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Oggi si inaugura la mensa solidale ad Ugento
Anche Ugento avrà una Mensa solidale, sarà ubicata presso la Parrocchia ‘San Giovanni Bosco’, fortemente voluta da mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento – S. Maria di Leuca, per rispondere concretamente alla crescente richiesta di aiuto che proviene dai più bisognosi. Un progetto, realizzato grazie all’impegno del Parroco, don Flavio Ferraro, che aveva preso avvio già con il suo predecessore, don Stefano Ancora.
In occasione dell’ VIII Giornata Mondiale dei Poveri, Domenica 17 Novembre prossima alle ore 12.00 in Piazza Mons. Leopoldo De Giorgi, si svolgerà l’inaugurazione della mensa che prevede, dopo i saluti istituzionali del Sindaco di Ugento, Salvatore CHIGA, gli interventi di: Mons. Beniamino NUZZO, Vicario Generale Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, Don Flavio FERRARO, Parroco “San Giovanni Bosco”, Don Lucio CIARDO, Direttore Caritas Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, Antonio CIRIOLO, Presidente GAL Capo di Leuca, Flavio Cosimo URSO, Presidente ASD ‘Eventi e Sport’, Salvatore PAIANO, Amministratore unico ‘Società Agricola Oro Del Salento S.R.L’. Al termine del dialogo, coordinato e moderato dalla giornalista Luana PRONTERA, i presenti potranno gustare il “Pranzo della Convivialità” preparato da alcuni volontari. Un’iniziativa che si svolgerà insieme ai fratelli poveri e alla presenza dei Sindaci di: Ugento, Presicce-Acquarica, Salve e Morciano di Leuca.
Gli elettrodomestici e l’arredamento per realizzare la mensa sono stati acquistati nell’ambito del PSR Puglia 2014/2020 – Misura 19 – Sottomisura 19.2 – Azione 3. Servizi per la popolazione rurale nel Capo di Leuca – Bando Intervento 3.2. ‘Mense Collettive’ – Piano di Azione Locale ‘il Capo di Leuca e le Serre Salentine’, attuato dal GAL Capo di Leuca, è stato finanziato, con un contributo a fondo perduto. Con l’agevolazione, il GAL intende coinvolgere le aziende agricole che si trovano spesso in difficoltà a vendere l’intera produzione (fresca o trasformata), costrette a smaltire il prodotto in eccedenza in discarica, con costi che ricadono sulla comunità e impatti negativi sull’ambiente. In alternativa, si può conferire in iniziative di carattere sociale, quali le mense collettive, interessate a somministrare pietanze con prodotti locali e a costi di produzione contenuti.
Grazie al bando pubblicato dal GAL Capo di Leuca, infatti, sono state acquistate attrezzature tecnologicamente avanzate: una cucina a quattro fuochi con forno statico a gas, un tavolo in acciaio inox con ripiano e alzatina, una cappa auto aspirante a parete con regolatore di velocità, un forno a microonde con funzione grill, un lavello in acciaio inox a sbalzo con due vasche, una lavastoviglie, due armadi refrigerati, quattro tavoli realizzati artigianalmente in legno, e trentadue sedie in legno di faggio.
Nella mensa sarà servito un piatto caldo e abbondante, gratuitamente, a 32 ospiti in un clima familiare e accogliente e sarà aperta ogni sabato alle ore 13.00. La mensa permetterà ai volontari della parrocchia ‘San Giovanni Bosco’ di entrare in relazione con le persone più povere, creare con loro un legame e capirne i bisogni. L’attenzione alla dignità e alla personalità di ognuno si esprimerà nella cura dell’ambiente, nell’atteggiamento cortese dei volontari che servono a tavola.
La realizzazione della mensa, oltre alla parrocchia ‘San Giovanni Bosco’, ha visto la partecipazione di altri due soggetti partner: Associazione Sportiva Dilettantistica ‘Eventi e Sport’ e la Società Agricola “Oro del Salento” Srl entrambe con sede a Ugento. Quest’ultima è specializzata nella trasformazione di prodotti ortofrutticoli in prodotti alimentari salentini e pugliesi tutti lavorati a mano. Un’azienda del sud Salento, terra conosciuta non solo per la bellezza delle sue spiagge e lo splendore dei suoi centri storici, non solo per il clima temperato tutto l’anno, ma anche e soprattutto per la favolosa quanto preziosa macchia mediterranea.
L’ASD ‘Eventi e Sport’ è un sodalizio, costituitosi circa 15 anni fa, con l’intento di dare attenzione alle necessità del territorio fornendo aiuti concreti, collaborando con chiunque possa condividere le finalità del sodalizio. I componenti dell’associazione volontariamente di adopereranno per cucinare e servire nella mensa della parrocchia ‘San Giovanni Bosco’, in quanto storicamente impegnata sul fronte della solidarietà.
(Foto: Caritas di Ugento e Leuca)
A Trieste mons. Trevisi lancia un appello: volontari ed offerte per aiutare i poveri
“La Fondazione Caritas (che è un ente operativo della Diocesi) e la Caritas Diocesana (espressione diretta della nostra Chiesa per alcuni progetti caritativi) stanno svolgendo una serie di attività e servizi nelle direzioni più disparate: si va dal Centro di ascolto (con sostegno a persone e famiglie in difficoltà varie) all’Emporio della Solidarietà; dal dormitorio per i senza fissa dimora (in convenzione con il Comune) all’accoglienza per altri soggetti fragili (famiglie e donne con bambini piccoli), dalla Mensa per i poveri (che nello scorso anno ha fatto più di 106.000 pasti), all’accoglienza dei Migranti con strutture convenzionate con la Prefettura e altre a totale carico della diocesi e di chi vuole contribuire (pensiamo al dormitorio di via S. Anastasio per i transitanti o coloro che ancora non sono stati accolti per le lungaggini burocratiche)”.
E’ l’inizio dell’appello del vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, alla città, che ha elencato le attività portate avanti dalla Caritas diocesana: “Basti vedere caritastrieste.it dove si legge: 375 volontari; 124 persone operative; 13.810 persone aiutate e sostenute (di cui 861 minori); 19 progetti attualmente attivi… E poi c’è tutto il lavoro delle Caritas e delle San Vincenzo nelle parrocchie o la Mensa dei Cappuccini o di altre associazioni (pensiamo a S. Egidio…): un magma di iniziative, persone, accoglienze, ascolti, dopo-scuola, pacchi viveri, corsi di italiano”.
La situazione illustrata dal vescovo è causata anche da mancati pagamenti da parte delle Istituzioni pubbliche negli anni passati: “Da anni la Fondazione Caritas denuncia una fatica finanziaria, in parte dovuta ai ritardi dei pagamenti delle convenzioni per i migranti e in parte anche ad una fatica organizzativa che si è accumulata: prima che io arrivassi a Trieste i dipendenti accusavano notevoli ritardi nei pagamenti del loro stipendio e così pure i fornitori, nonostante gli elevati mutui e i fidi bancari. Il desiderio è che nella riorganizzazione di questi servizi i dipendenti siano maggiormente tutelati (e ora sono pagati sempre puntualmente) ma anche che possiamo raddrizzare la gestione”.
Quindi grazie all’apporto finanziario della Cei e della Caritas italiana, attraverso l’8Xmille, la diocesi triestina riesce ad aiutare i poveri: “Abbiamo ricevuto un consistente sostegno dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalla Caritas Italiana che attraverso i fondi dell’8Xmille ci hanno sostenuto in modo maggiore rispetto a quanto già ogni anno ci viene erogato. Anzi grazie di cuore a tutti coloro che firmano per l’8Xmille per la Chiesa cattolica. A Trieste molti sono i segni di questa carità che raggiunge migliaia di poveri.
Il desiderio è quello di continuare e anzi aumentare la nostra attenzione alle persone fragili, sia attraverso le strutture convenzionate ma anche attraverso quella gratuità che ci porta ad accollarci spese per far fronte ai bisogni di coloro che non sono tutelati dalle leggi e dai sistemi statali”.
Ed ecco l’appello in previsione della stagione invernale: “Servono volontari e servono risorse economiche per implementare questi aiuti. Presto arriverà il freddo e non possiamo restare a guardare e neppure restare a discutere e ritardare quello che la carità esige prontamente.
Da Dio saremo giudicati per come ci siamo comportati davanti ai poveri. Di fronte a problemi complessi ‘non lasciamoci ingannare da soluzioni facili’, ammoniva il papa in visita a Trieste il 7 luglio… Ci ha messo in guardia dal ‘cancro dell’indifferenza’. Per questo chiedo a tutti di lasciarsi coinvolgere e di partecipare. Abbiamo bisogno di volontari (e grazie a quelli che già si stanno spendendo in modo ammirevole) e anche di offerte”.
Per questo il Vangelo è scomodo ma bello, aveva detto nell’omelia in occasione della festa di san Francesco di Assisi: “Il Vangelo è bello: e san Francesco scrive tante pagine di vangelo bello. San Francesco lo vediamo e lo pensiamo in una comunione profonda con il Signore, conformato a Lui nel più profondo del cuore. Ma anche capace di baciare un lebbroso o di predicare alle folle o di scrivere i primi inni in italiano o ad affascinare folle e folle di giovani che si mettono al suo seguito…
San Francesco è il Vangelo bello di Cristo che torna ad essere vivo e ad attrarre tanti giovani che lasciano i desideri di successo attraverso le battaglie, che tralasciano l’esistenza frivola e godereccia che distraeva dal senso vero della vita. Ieri come oggi spesso si è ammaliati da strade che portano alla perdizione: l’onore delle armi, il successo della vittoria, il piacere e il divertimento come nuovi idoli, la ricchezza accumulata e ostentata… Idoli del tempo di Franceso e del nostro tempo! Francesco ci insegna, vivendolo, che c’è un Vangelo bello, di fraternità, di pace, di amicizia, di solidarietà, di incontro anche con il povero, con il ricco, con il musulmano, con il lebbroso di oggi… Seguire Gesù mi autorizza ad un Vangelo bello nella vita concreta”.
Il Vangelo è scomodo, perché interroga la vita di ogni persona: “Il Vangelo è scomodo, perché è vero e non una fiction: e san Francesco ha patito il rigetto di suo padre, l’incomprensione dei suoi frati, il fraintendimento nostro quando lo riduciamo ad un’icona dell’ecologia e del panteismo e di un pacifismo ingenuo.
Il Vangelo è scomodo perché è segno di contraddizione, è accettare persecuzioni e fraintendimenti anche dentro la Chiesa, anche tra i suoi fratelli. E’ anche accettare il silenzio di Dio, come Gesù sulla croce, come san Francesco con le stimmate. Il Vangelo è scomodo perché il mondo non lo riconosce e preferisce le tenebre alla luce, il peccato alla grazia, la violenza al perdono. Vivere le beatitudini, come Francesco le ha incarnate, è scomodo. E’ un modo scorretto di presentarsi al mondo, perché ci si espone o ad essere considerati ridicoli (ingenui, goffi, bizzarri) o ad essere presi come integralisti, come fanatici. Il Vangelo è scomodo perché è vivere nell’amore di Cristo, fino al dono di sé, e per chi ti offende e ti insulta e ti crocifigge”.
Il Vangelo è bello e scomodo, ma è la ‘nostra passione’, ha concluso l’omelia: “Il Vangelo è la nostra passione. Con san Francesco vogliamo che il Vangelo sia la nostra ostinata passione. Cioè come per Francesco deve diventare il desiderio estremo, che ci consuma nell’amore, nell’abbandono a Dio, come Gesù, che è abbandonato dagli uomini e si abbandona al Padre. Il Vangelo che appassiona è il bicchiere d’acqua dato ai fratelli, il restare inginocchiati davanti all’Altissimo Onnipotente buon Signore, la ricerca della pecorella smarrita e la gioia del sapersi cercati dal Signore quando ci siamo perduti, la verità che rende liberi anche di fronte ai prepotenti, il perdono che risana il cuore, la visita all’ammalato che ridà spessore alla vita, la mitezza nei confronti degli arroganti, il silenzio che ti fa sospirare la Parola di Dio e la musica con cui canti il suo amore, l’umile ricostruzione della Chiesa, la condivisione di quello che hai e che sei, l’onore dato ad ogni piccolo e ad ogni povero”.
(Foto: diocesi di Trieste)
A Camerino inaugurato il nuovo Centro pastorale diocesano
Domenica 9 giugno a Camerino è stato inaugurato il nuovo Centro pastorale diocesano nei locali dell’ex seminario, di cui l’arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, mons. Francesco Massara, ne è stato il più convinto promotore, sensibile da sempre alla necessità di realizzare luoghi di aggregazione per le nuove generazioni. L’ex Seminario, danneggiato dal sisma del 2016, è stato ritenuto idoneo a questa ‘missione’ ed al termine di un’importante ristrutturazione, è riconsegnato all’arcidiocesi che lo mette a disposizione della comunità camerte.
Il nuovo Centro pastorale ospita alcune ampie sale per l’oratorio e gli incontri pastorali, un centro di ascolto della Caritas diocesana, un ambiente polivalente ed una spaziosa sala multimediale di ultima generazione. Per favorire le possibilità di incontro e di svago, il centro è dotato anche di uno spazio esterno attrezzato con un moderno campo da calcetto, uno da beach volley, oltre ad altri spazi verdi per i giochi. Grazie all’installazione di un ascensore, una parte dell’edificio ospita la casa del clero con cinque camere per i sacerdoti anziani che necessitano di assistenza in un ambiente familiare dove condividere la loro esperienza umana e sacerdotale.
Trentatré posti-letto sono riservati agli studenti, aggiungendo così ulteriore disponibilità di alloggio agli universitari, oltre quella già messa a disposizione nel Residence Next Generation, inaugurato nel centro storico di Camerino alla fine del 2022, come spiegato da una nota dell’arcidiocesi: “Per la prima volta, nel nostro territorio, viene realizzata un’opera fruibile contemporaneamente da tre generazioni (anziani, adulti e bambini), un significativo esempio di condivisione per promuovere il dialogo intergenerazionale, pur nella differenza delle attività pensate per ciascuno. Per questa ragione, l’arcivescovo ha voluto intitolare il nuovo Centro pastorale ad alcune figure camerti che hanno lasciato un’impronta indelebile nel cuore di tutti”.
La zona dedicata all’Oratorio ed alle attività pastorali è stata intitolata a Stefania Scuri e Maurizio Cavallaro, provenienti dall’esperienza dello scoutismo: la giovialità e lo spirito di servizio che hanno animato la loro vita rappresentano un esempio per tutti ed uno stimolo a ‘lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato’; mentre gli spazi sportivi esterni sono stati dedicati a mons. Quinto Martella.
Il Centro di ascolto gestito dalla Caritas diocesana, invece, è stato dedicato a mons. Renzo Rossi, sacerdote scomparso nel 2007, che è ricordato per la generosità e per l’aiuto materiale e spirituale che prodigava ai bisognosi. Infine, l’area esterna per le attività ludiche e sportive verrà intitolata a mons. Quinto Martella, morto nel 2020, il quale, come sacerdote ed insegnante, è sempre stato a contatto con i giovani, lasciando in eredità una significativa offerta che ha dato impulso alla realizzazione del Centro pastorale.
Inaugurando la struttura l’arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, mons. Francesco Massara, ha preso lo spunto da una canzone di Luciano Ligabue per spiegare la realizzazione di un ‘sogno’: “Dobbiamo imparare ad uscire dai localismi, in quanto ogni paese ha bisogno di un campanile, ma non di un nuovo campanilismo”.
Per quale motivo un nuovo centro pastorale diocesano?
“L’idea di un nuovo centro pastorale diocesano nasce dalla necessità di avere spazi d’incontro che si erano persi durante il terremoto del 2016. Un luogo dove poter usufruire di tutto quello che necessita per integrare le relazioni e la formazione delle nostre comunità provate in tutti questi anni”.
Un luogo in cui possono coesistere tre generazioni (bambini, giovani ed anziani): è possibile un dialogo intergenerazionali?
“E’ possibile un dialogo intergenerazionale che porta ad una ricchezza tra la sapienza degli anziani, la gioia dei bambini ed i sogni dei nostri giovani … un cammino di crescita e di scambi che porterà ad una società migliore”.
C’è anche un centro di ascolto della Caritas: quanto è importante ascoltare?
“Il centro di ascolto offre un’attenzione alle povertà del territorio .Oggi si sente molto, ma si ascolta poco e si dedica poco tempo di qualità. Diventa necessario aprire i nostri cuori per incontrare Dio ed i poveri che ci stanno intorno”.
In quale modo la Chiesa cerca di fornire risposte alle domande dei giovani?
“La Chiesa è da sempre vicina ai giovani: li ascolta, li accompagna, li aiuta a realizzare quei sogni che a volte la società di oggi infrange. Loro sono il nostro presente ed il nostro futuro”.
Ad otto anni dal sisma si intravede qualcosa?
“Ad otto anni dal sisma come Chiesa stiamo portando avanti la ricostruzione con grande fatica ma con grande determinazione, sostenendo da sempre che non c’è una ricostruzione delle case senza una ricostruzione sociale ed economica. Solo così questo territorio non morirà”.
(Tratto da Aci Stampa)
Caritas italiana racconta l’impegno volontario dei giovani
Nella prima settimana di giugno a Roma è stato presentato il secondo rapporto della Caritas italiana sul volontariato nel contesto dell’incontro dei referenti diocesani Caritas del volontariato; mentre nello scorso marzo era stato pubblicato il rapporto ‘Tutto è possibile. Il volontariato in Caritas’ con i dati dei volontari Caritas attivi nelle diocesi e nelle parrocchie italiane: 84.248 persone.
Dal Rapporto emerge che nello scorso anno sono 13.732 i giovani tra i 16 e i 34 anni che fanno volontariato in Caritas, nelle parrocchie e nei servizi diocesani. In maggioranza sono ragazze, hanno un titolo di studio medio-alto, in maggioranza hanno un lavoro. Non tutti si dichiarano cattolici e solo un terzo abbondante è impegnato a livello ecclesiale. Circa il 40 per cento dei giovani fa servizio anche in altre realtà associative e tre quarti di loro donano più di cinque ore settimanali.
Dall’indagine emerge che sono 13.732 i giovani tra i 16 e i 34 anni che fanno volontariato nelle Caritas, nelle parrocchie e nei servizi diocesani, in maggioranza donne (70,3%); il 38,5% hanno un titolo di studio medio-alto, di cui il 38,5% è laureato ed il 29,2% ha un titolo di scuola media superiore. Di questi non sono tutti studenti; infatti il 46,1% lavora ed il 38,5% studia, mentre il 12.3% è disoccupato.
L’83,1% si dichiara cattolico, ma solo il 38,5% ha altri impegni nella dimensione ecclesiale; ed il 73,8% dedica al volontariato più di 5 ore alla settimana. Inoltre il 40% fa volontariato anche presso altre realtà sociali, non solamente cattoliche, pubbliche e private. I giovani volontari sono entrati in contatto con la Caritas soprattutto perché frequentavano parrocchie o associazioni cattoliche (41,5%) oppure perché conoscevano personalmente operatori o responsabili di servizi (35,4%); il 25% di loro ha fatto il Servizio Civile o l’Anno di volontariato sociale.
Nel volume si parla anche delle varie proposte di volontariato di Caritas Italiana o sviluppate sui territori. 22 le diocesi coinvolte nell’analisi quantitativa, 421 i progetti di volontariato giovanile sostenuti nell’ambito del Progetto nazionale ‘Servizio. nonviolenza, cittadinanza’ (tra il 2006 e il 2023), 181 progetti di Anno di volontariato sociale, 240 le ‘Proposte diversificate’ in 97 Caritas diocesane. Il Servizio civile, dal 2001 (anno in cui fu istituito il Servizio civile nazionale su base volontaria), ha visto la partecipazione di circa 14mila volontari, in progetti in Italia e all’estero.
Il direttore della Caritas nazionale, don Marco Pagniello, ha sottolineato il valore del volontariato: “L’esperienza del volontariato in Caritas, in particolare va oltre il semplice fare: tocca l’anima, invitando i giovani a guardare oltre sé stessi per abbracciare una visione più ampia di solidarietà e fraternità universale, a partire dai più poveri. In questo modo, il volontariato diventa non solo un’opportunità di crescita personale, ma anche un mezzo per costruire una società più giusta e solidale”.
Ed ha raccontato l’esperienza del volontariato nella Caritas nel ricordo di mons. Nervo: “L’esperienza del volontariato in Caritas, in particolare, va oltre il semplice fare: tocca l’anima, invitando i giovani a guardare oltre sé stessi per abbracciare una visione più ampia di solidarietà e fraternità universale, a partire dai più poveri. In questo modo, il volontariato diventa non solo un’opportunità di crescita personale, ma anche un mezzo per costruire una società più giusta e solidale.
Questo rende giustizia ad una delle intuizioni di don Giovanni Nervo che, parlando dell’identità del volontario, affermava che ‘essere volontari significa portare nei servizi alla persona un supplemento d’anima’. Il volontariato giovanile è in grado di portare al servizio questo abbondante supplemento d’anima: i giovani, con il loro entusiasmo e la loro capacità empatica sono in grado di umanizzare i servizi, soprattutto laddove gli operatori appaiono schiacciati dal peso di una domanda sociale sempre più complessa e urgente”.
(Foto: Caritas Italiana)
A Camerino sarà inaugurato il nuovo Centro pastorale
Domenica 9 giugno, alle ore 16.00, a Camerino, avrà luogo l’inaugurazione del nuovo Centro pastorale diocesano nei locali dell’ex Seminario, in via Macario Muzio n. 8. L’arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, mons. Francesco Massara, ne è stato il più convinto promotore, sensibile da sempre alla necessità di realizzare luoghi di aggregazione per le nuove generazioni.
L’ex Seminario, danneggiato dal sisma del 2016, è stato ritenuto idoneo a questa ‘missione’ ed al termine di un’importante ristrutturazione, è riconsegnato all’arcidiocesi che lo mette a disposizione della comunità camerte.
Il nuovo Centro pastorale ospiterà alcune ampie sale per l’Oratorio e gli incontri pastorali, un Centro di ascolto della Caritas diocesana, un ambiente polivalente e una spaziosa sala multimediale di ultima generazione. Per favorire le possibilità di incontro e di svago, il Centro sarà dotato anche di uno spazio esterno attrezzato con un moderno campo da calcetto, uno da beach volley, oltre ad altri spazi verdi per i giochi. Grazie all’installazione di un ascensore, una parte dell’edificio ospiterà la Casa del clero con cinque camere per i sacerdoti anziani che necessitano di assistenza in un ambiente familiare dove condividere la loro esperienza umana e sacerdotale.
33 posti letto saranno riservati agli studenti, aggiungendo così ulteriore disponibilità di alloggio agli universitari, oltre quella già messa a disposizione nel Residence Next Generation, inaugurato nel centro storico di Camerino alla fine del 2022.
“Per la prima volta, nel nostro territorio, viene realizzata un’opera fruibile contemporaneamente da tre generazioni (anziani, adulti e bambini), un significativo esempio di condivisione per promuovere il dialogo intergenerazionale, pur nella differenza delle attività pensate per ciascuno. Per questa ragione, l’arcivescovo ha voluto intitolare il nuovo Centro pastorale ad alcune figure camerinesi che hanno lasciato un’impronta indelebile nel cuore di tutti”, spiega una nota della diocesi.
La zona dedicata all’Oratorio ed alle attività pastorali sarà intitolata a Stefania Scuri e Maurizio Cavallaro prematuramente scomparsi, entrambi provenienti dall’esperienza dello scoutismo: la giovialità e lo spirito di servizio che hanno animato la loro vita rappresentano un esempio per tutti ed uno stimolo a ‘lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato’.
Il Centro di ascolto gestito dalla Caritas diocesana, invece, sarà dedicato a mons. Renzo Rossi, sacerdote scomparso nel 2007, che è ricordato per la generosità e per l’aiuto materiale e spirituale che prodigava ai bisognosi. Infine, l’area esterna per le attività ludiche e sportive verrà intitolata a mons. Quinto Martella, morto nel 2020, il quale, come sacerdote ed insegnante, è sempre stato a contatto con i giovani, lasciando in eredità una significativa offerta che ha dato impulso alla realizzazione del Centro pastorale.
(Foto: diocesi di Camerino-San Severino Marche)
Cucina nuova per la locanda della fraternità per la mensa della Caritas di Tricase
La Mensa sociale ‘Locanda della fraternità’, sita a Tricase in via Galvani,44 presso Maior Charitas (lungo la strada provinciale che da Tricase conduce a Montesano Salentino, a circa 800 metri dall’Ospedale ‘Card. G. Panico’) si dota di una cucina più moderna e accessoriata grazie ad un finanziamento a fondo perduto ottenuto nell’ambito del PSR Puglia 2014/2020 – Misura 19 – Sottomisura 19.2 – Azione 3. Servizi per la popolazione rurale nel Capo di Leuca – Bando Intervento 3.2. ‘Mense Collettive’ – Piano di Azione Locale ‘il Capo di Leuca e le Serre Salentine’ e attuato dal GAL Capo di Leuca.
Le somme destinate hanno permesso l’acquisto di elettrodomestici tecnologicamente più avanzati. E’ stato installato un nuovo forno elettrico completo di cappa in acciaio inox, con motore, un abbattitore di temperatura un’affettatrice a gravità con trasmissione a cinghia, un armadio refrigerato BT capacità 700 lt e un tagliere in polietilene.
L’ammodernamento della cucina della mensa permetterà di offrire un servizio migliore alle persone che frequentano la locanda che, negli ultimi mesi, ha incrementato le presenze. “Vengono a trovarci circa 30 persone al giorno” afferma don Lucio Ciardo, direttore della Caritas diocesana di Ugento – Santa Maria di Leuca. “Non sono necessariamente persone bisognose e sole. Condividere il pranzo con volontari, utenti del servizio e famigliari di lungo degenti dell’ospedale è un’esperienza umana e spirituale che ci congiunge concretamente con Dio” conclude il don.
La ‘Locanda della fraternità’ è aperta a pranzo dal lunedì al venerdì. Non è solo una mensa nel senso letterale della parola, ma vuole essere un luogo di promozione di relazioni, un punto di ascolto privilegiato dei bisogni e di osservazione. Il progetto ‘Locanda della Fraternità’ di ammodernamento della mensa, oltre alla Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca-Caritas Diocesana, coinvolge altri due soggetti partner: I.P.A.D. Mediterranean – Cooperativa Sociale di Tipo B e Banco delle Opere di Carità Puglia – Onlus.
L’IPAD. Mediterranean – Cooperativa Sociale di Tipo B –L’acronimo I.P.A.D. (Integration, Peace And Development) vanta nel come il termine ‘Mediterranean’ come richiamo diretto a questa terra che da sempre è crocevia di culture. La cooperativa opera principalmente in campo agricolo partendo dalla valorizzazione di una cultivar tipica del territorio: la pestanaca ‘Sant’Ippazio’. IPAD fornirà prodotti ortofrutticoli alla Locanda della Fraternità ‘Maior Charitas’ come garanzia di genuinità dei prodotti offerti.
Il Banco delle Opere di Carità Puglia opera sul territorio salentino con l’obiettivo di contrastare la povertà alimentare promuovendo una cultura contro lo spreco e la promozione di uno stile sobrio e attento ai bisogni dei più poveri. L’attività istituzionale è rappresentata dalla raccolta di derrate alimentari, provenienti principalmente dall’AGEA, attraverso il Programma europeo FEAD, ma anche da donazioni di aziende ed organizzazioni di produttori agricoli e dalla relativa distribuzione agli enti convenzionati, i quali si occupano di elargire tali derrate ai propri assistiti, alle persone ed ai nuclei familiari in condizioni di indigenza.
Il Banco, in tutti questi anni, ha dato vita ad una rete di solidarietà che conta sull’adesione di circa 145 enti, ovvero associazioni, Caritas parrocchiali, confraternite, comuni, etc. tutti impegnati nel contrastare la povertà di natura alimentare. Indicativamente, questa rete è in grado di aiutare circa 26.000 persone in condizione di disagio economico sul territorio salentino.
A Macerata avviato il progetto di co-housing per giovani
Si chiama ‘Casa di Bethlem’ e ha come finalità quella di garantire un servizio di prima accoglienza a chi è in condizioni di bisogno, progetto promosso nella diocesi di Macerata, situata nel centro storico della città, che offre, con oltre 50 posti a disposizione, ospitalità nonché uno spazio ambulatoriale tramite lo ‘Sportello salute’ per i senza dimora, gestito dai medici volontari dell’Amci, come ha evidenziato mons. Nazzareno Marconi: “Si tratta di un’iniziativa messa in atto dalla Chiesa nell’ambito assistenziale e caritativo per supportare gli ultimi. Una mano tesa, un primo ascolto, la prima porta aperta che queste persone troveranno a Macerata”.
Ed in questa struttura è iniziato il progetto ‘C’è un piano per te’, che ha una durata di dieci mesi fino al prossimo luglio, come racconta Sara Carloni, referente del Progetto Policoro della diocesi di Macerata: “Il progetto si attua presso la struttura di Prima Accoglienza ‘Casa di Bethlem’, a Macerata. La struttura è una ‘Casa per chi non ha casa’, un ambiente pronto ad accogliere quanti sono nel bisogno, sofferenti e smarriti, che sperimentano la precarietà di chi ha perso tutto. Dopo pochi mesi dall’apertura ha accolto 50 persone con esperienze di breve e lungo periodo e di varie nazionalità. E’ una struttura per accogliere le storie dei poveri, un luogo di incontro tra le persone che vivono il dramma di non sapere dove passare la notte, dando loro un caldo ristoro, e tra tanti di noi che vivono la solitudine, trovando una famiglia accogliente”.
Cosa è ‘C’è un piano per te’?
“Nel 2022 la Caritas di Macerata ha rilevato sul territorio diocesano una severa crisi abitativa. Soprattutto i soggetti più deboli, nel cercare casa, faticano a dare garanzie alle agenzie immobiliari; oltre a ciò, anche gli enti pubblici territoriali hanno osservato un notevole incremento di persone con problemi di alloggio. Pertanto la Diocesi ha individuato un edificio da adibire alla pronta accoglienza: Palazzo Squarcia, in via Gioberti n° 6, nel centro di Macerata. L’edificio ha 40 posti letto e, grazie ad operatori Caritas e volontari, garantisce agli ospiti un servizio di accoglienza adeguato.
‘Casa di Bethlem’, questo è il nome della struttura, si sostiene grazie alla diocesi ed a progetti specifici, ma si basa anche e soprattutto sul contributo volontario e sul sostegno degli abitanti e delle realtà commerciali e produttive del territorio. Ad aprile 2023 dunque è stata inaugurata la Casa, per dare prima accoglienza a persone senza fissa dimora o emarginate. L’ultimo piano è stato dedicato agli universitari di Macerata; anche essi infatti vivono sempre più difficoltà abitative che, in extremis, li costringono a scegliere tra la casa o il cibo, o a dover abbandonare gli studi”.
Per quale motivo è stato avviato tale progetto?
“Dalla collaborazione tra Caritas e Pastorale Giovanile e con il supporto del Progetto Policoro, è nato ‘C’è Un Piano Per Te’. Questo progetto propone agli studenti un’esperienza di co-housing per ‘fare casa’, condividere lo studio, servire i più bisognosi, mettersi in gioco e conoscere da vicino la Caritas. Vivere una tale esperienza vuol dire promuovere l’internazionalità, l’interculturalità e la condivisione di bisogni e desideri. C’è posto per 3 giovani, italiani e stranieri, con un livello di italiano minimo A2. I partecipanti sono supervisionati e accompagnati, come singoli e in gruppo, da un’equipe in cui vi sono la responsabile della casa, un tutor Caritas ed un coordinatore di pastorale giovanile. Ai partecipanti è inoltre chiesto di partecipare alla vita della Casa, rispettandone le regole e condividendo con gli ospiti accolti i pasti e i momenti comuni. In base al tempo e alle competenze di ogni studente, si progetta un percorso personale di 10-15 ore di volontariato settimanali in struttura. Nel programmare, svolgere e valutare questo servizio, i partecipanti sono quotidianamente affiancati dagli operatori della Casa stessa”.
Come funziona il progetto?
“Dall’inizio dell’esperienza e per tutta la sua durata i ragazzi possono formarsi sul servizio che svolgono, condividerne con un tutor specifico l’andamento, programmarne le attività e anche valorizzare le competenze acquisite grazie ad un attestato finale. Il progetto ha durata pari a dieci mesi e dopo i primi tre mesi si prevede una verifica condivisa tra l’equipe di progetto e ogni giovane, per confermare o meno il proseguimento. Vista la natura del progetto, è richiesta un’elevata motivazione a prendervi parte e la disponibilità a viverne i valori”.
(Foto: Diocesi di Macerata)
Caritas Italiana: i confini sono ‘zone di contatto’
Giovedì 11 aprile si è concluso a Grado il 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane dedicato al tema dei ‘Confini, zone di contatto, non di separazione’ con la partecipazione di 613 persone, tra direttori e membri di équipe provenienti da 182 Caritas diocesane di tutta Italia, con la testimonianza di don Otello Bisetto, cappellano del carcere minorile di Treviso, alla quale si è aggiunta quella di Giulia Longo, operatrice della Caritas in Turchia, che ha riportato la sua esperienza di impegno ‘al confine’ e nel post terremoto, dando voce ai molti giovani operatori Caritas: “Non su può essere giovani senza gli adulti, non si può essere adulti senza i giovani”.
Mentre mons. Alojzij Cvikl, presidente della Caritas Slovenia, ha raccontato la vita di un’arcidiocesi di ‘confine’: “Dopo il 1991 iniziarono ad aprirsi le frontiere, sia verso l’Italia, sia verso l’Austria e l’Ungheria,.. E’ stato un cambiamento storico. Prima il confine era una barriera, una divisione, lo si attraversava con paura, perché c’erano file e si facevano controlli.
I confini erano un luogo di separazione, anche per le famiglie, i parenti. La politica indicava quelli dall’altra parte del confine come a dei nemici. Insomma, erano tempi difficili e dolorosi. Nella nostra arcidiocesi abbiamo una chiesa filiale, dove il confine scendeva al centro della chiesa, metà dell’altare era in Austria, metà in Slovenia. La chiesa aveva due sacrestie per il sacerdote che veniva dal suo fianco alla chiesa. Le Sante Messe tedesche e slovene erano rigorosamente separate”.
Però il confine è anche un ponte: “Dal 2016, con il vescovo di Graz, concelebriamo la santa messa insieme in questa chiesa, la seconda domenica di luglio. Così i credenti di entrambe le parti ogni anno si sentono sempre più vicini. Il confine è diventato un ponte, un luogo di incontro, di arricchimento e di gioia per stare insieme… I confini non devono dividerci. Possiamo imparare gli uni dagli altri e sostenerci a vicenda. Questo si manifesta soprattutto quando l’altro è nei guai, quando viene messo alla prova”.
Negli ‘orientamenti’ conclusivi il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, ha indicato le proposte di lavoro per continuare il cammino Caritas nei prossimi mesi, richiamando le parole del primo presidente di Caritas Italiana, mons. Giovanni Nervo, che sottolineava il valore della parola ‘confine’:
“Siamo abituati a dire il Padre nostro e finiamo col non accorgerci che è una preghiera terribilmente impegnativa. Quelli che si rivolgono alla stessa persona chiamandola padre riconoscono di essere fratelli a tutti gli effetti: se poi nella vita di ogni giorno non riconosciamo negli altri uomini i nostri fratelli, abbiamo mentito e offendiamo il padre, che ama gli altri figli come ama noi.
Allora che mio fratello sia ammalato in casa mia, o nel paese vicino, o a diecimila chilometri di distanza sostanzialmente non fa differenza: anzi, se è lontano, la sua malattia mi crea angoscia perché mi è più difficile aiutarlo… Dipende da dove poniamo i confini del mondo. Possiamo porli in noi stessi. Possiamo porli nel nostro gruppo (famiglia, partito, razza, paese). Possiamo togliere ogni confine: allora ogni uomo è mio fratello”.
Per questo don Pagniello ha ricordato che per la Caritas i confini non sono dei limiti, ma delle ‘zone di contatto’, cioè “luoghi in cui fare l’esperienza della presenza di Dio perché ci permettono di aprirci agli altri e di capire che c’è Qualcuno che può fare prima, durante e dopo il nostro servizio… I confini sono tessere cruciali nel mosaico che compone la vita e le relazioni umane. L’ambivalenza del termine ‘Ospite’, che definisce sia chi accoglie, sia chi viene accolto, esprime la dinamica relazionale del confine”.
I confini, per don Pagniello, sono ‘identità’ da custodire da coloro i quali vogliono abbatterli per evitare controlli: “Il commercio delle armi non deve essere ‘semplificato’, come nell’intento dei promotori di questa proposta di legge in discussione in Parlamento (voto già avvenuto al Senato, dibattito in corso alla Camera) se non negli interessi diretti di chi queste armi produce e commercia. E questa ‘semplificazione’ non produrrà nessun miglioramento della sicurezza del nostro Paese. Sarà anzi molto più facile che le armi italiane finiscano a Paesi in guerra, le cui pratiche sono in aperta violazione dei diritti umani”.
Ed ecco il motivo per cui il direttore di Caritas italiana ha lanciato la sfida di ‘difendere’ i confini in modo diverso: “I giovani di oggi vogliono pensare e decidere il loro avvenire. Non è legittimo e doveroso da parte nostra, che apparteniamo alla storia e alla cultura del passato, incoraggiare e sostenere i giovani perché accettino questa sfida di civiltà e si misurino con essa per imparare ad amare la patria e a difenderla in modo diverso più umano, più civile, più cristiano di quello delle armi?”
Infatti dalle parole di mons. Nervo nasce l’opportunità di ‘sconfinare’ in quanto ‘tutto è connesso’: “E’ questa l’opportunità di mons. Giovanni Nervo che scegliamo per imparare a connettere i fenomeni, nella consapevolezza che possiamo meglio affrontare le questioni e le sfide locali solo se teniamo in considerazione il contesto globale. ‘Sconfinare’ è, in questo caso, una scelta che ci definisce”.
Per tale motivo Caritas Italiana ha avviato il ‘Coordinamento Europa’, condividendo l’appello di Caritas Europa su cinque priorità in vista delle elezioni del prossimo giugno, proposte per il Parlamento europeo per un’Europa ‘più giusta’: mercati del lavoro e protezione sociale efficaci, accesso garantito a servizi sociali buoni e di qualità, tutela dei diritti umani e della dignità nelle politiche di migrazione e di asilo, finanziamenti costanti per gli attori locali che svolgono attività di sviluppo e umanitarie, politiche globali più eque per lo sviluppo sostenibile, affrontando questioni come la necessità di sistemi alimentari equi e la finanza per il clima.
Infine il Direttore di Caritas Italiana ha rilanciato l’importanza della presenza dei volontari che sono un indicatore dell’efficacia del lavoro di animazione della comunità cui è chiamata la Caritas. Ha richiamato alla necessità di ‘stare nelle complessità’ e ribadito il senso ed il ruolo della Caritas, ad ogni livello, perché l’efficacia della Caritas non si misura sul fare, ma sull’essere: ‘Il nostro fare nasce dal nostro essere’:
“Riconoscere i nostri confini significa imparare a stare sulla soglia, consapevoli dei nostri limiti e potenzialità, disposti a scoprire parti di sé che solo l’Altro può svelare. Animare la comunità, perché sappia custodire il senso profondo dell’umano che affiora nella capacità di abitare il ‘tra’ di un attraversamento che è anche un intrattenersi… Abitare il confine significa essere testimoni di carità, per seminare speranza ed essere segno, sapendo che “la prima opera segno è lo stile con cui facciamo le cose”.
Nella liturgia di apertura mons. Francesco Moraglia, patriarca di Venezia e presidente della Conferenza episcopale del Triveneto, ha sottolineato che la Chiesa è chiamata a non disgiungere carità e giustizia: “La Chiesa è immersa in una dinamica d’amore concreto e senza confini. E nella nostra società è chiamata sempre più a mostrare e indicare che c’è sì la giustizia ma c’è anche la carità (le due dimensioni non vanno confuse ma vanno tenute insieme) e che la vita dell’uomo non può essere ridotta ad una concezione materialista o spiritualista che, di fatto, porterebbero a ridimensionare o umiliare la dignità dell’uomo stesso”.
In questa ‘immersione’ nel mondo la preghiera è il fondamento dell’azione: “La preghiera ci aiuta così a capire, a discernere, ad opporci ad una concezione dell’uomo in cui Dio o è negato o espulso al di fuori delle vicende storiche del nostro oggi che ci interpella come discepoli e discepole del Signore. Una fede disincarnata non è la fede del Vangelo. Cornelio, alla fine, si fida e si affida alla parola di Pietro; non sa ancora di doversi battezzare ma accetta la Parola di Dio ed entrerà, così, nella comunità del Risorto”.
Mentre, introducendo i lavori della giornata di apertura, il presidente di Caritas Italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia, ha sottolineato che i confini sono anche occasioni di ‘grazia’: “Domani pomeriggio passeremo un confine, ormai superato dalla storia e che non c’è mai stato fino al Novecento, che divide le due città Gorizia e Nova Gorica, due realtà che l’anno prossimo saranno insieme capitale europea della cultura. Un evento che per il solo fatto di essere stato pensato come possibile è già per noi una grazia. Comprendete quindi che parlare di confini come zone di contatto e non di separazione per noi che abitiamo e viviamo qui non è una questione di principio o di studio, ma è qualcosa che tocca la nostra carne, il nostro cuore e la nostra mente. E’ per noi un tema necessario”.
Prendendo spunto dal saluto in tre lingue mons. Redaelli ha spiegato che i confini sono stati spesso separazioni dolorose: “Le tre lingue ci fanno entrare immediatamente nel tema del nostro convegno, perché indicano comunque dei confini linguistico-culturali ben precisi.
Confini che nella storia del secolo scorso, intrecciandosi con i confini voluti e approfonditi dai nazionalismi e dalle ideologie totalitarie, hanno ferito gravemente questa terra e soprattutto hanno scavato nei cuori e nelle menti dei confini ancora più difficili da valicare rispetto a quelli fisici”.
(Foto: Caritas Italiana)
Dopo 13 anni la Siria ancora in guerra
Il 15 marzo la guerra in Siria è entrata nel suo 14° anno, come ha scritto in una nota la Caritas italiana: “Il conflitto, scoppiato nel marzo 2011 ha gettato oltre 16.700.000 persone in stato di bisogno, il numero più alto di sempre dall’inizio della guerra. 7.500.000 sono minori; 7.200.000 gli sfollati interni, sui quali si è abbattuto anche il violento terremoto del 6 febbraio 2023. Tra il 1° gennaio e il 31 ottobre 2023 sono 454 i civili uccisi, di cui 115 sono bambini. Una guerra che, ‘nel silenzio’ dei mezzi di comunicazione, continua a uccidere”.
La Caritas in Siria opera a favore delle comunità colpite fin dall’inizio del conflitto, con aiuti d’urgenza, riabilitazione socio-economica, ricostruzione. Un impegno costante che riguarda anche la riconciliazione di un popolo che non smette di chiedere pace.
Il comunicato termina con le parole del vescovo mons. Hanna Jallouf, vicario apostolico di Aleppo dei Latini in Siria, in visita a Caritas Italiana a fine gennaio: “Sono passati già 13 anni di guerra e speriamo che un giorno arriveremo ad una pace vera, che permetta ai nostri ammalati di andare a curarsi, ai nostri bambini di andare a studiare e coltivare il loro futuro, e le persone a tornare a reincontrarsi dopo 10-11 anni di lontananza”.
Inoltre secondo un’indagine dell’Unicef sulle famiglie condotta nel nord della Siria, il 34% delle bambine e il 31% dei bambini hanno riportato uno stress psicosociale. Allo stesso modo, le valutazioni condotte nelle aree colpite dal terremoto hanno riportato una percentuale ancora più alta di bambini che mostrano un grave stress psicologico comportamentale (83% degli intervistati), come ha dichiarato la direttrice regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, Adele Khodr:
“La triste realtà è che oggi e nei prossimi giorni molti bambini in Siria compiranno 13 anni e diventeranno adolescenti, sapendo che la loro intera infanzia è stata segnata da conflitti, sfollamenti e privazioni.
In definitiva, i bambini hanno bisogno di una possibilità. Hanno bisogno di una soluzione pacifica a lungo termine alla crisi, ma non possiamo semplicemente aspettare che ciò accada. Nel frattempo, è fondamentale garantire che i bambini e le famiglie non solo abbiano accesso ai servizi di base, ma anche che siano dotati delle competenze necessarie per costruire il proprio futuro”.
Inoltre l’Unicef ha ricordato che più di 13.000.000 di siriani (circa la metà della popolazione prima del conflitto) sono sfollati all’interno o all’esterno della Siria e non possono tornare alle loro case e più di due terzi della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria, in quanto i finanziamenti umanitari sono scesi ai minimi storici, sia all’interno della Siria stessa che per i siriani nei Paesi limitrofi; mentre quasi la metà dei 5.500.000 bambini in età scolare, circa 2.400.000 bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni, non vanno a scuola:
“Una generazione di bambini in Siria ha già pagato un prezzo insopportabile per questo conflitto. Il sostegno continuativo della comunità internazionale è fondamentale per ripristinare i sistemi di fornitura dei servizi sociali di base, come l’istruzione, l’acqua e i servizi igienici, la salute, la nutrizione, la protezione dell’infanzia e quella sociale, assicurando che nessun bambino in Siria venga lasciato indietro”. Nel 2024, l’UNICEF ha bisogno di € 401.700.000 per fornire un’ancora di salvezza essenziale a 8.500.000 persone, tra cui 5.400.000 bambini.
Anche l’ong ‘Un ponte per…’ ha denunciato che in Siria, donne e bambine pagano il prezzo più alto della guerra: “Sono le prime a perdere l’opportunità di studiare, ad essere esposte a violenze, ad essere discriminate. E le ultime ad essere supportate. Nel Nord Est Siria dopo 13 anni di conflitto ancora 2.000.000 persone sono in stato di necessità.
L’emergenza colpisce le donne e le bambine in maniera diversa e contribuisce ad aumentare violenza di genere, disuguaglianze economiche, matrimoni infantili e lavoro minorile. Difendere i diritti di donne e bambine in Siria è fondamentale per garantire protezione e partecipazione attiva nella vita pubblica del loro paese, come ha raccontato Nada, la madre di Mariam (8 anni), Bissan (11 anni) e Ghazal (13 anni): “Hanno vissuto cose che nemmeno noi adulti avremmo potuto gestire. Quando siamo arrivati a Raqqa non giocavano con i loro compagni di scuola, non avevano nemmeno amici, non si fidavano di nessuno. Erano cupe e timide. Oggi sorridono e riescono a stringere relazioni con i loro coetanei”.
Per questo grazie alla campagna ‘Libere di rompere’ di ‘Un Ponte per…’ 304 donne e ragazze e 283 bambine/i sono state coinvolte in attività psico-sociali negli ‘Spazi Sicuri’ garantendo loro l’opportunità di socializzazione in uno spazio protetto; 16 donne e 24 bambine/i sopravvissuti/e a violenze e abusi hanno ricevuto un’assistenza psicologica e sociale gratuita e continua; 150 donne e bambine/i hanno usufruito del servizio di trasporto sicuro e gratuito per raggiugere gli Spazi Sicuri e riuscire ad avere accesso ai servizi a loro dedicati; 1350 bambini/e e 1000 donne e ragazze sfollate provenienti da Aleppo, Raqqah, Idlib e Jarablous, hanno ricevuto servizi sanitari primari gratuiti e salute materna e infantile presso il Centro Sanitario di base di Membij, l’unica struttura di assistenza primaria operativa esistente nell’area di 70 km.