare l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione”.
E davanti a tale conflitto anche il papa è impotente, ringraziandoli della loro testimonianza con l’affido alla Madre di Dio: “Ai nostri amati cristiani mediorientali dico: sono vicino alla vostra sensazione di poter fare poco davanti a questa situazione così drammatica. Siete nel cuore del Papa e di tutta la Chiesa. Grazie per la vostra testimonianza di fede. La Vergine Maria, donna del Levante, aurora del Sole nuovo che è sorto nella storia, vi protegga sempre e accompagni il mondo verso albori di pace”.
Mentre prima della recita dell’Angelus ha ricordato il valore dell’ospitalità: “Ci vuole umiltà sia a ospitare sia a farsi ospitare. Occorrono delicatezza, attenzione, apertura. Nel Vangelo, Marta rischia di non entrare fino in fondo nella gioia di questo scambio. E’ tanto presa da ciò che le tocca fare per accogliere Gesù, che rischia di rovinare un momento indimenticabile di incontro. Marta è una persona generosa, ma Dio la chiama a qualcosa di più bello della stessa generosità. La chiama a uscire da sé”.
Infatti il tempo estivo è un invito alla scoperta di essere ospiti: “Il tempo estivo può aiutarci a ‘rallentare’ e a diventare più simili a Maria che a Marta. A volte non ci concediamo la parte migliore. Bisogna che viviamo un po’ di riposo, col desiderio di imparare di più l’arte dell’ospitalità. L’industria delle vacanze vuole venderci ogni genere di esperienza, ma forse non quello che cerchiamo. E’ gratuito, infatti, e non si può comprare ogni vero incontro: sia quello con Dio, sia quello con gli altri, sia quello con la natura.
Occorre solo farsi ospiti: fare posto e anche chiederlo; accogliere e farsi accogliere. Abbiamo tanto da ricevere e non solo da dare. Abramo e Sara, seppure anziani, si scoprirono fecondi quando accolsero con tranquillità il Signore stesso in tre viandanti. Anche per noi c’è tanta vita da accogliere ancora”.
Mentre ha celebrato la messa ad Albano, dove era atteso dal 12 maggio: “La dinamica di questo incontro può farci riflettere: Dio sceglie la via dell’ospitalità per incontrare Sara e Abramo e dar loro l’annuncio della loro fecondità, che tanto desideravano e in cui ormai non speravano più. Dopo tanti momenti di grazia in cui già li aveva visitati, torna a bussare alla loro porta, chiedendo accoglienza e fiducia.
Ed i due anziani coniugi rispondono positivamente, senza sapere ancora cosa succederà. Riconoscono nei visitatori misteriosi la sua benedizione, la sua stessa presenza. Gli offrono quello che hanno: il cibo, la compagnia, il servizio, l’ombra di un albero. Ne ricevono la promessa di una vita nuova e di una discendenza”.
Anche il Vangelo racconta l’accoglienza con due sfaccettature: “Pur in circostanze diverse, anche il Vangelo ci parla dello stesso modo di agire di Dio. Anche qui, infatti, Gesù si presenta come ospite a casa di Marta e Maria. Non è uno sconosciuto: è a casa di amici e il clima è di festa. Una delle sorelle lo accoglie con mille attenzioni, mentre l’altra lo ascolta seduta ai suoi piedi, con l’atteggiamento tipico del discepolo nei confronti del maestro. Come sappiamo, alle lamentele della prima, che vorrebbe avere un po’ di aiuto nelle faccende pratiche, Gesù risponde invitandola ad apprezzare il valore dell’ascolto”.
Il modo di accogliere mostra il rapporto con Dio: “Se infatti è importante che viviamo la nostra fede nella concretezza dell’azione e nella fedeltà ai nostri doveri, a seconda dello stato e della vocazione di ciascuno, è però pure fondamentale che lo facciamo partendo dalla meditazione della Parola di Dio e dall’attenzione a ciò che lo Spirito Santo suggerisce al nostro cuore, riservando, a tale scopo, momenti di silenzio, momenti di preghiera, tempi in cui, facendo tacere rumori e distrazioni, ci raccogliamo davanti a Lui e facciamo unità in noi stessi”.
Questo è la centralità della vita cristiana: “E’ questa una dimensione della vita cristiana che oggi abbiamo particolarmente bisogno di recuperare, sia come valore personale e comunitario che come segno profetico per i nostri tempi: dare spazio al silenzio, all’ascolto del Padre che parla e ‘vede nel segreto’. A questo scopo i giorni estivi possono essere un momento provvidenziale in cui sperimentare quanto è bella e importante l’intimità con Dio, e quanto essa può aiutarci anche ad essere più aperti, più accoglienti gli uni verso gli altri”.
Però ascolto e servizio costano ‘fatica’: “Sia il servizio che l’ascolto non sono sempre facili: richiedono impegno, capacità di rinuncia. Costa fatica, ad esempio, nell’ascolto e nel servizio, la fedeltà e l’amore con cui un papà e una mamma mandano avanti la loro famiglia, come pure costa fatica l’impegno con cui i figli, a casa e a scuola, corrispondono ai loro sforzi; costa fatica capirsi quando si hanno opinioni diverse, perdonarsi quando si sbaglia, prestarsi assistenza quando si è malati, sostegno quando si è tristi. Ma è solo così, con questi sforzi, che nella vita si costruisce qualcosa di buono; è solo così che tra le persone nascono e crescono relazioni autentiche e forti, e che dal basso, dalla quotidianità, cresce, si diffonde e si sperimenta presente il Regno di Dio”.
Il papa ha concluso l’omelia sottolineando che ascolto e servizio non possono essere separati: “Abramo, Marta e Maria, oggi, ci ricordano proprio questo: che ascolto e servizio sono due atteggiamenti complementari con cui aprirci, nella vita, alla presenza benedicente del Signore. Il loro esempio ci invita a conciliare, nelle nostre giornate, contemplazione e azione, riposo e fatica, silenzio e operosità, con sapienza ed equilibrio, tenendo sempre come metro di giudizio la carità di Gesù, come luce la sua Parola e come sorgente di forza la sua grazia, che ci sostiene oltre le nostre stesse possibilità”.
(Foto: Santa Sede)
Attentato di Damasco: il papa esprime vicinanza
“Domenica scorsa è stato compiuto un vile attentato terroristico contro la comunità greco-ortodossa nella chiesa di Mar Elias a Damasco. Affidiamo le vittime alla misericordia di Dio ed eleviamo le nostre preghiere per i feriti e i familiari. Ai cristiani del Medio Oriente dico: vi sono vicino! Tutta la Chiesa vi è vicina! Questo tragico avvenimento richiama la profonda fragilità che ancora segna la Siria, dopo anni di conflitti e di instabilità. E’ quindi fondamentale che la comunità internazionale non distolga lo sguardo da questo Paese, ma continui a offrirgli sostegno attraverso gesti di solidarietà e con un rinnovato impegno per la pace e la riconciliazione”.
A conclusione dell’udienza generale di mercoledì scorso papa Francesco Leone XIV, a conclusione dell’udienza generale, ha espresso preoccupazione per la situazione tra Iran e Israele, auspicando che ci si adoperi per seguire ‘la via del dialogo, della diplomazia, della pace’, con l’invito ad ascoltare il profeta Isaia: “Si ascolti questa voce, che viene dall’Altissimo! Si curino le lacerazioni provocate dalle sanguinose azioni degli ultimi giorni. Si respinga ogni logica di prepotenza e di vendetta e si scelga con determinazione la via del dialogo, della diplomazia e della pace”.
Infatti domenica 22 giugno a Damasco è stata compiuta una strage durante una messa celebrata nella chiesa greco-ortodossa di Mar Elias. La chiesa colpita è uno dei luoghi di culto più frequentati della comunità greco-ortodossa di Damasco. E l’attentato rappresenta uno dei più sanguinosi contro un luogo di culto cristiano negli ultimi anni, riaprendo ferite di una comunità che ha già sofferto persecuzioni, emigrazione forzata e isolamento sociale nel contesto della guerra civile iniziata nel 2011.
In una dichiarazione di lunedì 23 giugno, l’Assemblea degli Ordinari cattolici della Terra Santa, con sede a Gerusalemme, ha espresso “profondo sgomento e profonda riprovazione» per quanto accaduto. Non esiste alcuna giustificazione per il massacro di innocenti, tanto meno in un luogo sacro”.
I vescovi cattolici hanno denunciato l’attentato come ‘un crimine contro l’umanità e un peccato davanti a Dio’: “Non esiste alcuna giustificazione (religiosa, morale o razionale) per il massacro di innocenti, tanto meno in uno spazio sacro. Una tale violenza, sotto il pretesto della fede, è una grave perversione di tutto ciò che è sacro. E’ un atto di indicibile malvagità, un crimine contro l’umanità e un peccato davanti a Dio”.
Richiamando il Documento sulla fraternità umana, firmato ad Abu Dhabi nel 2019 l’Assemblea dei vescovi cattolici hanno sottolineato il dovere di protezione dei luoghi di culto: “La protezione dei luoghi di culto (sinagoghe, chiese e moschee) è un dovere garantito dalle religioni, dai valori umani, dalle leggi e dagli accordi internazionali. Ogni tentativo di attaccare i luoghi di culto o di minacciarli con assalti violenti, attentati o distruzioni, è una deviazione dagli insegnamenti delle religioni”.
Questa non è fede: “Condanniamo fermamente questo atto barbarico e rifiutiamo le ideologie che cercano di giustificare la violenza in nome della religione. Estendiamo le nostre più sentite condoglianze al Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente ed esprimiamo la nostra solidarietà a tutte le comunità cristiane della Siria, che hanno sopportato anni di persecuzioni e sfollamenti e che ora si trovano ad affrontare una nuova paura e insicurezza”.
Ed hanno chiesto ‘misure’ per tutelare la libertà religiosa dei cristiani: “Chiediamo alle autorità siriane di prendere tutte le misure necessarie per garantire la protezione e la libertà dei cristiani in tutto il Paese, affinché possano vivere in sicurezza e contribuire pienamente alla vita della loro patria”.
Per questo Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) ha attivato una raccolta fondi per fornire aiuti di emergenza alle vittime e sostenere le comunità cristiane duramente colpite. Infatti ACS è impegnata da anni in Siria con numerosi progetti a favore delle comunità cristiane di varie confessioni, in particolare con il Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia, suo storico partner. La Fondazione supporta la ricostruzione dei luoghi di culto, le attività pastorali e interventi umanitari urgenti, con l’obiettivo di garantire la presenza cristiana in un Paese segnato da anni di conflitto.
In questa drammatica fase, ACS rinnova il proprio appello alle autorità competenti affinché intensifichino gli sforzi per proteggere tutte le comunità religiose in Siria. La Fondazione si unisce inoltre all’invito urgente di Sua Beatitudine il Patriarca Giovanni X a tutelare i luoghi sacri e a porre fine a ogni forma di violenza.
(Foto: Vatican News)
Nizar Lama lancia un appello per i cristiani della Terra Santa
“Betlemme, la città che ha visto la nascita di Gesù, oggi vive sotto l’ombra di un assedio che dura ormai da 18 mesi. Da quando è iniziata la guerra a Gaza, la città ha subito un blocco totale da parte di Israele, che ha paralizzato ogni aspetto della vita quotidiana. Le strade sono chiuse, l’acqua e l’elettricità sono controllate e distribuite in modo irregolare, Le scuole sono state chiuse, e i nostri bambini hanno perso un anno scolastico. Gli ospedali stanno affrontando difficoltà nel trovare il supporto necessario, e sia le scuole che gli ospedali soffrono una costante mancanza di risorse e di personale”.
Questa è stata la testimonianza di Nizar Lama, guida biblica e turistica professionista cattolica a Betlemme, incontrato nel monastero cistercense dell’Abbadia di Fiastra, situato ai confini dei comuni di Tolentino ed Urbisaglia, nella provincia di Macerata, invitato da don Rino Ramaccioni in collaborazione con le organizzazioni di volontariato Sermit di Tolentino, Sermir di Recanati ed Azione Cattolica Italiana della diocesi di Macerata.
Nel suo racconto c’è la realtà di chi è stremato da questi mesi di guerra: “La maggior parte della popolazione di Betlemme, che una volta viveva grazie al turismo, è ora costretta ad affrontare una disoccupazione devastante. Oltre il 90% della gente è senza lavoro, mentre i pochi che riescono a sopravvivere lo fanno con fatica, sperando che la situazione migliori. Le tradizioni e la cultura che hanno reso Betlemme famosa nel mondo sono ormai in pericolo, minacciate dalla difficile realtà economica e sociale”.
Come si vive a Betlemme dopo 18 mesi dal 7 ottobre?
“A distanza di 18 mesi dalla guerra a Gaza le famiglie di Betlemme soffrono molto, in quanto il 90% dei cittadini viveva di turismo religioso ed ora sono a casa senza lavoro, perché alberghi, ristoranti e negozi di souvenir sono chiusi. La gente fa fatica a sopravvivere ed a trovare le cose necessarie per vivere”.
Come vivono i cattolici in Terra Santa?
“Rappresentiamo l’1% della popolazione e viviamo con molte difficoltà. Cerchiamo di seminare la pace nei cuori delle persone; preghiamo per la pace e desideriamo vivere in pace”.
Quindi una minoranza che lotta per non scomparire?
“E’ la verità: in tutto questo, come cristiani, ci troviamo in una posizione di minoranza in una terra che non smette di cambiare. Nonostante le difficoltà, cerchiamo di adattarci a questo nuovo mondo, cercando di seminare la pace nei cuori delle persone. La nostra speranza non è ancora svanita, e continuiamo a credere che la luce della nostra fede possa un giorno risplendere anche nelle ombre più oscure.
Oggi stiamo affrontando una lotta per la nostra esistenza, dobbiamo scegliere se restare e resistere o andarcene e che tutto finisca. Oggi, come cristiani, siamo circondati dall’estremismo islamico e dal sionismo estremo, e credimi quando dico che non è facile convivere con queste due forze che dominano la nostra regione”.
Insomma quello di Nizar è stato un appello per non essere dimenticati dai cristiani europei: “Sono arrivato da voi portando con me il dolore e la sofferenza delle persone nella mia città, Betlemme. Ogni giorno, le persone lottano per la sopravvivenza in una realtà che sembra non lasciare spazio alla speranza. Cerco di consolarle, di ascoltarle e con ogni forza che ho, fare tutto ciò che posso per aiutarle a resistere, anche se solo un po’.
Non sappiamo quando finirà questa guerra; non sappiamo quale sarà il nostro destino in Cisgiordania. La paura per il futuro è sempre più presente, soprattutto per i nostri bambini. Ogni giorno camminiamo verso un cammino incerto, pregando che la pace arrivi presto, prima che tutto ciò che amiamo sia consumato dalla violenza e dalla disperazione”.
Però ogni giorno papa Francesco ha sempre telefonato al parroco di Betlemme: come avete sentito questa ‘vicinanza’?
“La abbiamo sentita molto intensa. Prima che papa Francesco morisse faceva tutti i giorni videochiamate con i parrocchiani della Santa Famiglia. La Chiesa cattolica sta cercando di sostenere le famiglie, ma purtroppo il conflitto è politico”.
Al termine della testimonianza è giunto l’appello per sostenere le famiglie cristiane che vivono in Terra Sana: “Attraverso questo giornale voglio lanciare un’iniziativa umanitaria per aiutare le famiglie cristiane bisognose di Betlemme. Grazie alla collaborazione con il parroco della nostra comunità, abbiamo identificato 60 famiglie che sono in urgente necessità di sostegno. Il mio desiderio più grande è quello di riuscire ad aiutare ogni persona che soffre nella mia città, con il vostro aiuto e con il vostro continuo supporto”.
Non avete mai pensato di migrare?
“Spesso ma la nostra presenza in Terra Santa è essenziale per proteggere i luoghi santi e per garantire che la nostra voce non svanisca. Perché il nostro esistere li è una testimonianza di speranza, di fede e di perseveranza, ma per farlo, abbiamo bisogno del vostro sostegno continuo.
Vi chiedo, con il cuore aperto, di unirvi a noi in questa lotta quotidiana, affinché possiamo continuare a vivere ed a sperare per un futuro migliore per tutti, senza paura, senza disperazione, ma con una luce di speranza che possa illuminare il nostro cammino. La vita in Terra Santa è dura, ma la nostra resistenza è forte, e continuiamo a lottare per la dignità, la giustizia e la speranza di un futuro migliore per tutti”.
Per aiutarvi?
“Vi chiedo prima di tutto di pregare per la pace e di sostenere le famiglie più bisognose, perché la gente soffre per sopravvivere. IBAN EURO: PS66ALDN048410024940430061001”. Oppure al Sermit: IBAN IT09F0100569200000000002001 – Con la causale: Nizar
Nella Repubblica Democratica del Congo continuano le uccisioni contro i cristiani
“Il governo ruandese deve ritirare le sue truppe dal territorio della Repubblica Democratica del Congo e cessare la cooperazione con i ribelli dell’M23”, ha affermato il Parlamento europeo in una risoluzione non legislativa adottata con 443 voti favorevoli, 4 contrari e 48 astensioni, in cui i deputati hanno condannato l’occupazione di Goma e di altri territori nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC) da parte dei ribelli dell’M23 e delle forze di difesa ruandesi in quanto violazione inaccettabile della sovranità e dell’integrità territoriale della RDC.
In tale ‘risoluzione’ i deputati hanno denunciato gli attacchi indiscriminati che coinvolgono armi esplosive, nonché uccisioni illegali, stupri e altri palesi crimini di guerra nelle aree popolate del Nord Kivu da parte di tutte le parti. Hanno anche deplorato il ricorso al lavoro forzato, al reclutamento forzato e ad altre pratiche abusive da parte dell’M23 con il sostegno dell’esercito ruandese e delle forze armate congolesi (FARDC).
Inoltre con l’invito a porre fine alle violenze, in particolare alle uccisioni di massa e all’uso dello stupro come arma strategica di guerra, il Parlamento europeo ha esortato la Repubblica Democratica del Congo ed il Rwanda a indagare e perseguire i responsabili di crimini di guerra, compresa la violenza sessuale, secondo il principio della responsabilità di comando. I deputati affermano inoltre che qualsiasi attacco alle forze delle Nazioni Unite è ingiustificabile e può essere considerato un crimine di guerra.
Per questo i deputati europei hanno criticato l’incapacità dell’Unione europea di adottare misure adeguate per affrontare la crisi e di esercitare pressioni sul Rwanda affinché ponga fine al suo sostegno all’M23 ed hanno chiesto alla Commissione europea, agli Stati membri dell’UE ed alle istituzioni finanziarie internazionali di congelare il sostegno diretto al bilancio per il Rwanda fino a quando non consentirà l’accesso umanitario all’area di crisi e romperà tutti i legami con l’M23.
La Commissione e i Paesi dell’Unione europea dovrebbero inoltre interrompere la loro assistenza militare e di sicurezza alle forze armate ruandesi per evitare di contribuire direttamente o indirettamente a operazioni militari abusive nella parte orientale della RDC.
Ma l’escaalation di violenza non si ferma in quanto a metà febbraio sono stati trovati almeno 70 corpi di cristiani decapitati in una chiesa protestante del Nord Kivu, una delle tre provincie orientali della Repubblica Democratica del Congo nelle quali decine di gruppi armati agiscono quasi incontrastati ormai da decenni, come ha sottolineato l’ong ‘Open Doors:
“Secondo alcuni media locali e internazionali, i 70 corpi sono stati trovati decapitati in una chiesa di Kasanga, in Baswagha. Le vittime erano probabilmente ostaggi dell’ADF e sono state trattenute per diversi giorni prima di essere uccise”.
Baswagha è una divisione amministrativa rurale della RDC. Si trova nel territorio di Lubero, nella provincia di Nord Kivu, a circa 100 km da Beni. Secondo i partner locali di Porte Aperte/Open Doors nella RDC orientale, Baswagha è un’area prevalentemente cristiana:
“La scorsa settimana, diversi attacchi dell’ADF hanno svuotato villaggi nel territorio di Lubero e molti dei corpi trovati nella chiesa sono stati identificati come quelli di persone disperse dopo questi attacchi. I nostri partner locali stanno lavorando per ottenere maggiori dettagli; tuttavia, l’attuale situazione della sicurezza nella parte orientale della RDC rende difficile e pericoloso viaggiare al momento”.
Per tale motivo l’ong ha chiesto ai cristiani la preghiera per le vittime: “Chiediamo alla comunità cristiana internazionale di rimanere in preghiera per i cristiani e le comunità vulnerabili nella parte orientale della RDC. Pregate per la fine della violenza e affinché il governo a tutti i livelli affronti diligentemente, imparzialmente e in modo trasparente la violenza e i suoi effetti. Pregate per la Chiesa nel Territorio del Lumbero mentre cerca di portare assistenza fisica e spirituale alle famiglie colpite”.
La Repubblica Democratica del Congo si trova alla posizione numero 35 della World Watch List: “In questo paese i cristiani affrontano gravi persecuzioni e violenze, spesso condotte da parte dei militanti islamisti delle Forze Democratiche Alleate (ADF). Connesse con lo Stato Islamico, le ADF rapiscono e uccidono cristiani e attaccano chiese, generando terrore diffuso, insicurezza e sfollamenti”.
Papa Francesco invita a celebrare la Pasqua unitariamente
“Gesù arriva nella casa delle sue amiche, Marta e Maria, quando il loro fratello Lazzaro è già morto da quattro giorni. Ogni speranza sembra ormai perduta, al punto che le prime parole di Marta esprimono il suo dolore insieme al rammarico perché Gesù è arrivato tardi… E’ quell’atteggiamento di lasciare sempre la porta aperta, mai chiusa! E Gesù, infatti, le annuncia la risurrezione dalla morte non soltanto come un evento che si verificherà alla fine dei tempi, ma come qualcosa che accade già nel presente, perché Lui stesso è risurrezione e vita… Soffermiamoci anche su questo interrogativo: ‘Credi questo? E’ una domanda breve ma impegnativa”.
Nella giornata conclusiva della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani nel giorno della conversione di san Paolo, papa Francesco ha riletto la resurrezione di Lazzaro, affermando che la speranza non svanisce: “Questo tenero incontro tra Gesù e Marta, che abbiamo ascoltato nel Vangelo, ci insegna che, anche nei momenti di desolazione, non siamo soli e possiamo continuare a sperare. Gesù dona vita, anche quando sembra che ogni speranza sia svanita.
Dopo una perdita dolorosa, una malattia, una delusione amara, un tradimento subito o altre esperienze difficili, la speranza può vacillare; ma se ciascuno di noi può vivere momenti di disperazione o incontrare persone che hanno perso la speranza, il Vangelo ci dice che con Gesù la speranza rinasce sempre, perché dalle ceneri della morte Egli sempre ci rialza. Gesù ci rialza sempre, ci dona la forza di riprendere il cammino, di ricominciare”.
Per questo la speranza non delude: “La speranza è quella corda alla quale noi siamo aggrappati con l’ancora sulla spiaggia. E questo non delude mai! Questo è importante anche per la vita delle Comunità cristiane, delle nostre Chiese e delle nostre relazioni ecumeniche. A volte siamo sopraffatti dalla fatica, siamo scoraggiati per i risultati del nostro impegno, ci sembra che anche il dialogo e la collaborazione tra di noi siano senza speranza, quasi destinati alla morte e, tutto ciò, ci fa sperimentare la stessa angoscia di Marta; ma il Signore viene”.
Quindi è stato un invito a credere che la speranza è nella resurrezione: “Questo messaggio di speranza è al centro del Giubileo che abbiamo iniziato… Tutti (tutti!) abbiamo ricevuto lo stesso Spirito, e questo è il fondamento del nostro cammino ecumenico. C’è lo Spirito che ci guida in questo cammino. Non sono cose pratiche per capirci meglio. No, c’è lo Spirito, e noi dobbiamo andare sotto la guida di questo Spirito”.
Ecco il motivo per cui ha ricordato l’importanza del Concilio di Nicea: “E questo Anno giubilare della speranza, celebrato dalla Chiesa cattolica, coincide con un anniversario di grande significato per tutti i cristiani: il 1700° anniversario del primo grande Concilio ecumenico, il Concilio di Nicea.
Questo Concilio si impegnò a preservare l’unità della Chiesa in un momento molto difficile, e i Padri conciliari approvarono all’unanimità il Credo che molti cristiani recitano ancora oggi ogni domenica durante l’Eucaristia. Questo Credo è una professione di fede comune, che va oltre a tutte le divisioni che nel corso dei secoli hanno ferito il Corpo di Cristo”.
Quest’anno è data un’opportunità: “L’anniversario del Concilio di Nicea rappresenta dunque un anno di grazia; rappresenta anche una opportunità per tutti i cristiani che recitano lo stesso Credo e credono nello stesso Dio: riscopriamo le radici comuni della fede, custodiamo l’unità! Sempre avanti! Quell’unità che tutti noi vogliamo trovare, che accada. Non vi viene in mente quello che diceva un grande teologo ortodosso, Ioannis Zizioulas: ‘Io so quando sarà la data dell’unità piena: il giorno dopo il giudizio finale’? Ma nel frattempo dobbiamo camminare insieme, lavorare insieme, pregare insieme, amarci insieme. E questo è molto bello!”
Ma l’anniversario del Concilio di Nicea è anche una ‘sfida’: “L’anniversario, infatti, non deve essere celebrato solo come ‘memoria storica’, ma anche come impegno a testimoniare la crescente comunione tra di noi. Dobbiamo fare in modo di non lasciarcela sfuggire, di costruire legami solidi, di coltivare l’amicizia reciproca, di essere tessitori di comunione e di fraternità”.
Una ‘sfida’ che si può concretizzare nella celebrazione pasquale in un unico giorno: “In questa Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani possiamo vivere l’anniversario del Concilio di Nicea anche come un richiamo a perseverare nel cammino verso l’unità. Provvidenzialmente, quest’anno, la Pasqua sarà celebrata nello stesso giorno nei calendari gregoriano e giuliano, proprio durante questo anniversario ecumenico.
Rinnovo il mio appello affinché questa coincidenza serva da richiamo a tutti i cristiani a compiere un passo decisivo verso l’unità, intorno a una data comune, una data per la Pasqua; e la Chiesa Cattolica è disposta ad accettare la data che tutti vogliono fare: una data dell’unità”.
Ed ha concluso l’omelia con l’invito a confermare la propria fede in Gesù attraverso la professione di fede del Credo niceno: “In Gesù la speranza è sempre possibile. Egli sostiene anche la speranza del nostro cammino comune verso di Lui. E ritorna ancora la domanda fatta a Marta e stasera rivolta a noi: ‘Tu credi questo?’ Ci crediamo nella comunione tra di noi? Crediamo che la speranza non delude?
Care sorelle, cari fratelli, questo è il tempo di confermare la nostra professione di fede nell’unico Dio e trovare in Cristo Gesù la via dell’unità. Nell’attesa che il Signore ‘torni nella gloria per giudicare i vivi e i morti’, non stanchiamoci mai di testimoniare, davanti a tutti i popoli, l’unigenito Figlio di Dio, fonte di ogni nostra speranza”.
Open Doors: aumentano le persecuzioni contro i cristiani
Nei giorni scorsi è stato pubblicato il nuovo report dell’associazione ‘Open Doors – Porte Aperte’ sulla persecuzione contro i cristiani, che salgono da 365.000.000 ad oltre 380.000.000: 15.000.000 in più rispetto allo scorso anno, come ha sottolineato Cristian Nani, direttore della sezione italiana di ‘Porte aperte/Open doors’:
“Non solo i massacri e i rapimenti ma le oltre 7.600 chiese, cliniche e scuole cristiane attaccate o chiuse, le oltre 28.000 case o attività economiche saccheggiate o distrutte, costringono alla fuga famiglie e intere comunità cristiane, dando vita a esodi inumani e a una Chiesa profuga che grida aiuto. In 32 anni di ricerca, registriamo un costante aumento della persecuzione anticristiana in termini assoluti! Il 2024 è di nuovo anno record dell’intolleranza: 1 cristiano su 7 patisce discriminazione o persecuzione a causa della sua fede: è cruciale tornare a parlare di libertà religiosa nel dibattito pubblico”.
Però sono 13 i luoghi più pericolosi del mondo per essere cristiani: in cima alla classifica c’è sempre la Corea del Nord che obbliga i battezzati a vivere il proprio credo in assoluta segretezza, rinchiudendo tra i 50.000 ed i 70.000 credenti nei campi di lavoro forzato. Seguono Somalia, Yemen, Libia e Sudan nei quali la persecuzione è intimamente legata al conflitto. Poi l’Eritrea (scesa al sesto posto non per un calo del fenomeno bensì per l’aumento negli altri Stati) e la Nigeria, la nazione con più vittime cristiane: 3.100. Pakistan e Iran sono stabili in ottava e decima posizione. L’Afghanistan dei taleban è decimo.
Intanto in India (undicesima nell’elenco) prosegue il declino dei diritti e delle libertà fondamentali: nello scorso anno sono stati assassinati almeno 20 cristiani, mentre 459 chiese sono state distrutte ed oltre 2000 persone sono detenute senza processo. Mentre qualche spiraglio positivo si registra in Arabia Saudita dove, soprattutto nelle grandi città, c’è stata una maggiore tolleranza per le decorazioni natalizie anche se la pratica di religioni non musulmane resta vietato.
Resta sempre allarmante la condizione del Myanmar, che la guerra, seguita al colpo di Stato del 2021, ha catapultato nel gruppo di Paesi dove le persecuzioni sono estreme, ‘scalando’ 4 posizioni nella lista: i battezzati, che costituiscono l’8% della popolazione, sono intrappolati nei combattimenti in corso, i luoghi di culto sono attaccati con la falsa accusa di accogliere i ribelli, oltre 100.000 di loro, nella sola regione di Kachin, sono sfollati a causa delle violenze.
Preoccupante anche la situazione dell’Asia centrale: l’epicentro è il Kirghizistan, balzato dal 61^ al 47^ posto; anche nel Kazakistan di Nursultan Narbayev, messo a dura prova dai disordini seguiti alla crescita dei prezzi dell’energia, hanno ridotto la libertà di fede. I battezzati ne hanno fatto le spese, soprattutto per quanto riguarda la maggior diffusione dei matrimoni forzati e degli stupri.
In compenso le uccisioni di cristiani per motivi legati alla fede diminuiscono ancora a 4.476 da 4.998: è la Nigeria a determinare questa diminuzione, visto che le uccisioni scendono da 4.118 a 3.100, pur rimanendo epicentro di atrocità, poiché di fatto aumentano la violenza e gli attacchi alle comunità, così come aumentano le vittime cristiane in altri paesi della WWL 2025 (da 880 a 1.376).
Il numero di chiese o proprietà cristiane pubbliche attaccate, chiuse o confiscate, con diversi livelli di gravità, è quasi dimezzato da 14.766 a 7.679, diminuzione dovuta alla Cina, che tuttavia mantiene un record di 31.000 chiese chiuse, confiscate o demolite (vedasi più avanti approfondimento sulle dinamiche). Nel frattempo, il numero in Rwanda è aumentato da 120 a 4.000.
Dietro i numeri relativi agli edifici attaccati si nascondono la paura e l’insicurezza di molte comunità cristiane che utilizzano quegli edifici. Tali attacchi possono portare alla disgregazione delle comunità ecclesiali, anche se i cristiani non vengono costretti con la forza a lasciare le loro case o proprietà.
La ‘persecuzione digitale’ rimane uno degli strumenti più efficaci usati dal governo cinese e, di recente, da altri Stati autocratici per limitare la libertà religiosa: il cosiddetto ‘modello cinese’ di controllo della popolazione e sviluppo senza diritti viene pericolosamente emulato da altri stati, a cui la Cina esporta tecnologia a tal scopo.
I cristiani detenuti o condannati per ragioni legate alla fede aumentano da 4.125 a 4.744. Il livello di ingiustizia in questi casi rasenta la parodia: in carcere finiscono uomini e donne senza processi e senza prove. Inoltre, il grado di impunità spesso concesso a coloro che invece accusano falsamente e/o aggrediscono fino a uccidere i cristiani in vari paesi è davvero preoccupante. L’India è anche quest’anno il paese con dati più preoccupanti (2.176).
I rapimenti decrescono da 3.906 a 3.775, con la Nigeria sempre terra di sequestri per riscatto (2.830), ma sorprende il Messico con almeno 116 casi, sintomo di quanto impatto abbia la criminalità organizzata in questa società. Seguono varie nazioni dell’Africa Subsahariana (Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Mali, Ciad, ma anche Etiopia, Uganda, Mozambico) e dal sempre presente Pakistan, con la piaga dei rapimenti di donne cristiane per darle in sposa a musulmani (matrimoni forzati).
Invece sono decine di migliaia ogni anno i cristiani aggrediti (picchiati o vessati con minacce di morte) esclusivamente a causa della loro fede: la stragrande maggioranza di questi casi non viene alla luce, ma un dato minimo di partenza per il periodo da ottobre 2023 a settembre 2024 va oltre le 54.700 (erano 42.800 l’anno precedente).
Il livello di insicurezza e paura causato dall’incessante flusso di attacchi ai cristiani e alle comunità cristiane da parte di gruppi di terroristi islamici e altri gruppi religiosi radicali in molti paesi subsahariani e asiatici non è ben fotografato da questo numero, poiché sono milioni a subirne le conseguenze (16.200.000 cristiani sfollati solo in Africa Subsahariana, senza contare le famiglie delle vittime di uccisioni, stupri, detenzioni…). Gli attacchi a case, negozi e attività economiche di cristiani crescono ancora nonostante il record dell’anno precedente di oltre 27.100 unità: sale infatti a 28.368 creando sovente un danno permanente alla capacità di sostentamento di queste persone e costringendole spesso alla fuga.
Da Betlemme il racconto di Natale di Nizar Lama
“Vorrei stanotte dare voce a un sentimento profondo che credo proviamo tutti e che trova eco nel Vangelo appena proclamato: ‘perché non c’era posto per loro’ (Lc 2,7). Come per Maria e Giuseppe, anche per noi, oggi qui, sembra che non ci sia posto per il Natale. Siamo tutti presi, da troppi giorni, dalla dolorosa, triste sensazione che non ci sia posto, quest’anno, per quella gioia e quella pace che in questa notte santa, proprio a pochi metri da qui, gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme”.
Così si esprimeva nello scorso Natale il patriarca di Gerusalemme dei Latini, card. Pierbattista Pizzaballa, che alcuni mesi fa a Jenin invitava a non disperare: “In questo momento non possiamo non pensare a tutti quelli che in questa guerra sono rimasti senza nulla, sfollati, soli, colpiti nei loro affetti più cari, paralizzati dal loro dolore. Il mio pensiero va a tutti, senza distinzione, palestinesi e israeliani, a tutti quelli colpiti da questa guerra, a quanti sono nel lutto e nel pianto e attendono un segno di vicinanza e di calore. Non siete soli. Nonostante i tempi duri, la disperazione non è una opzioni”.
Partendo da queste parole a pochi giorni da Natale abbiamo contattato Nizar Lama, guida biblica e turistica professionista cattolica a Betlemme, chiedendo di raccontarci quale Natale sarà in Terra Santa: “Quest’anno il Natale in Terra Santa sarà diverso, come spesso accade quando la nostra terra è attraversata dal dolore e dall’incertezza.
Betlemme, la città della Natività, porta su di sé il peso delle divisioni e delle tensioni che ci circondano, ma anche la luce della speranza che nasce ogni anno dalla grotta di Gesù. Sarà un Natale intriso di preghiera, in cui ogni celebrazione sarà un grido verso il cielo per la pace e la giustizia. La Terra Santa è un luogo in cui la storia si intreccia con l’eternità, ma il Natale, per noi, non è solo una memoria del passato: è un appello a vivere il messaggio di amore e riconciliazione che Gesù ci ha lasciato”.
Come si apprestano a vivere i cristiani il Natale?
“Noi cristiani di Betlemme ci prepariamo al Natale con il cuore pieno di fede, anche se le difficoltà quotidiane spesso ci mettono alla prova. Le case e le chiese si riempiono di canti natalizi e luci, ma non possiamo dimenticare il dolore che ci circonda. Le messe, le processioni e le preghiere assumono un significato ancora più profondo: non sono solo tradizioni, ma veri momenti di comunione e speranza. Molti di noi sentono il peso delle difficoltà economiche e della paura, ma troviamo forza nel Vangelo, che ci ricorda che Gesù è venuto in un mondo altrettanto fragile e travagliato. Le nostre celebrazioni sono un atto di fede che supera la disperazione e testimonia la gioia della nascita del Salvatore”.
A Betlemme cosa vuol dire la nascita di Gesù?
“La nascita di Gesù a Betlemme è il cuore pulsante della nostra fede. E’ una memoria vivente perché Dio si è fatto vicino a noi, scegliendo questa città semplice e umile per entrare nella storia dell’umanità. Camminare per le strade di Betlemme, pregare nella Basilica della Natività e meditare davanti alla stella che segna il luogo della nascita di Cristo ci riempie di meraviglia. E’ un richiamo potente alla semplicità e all’umiltà, alla capacità di vedere Dio nei piccoli gesti e nei volti delle persone che ci circondano. La nascita di Gesù qui non è solo un evento del passato: è una promessa di redenzione che ci sostiene ancora oggi”.
Come vivete l’annuncio dell’arcangelo ai pastori?
“L’annuncio dell’arcangelo ai pastori risuona ancora tra le colline di Betlemme. Ogni Natale, leggendo quel passo del Vangelo, ci sentiamo parte di quella storia. I pastori rappresentano la semplicità e l’umiltà, ma anche la vulnerabilità, qualità che riflettono molto la nostra condizione attuale. Quando cantiamo ‘Gloria a Dio nell’alto dei cieli’ durante la messa, ci uniamo a quel coro di angeli, chiedendo al Signore di portare pace sulla Terra e nei nostri cuori. Questo annuncio ci ricorda che la gloria di Dio si manifesta proprio nei luoghi e nei momenti più improbabili, offrendoci speranza anche nei tempi più bui”.
Quali difficoltà vivete a Betlemme, come cristiani?
“La vita quotidiana a Betlemme non è facile per noi cristiani. Viviamo in una realtà fatta di barriere fisiche e psicologiche, con restrizioni di movimento e incertezze economiche che pesano su ogni famiglia. Come comunità, siamo sempre più piccoli numericamente, e molti sono costretti a emigrare in cerca di un futuro migliore. Nonostante ciò, cerchiamo di mantenere viva la nostra fede e le nostre tradizioni. La presenza dei pellegrini ci dà forza, ma quando il conflitto si intensifica, spesso la loro assenza ci fa sentire ancora più isolati.
Siamo però consapevoli che essere cristiani qui, nella città della nascita di Cristo, è un dono ed una responsabilità. Ogni giorno, vivendo il Vangelo e testimoniando l’amore di Dio, cerchiamo di essere strumenti di pace, anche in mezzo alle difficoltà. La nostra vita non è solo una lotta per sopravvivere, ma una vocazione ad essere segno di speranza, proprio come la grotta di Betlemme lo è stata più di 2.000 anni fa. Questo Natale, preghiamo affinché il mondo intero guardi a Betlemme e ascolti il messaggio di pace che Dio ci ha donato nella notte più luminosa della storia”.
Chi desidera sostenere i cristiani a Betlemme queste sono le coordinate del Ser.Mi.T.: Intesa Sanpaolo – IT09D036969200100000006377; Poste Italiane – IT66N0760113400000014616627.
A Milano un Rosario di Aiuto alla Chiesa che Soffre per i cristiani perseguitati
Domani sera alle ore 19 in piazza della Scala a Milano, mons. Carlo Azzimonti, Moderator Curiae dell’Arcidiocesi, presiederà il Rosario per i Cristiani perseguitati promosso da Aiuto alla Chiesa che Soffre. L’iniziativa si inserisce nella 10^ ‘RedWeek per la libertà religiosa’. Durante la preghiera verranno accesi ceri rossi in ricordo del sangue dei martiri di ieri e di oggi, come ha spiegato una nota della diocesi di Milano:
“L’iniziativa RedWeek di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) per la libertà religiosa ha inizio nel 2015, durante la persecuzione dei cristiani in Iraq per mano dell’Isis, per sensibilizzare la società civile e le istituzioni in tema di violazioni alla libertà religiosa e sulla persecuzione religiosa ai danni dei cristiani nel mondo”.
Consiste in momenti di liturgia e di preghiera per i cristiani perseguitati, testimonianze, concerti e mostre, accompagnati dall’illuminazione di rosso di edifici di culto o civili, o di monumenti salienti, per ricordare simbolicamente il sangue dei martiri di ieri e di oggi. Finora sono stati illuminati di rosso complessivamente circa 600 tra edifici di culto e civili nei 24 Paesi dove Acs è presente con una sede.
ISMU: in Italia aumentano gli immigrati cristiani
Nei giorni scorsi è stato presentato il report della Fondazione ISMU, che in base alle ricerche sul campo e ai dati relativi agli iscritti in anagrafe, stima che al 1° gennaio 2024 tra gli stranieri residenti in Italia le persone di religione cristiana, compresi i minori, siano circa 2.800.000, un centinaio di migliaia in più rispetto alla stessa data dello scorso anno.
Nel complesso i cristiani immigrati rappresentano il 53% su un totale di 5.300.000 di residenti stranieri e si confermano il gruppo religioso maggioritario, con un leggero aumento d’incidenza percentuale, oltre che assoluto, rispetto a dodici mesi prima. Tra i cristiani, il gruppo più numeroso è costituito prevalentemente da ortodossi (1.500.000) e cattolici (circa 900.000), seguiti da evangelici (145.000), copti (circa 85.000) e persone di altre appartenenze minori (nel complesso, quasi un altro paio di centinaia di migliaia).
Mentre gli stranieri residenti in Italia di fede musulmana sono circa 1.600.000 (più stabili in numerosità in valore assoluto rispetto al 1° gennaio 2023). In misura minore, sempre tra gli stranieri, sono presenti buddisti (circa 180.000), induisti (circa 110.000), sikh (90.000) ed altri (nel complesso, sono circa un altro paio di decine di migliaia). Molto importante è ancora la quota di atei e agnostici, circa il 10% in totale e oltre mezzo milione in termini assoluti.
Secondo l’indagine della Fondazione Ismu si stima che più di un quarto dei musulmani residenti in Italia al 1° gennaio 2024 sia di cittadinanza marocchina, per un totale di quasi 420.000 persone. Seguono i cittadini musulmani di Albania (circa 160.000), Bangladesh (150.000) e Pakistan (circa 140.000). Tra i cristiani ortodossi primeggiano invece i rumeni (circa 880.000), che da soli rappresentano nettamente la maggioranza assoluta di tale componente religiosa tra gli stranieri, seguiti da ucraini (circa 230.000) e moldovi (circa 100.000). Per quanto riguarda i cattolici, invece, tra le nazionalità più numerose si segnalano i filippini (circa 140.000) e gli albanesi (circa 90.000).
Inoltre UNICEF e Fondazione ISMU hanno pubblicato anche il rapporto ‘L’implementazione della piattaforma digitale Akelius: risultati, impatto e sostenibilità per documentare i risultati raggiunti con l’app Akelius in Italia’. Akelius è la piattaforma innovativa che rende l’apprendimento delle lingue un’esperienza divertente e interattiva. Adottata in 13 Paesi grazie alla collaborazione tra UNICEF e Fondazione Akelius, l’app offre lezioni, giochi ed esercizi di ascolto, lettura, scrittura e comprensione orale, adattandosi ai diversi livelli di competenza degli studenti, trasformando l’apprendimento in un’avventura coinvolgente e personalizzata.
In Italia, introdotta dall’UNICEF nel 2021, ha l’obiettivo di supportare gli alunni con background migratorio nell’apprendimento dell’italiano come seconda lingua (ITA L2), in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e del merito. Akelius promuove così un approccio di apprendimento misto, coniugando l’utilizzo dell’app e di strumenti digitali in classe con i metodi tradizionali di insegnamento.
Dopo una fase pilota in partenariato con AIPI, l’UNICEF ha esteso il programma, grazie alla collaborazione con Fondazione ISMU, a 55 Istituti Comprensivi e 5 strutture ucraine in contesti extra scolastici, coinvolgendo, solo nell’anno 2022-23, oltre 1.000 studenti e 450 docenti. Dal 2021 il progetto Akelius ha raggiunto circa 700 docenti e oltre 2.500 studenti nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, favorendo l’acquisizione della lingua italiana e l’inclusione di alunni neoarrivati, tra i quali bambine e bambini rifugiati ucraini in Italia.
Attraverso un test di valutazione sviluppato per le abilità di lettura e ascolto, è emerso come oltre il 90% degli studenti abbia raggiunto gli obiettivi di apprendimento di italiano L2 che si erano prefissati, con il 57% degli studenti che ha aumentato le proprie capacità di oltre un livello del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue. Valutazioni positive emergono anche da parte degli insegnanti: l’81% ritiene che l’utilizzo di Akelius nelle lezioni di italiano L2 possa migliorare e accelerare l’apprendimento.
Il rapporto ha evidenziato anche alcune sfide per garantire un’implementazione efficace e la sostenibilità del programma nel sistema scolastico. Tra queste, emergono difficoltà organizzative nella gestione degli strumenti tecnologici, nell’integrazione di contenuti digitali nelle lezioni in modalità mista, ma anche la necessità di investire maggiormente sulla formazione degli insegnanti, sia per le competenze digitali sia per quelle specifiche dell’insegnamento dell’italiano L2.
Aiuto alla Chiesa che Soffre in aiuto dei cristiani
Nei giorni scorsi è stato reso noto il Rapporto annuale di ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre), in cui si evidenzia che nello scorso anno l’istituzione religiosa ha ricevuto donazioni e lasciti per € 143.700.000, che insieme ad € 800.000 di riserve dell’anno precedente, ha permesso ad ACS di finanziare attività per un valore di € 144.500.000 con offerte da quasi 360.000 benefattori privati presenti nei 23 Paesi in cui ACS ha sedi nazionali.
L’81,3% di questi fondi è stato destinato alle spese relative alla missione. All’interno di questa cifra, l’85,9% è andato a progetti di aiuto in 138 paesi (5.573 progetti approvati su 7.689 richieste ricevute). Il restante 14,1%, pari ad € 16.600.000, è stato destinato ad attività di informazione, proclamazione della fede e difesa dei cristiani perseguitati.
Il Paese che ha ricevuto maggiori aiuti è l’Ucraina: € 7.500.000; seguita dal Siria, con € 7.400.000 ed il Libano con € 6.900.000. Particolare attenzione per l’Africa che ha ricevuto il maggior sostegno: il 31,4% delle risorse. La presidente esecutiva di ACS Internazionale, Regina Lynch ha commentato: “L’Africa è la patria di circa un cattolico su cinque, di un sacerdote su otto, di una religiosa su sette e di quasi un terzo dei seminaristi nel mondo. Oltre a ciò, la diffusione del terrorismo e dell’estremismo islamico in alcuni Paesi, soprattutto nella regione del Sahel, è causa di grande sofferenza per i cristiani di questo continente”.
Con il 19,1% di aiuti, il Medio Oriente rappresenta la seconda regione a ricevere il maggior numero di aiuti. Il 61% dei fondi inviati in Siria è destinato ad aiuti di emergenza, tra cui cibo e alloggio, assistenza medica e microcredito per le imprese. In Libano, gli aiuti d’urgenza hanno rappresentato il 47% del totale e sono stati destinati alle scuole cristiane, al cibo, agli alloggi e alle cure mediche.
Inoltre ACS ha fatto giungere a 40.767 sacerdoti € 1.075.000 di offerte per la celebrazione di Messe. Ciò significa che un sacerdote su 10 nel mondo ha ricevuto sostegno da ACS e che, in qualche parte del mondo, ogni 18 secondi è stata celebrata una Messa secondo le intenzioni dei benefattori. Inoltre, grande sostegno per la formazione di quasi 11.000 seminaristi: il sostegno alla formazione di sacerdoti, religiosi e laici ha rappresentato il 26,7% di tutto l’aiuto garantito, mentre le offerte per le Messe e gli aiuti di sussistenza per le religiose sono stati pari al 21,6%.
In particolare Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sottolineato che dopo 13 anni dall’inizio della guerra, la Siria è ancora nel caos, come ha raccontato l’arcivescovo di Homs dei Siri, mons. Jacques Mourad. Nel Paese la situazione sanitaria è drammatica: i farmaci sono sempre più costosi, gli ospedali sono danneggiati e non funzionano a pieno regime, e il 90% della popolazione vive in povertà estrema. Per molte persone, curarsi è diventato un lusso impossibile. Il salario medio mensile corrisponde ad appena 10 euro, mentre l’inflazione annuale supera il 139%.
Per quanto riguarda la situazione in Terra Santa, mons. William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme e Vicario patriarcale per la Palestina, in un colloquio con Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia (ACS Italia), ha fornito un aggiornamento sulla drammatica situazione dei cristiani di Terra Santa. Quanto ai fedeli presenti nella Striscia di Gaza, il prelato ha ricordato che ‘a Gaza prima della guerra vivevano 1.017 cristiani’. Dopo lo scoppio del conflitto ‘la maggior parte di loro si è rifugiato nel complesso parrocchiale latino e una minoranza in quello greco-ortodosso’.
Questi sfollati “soffrono per la mancanza di elettricità, acqua potabile e cibo. Nei giorni scorsi, per fortuna, hanno potuto acquistare sacchi di farina. Una volta hanno ricevuto polli congelati, che dovevano essere cucinati e consumati in giornata perché non avevano frigoriferi… Inoltre la maggior parte dei cristiani ha visto le proprie case distrutte. Vivono nelle aule delle nostre scuole.
Una stanza di classe per una o due famiglie. Perciò, non potremo riprendere l’attività scolastica finché le famiglie non avranno ricostruito i loro appartamenti. Chi ricostruirà? Nessuno conosce quale sarà la situazione a Gaza all’indomani della guerra. Va da sé che continuiamo a pagare l’intero stipendio agli insegnanti delle nostre due scuole, altrimenti perderebbero l’unico reddito di cui dispongono”.
(Foto: ACS)




























