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A Macerata avviato il progetto di co-housing per giovani

Si chiama ‘Casa di Bethlem’ e ha come finalità quella di garantire un servizio di prima accoglienza a chi è in condizioni di bisogno, progetto promosso nella diocesi di Macerata, situata nel centro storico della città, che offre, con oltre 50 posti a disposizione, ospitalità nonché uno spazio ambulatoriale tramite lo ‘Sportello salute’ per i senza dimora, gestito dai medici volontari dell’Amci, come ha evidenziato mons. Nazzareno Marconi: “Si tratta di un’iniziativa messa in atto dalla Chiesa nell’ambito assistenziale e caritativo per supportare gli ultimi. Una mano tesa, un primo ascolto, la prima porta aperta che queste persone troveranno a Macerata”.

Ed in questa struttura è iniziato il progetto ‘C’è un piano per te’, che ha una durata di dieci mesi fino al prossimo luglio, come racconta Sara Carloni, referente del Progetto Policoro della diocesi di Macerata: “Il progetto si attua presso la struttura di Prima Accoglienza ‘Casa di Bethlem’, a Macerata. La struttura è una ‘Casa per chi non ha casa’, un ambiente pronto ad accogliere quanti sono nel bisogno, sofferenti e smarriti, che sperimentano la precarietà di chi ha perso tutto. Dopo pochi mesi dall’apertura ha accolto 50 persone con esperienze di breve e lungo periodo e di varie nazionalità. E’ una struttura per accogliere le storie dei poveri, un luogo di incontro tra le persone che vivono il dramma di non sapere dove passare la notte, dando loro un caldo ristoro, e tra tanti di noi che vivono la solitudine, trovando una famiglia accogliente”.

Cosa è ‘C’è un piano per te’?

“Nel 2022 la Caritas di Macerata ha rilevato sul territorio diocesano una severa crisi abitativa. Soprattutto i soggetti più deboli, nel cercare casa, faticano a dare garanzie alle agenzie immobiliari; oltre a ciò, anche gli enti pubblici territoriali hanno osservato un notevole incremento di persone con problemi di alloggio. Pertanto la Diocesi ha individuato un edificio da adibire alla pronta accoglienza: Palazzo Squarcia, in via Gioberti n° 6, nel centro di Macerata. L’edificio ha 40 posti letto e, grazie ad operatori Caritas e volontari, garantisce agli ospiti un servizio di accoglienza adeguato.

‘Casa di Bethlem’, questo è il nome della struttura, si sostiene grazie alla diocesi ed a progetti specifici, ma si basa anche e soprattutto sul contributo volontario e sul sostegno degli abitanti e delle realtà commerciali e produttive del territorio. Ad aprile 2023 dunque è stata inaugurata la Casa, per dare prima accoglienza a persone senza fissa dimora o emarginate. L’ultimo piano è stato dedicato agli universitari di Macerata; anche essi infatti vivono sempre più difficoltà abitative che, in extremis, li costringono a scegliere tra la casa o il cibo, o a dover abbandonare gli studi”.

Per quale motivo è stato avviato tale progetto?

“Dalla collaborazione tra Caritas e Pastorale Giovanile e con il supporto del Progetto Policoro, è nato ‘C’è Un Piano Per Te’. Questo progetto propone agli studenti un’esperienza di co-housing per ‘fare casa’, condividere lo studio, servire i più bisognosi, mettersi in gioco e conoscere da vicino la Caritas. Vivere una tale esperienza vuol dire promuovere l’internazionalità, l’interculturalità e la condivisione di bisogni e desideri. C’è posto per 3 giovani, italiani e stranieri, con un livello di italiano minimo A2. I partecipanti sono supervisionati e accompagnati, come singoli e in gruppo, da un’equipe in cui vi sono la responsabile della casa, un tutor Caritas ed un coordinatore di pastorale giovanile. Ai partecipanti è inoltre chiesto di partecipare alla vita della Casa, rispettandone le regole e condividendo con gli ospiti accolti i pasti e i momenti comuni. In base al tempo e alle competenze di ogni studente, si progetta un percorso personale di 10-15 ore di volontariato settimanali in struttura. Nel programmare, svolgere e valutare questo servizio, i partecipanti sono quotidianamente affiancati dagli operatori della Casa stessa”.

Come funziona il progetto?

“Dall’inizio dell’esperienza e per tutta la sua durata i ragazzi possono formarsi sul servizio che svolgono, condividerne con un tutor specifico l’andamento, programmarne le attività e anche valorizzare le competenze acquisite grazie ad un attestato finale. Il progetto ha durata pari a dieci mesi e dopo i primi tre mesi si prevede una verifica condivisa tra l’equipe di progetto e ogni giovane, per confermare o meno il proseguimento. Vista la natura del progetto, è richiesta un’elevata motivazione a prendervi parte e la disponibilità a viverne i valori”.

(Foto: Diocesi di Macerata)

Caritas Italiana: i confini sono ‘zone di contatto’

Giovedì 11 aprile si è concluso a Grado il 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane dedicato al tema dei ‘Confini, zone di contatto, non di separazione’ con la partecipazione di 613 persone, tra direttori e membri di équipe provenienti da 182 Caritas diocesane di tutta Italia, con la testimonianza di don Otello Bisetto, cappellano del carcere minorile di Treviso, alla quale si è aggiunta quella di Giulia Longo, operatrice della Caritas in Turchia, che ha riportato la sua esperienza di impegno ‘al confine’ e nel post terremoto, dando voce ai molti giovani operatori Caritas: “Non su può essere giovani senza gli adulti, non si può essere adulti senza i giovani”.

Mentre mons. Alojzij Cvikl, presidente della Caritas Slovenia, ha  raccontato la vita di un’arcidiocesi di  ‘confine’: “Dopo il 1991 iniziarono ad aprirsi le frontiere, sia verso l’Italia, sia verso l’Austria e l’Ungheria,.. E’ stato un cambiamento storico. Prima il confine era una barriera, una divisione, lo si attraversava con paura, perché c’erano file e si facevano controlli.

I confini erano un luogo di separazione, anche per le famiglie, i parenti. La politica indicava quelli dall’altra parte del confine come a dei nemici. Insomma, erano tempi difficili e dolorosi. Nella nostra arcidiocesi abbiamo una chiesa filiale, dove il confine scendeva al centro della chiesa, metà dell’altare era in Austria, metà in Slovenia. La chiesa aveva due sacrestie per il sacerdote che veniva dal suo fianco alla chiesa. Le Sante Messe tedesche e slovene erano rigorosamente separate”.

Però il confine è anche un ponte: “Dal 2016, con il vescovo di Graz, concelebriamo la santa messa insieme in questa chiesa, la seconda domenica di luglio. Così i credenti di entrambe le parti ogni anno si sentono sempre più vicini. Il confine è diventato un ponte, un luogo di incontro, di arricchimento e di gioia per stare insieme… I confini non devono dividerci. Possiamo imparare gli uni dagli altri e sostenerci a vicenda. Questo si manifesta soprattutto quando l’altro è nei guai, quando viene messo alla prova”.

Negli ‘orientamenti’ conclusivi il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, ha indicato le proposte di lavoro per continuare il cammino Caritas nei prossimi mesi, richiamando le parole del primo presidente di Caritas Italiana, mons. Giovanni Nervo, che sottolineava il valore della parola ‘confine’:

“Siamo abituati a dire il Padre nostro e finiamo col non accorgerci che è una preghiera terribilmente impegnativa. Quelli che si rivolgono alla stessa persona chiamandola padre riconoscono di essere fratelli a tutti gli effetti: se poi nella vita di ogni giorno non riconosciamo negli altri uomini i nostri fratelli, abbiamo mentito e offendiamo il padre, che ama gli altri figli come ama noi.

Allora che mio fratello sia ammalato in casa mia, o nel paese vicino, o a diecimila chilometri di distanza sostanzialmente non fa differenza: anzi, se è lontano, la sua malattia mi crea angoscia perché mi è più difficile aiutarlo… Dipende da dove poniamo i confini del mondo. Possiamo porli in noi stessi. Possiamo porli nel nostro gruppo (famiglia, partito, razza, paese). Possiamo togliere ogni confine: allora ogni uomo è mio fratello”.

Per questo don Pagniello ha ricordato che per la Caritas i confini non sono dei limiti, ma delle ‘zone di contatto’, cioè “luoghi in cui fare l’esperienza della presenza di Dio perché ci permettono di aprirci agli altri e di capire che c’è Qualcuno che può fare prima, durante e dopo il nostro servizio… I confini sono tessere cruciali nel mosaico che compone la vita e le relazioni umane. L’ambivalenza del termine ‘Ospite’, che definisce sia chi accoglie, sia chi viene accolto, esprime la dinamica relazionale del confine”.   

I confini, per don Pagniello, sono ‘identità’ da custodire da coloro i quali vogliono abbatterli per evitare controlli: “Il commercio delle armi non deve essere ‘semplificato’, come nell’intento dei promotori di questa proposta di legge in discussione in Parlamento (voto già avvenuto al Senato, dibattito in corso alla Camera) se non negli interessi diretti di chi queste armi produce e commercia. E questa ‘semplificazione’ non produrrà nessun miglioramento della sicurezza del nostro Paese. Sarà anzi molto più facile che le armi italiane finiscano a Paesi in guerra, le cui pratiche sono in aperta violazione dei diritti umani”.

Ed ecco il motivo per cui il direttore di Caritas italiana ha lanciato la sfida di ‘difendere’ i confini in modo diverso: “I giovani di oggi vogliono pensare e decidere il loro avvenire. Non è legittimo e doveroso da parte nostra, che apparteniamo alla storia e alla cultura del passato, incoraggiare e sostenere i giovani perché accettino questa sfida di civiltà e si misurino con essa per imparare ad amare la patria e a difenderla in modo diverso più umano, più civile, più cristiano di quello delle armi?”

Infatti dalle parole di mons. Nervo nasce l’opportunità di ‘sconfinare’ in quanto ‘tutto è connesso’: “E’ questa l’opportunità di mons. Giovanni Nervo che scegliamo per imparare a connettere i fenomeni, nella consapevolezza che possiamo meglio affrontare le questioni e le sfide locali solo se teniamo in considerazione il contesto globale. ‘Sconfinare’ è, in questo caso, una scelta che ci definisce”.

Per tale motivo Caritas Italiana ha avviato il ‘Coordinamento Europa’, condividendo l’appello di Caritas Europa su cinque priorità in vista delle elezioni del prossimo giugno, proposte per il Parlamento europeo per un’Europa ‘più giusta’: mercati del lavoro e protezione sociale efficaci, accesso garantito a servizi sociali buoni e di qualità, tutela dei diritti umani e della dignità nelle politiche di migrazione e di asilo, finanziamenti costanti per gli attori locali che svolgono attività di sviluppo e umanitarie, politiche globali più eque per lo sviluppo sostenibile, affrontando questioni come la necessità di sistemi alimentari equi e la finanza per il clima.

Infine il Direttore di Caritas Italiana ha rilanciato l’importanza della presenza dei volontari che sono un indicatore dell’efficacia del lavoro di animazione della comunità cui è chiamata la Caritas. Ha richiamato alla necessità di ‘stare nelle complessità’ e ribadito il senso ed il ruolo della Caritas, ad ogni livello, perché l’efficacia della Caritas non si misura sul fare, ma sull’essere: ‘Il nostro fare nasce dal nostro essere’:

“Riconoscere i nostri confini significa imparare a stare sulla soglia, consapevoli dei nostri limiti e potenzialità, disposti a scoprire parti di sé che solo l’Altro può svelare. Animare la comunità, perché sappia custodire il senso profondo dell’umano che affiora nella capacità di abitare il ‘tra’ di un attraversamento che è anche un intrattenersi… Abitare il confine significa essere testimoni di carità, per seminare speranza ed essere segno, sapendo che “la prima opera segno è lo stile con cui facciamo le cose”.

Nella liturgia di apertura mons. Francesco Moraglia, patriarca di Venezia e presidente della Conferenza episcopale del Triveneto, ha sottolineato che la Chiesa è chiamata a non disgiungere carità e giustizia: “La Chiesa è immersa in una dinamica d’amore concreto e senza confini. E nella nostra società è chiamata sempre più a mostrare e indicare che c’è sì la giustizia ma c’è anche la carità (le due dimensioni non vanno confuse ma vanno tenute insieme) e che la vita dell’uomo non può essere ridotta ad una concezione materialista o spiritualista che, di fatto, porterebbero a ridimensionare o umiliare la dignità dell’uomo stesso”.

In questa ‘immersione’ nel mondo la preghiera è il fondamento dell’azione: “La preghiera ci aiuta così a capire, a discernere, ad opporci ad una concezione dell’uomo in cui Dio o è negato o espulso al di fuori delle vicende storiche del nostro oggi che ci interpella come discepoli e discepole del Signore. Una fede disincarnata non è la fede del Vangelo. Cornelio, alla fine, si fida e si affida alla parola di Pietro; non sa ancora di doversi battezzare ma accetta la Parola di Dio ed entrerà, così, nella comunità del Risorto”.

Mentre, introducendo i lavori della giornata di apertura, il presidente di Caritas Italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia, ha sottolineato che i confini sono anche occasioni di ‘grazia’: “Domani pomeriggio passeremo un confine, ormai superato dalla storia e che non c’è mai stato fino al Novecento, che divide le due città Gorizia e Nova Gorica, due realtà che l’anno prossimo saranno insieme capitale europea della cultura. Un evento che per il solo fatto di essere stato pensato come possibile è già per noi una grazia. Comprendete quindi che parlare di confini come zone di contatto e non di separazione per noi che abitiamo e viviamo qui non è una questione di principio o di studio, ma è qualcosa che tocca la nostra carne, il nostro cuore e la nostra mente. E’ per noi un tema necessario”.

Prendendo spunto dal saluto in tre lingue mons. Redaelli ha spiegato che i confini sono stati spesso separazioni dolorose: “Le tre lingue ci fanno entrare immediatamente nel tema del nostro convegno, perché indicano comunque dei confini linguistico-culturali ben precisi.

Confini che nella storia del secolo scorso, intrecciandosi con i confini voluti e approfonditi dai nazionalismi e dalle ideologie totalitarie, hanno ferito gravemente questa terra e soprattutto hanno scavato nei cuori e nelle menti dei confini ancora più difficili da valicare rispetto a quelli fisici”.

(Foto: Caritas Italiana)

Dopo 13 anni la Siria ancora in guerra

Il 15 marzo la guerra in Siria è entrata nel suo 14° anno, come ha scritto in una nota la Caritas italiana: “Il conflitto, scoppiato nel marzo 2011 ha gettato oltre 16.700.000 persone in stato di bisogno, il numero più alto di sempre dall’inizio della guerra. 7.500.000 sono minori; 7.200.000 gli sfollati interni, sui quali si è abbattuto anche il violento terremoto del 6 febbraio 2023. Tra il 1° gennaio e il 31 ottobre 2023 sono 454 i civili uccisi, di cui 115 sono bambini. Una guerra che, ‘nel silenzio’ dei mezzi di comunicazione, continua a uccidere”.

La Caritas in Siria opera a favore delle comunità colpite fin dall’inizio del conflitto, con aiuti d’urgenza, riabilitazione socio-economica, ricostruzione. Un impegno costante che riguarda anche la riconciliazione di un popolo che non smette di chiedere pace.

Il comunicato termina con le parole del vescovo mons. Hanna Jallouf, vicario apostolico di Aleppo dei Latini in Siria, in visita a Caritas Italiana a fine gennaio: “Sono passati già 13 anni di guerra e speriamo che un giorno arriveremo ad una pace vera, che permetta ai nostri ammalati di andare a curarsi, ai nostri bambini di andare a studiare e coltivare il loro futuro, e le persone a tornare a reincontrarsi dopo 10-11 anni di lontananza”.

Inoltre secondo un’indagine dell’Unicef sulle famiglie condotta nel nord della Siria, il 34% delle bambine e il 31% dei bambini hanno riportato uno stress psicosociale. Allo stesso modo, le valutazioni condotte nelle aree colpite dal terremoto hanno riportato una percentuale ancora più alta di bambini che mostrano un grave stress psicologico comportamentale (83% degli intervistati), come ha dichiarato la direttrice regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, Adele Khodr:

“La triste realtà è che oggi e nei prossimi giorni molti bambini in Siria compiranno 13 anni e diventeranno adolescenti, sapendo che la loro intera infanzia è stata segnata da conflitti, sfollamenti e privazioni.

In definitiva, i bambini hanno bisogno di una possibilità. Hanno bisogno di una soluzione pacifica a lungo termine alla crisi, ma non possiamo semplicemente aspettare che ciò accada. Nel frattempo, è fondamentale garantire che i bambini e le famiglie non solo abbiano accesso ai servizi di base, ma anche che siano dotati delle competenze necessarie per costruire il proprio futuro”.

Inoltre l’Unicef ha ricordato che più di 13.000.000 di siriani (circa la metà della popolazione prima del conflitto) sono sfollati all’interno o all’esterno della Siria e non possono tornare alle loro case e più di due terzi della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria, in quanto i finanziamenti umanitari sono scesi ai minimi storici, sia all’interno della Siria stessa che per i siriani nei Paesi limitrofi; mentre quasi la metà dei 5.500.000 bambini in età scolare, circa 2.400.000 bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni, non vanno a scuola:

“Una generazione di bambini in Siria ha già pagato un prezzo insopportabile per questo conflitto. Il sostegno continuativo della comunità internazionale è fondamentale per ripristinare i sistemi di fornitura dei servizi sociali di base, come l’istruzione, l’acqua e i servizi igienici, la salute, la nutrizione, la protezione dell’infanzia e quella sociale, assicurando che nessun bambino in Siria venga lasciato indietro”. Nel 2024, l’UNICEF ha bisogno di € 401.700.000 per fornire un’ancora di salvezza essenziale a 8.500.000 persone, tra cui 5.400.000 bambini.

Anche l’ong ‘Un ponte per…’ ha denunciato che in Siria, donne e bambine pagano il prezzo più alto della guerra: “Sono le prime a perdere l’opportunità di studiare, ad essere esposte a violenze, ad essere discriminate. E le ultime ad essere supportate. Nel Nord Est Siria dopo 13 anni di conflitto ancora 2.000.000 persone sono in stato di necessità.

L’emergenza colpisce le donne e le bambine in maniera diversa e contribuisce ad aumentare violenza di genere, disuguaglianze economiche, matrimoni infantili e lavoro minorile. Difendere i diritti di donne e bambine in Siria è fondamentale per garantire protezione e partecipazione attiva nella vita pubblica del loro paese, come ha raccontato Nada, la madre di Mariam (8 anni), Bissan (11 anni) e Ghazal (13 anni): “Hanno vissuto cose che nemmeno noi adulti avremmo potuto gestire. Quando siamo arrivati a Raqqa non giocavano con i loro compagni di scuola, non avevano nemmeno amici, non si fidavano di nessuno. Erano cupe e timide. Oggi sorridono e riescono a stringere relazioni con i loro coetanei”.

Per questo grazie alla campagna ‘Libere di rompere’ di ‘Un Ponte per…’ 304 donne e ragazze e 283 bambine/i sono state coinvolte in attività psico-sociali negli ‘Spazi Sicuri’ garantendo loro l’opportunità di socializzazione in uno spazio protetto; 16 donne e 24 bambine/i sopravvissuti/e a violenze e abusi hanno ricevuto un’assistenza psicologica e sociale gratuita e continua; 150 donne e bambine/i hanno usufruito del servizio di trasporto sicuro e gratuito per raggiugere gli Spazi Sicuri e riuscire ad avere accesso ai servizi a loro dedicati; 1350 bambini/e e 1000 donne e ragazze sfollate provenienti da Aleppo, Raqqah, Idlib e Jarablous, hanno ricevuto servizi sanitari primari gratuiti e salute materna e infantile presso il Centro Sanitario di base di Membij, l’unica struttura di assistenza primaria operativa esistente nell’area di 70 km.

A Torino la Caritas fa il punto sulla povertà

L’arcidiocesi di Torino copre una estensione di oltre 3.500 chilometri quadrati, comprendente 158 comuni, dei quali 137 parte della Città Metropolitana di Torino (gli altri afferiscono alle diocesi di Ivrea, Pinerolo e Susa), 15 nel territorio provinciale di Cuneo (parte alta della provincia) e 6 in quello di Asti (alto astigiano). Serve una popolazione di circa 2.100.000 abitanti. Organizzativamente è suddivisa in 4 distretti pastorali all’interno delle quali esistono numeri variabili di unità pastorali (in totale 51, di cui 20 in Torino città) che cubano in totale 347parrocchie, di cui 110 nel territorio comunale di Torino.

In questa situazione la rete caritativa dell’arcidiocesi torinese è  composta di oltre 350 centri parrocchiali, di associazione o di ente religioso che, complessivamente, gestiscono circa 550 servizi di natura socioassistenziale; nel 2023 principalmente si tratta di centro diurno, distribuzione e somministrazione beni alimentari, distribuzione vestiario, centri di ascolto e di sostegno, case o luoghi di accoglienza residenziale, servizi sociosanitari.

Agisce con un coordinamento leggero non piramidale di interfaccia con Caritas Diocesana, Pastorale del Lavoro, Pastorale dei Migranti, Pastorale della Salute (da settembre 2023 raggruppate nell’area carità e azione sociale della Curia Metropolitana).

Sviluppa anche alcune progettualità di maggior connessione con l’ente pubblico territoriale attraverso una gestione diretta di Arcidiocesi come, ad esempio, l’accoglienza notturna incrementale per persone senza dimora o l’accoglienza residenziale temporanea per nuclei fragilizzati. Si appoggia al servizio gratuito e continuativo di oltre 3.000 volontari appartenenti a più sigle del volontariato ecclesiale.

Utilizza un sistema informativo di connessione e per l’elaborazione di progetti personalizzati di inclusione chiamato MATRIOsCa (Modello di ascolto telematico regionale Osservatorio Caritas) che, per la diocesi torinese, vede al momento stabilmente collegati 84 sui 90 centri di ascolto attivi. Sono 223 i volontari che tengono aggiornata la rete.

Quindi sono 10.727 persone titolari di scheda nel database MATRIOsCA della Caritas torinese, che rappresentano quasi 23.000 soggetti aiutati, con un aumento rispetto al 2022 di circa il 11%. Di queste 5.643 sono state incontrate per la prima volta, ovvero il 53% di tutti gli accessi. Le famiglie censite dal database nel 2022 erano 4.789 a Torino e 2.929 nel resto della diocesi.

Sono diventate 7.746 in città e 2.980 fuori, corrispondenti a circa 16.000 persone di fatto aiutate in Torino e 8.000 fuori città; se si sommano a questo dato anche le prese in carico considerate nel dossier da parte di Pastorale Migranti, Sportelli Lavoro, Fondazione don Mario Operti e Pastorale Salute si arriva ad un totale di circa 27.000 soggetti: “I nuovi poveri sono ormai una costante.

Ma permane ancora estremamente rilevante la povertà di lungo periodo. Lo conferma quel 47% di persone incontrate nel 2023 ma già conosciute in passato di cui il 65% è rappresentato da persone e nuclei che restano in carico continuativamente fino a tre anni (dal 35,26% ad un anno, si scende al 14,08% a tre anni), e il 4,31% risulta ancora in carico dopo oltre dieci anni”.

Facendo la media generale sull’intero territorio diocesano, la prevalenza delle richieste è presentata da donne, con 46-60 anni, italiane, che vivono da sole o coniugate senza prole ma anche con famiglie numerose con figli non minori o con almeno 1 minore a carico, in possesso di licenza media inferiore.

Segmentando il dato, nella città la richiesta proviene in maggioranza da uomini, dai 46 ai 60 anni, italiani, che vivono da soli o coniugati senza prole ma anche con famiglie numerose con figli non minori o con almeno 1 minore a carico, con licenza media inferiore; nel resto del territorio diocesano proviene invece da donne, dai 46 ai 60 anni, italiane, che vivono da sole o coniugate senza prole o con famiglie numerose con figli non minori o con almeno 1 minore a carico, con la licenza media inferiore.

Per il segmento sociale delle persone di origine straniera la maggior parte dei beneficiari ha un’età compresa tra i 18 e i 35 anni; soprattutto donne che provengono dal continente africano e dal Centro e Sud America. La più parte (almeno 83%) ha un titolo regolare di permanente sul territorio nazionale (lavoro, ricongiungimento, studio, asilo sonoi principali), ma all’incirca il 17% risulta essere irregolare.

Le problematiche sottoposte all’attenzione dei volontari e registrate in MATRIOsCA sono, trasversalmente e prevalentemente (fino a toccare quasi l’80%), ascrivibili ai bisogni immediati, all’occupazione, all’abitare e al tema della cura della salute, con declinazioni differenti a seconda delle zone territoriali e della tipologia di servizio contattato: problemi economici 41,8%, problemi di occupazione/lavoro 26,0%, problematiche abitative 13,0%, problemi di salute 6,7%, detenzione e giustizia 2,3%, problemi familiari 2,5%, handicap/disabilità 2,0%, altri problemi 1,6%, bisogni di migrazione/immigrazione 2,1%, dipendenze 1,1%, problemi di istruzione 0,9%

Le richieste sul tema dell’abitare riguardano soprattutto le spese per il mantenimento della casa, sono presentate per circa il 70% da persone occupate o dipendenti a tempo indeterminato, con un incremento di presenza di persone di origine straniera occupate – Centro e Sud Africa cubano il 53% delle richieste abitative pervenute a Fondazione Operti – a conferma di una fatica nel trovare casa se si tratta di uno straniero rilevata dai volontari dell’ascolto sia della rete territoriale che dei servizi specialistici.

L’ambito della cura della salute è riferibile prevalentemente a persone sole e capifamiglia in età compresa fra i 46 e i 60 anni, più in generale nelle persone sole e nei nuclei familiari che non comprendono minorenni. Crescono i soggetti con disabilità (5% circa) e, ancor più sensibilmente, quelli con non autosufficienza (15% sul totale) che debbono chiedere aiuto ai centri caritativi.

Concludendo la giornata il direttore della Caritas torinese, Pierluigi Dovis, ha sottolineato l’aumento della povertà: “I dati 2023 confermano e iniziano a dettagliare meglio l’allargamento a macchia di olio nella territorializzazione delle povertà, evidenziando come ormai i grandi temi di fragilizzazione non siano solo più appannaggio della città capoluogo o dei centri maggiori del territorio diocesano, ma interessino quasi trasversalmente tutti i ‘distretti pastorali’.

Anzi, per taluni elementi sembra che l’impatto sia addirittura superiore fuori dalla cinta daziaria torinese. E’ emblematico il dato delle richieste per problemi legati alla salute, percentualmente il doppio fuori città. Il dato potrebbe essere stato inficiato dalla maggior accuratezza con cui i centri di ascolto extraurbani raccolgono ed aggiornano le osservazioni rispetto a quelli cittadini”.

Caritas di Ugento: selezione per 13 operatori in servizio civile

La Caritas diocesana di Ugento – S. Maria di Leuca comunica che entro e non oltre le ore 14:00 del 15 febbraio prossimo è possibile presentare le domande di partecipazione per un totale di 13 posti nell’ambito del Bando volontari per la selezione di giovani da impiegare nel progetto di Servizio Civile Universale dal titolo “STARE DENTRO I PROCESSI EDUCATIVI UGENTO”.

Caritas: con la povertà l’Italia ha ‘Tutto da perdere’

In occasione della Giornata Mondiale dei Poveri è stata presentata a Roma la 27^ edizione del rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia dal titolo ‘Tutto da perdere’ della Caritas italiana con i dati che confermano come (con oltre 5.600.000 di poveri assoluti, pari al 9,7% della popolazione) la povertà sia un fenomeno strutturale e non più residuale come in passato.

Le iniziative della Caritas di Ugento-Santa Maria di Leuca per la giornata mondiale dei poveri

La Caritas diocesana di Ugento – S. Maria di Leuca comunica che oggi si svolge la VII Giornata Mondiale dei Poveri, istituita nel 2016 da Papa Francesco, al termine del Giubileo della Misericordia.

Nei giorni precedenti al 19 novembre, ogni Comunità parrocchiale della Diocesi si è preparata a vivere la giornata con l’Adorazione Eucaristica. Sempre nella stessa giornata saranno promosse alcune iniziative per coinvolgere tutte le comunità a non distogliere lo sguardo dai poveri, anzi a guardarli con simpatia ed attenzione, a partire dalle ore 13.00, saranno diverse le iniziative che si svolgeranno nel territorio diocesano, un pranzo di convivialità verrà organizzato nelle quattro foranie: Forania di Leuca, presso la Casa della Convivialità ‘Don Tonino Bello’ ad Alessano (Comunità parrocchiali di Alessano, Gagliano del Capo, Castrignano del Capo e Patù) – Forania di Taurisano, presso la Sala Oratorio San Francesco a Ruffano (Comunità parrocchiali di Taurisano, Ruffano, Supersano, Miggiano, Montesano Salentino e Specchia)- Forania di Tricase, presso la Locanda della fraternità presso la Maior Charitas a Tricase(Comunità parrocchiali di Tricase, Tiggiano e Cosano) – Forania di Ugento, presso la Sala Oratorio della Parrocchia di S. Giovanni Bosco (Comunità parrocchiali di Ugento, Presicce – Acquarica, Salve e Morciano di Leuca).

Come ricorda don Lucio Ciardo, Direttore della Caritas diocesana: “Non dobbiamo mai dimenticarci degli ultimi, i carcerati sono tra questi” sarà prestata attenzione, anche alla condizione dei detenuti, infatti oggi sarà raccolto materiale per l’igiene personale: saponi, spazzolini, dentifrici, shampoo, bagnoschiuma, che farà pervenire ai detenuti più fragili della Casa Circondariale di Lecce a Borgo San Nicola.

Don Lucio Ciardo, Direttore della Caritas diocesana, nella lettera inviata ai sacerdoti, ai religiosi e ai fratelli laici, in occasione della ‘VII Giornata Mondiale dei Poveri’, scrive:  “Papa Francesco ha pubblicato il messaggio, per questa giornata: “Non distogliere lo sguardo dal povero”. Queste parole sono prese dal libro di Tobia al capitolo quarto.

E’ un piccolo libro contenuto nella Bibbia, dal quale il compianto vescovo, mons. Vito De Grisantis, trovò lo spunto per indire una giornata, il 14 marzo 2010, per raccogliere un fondo-Progetto Tobia- a sostegno dei giovani disoccupati e delle persone che perdevano il lavoro. L’impegno a non distogliere lo sguardo dai poveri portato avanti dalla Fondazione De Grisantis, braccio operativo della Caritas diocesana, ha fatto avviare 85 attività lavorative, sostenute 62 famiglie, garantendo complessivamente 1.924.331,91 di euro di prestiti.

Oggi, c’è il rischio di distogliere lo sguardo, girarsi con fastidio dall’altra parte, assumere un atteggiamento di indifferenza incattivita: è la tentazione che può prendere il sopravvento in tanti di noi di fronte a quel fiume di povertà, come lo chiama il Papa nel suo messaggio, che sta allagando le nostre piccole comunità e rischia di straripare. “Quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte”.

Con una sfacciataggine che fa quasi tenerezza il Papa ci fa una proposta ‘oscena’ di invitare a pranzo una persona povera incontrata per strada proprio la domenica, 19 novembre 2023, della Giornata mondiale. Ancora il Papa ci invita a leggere il momento presente alla luce  …. della parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37) che non è un racconto del passato,  interpella il presente di ognuno di noi. Delegare ad altri è facile; offrire del denaro perché altri facciano la carità è un gesto generoso; coinvolgersi in prima persona è la vocazione di ogni cristiano”.

Ma chi è questo poveraccio, italiano o immigrato? Sono persone che chiedono non solo qualcosa, ma chiedono di entrare in relazione con noi, vogliono stare un po’ con noi. Nei vari servizi che via via stiamo avviando sia direttamente, come Caritas diocesana e sia attraverso le Caritas parrocchiali deve emergere: l’azione comunitaria di inclusione delle persone che usufruiscono dei nostri servizi, cioè quello di conoscere le persone e farle sentire a casa nelle nostre comunità.

Papa Francesco augura che, “possa svilupparsi la solidarietà e sussidiarietà di tanti cittadini che credono nel valore dell’impegno volontario di dedizione ai poveri. Si tratta certo di stimolare e fare pressione perché le pubbliche istituzioni compiano bene il loro dovere; ma non giova rimanere passivi in attesa di ricevere tutto “dall’alto”: chi vive in condizione di povertà va anche coinvolto e accompagnato in un percorso di cambiamento e di responsabilità”.

Dal rapporto sulle povertà: nel 2022 la diocesi di Arezzo ha accolto più di 2.065 persone

In occasione della Giornata Internazionale per lo sradicamento della povertà indetta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ricorre ogni anno il 17 ottobre, la Caritas diocesana ha presentato il Rapporto diocesano sulle povertà, ‘Inermi’, ispirato alla sensazione manifestata dalle tante persone che si sono rivolte ai servizi promossi dalla Caritas diocesana e alle 42 Caritas parrocchiali sparse nel territorio, come ha spiegato nell’introduzione il vescovo di Arezzo-Cortona-San Sepolcro, mons. Andrea Migliavacca:

Diego Ciarloni e Simona Paolella: gli acchiappacibo in azione

‘Recuperiamo tutto ciò che non esce dalla cucina, oppure che torna indietro intonso o che addirittura non viene nemmeno portato a tavola. Succede spesso’: così ci ha spiegato Diego Ciarloni, agente immobiliare e co-fondatore insieme alla moglie Simona Paolella, psicoterapeuta, di ‘Foodbuster-gli acchiappacibo’, un’associazione collegata ad altre sparse in tutta Italia e legata alla rete Food P.r.i.d.e. (partecipazione, recupero, inclusione, distribuzione e educazione), con l’obiettivo di combattere lo spreco alimentare non solo in un’ottica solo solidale ‘ma cercando di capire che ridurre le eccedenze alimentari è un beneficio per tutta la collettività’.

Senza dimora: rafforzato il servizio di accoglienza della Caritas diocesana di Arezzo grazie a Banco Bpm

Nuovi arredi per le camere, materassi, buoni spesa per alimenti, casalinghi, biancheria e vestiario. Sono questi i materiali, acquistati grazie a un contributo di Banco Bpm, destinati alle Case di accoglienza della Caritas diocesana che si impegnano a servizio delle persone più fragili e svantaggiate.

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