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Da Betlemme il racconto di Natale di Nizar Lama

“Vorrei stanotte dare voce a un sentimento profondo che credo proviamo tutti e che trova eco nel Vangelo appena proclamato: ‘perché non c’era posto per loro’ (Lc 2,7). Come per Maria e Giuseppe, anche per noi, oggi qui, sembra che non ci sia posto per il Natale. Siamo tutti presi, da troppi giorni, dalla dolorosa, triste sensazione che non ci sia posto, quest’anno, per quella gioia e quella pace che in questa notte santa, proprio a pochi metri da qui, gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme”.

Così si esprimeva nello scorso Natale il patriarca di Gerusalemme dei Latini, card. Pierbattista Pizzaballa, che alcuni mesi fa a Jenin invitava a non disperare: “In questo momento non possiamo non pensare a tutti quelli che in questa guerra sono rimasti senza nulla, sfollati, soli, colpiti nei loro affetti più cari, paralizzati dal loro dolore. Il mio pensiero va a tutti, senza distinzione, palestinesi e israeliani, a tutti quelli colpiti da questa guerra, a quanti sono nel lutto e nel pianto e attendono un segno di vicinanza e di calore. Non siete soli. Nonostante i tempi duri, la disperazione non è una opzioni”.

Partendo da queste parole a pochi giorni da Natale abbiamo contattato Nizar Lama, guida biblica e  turistica professionista cattolica a Betlemme, chiedendo di raccontarci quale Natale sarà in Terra Santa: “Quest’anno il Natale in Terra Santa sarà diverso, come spesso accade quando la nostra terra è attraversata dal dolore e dall’incertezza.

Betlemme, la città della Natività, porta su di sé il peso delle divisioni e delle tensioni che ci circondano, ma anche la luce della speranza che nasce ogni anno dalla grotta di Gesù. Sarà un Natale intriso di preghiera, in cui ogni celebrazione sarà un grido verso il cielo per la pace e la giustizia. La Terra Santa è un luogo in cui la storia si intreccia con l’eternità, ma il Natale, per noi, non è solo una memoria del passato: è un appello a vivere il messaggio di amore e riconciliazione che Gesù ci ha lasciato”.

Come si apprestano a vivere i cristiani il Natale?

“Noi cristiani di Betlemme ci prepariamo al Natale con il cuore pieno di fede, anche se le difficoltà quotidiane spesso ci mettono alla prova. Le case e le chiese si riempiono di canti natalizi e luci, ma non possiamo dimenticare il dolore che ci circonda. Le messe, le processioni e le preghiere assumono un significato ancora più profondo: non sono solo tradizioni, ma veri momenti di comunione e speranza. Molti di noi sentono il peso delle difficoltà economiche e della paura, ma troviamo forza nel Vangelo, che ci ricorda che Gesù è venuto in un mondo altrettanto fragile e travagliato. Le nostre celebrazioni sono un atto di fede che supera la disperazione e testimonia la gioia della nascita del Salvatore”.

A Betlemme cosa vuol dire la nascita di Gesù?

“La nascita di Gesù a Betlemme è il cuore pulsante della nostra fede. E’ una memoria vivente perché Dio si è fatto vicino a noi, scegliendo questa città semplice e umile per entrare nella storia dell’umanità. Camminare per le strade di Betlemme, pregare nella Basilica della Natività e meditare davanti alla stella che segna il luogo della nascita di Cristo ci riempie di meraviglia. E’ un richiamo potente alla semplicità e all’umiltà, alla capacità di vedere Dio nei piccoli gesti e nei volti delle persone che ci circondano. La nascita di Gesù qui non è solo un evento del passato: è una promessa di redenzione che ci sostiene ancora oggi”.

Come vivete l’annuncio dell’arcangelo ai pastori?

“L’annuncio dell’arcangelo ai pastori risuona ancora tra le colline di Betlemme. Ogni Natale, leggendo quel passo del Vangelo, ci sentiamo parte di quella storia. I pastori rappresentano la semplicità e l’umiltà, ma anche la vulnerabilità, qualità che riflettono molto la nostra condizione attuale. Quando cantiamo ‘Gloria a Dio nell’alto dei cieli’ durante la messa, ci uniamo a quel coro di angeli, chiedendo al Signore di portare pace sulla Terra e nei nostri cuori. Questo annuncio ci ricorda che la gloria di Dio si manifesta proprio nei luoghi e nei momenti più improbabili, offrendoci speranza anche nei tempi più bui”.

Quali difficoltà vivete a Betlemme, come cristiani?

“La vita quotidiana a Betlemme non è facile per noi cristiani. Viviamo in una realtà fatta di barriere fisiche e psicologiche, con restrizioni di movimento e incertezze economiche che pesano su ogni famiglia. Come comunità, siamo sempre più piccoli numericamente, e molti sono costretti a emigrare in cerca di un futuro migliore. Nonostante ciò, cerchiamo di mantenere viva la nostra fede e le nostre tradizioni. La presenza dei pellegrini ci dà forza, ma quando il conflitto si intensifica, spesso la loro assenza ci fa sentire ancora più isolati.

Siamo però consapevoli che essere cristiani qui, nella città della nascita di Cristo, è un dono ed una responsabilità. Ogni giorno, vivendo il Vangelo e testimoniando l’amore di Dio, cerchiamo di essere strumenti di pace, anche in mezzo alle difficoltà. La nostra vita non è solo una lotta per sopravvivere, ma una vocazione ad essere segno di speranza, proprio come la grotta di Betlemme lo è stata più di 2.000 anni fa. Questo Natale, preghiamo affinché il mondo intero guardi a Betlemme e ascolti il messaggio di pace che Dio ci ha donato nella notte più luminosa della storia”.

Chi desidera sostenere i cristiani a Betlemme queste sono le coordinate del Ser.Mi.T.: Intesa Sanpaolo – IT09D036969200100000006377; Poste Italiane – IT66N0760113400000014616627.

A Milano un Rosario di Aiuto alla Chiesa che Soffre per i cristiani perseguitati

Domani sera alle ore 19 in piazza della Scala a Milano, mons. Carlo Azzimonti, Moderator Curiae dell’Arcidiocesi, presiederà il Rosario per i Cristiani perseguitati promosso da Aiuto alla Chiesa che Soffre. L’iniziativa si inserisce nella 10^ ‘RedWeek per la libertà religiosa’. Durante la preghiera verranno accesi ceri rossi in ricordo del sangue dei martiri di ieri e di oggi, come ha spiegato una nota della diocesi di Milano:

“L’iniziativa RedWeek di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) per la libertà religiosa ha inizio nel 2015, durante la persecuzione dei cristiani in Iraq per mano dell’Isis, per sensibilizzare la società civile e le istituzioni in tema di violazioni alla libertà religiosa e sulla persecuzione religiosa ai danni dei cristiani nel mondo”.

Consiste in momenti di liturgia e di preghiera per i cristiani perseguitati, testimonianze, concerti e mostre, accompagnati dall’illuminazione di rosso di edifici di culto o civili, o di monumenti salienti, per ricordare simbolicamente il sangue dei martiri di ieri e di oggi. Finora sono stati illuminati di rosso complessivamente circa 600 tra edifici di culto e civili nei 24 Paesi dove Acs è presente con una sede.

ISMU: in Italia aumentano gli immigrati cristiani

Nei giorni scorsi è stato presentato il report della Fondazione ISMU, che in base alle ricerche sul campo e ai dati relativi agli iscritti in anagrafe, stima che al 1° gennaio 2024 tra gli stranieri residenti in Italia le persone di religione cristiana, compresi i minori, siano circa 2.800.000, un centinaio di migliaia in più rispetto alla stessa data dello scorso anno.

Nel complesso i cristiani immigrati rappresentano il 53% su un totale di 5.300.000 di residenti stranieri e si confermano il gruppo religioso maggioritario, con un leggero aumento d’incidenza percentuale, oltre che assoluto, rispetto a dodici mesi prima. Tra i cristiani, il gruppo più numeroso è costituito prevalentemente da ortodossi (1.500.000) e cattolici (circa 900.000), seguiti da evangelici (145.000), copti (circa 85.000) e persone di altre appartenenze minori (nel complesso, quasi un altro paio di centinaia di migliaia).

Mentre gli stranieri residenti in Italia di fede musulmana sono circa 1.600.000 (più stabili in numerosità in valore assoluto rispetto al 1° gennaio 2023). In misura minore, sempre tra gli stranieri, sono presenti buddisti (circa 180.000), induisti (circa 110.000), sikh (90.000) ed altri (nel complesso, sono circa un altro paio di decine di migliaia). Molto importante è ancora la quota di atei e agnostici, circa il 10% in totale e oltre mezzo milione in termini assoluti.

Secondo l’indagine della Fondazione Ismu si stima che più di un quarto dei musulmani residenti in Italia al 1° gennaio 2024 sia di cittadinanza marocchina, per un totale di quasi 420.000 persone. Seguono i cittadini musulmani di Albania (circa 160.000), Bangladesh (150.000) e Pakistan (circa 140.000). Tra i cristiani ortodossi primeggiano invece i rumeni (circa 880.000), che da soli rappresentano nettamente la maggioranza assoluta di tale componente religiosa tra gli stranieri, seguiti da ucraini (circa 230.000) e moldovi (circa 100.000). Per quanto riguarda i cattolici, invece, tra le nazionalità più numerose si segnalano i filippini (circa 140.000) e gli albanesi (circa 90.000).

Inoltre UNICEF e Fondazione ISMU hanno pubblicato anche il rapporto ‘L’implementazione della piattaforma digitale Akelius: risultati, impatto e sostenibilità per documentare i risultati raggiunti con l’app Akelius in Italia’. Akelius è la piattaforma innovativa che rende l’apprendimento delle lingue un’esperienza divertente e interattiva. Adottata in 13 Paesi grazie alla collaborazione tra UNICEF e Fondazione Akelius, l’app offre lezioni, giochi ed esercizi di ascolto, lettura, scrittura e comprensione orale, adattandosi ai diversi livelli di competenza degli studenti, trasformando l’apprendimento in un’avventura coinvolgente e personalizzata.

In Italia, introdotta dall’UNICEF nel 2021, ha l’obiettivo di supportare gli alunni con background migratorio nell’apprendimento dell’italiano come seconda lingua (ITA L2), in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e del merito. Akelius promuove così un approccio di apprendimento misto, coniugando l’utilizzo dell’app e di strumenti digitali in classe con i metodi tradizionali di insegnamento.

Dopo una fase pilota in partenariato con AIPI, l’UNICEF ha esteso il programma, grazie alla collaborazione con Fondazione ISMU, a 55 Istituti Comprensivi e 5 strutture ucraine in contesti extra scolastici, coinvolgendo, solo nell’anno 2022-23, oltre 1.000 studenti e 450 docenti. Dal 2021 il progetto Akelius ha raggiunto circa 700 docenti e oltre 2.500 studenti nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, favorendo l’acquisizione della lingua italiana e l’inclusione di alunni neoarrivati, tra i quali bambine e bambini rifugiati ucraini in Italia.

Attraverso un test di valutazione sviluppato per le abilità di lettura e ascolto, è emerso come oltre il 90% degli studenti abbia raggiunto gli obiettivi di apprendimento di italiano L2 che si erano prefissati, con il 57% degli studenti che ha aumentato le proprie capacità di oltre un livello del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue. Valutazioni positive emergono anche da parte degli insegnanti: l’81% ritiene che l’utilizzo di Akelius nelle lezioni di italiano L2 possa migliorare e accelerare l’apprendimento.

Il rapporto ha evidenziato anche alcune sfide per garantire un’implementazione efficace e la sostenibilità del programma nel sistema scolastico. Tra queste, emergono difficoltà organizzative nella gestione degli strumenti tecnologici, nell’integrazione di contenuti digitali nelle lezioni in modalità mista, ma anche la necessità di investire maggiormente sulla formazione degli insegnanti, sia per le competenze digitali sia per quelle specifiche dell’insegnamento dell’italiano L2.

Aiuto alla Chiesa che Soffre in aiuto dei cristiani

Nei giorni scorsi è stato reso noto il Rapporto annuale di ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre), in cui si evidenzia che nello scorso anno l’istituzione religiosa ha ricevuto donazioni e lasciti per € 143.700.000, che insieme ad € 800.000 di riserve dell’anno precedente, ha permesso ad ACS di finanziare attività per un valore di € 144.500.000 con offerte da quasi 360.000 benefattori privati ​​presenti nei 23 Paesi in cui ACS ha sedi nazionali. 

L’81,3% di questi fondi è stato destinato alle spese relative alla missione. All’interno di questa cifra, l’85,9% è andato a progetti di aiuto in 138 paesi (5.573 progetti approvati su 7.689 richieste ricevute). Il restante 14,1%, pari ad € 16.600.000, è stato destinato ad attività di informazione, proclamazione della fede e difesa dei cristiani perseguitati.

Il Paese che ha ricevuto maggiori aiuti è l’Ucraina: € 7.500.000; seguita dal Siria, con € 7.400.000 ed il Libano con € 6.900.000. Particolare attenzione per l’Africa che ha ricevuto il maggior sostegno: il 31,4% delle risorse. La presidente esecutiva di ACS Internazionale, Regina Lynch ha commentato: “L’Africa è la patria di circa un cattolico su cinque, di un sacerdote su otto, di una religiosa su sette e di quasi un terzo dei seminaristi nel mondo. Oltre a ciò, la diffusione del terrorismo e dell’estremismo islamico in alcuni Paesi, soprattutto nella regione del Sahel, è causa di grande sofferenza per i cristiani di questo continente”.

Con il 19,1% di aiuti, il Medio Oriente rappresenta la seconda regione a ricevere il maggior numero di aiuti. Il 61% dei fondi inviati in Siria è destinato ad aiuti di emergenza, tra cui cibo e alloggio, assistenza medica e microcredito per le imprese. In Libano, gli aiuti d’urgenza hanno rappresentato il 47% del totale e sono stati destinati alle scuole cristiane, al cibo, agli alloggi e alle cure mediche. 

Inoltre ACS ha fatto giungere a 40.767 sacerdoti € 1.075.000 di offerte per la celebrazione di Messe. Ciò significa che un sacerdote su 10 nel mondo ha ricevuto sostegno da ACS e che, in qualche parte del mondo, ogni 18 secondi è stata celebrata una Messa secondo le intenzioni dei benefattori.  Inoltre, grande sostegno per la formazione di quasi 11.000 seminaristi: il sostegno alla formazione di sacerdoti, religiosi e laici ha rappresentato il 26,7% di tutto l’aiuto garantito, mentre le offerte per le Messe e gli aiuti di sussistenza per le religiose sono stati pari al 21,6%. 

In particolare Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sottolineato che dopo 13 anni dall’inizio della guerra, la Siria è ancora nel caos, come ha raccontato l’arcivescovo di Homs dei Siri, mons. Jacques Mourad. Nel Paese la situazione sanitaria è drammatica: i farmaci sono sempre più costosi, gli ospedali sono danneggiati e non funzionano a pieno regime, e il 90% della popolazione vive in povertà estrema. Per molte persone, curarsi è diventato un lusso impossibile. Il salario medio mensile corrisponde ad appena 10 euro, mentre l’inflazione annuale supera il 139%.

Per quanto riguarda la situazione in Terra Santa, mons. William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme e Vicario patriarcale per la Palestina, in un colloquio con Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia (ACS Italia), ha fornito un aggiornamento sulla drammatica situazione dei cristiani di Terra Santa. Quanto ai fedeli presenti nella Striscia di Gaza, il prelato ha ricordato che ‘a Gaza prima della guerra vivevano 1.017 cristiani’. Dopo lo scoppio del conflitto ‘la maggior parte di loro si è rifugiato nel complesso parrocchiale latino e una minoranza in quello greco-ortodosso’.

Questi sfollati “soffrono per la mancanza di elettricità, acqua potabile e cibo. Nei giorni scorsi, per fortuna, hanno potuto acquistare sacchi di farina. Una volta hanno ricevuto polli congelati, che dovevano essere cucinati e consumati in giornata perché non avevano frigoriferi… Inoltre la maggior parte dei cristiani ha visto le proprie case distrutte. Vivono nelle aule delle nostre scuole.

Una stanza di classe per una o due famiglie. Perciò, non potremo riprendere l’attività scolastica finché le famiglie non avranno ricostruito i loro appartamenti. Chi ricostruirà? Nessuno conosce quale sarà la situazione a Gaza all’indomani della guerra. Va da sé che continuiamo a pagare l’intero stipendio agli insegnanti delle nostre due scuole, altrimenti perderebbero l’unico reddito di cui dispongono”.

(Foto: ACS)

Da Trieste un invito a stare nelle città secondo la lettera ‘A  Diogneto’

In attesa della visita di papa Francesco a Trieste per la chiusura della 50^ Settimana Sociale,  oggi i delegati hanno riflettuto sul testo di ‘A Diogneto’, grazie all’intervento della prof.ssa  Arianna Rotondo, docente di Storia del cristianesimo all’Università degli Studi di Catania, che ha sottolineato che è un documento che “rappresenta la novità rivoluzionaria della fede in Cristo sul piano etico, spirituale e sociale… Appare una nuova mentalità, una verità paradossale. La fede in Cristo porta non già a estraniarsi dal mondo, ma a condividerne appieno le sorti”.

Infatti il testo, datato tra il II ed il III secolo dopo Cristo, descrive molto chiaramente la vita dei cristiani nella città: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere… Risiedono in città sia greche che barbare… Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri… Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.

E papa Francesco, ha richiamato la docente, ha rivolto molte volte l’invito ad una partecipazione civica dei cristiani: “Dio li ha posti in un luogo tanto elevato, che non è loro permesso di abbandonarlo. Quindi il posto dei cristiani nel mondo è in prima linea, perché assegnato direttamente da Dio… La cittadinanza celeste non contempla la diserzione da quella terrestre, anzi richiede di essere fecondi proprio nelle vicende del mondo. L’adesione al cristianesimo impegna tutto l’essere umano, tutta la vita, in grado di trovare il terreno per la propria testimonianza secondo il Vangelo”.

Per questo è necessaria una presenza nuova dei cristiani nelle città: “Tutto questo comporta oggi nuove forme di presenza cristiana, linguaggi adeguati, una coscienza consapevole della propria fede per poter essere coscienza nel mondo”.

Ed incontrando i giornalisti per un consuntivo della settimana, il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi ha raccontato l’attesa della città per il papa in un luogo dove 32 anni fa venne accolto san Giovanni Paolo II: “C’è gioia perché, dopo 32 anni da quando era venuto Giovanni Paolo II, ritorna a Trieste un Pontefice a celebrare nello stesso luogo, piazza Unità d’Italia; una piazza che è un simbolo, macchiata della storia, ma che invece vuole diventare una piazza di fraternità, che abbraccia tutti. E che domani sarà idealmente aperta a tutti. In realtà, purtroppo, alcune persone hanno fatto la richiesta ma essendo già tutta piena non potranno entrare perché non ci sono più posti”.  

Mentre il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha ringraziato i giornalisti per la narrazione di queste giornate: “Far conoscere tanta vita vera, tanta gente vera, tante esperienze concrete in cui la dottrina sociale della Chiesa è esperienza di tanti ragazzi, uomini e donne, tante donne come abbiamo visto..Vera partecipazione, il cui tema è stata la persona: sono convinto che produrrà anche tanta consapevolezza e tanta vita… In un momento di tanta disaffezione, di disillusione, non abbiamo fatto la predica: abbiamo raccolto e fatto parlare tutte le nostre comunità”.

Infatti il presidente della Cei ha ricordato che al centro dei lavori c’è stata sempre la dottrina sociale della Chiesa, ma ‘non come giustificazione o come pretesto per qualche altra operazione’, come dimostra la presenza delle 1.200 persone, di cui 368 donne, 310 giovani e altre 80 uomini; mentre sono state circa 70 le ‘buone pratiche’ che hanno animato gli omonimi villaggi in tutta la città.

Ed a proposito delle ‘buone pratiche’ è stata molto interessante la testimonianza di Carla Barbanti, responsabile della Cooperativa Sociale di Comunità ‘Trame di Quartiere’ di Catania: “Il nostro lavoro inizia proprio a partire dall’abitare il quartiere, conoscere chi lo abita e costruire relazioni, tessere ‘Trame di un quartiere’.

Nel 2011 abbiamo avviato una mappatura di comunità dando voce a chi vi abitava e a chi era stato costretto ad andare via, recuperando il patrimonio culturale materiale e immateriale e raccontando il quartiere e le sue molteplici voci tramite diverse iniziative. Vivere questa quotidianità ci porta a capire che è necessario offrire dei servizi, creare opportunità lavorative e, al contempo, creare un punto di riferimento per coloro che restano abbandonati dalle politiche pubbliche. Oggi San Berillo racchiude una serie di vulnerabilità: un quartiere come tanti altri nelle città italiane, dove è facile esaltare il degrado ma molto più difficile ritrovare opportunità”.

Inoltre anche a Matera è sorta un’altra buona ‘pratica’, come ha raccontato Simone Ferraiuolo, responsabile della cooperativa sociale ‘Oltre l’Arte’, che trae origine da una frase di mons. Mario Operti: “La cooperativa, che oggi mi onoro di rappresentare in questo contesto, è qui a testimoniare che è possibile investire nel cuore e nell’intelligenza delle persone, facendo in modo che giovani desiderosi di creare da sé stessi un’opportunità di lavoro, possano dare vita ad una impresa sociale capace di sviluppare una progettualità di fruizione del patrimonio culturale su misura di tutti i visitatori perché il diritto alla cultura non abbia limiti”.

Papa Francesco alle Acli per essere una voce di pace

Oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza speciale le Acli in occasione dei festeggiamenti per l’80° anniversario delle Acli, “un traguardo significativo per l’Associazione che, dalla sua fondazione, si impegna per promuovere i valori del lavoro, della solidarietà e della giustizia sociale”, alla presenza di 6000 aclisti presenti in Vaticano provenienti da tutta Italia, oltre ai rappresentanti delle Acli dall’estero.

Durante l’incontro le Acli hanno portato al papa la statua di san Giuseppe Lavoratore che papa Pio XII benedisse nel 1955: “E’ una storia lunga e ricca, che testimonia il vostro impegno e la vostra dedizione nel servizio alla comunità. Avendo ottant’anni siete un po’ più giovani di me, ma il vostro percorso è molto significativo; e questo anniversario è una buona occasione per rileggere la vostra storia, con le sue gioie e i momenti difficili, e per esprimere gratitudine.

Ringrazio con voi il Signore che vi ha accompagnato e sostenuto lungo questo cammino, anche ispirando tante persone che, attraverso le ACLI, hanno dedicato la loro vita al servizio dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani, degli stranieri e di tanti che si trovano in situazioni di bisogno. Le ACLI sono un luogo dove è possibile incontrare dei ‘santi della porta accanto’, che non finiscono sulle prime pagine dei giornali, ma a volte cambiano concretamente le cose, in bene!”

Le Acli sono un patrimonio, perché ha uno stile popolare: “Si tratta non solo di essere vicini alla gente, ma di essere e sentirsi parte del popolo. Significa vivere e condividere le gioie e le sfide quotidiane della comunità, imparando dai valori e dalla saggezza della gente semplice. Uno stile popolare implica riconoscere che i grandi progetti sociali e le trasformazioni durature nascono dal basso, dall’impegno condiviso e dai sogni collettivi.

Ma la vera essenza del popolo risiede nella solidarietà e nel senso di appartenenza. Nel contesto di una società frammentata e di una cultura individualista, abbiamo un grande bisogno di luoghi in cui le persone possano sperimentare questo senso di appartenenza creativo e dinamico, che aiuta a passare dall’io al noi, a elaborare insieme progetti di bene comune e a trovare le vie e i modi per realizzarli”.

Inoltre il suo stile è sinodale: “Lavorare insieme, collaborare per il bene comune è fondamentale. Questo stile sinodale è testimoniato dalla presenza di persone che appartengono a diversi orizzonti culturali, sociali, politici e anche ecclesiali, e che oggi sono qui con voi… E’ bello questo: voi siete pluriformi e inquieti, e questo è una cosa bella. E’ bello questo: la varietà e l’inquietudine (in senso positivo), che vi aiuta a camminare insieme tra voi e anche a mescolarvi con le altre forze della società, facendo rete e promuovendo progetti condivisi. Vi chiedo di farlo sempre più e di avere attenzione verso quelli che nella società sono deboli, perché nessuno sia lasciato indietro”.

Le Acli inoltre evidenziano uno stile di pace: “In un mondo insanguinato da tante guerre, so di condividere con voi l’impegno e la preghiera per la pace. Per questo vi dico: le ACLI siano voce di una cultura della pace, uno spazio in cui affermare che la guerra non è mai ‘inevitabile’ mentre la pace è sempre possibile; e che questo vale sia nei rapporti tra gli Stati, sia nella vita delle famiglie, delle comunità e nei luoghi di lavoro”.

E’ un invito a costruire la pace: “Costruisce la pace chi sa prendere posizione con chiarezza, ma al tempo stesso si sforza di costruire ponti, di ascoltare e comprendere le diverse parti in causa, promuovendo il dialogo e la riconciliazione. Intercedere per la pace è qualcosa che va ben oltre il semplice compromesso politico, perché richiede di mettersi in gioco e assumere un rischio. Il nostro mondo, lo sappiamo, è segnato da conflitti e divisioni, e la vostra testimonianza di operatori di pace, di intercessori per la pace, è quanto mai necessaria e preziosa”.

Tutte queste caratteristiche confluiscono nello stile cristiano: “Assumere uno stile cristiano, allora, vuol dire non soltanto prevedere che nei nostri incontri ci sia un momento di preghiera: questo va bene, ma dobbiamo fare di più; assumere uno stile cristiano vuol dire crescere nella familiarità con il Signore e nello spirito del Vangelo, perché esso possa permeare tutto ciò che facciamo e la nostra azione abbia lo stile di Cristo e lo renda presente nel mondo… E’ il sogno di San Francesco di Assisi e di tanti altri santi, di tanti cristiani, di tanti credenti di ogni fede. Fratelli e sorelle, sia anche il vostro sogno!”

All’inizio dell’udienza il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, ha ringraziato il papa, ribadendo la fedeltà dell’associazione al magistero della Chiesa: “Siamo e rimarremo sempre sulla soglia della nostra Chiesa, non per difenderla, ma per provare a far avvicinare quante più persone al messaggio del Vangelo. Per contribuire a tenere le porte delle chiese sempre più aperte perché vi si possa anche uscire. Rimaniamo sulla soglia perché il nostro intento non è creare un’utopica società cristiana, ma formare cristiani nella società.

Dalla tutela dei lavoratori e delle lavoratrici, alla lotta alle diseguaglianze fino all’impegno per le famiglie, per i poveri, per la pace: su questi che sono i nostri temi, senza essere un partito siamo di parte, non abbiamo timore di prendere posizione. Perché abbiamo fame e sete di giustizia”.

(Foto: Santa Sede)

Colletta per la Terra Santa: fate sentire il cuore solidale della Chiesa

‘E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme’: con queste parole tratte dal salmo 122 il prefetto del dicastero per le Chiese orientali, card. Claudio Gugerotti, ha scritto una lettera ai cattolici per esortarli a partecipare alla ‘Colletta pro Terra Sancta’, che si svolge nel Venerdì Santo, nata dalla volontà dei papi di mantenere forte il legame tra i cristiani e quelli dei Luoghi Santi:

“In tutto il mondo risuona il rombo delle armi portatrici di morte. E non si vede tregua, anche se Dio ci ha assicurato che ‘Ogni calzatura di soldato nella mischia e ogni mantello macchiato di sangue sarà bruciato, sarà esca del fuoco’. Questa è la profezia di Isaia. Abbiamo visto e vediamo uomini in armi spargere sangue e uccidere la vita stessa. Eppure nel versetto successivo Isaia annunciava che ‘un bimbo ci è stato donato… il Principe della pace’. Per noi Cristiani quel bimbo è Gesù, il Cristo, il Dio fatto uomo, il Dio con noi”.

Ed ha ricordato il significato del pellegrinaggio a Gerusalemme per i cristiani: “Il pellegrinaggio a Gerusalemme ha una storia antica quanto il cristianesimo, e non solo per i Cattolici. Questo è reso ancora oggi possibile dall’opera generosa dei Francescani della Custodia di Terra Santa e dalle Chiese Orientali ivi presenti. Essi mantengono e animano i santuari, segni della memoria dei passi e delle azioni di Gesù, testimoni materiali di un Dio che assunse la materia per salvare noi, fango animato dal soffio dello Spirito. Per la loro dedizione in quei luoghi si continua a pregare incessantemente per il mondo intero”.

Da tale pellegrinaggio è nata la solidarietà con i cristiani della Terra Santa; “Fin dalle sue origini la Chiesa ha coltivato ininterrottamente e con passione la solidarietà con la Chiesa di Gerusalemme. In epoca tardo-medievale e moderna, più volte i Sommi Pontefici intervennero per promuovere e regolamentare la colletta a favore del Luoghi Santi. L’ultima volta fu riformata dal santo papa Paolo VI nel 1974 attraverso l’Esortazione Apostolica ‘Nobis in Animo’. Anche papa Francesco ha spesso sottolineato l’importanza di questo gesto ecclesiale”.

Ed ha spiegato perché la Colletta per la Terra Santa è un ‘obbligo’: “Cari fratelli e sorelle, non si tratta di una pia tradizione per pochi. Ovunque nella Chiesa Cattolica si fa obbligo ai fedeli di offrire il loro aiuto nella cosiddetta Colletta Pontificia per la Terra Santa che si raccoglie il Venerdì Santo o, per alcune aree, in un altro giorno dell’anno. Lo faremo anche quest’anno, sperando in una vostra particolare generosità.

E sapete perché? Perché, oltre alla custodia dei Luoghi Santi che hanno visto Gesù, ci sono, ancora viventi e operanti pur fra mille tragedie e difficoltà spesso causate dall’egoismo dei grandi della terra, i cristiani della Terra Santa. Molti nella storia sono morti martiri per non veder recise le radici della loro antichissima cristianità. Le loro Chiese sono parte integrante della storia e della cultura d’Oriente.

Ma oggi molti di loro non ce la fanno più e abbandonano i luoghi dove i loro padri e le loro madri hanno pregato e testimoniato il Vangelo. Lasciano tutto e fuggono perché non vedono speranza. E lupi rapaci si dividono le loro spoglie”.

Con tale Colletta si aiuta tutti i cristiani della Terra Santa, dal Libano alla Siria: “Io mi rivolgo a voi perché il loro grido non resti inascoltato e il Santo Padre possa sostenere le Chiese locali a trovare nuove vie, occasioni di abitazione, di lavoro, di formazione scolastica e professionale, perché rimangano e non si perdano nel mondo sconosciuto di un Occidente, così diverso dal loro sentire e dal loro modo di testimoniare la fede. Se partiranno, se a Gerusalemme e in Palestina lasceranno i loro piccoli commerci destinati ai pellegrini che non vi si recano più, l’Oriente perderà parte della sua anima, forse per sempre. Fate che sentano il cuore solidale della Chiesa!”

 La Custodia Francescana attraverso la ‘Colletta pro Terra Sancta’ può sostenere l’importante missione a cui è chiamata: custodire i Luoghi Santi, le pietre della memoria, e favorire la presenza cristiana, le pietre vive di Terra Santa, attraverso tante attività di solidarietà, come ad esempio il mantenimento delle strutture pastorali, educative, assistenziali, sanitarie e sociali.

I territori che beneficiano sotto diverse forme di un sostegno proveniente dalla Colletta sono i seguenti: Gerusalemme, Palestina, Israele, Giordania, Cipro, Siria, Libano, Egitto, Etiopia, Eritrea, Turchia, Iran e Iraq.

Di norma, la Custodia di Terra Santa riceve il 65% della Colletta, mentre il restante 35% va al Dicastero per le Chiese Orientali, che lo utilizza per la formazione dei candidati al sacerdozio, il sostentamento del clero, l’attività scolastica, la formazione culturale e i sussidi alle diverse circoscrizioni ecclesiastiche in Medio Oriente.

La Colletta per la Terra Santa, grazie all’opera della Custodia Francescana, è “la fonte principale per il sostentamento della vita che si svolge intorno ai Luoghi Santi e lo strumento che la Chiesa si è data per mettersi a fianco delle comunità ecclesiali del Medio Oriente”.

Le attività di solidarietà portate avanti grazie alla Colletta, vanno dal mantenimento delle strutture pastorali, a quelle educative, assistenziali, sanitarie e sociali, nei territori di Gerusalemme, Palestina, Israele, Giordania, Cipro, Siria, Libano, Egitto, Etiopia, Eritrea, Turchia, Iran e Iraq. In totale, le offerte arrivate nel 2023 per la Colletta di Terra Santa hanno raggiunto € 6.571.893,96 che riusciranno anche a sostenere giovani seminaristi e sacerdoti, religiosi e religiose e, compatibilmente con i fondi disponibili, alcuni laici.

Attaccata la minoranza cristiana in Turchia

“Esprimo la mia vicinanza alla comunità della chiesa di Santa Maria a Istanbul, che durante la Messa ha subito un attacco armato che ha provocato un morto e diversi feriti”: al termine della recita dell’Angelus di domenica scorsa papa Francesco ha invitato a pregare dopo l’attacco alla chiesa Santa Maria a Sariver, appartenente alla parrocchia della cattedrale dello Spirito Santo ad Istanbul, dove il vicario apostolico, mons. Massimiliano Palinuro, stava celebrando la messa, uccidendo una persona, avvenuto nella mattinata della domenica.

Dalle riprese delle telecamere di sicurezza è possibile vedere l’irruzione di due uomini incappucciati durante la celebrazione eucaristica domenicale cui partecipavano circa 40 persone. I due uomini con il volto coperto da passamontagna neri hanno aperto il fuoco con armi automatiche, uccidendo un uomo di 52 anni, senza alcun ferito, rivendicata dal Daesh, il sedicente Stato islamico, attraverso i canali Telegram.

Subito anche i vescovi italiani hanno espresso solidarietà e vicinanza ai cristiani in Turchia: “Esprimiamo il nostro cordoglio per l’uccisione del cittadino turco e lo affidiamo all’abbraccio misericordioso del Padre… A tutta la comunità giunga il nostro affetto. Insieme preghiamo perché cessi ogni forma di violenza e si intraprenda con decisione la via della pace”.

Inoltre la CEI, attraverso Caritas Italiana, continua a essere a fianco di Caritas Turchia nell’accompagnamento e nel supporto alla popolazione e alla comunità cristiana con diversi progetti, soprattutto nell’ambito della ricostruzione post-terremoto.

Secondo quanto riferisce il quotidiano turco Hurriyet il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha espresso le sue condoglianze con una telefonata al parroco della chiesa, assicurando che ‘si stanno prendendo tutte le misure necessarie per catturare i colpevoli il più presto possibile’.

Mentre all’Agenzia Sir mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, ha parlato di attacco ‘anticristiano’: “Ho visto il video dell’attacco e mi pare di poter dire che si tratti di un attentato anticristiano, di matrice religiosa. Per fare totale chiarezza bisognerà che vengano assicurati alla giustizia gli esecutori materiali, diversamente sarà difficile connotare con maggiore precisione l’attentato… E’ un attentato contro la minoranza cristiana, una delle tante presenti in Turchia e in Medio Oriente. In Turchia da decenni i cristiani sono bersagli numero 1. Pensiamo, per esempio, a don Andrea Santoro, ucciso a Trebisonda il 5 febbraio 2006, mentre pregava in chiesa, e a mons. Luigi Padovese, ucciso il 3 giugno 2010, a Iskenderun, dal suo autista reo confesso”.

Mentre mons. Martin Kmetec, arcivescovo metropolita di Izmir e presidente della Conferenza episcopale turca, ha chiesto la garanzia della sicurezza per i cristiani: “Condanniamo fermamente questo atto di violenza contro l’umanità. Confidiamo che le forze di sicurezza dello stato turco trovino i responsabili e che sia fatta giustizia. Chiediamo fermamente che la verità venga rivelata e che venga garantita una maggiore sicurezza alle nostre comunità e alle nostre chiese. Chiediamo a tutti di non diffondere la cultura dell’odio e della discriminazione religiosa. Chiediamo a tutti i nostri fedeli di pregare per la vittima e la sua famiglia”.

(Foto: Dayfr.com)

Papa Francesco: l’unità è Cristo

Nel giorno della conversione di san Paolo papa Francesco ha concluso nella basilica di san Paolo fuori le mura la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani con la celebrazione dei vespri, descrivendo il passaggio da persecutore ad annunciatore di Cristo, attratto da una domanda provocatoria, come il Samaritano:

Dalle diocesi la preghiera per l’unità dei cristiani

“Ma quel maestro della Legge per giustificare la sua domanda chiese ancora a Gesù: ‘Ma chi è il mio prossimo?’ Gesù rispose: ‘Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gèrico, quando incontrò i briganti. Gli portarono via tutto, lo presero a bastonate e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso passò di là un sacerdote; vide l’uomo ferito, passò dall’altra parte della strada e proseguì. Anche un levita del Tempio passò per quella strada; lo vide, lo scansò e prosegui. Invece un uomo della Samaria, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione. Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino, lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo. Il giorno dopo tirò fuori due monete d’argento, le diede al padrone dell’albergo e gli disse: Abbi cura di lui e se spenderai di più pagherò io quando ritorno”.

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