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A Trieste mons. Trevisi lancia un appello: volontari ed offerte per aiutare i poveri

“La Fondazione Caritas (che è un ente operativo della Diocesi) e la Caritas Diocesana (espressione diretta della nostra Chiesa per alcuni progetti caritativi) stanno svolgendo una serie di attività e servizi nelle direzioni più disparate: si va dal Centro di ascolto (con sostegno a persone e famiglie in difficoltà varie) all’Emporio della Solidarietà; dal dormitorio per i senza fissa dimora (in convenzione con il Comune) all’accoglienza per altri soggetti fragili (famiglie e donne con bambini piccoli), dalla Mensa per i poveri (che nello scorso anno ha fatto più di 106.000 pasti), all’accoglienza dei Migranti con strutture convenzionate con la Prefettura e altre a totale carico della diocesi e di chi vuole contribuire (pensiamo al dormitorio di via S. Anastasio per i transitanti o coloro che ancora non sono stati accolti per le lungaggini burocratiche)”.

E’ l’inizio dell’appello del vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, alla città, che ha elencato le attività portate avanti dalla Caritas diocesana: “Basti vedere caritastrieste.it dove si legge: 375 volontari; 124 persone operative; 13.810 persone aiutate e sostenute (di cui 861 minori); 19 progetti attualmente attivi… E poi c’è tutto il lavoro delle Caritas e delle San Vincenzo nelle parrocchie o la Mensa dei Cappuccini o di altre associazioni (pensiamo a S. Egidio…): un magma di iniziative, persone, accoglienze, ascolti, dopo-scuola, pacchi viveri, corsi di italiano”.

La situazione illustrata dal vescovo è causata anche da mancati pagamenti da parte delle Istituzioni pubbliche negli anni passati: “Da anni la Fondazione Caritas denuncia una fatica finanziaria, in parte dovuta ai ritardi dei pagamenti delle convenzioni per i migranti e in parte anche ad una fatica organizzativa che si è accumulata: prima che io arrivassi a Trieste i dipendenti accusavano notevoli ritardi nei pagamenti del loro stipendio e così pure i fornitori, nonostante gli elevati mutui e i fidi bancari. Il desiderio è che nella riorganizzazione di questi servizi i dipendenti siano maggiormente tutelati (e ora sono pagati sempre puntualmente) ma anche che possiamo raddrizzare la gestione”.

Quindi grazie all’apporto finanziario della Cei e della Caritas italiana, attraverso l’8Xmille, la diocesi triestina riesce ad aiutare i poveri: “Abbiamo ricevuto un consistente sostegno dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalla Caritas Italiana che attraverso i fondi dell’8Xmille ci hanno sostenuto in modo maggiore rispetto a quanto già ogni anno ci viene erogato. Anzi grazie di cuore a tutti coloro che firmano per l’8Xmille per la Chiesa cattolica. A Trieste molti sono i segni di questa carità che raggiunge migliaia di poveri.

Il desiderio è quello di continuare e anzi aumentare la nostra attenzione alle persone fragili, sia attraverso le strutture convenzionate ma anche attraverso quella gratuità che ci porta ad accollarci spese per far fronte ai bisogni di coloro che non sono tutelati dalle leggi e dai sistemi statali”.

Ed ecco l’appello in previsione della stagione invernale: “Servono volontari e servono risorse economiche per implementare questi aiuti. Presto arriverà il freddo e non possiamo restare a guardare e neppure restare a discutere e ritardare quello che la carità esige prontamente.

Da Dio saremo giudicati per come ci siamo comportati davanti ai poveri. Di fronte a problemi complessi ‘non lasciamoci ingannare da soluzioni facili’, ammoniva il papa in visita a Trieste il 7 luglio… Ci ha messo in guardia dal ‘cancro dell’indifferenza’. Per questo chiedo a tutti di lasciarsi coinvolgere e di partecipare. Abbiamo bisogno di volontari (e grazie a quelli che già si stanno spendendo in modo ammirevole) e anche di offerte”.

Per questo il Vangelo è scomodo ma bello, aveva detto nell’omelia in occasione della festa di san Francesco di Assisi: “Il Vangelo è bello: e san Francesco scrive tante pagine di vangelo bello. San Francesco lo vediamo e lo pensiamo in una comunione profonda con il Signore, conformato a Lui nel più profondo del cuore. Ma anche capace di baciare un lebbroso o di predicare alle folle o di scrivere i primi inni in italiano o ad affascinare folle e folle di giovani che si mettono al suo seguito…

San Francesco è il Vangelo bello di Cristo che torna ad essere vivo e ad attrarre tanti giovani che lasciano i desideri di successo attraverso le battaglie, che tralasciano l’esistenza frivola e godereccia che distraeva dal senso vero della vita. Ieri come oggi spesso si è ammaliati da strade che portano alla perdizione: l’onore delle armi, il successo della vittoria, il piacere e il divertimento come nuovi idoli, la ricchezza accumulata e ostentata… Idoli del tempo di Franceso e del nostro tempo! Francesco ci insegna, vivendolo, che c’è un Vangelo bello, di fraternità, di pace, di amicizia, di solidarietà, di incontro anche con il povero, con il ricco, con il musulmano, con il lebbroso di oggi… Seguire Gesù mi autorizza ad un Vangelo bello nella vita concreta”.

Il Vangelo è scomodo, perché interroga la vita di ogni persona: “Il Vangelo è scomodo, perché è vero e non una fiction: e san Francesco ha patito il rigetto di suo padre, l’incomprensione dei suoi frati, il fraintendimento nostro quando lo riduciamo ad un’icona dell’ecologia e del panteismo e di un pacifismo ingenuo.

Il Vangelo è scomodo perché è segno di contraddizione, è accettare persecuzioni e fraintendimenti anche dentro la Chiesa, anche tra i suoi fratelli. E’ anche accettare il silenzio di Dio, come Gesù sulla croce, come san Francesco con le stimmate. Il Vangelo è scomodo perché il mondo non lo riconosce e preferisce le tenebre alla luce, il peccato alla grazia, la violenza al perdono. Vivere le beatitudini, come Francesco le ha incarnate, è scomodo. E’ un modo scorretto di presentarsi al mondo, perché ci si espone o ad essere considerati ridicoli (ingenui, goffi, bizzarri) o ad essere presi come integralisti, come fanatici. Il Vangelo è scomodo perché è vivere nell’amore di Cristo, fino al dono di sé, e per chi ti offende e ti insulta e ti crocifigge”.

Il Vangelo è bello e scomodo, ma è la ‘nostra passione’, ha concluso l’omelia: “Il Vangelo è la nostra passione. Con san Francesco vogliamo che il Vangelo sia la nostra ostinata passione. Cioè come per Francesco deve diventare il desiderio estremo, che ci consuma nell’amore, nell’abbandono a Dio, come Gesù, che è abbandonato dagli uomini e si abbandona al Padre. Il Vangelo che appassiona è il bicchiere d’acqua dato ai fratelli, il restare inginocchiati davanti all’Altissimo Onnipotente buon Signore, la ricerca della pecorella smarrita e la gioia del sapersi cercati dal Signore quando ci siamo perduti, la verità che rende liberi anche di fronte ai prepotenti, il perdono che risana il cuore, la visita all’ammalato che ridà spessore alla vita, la mitezza nei confronti degli arroganti, il silenzio che ti fa sospirare la Parola di Dio e la musica con cui canti il suo amore, l’umile ricostruzione della Chiesa, la condivisione di quello che hai e che sei, l’onore dato ad ogni piccolo e ad ogni povero”.

(Foto: diocesi di Trieste)

Cei ed Aiuto alla Chiesa che Soffre stanziano € 2.000.000 per il supporto in Libano

La Presidenza della CEI, ha stanziato € 1.000.000 dai fondi dell’8xmille, che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, per far fronte alle necessità della popolazione del Libano. L’erogazione, attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, servirà a fornire accoglienza e assistenza umanitaria alle centinaia di migliaia di profughi e sfollati, assicurando aiuti d’urgenza in ambito alimentare e socio-sanitario, supporto psicosociale e accompagnamento.

In questo modo sarà possibile rispondere alle numerose richieste della Caritas e di altri enti e soggetti ecclesiali locali, già impegnati sul territorio, con i quali negli ultimi 30 anni sono stati realizzati 143 progetti di sviluppo in diversi settori per quasi € 34.000.000, sempre con il sostegno della CEI, come ha affermato l’arcivescovo di Bologna, card. Matteo Zuppi, presidente della CEI:

“Le Chiese in Italia si uniscono al grido del Santo Padre per esprimere ai fratelli e alle sorelle del Libano e di tutto il Medio Oriente vicinanza e solidarietà: siamo con voi! Mentre continuiamo a invocare il dono della pace, ci rivolgiamo a quanti hanno responsabilità politiche affinché tacciano le armi e si imbocchi la via del dialogo e della diplomazia. Al contempo, ci facciamo prossimi concretamente a quanti vivono sulla propria pelle il dramma della guerra e della violenza”.

Infatti la Chiesa italiana è accanto alla popolazione locale, come racconta il dossier ‘Libano: nel buio della notte’ che, con dati e testimonianze, fa il punto sui 143 progetti finanziati dal 1991 attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli. Con quasi € 34.000.000 provenienti dai fondi 8xmille sono state sostenute iniziative in diversi settori, in particolare istruzione e accompagnamento di bambini e ragazzi, formazione e sensibilizzazione per educare alla pace e alla convivenza, inclusione, sanità, attività per lo sviluppo integrato economico e sociale.

Significativo l’impegno per percorsi di uscita dalla tossicodipendenza e di sostegno e inclusione comunitaria delle persone con disabilità. Pronte anche le risposte a situazioni di emergenza come l’assistenza umanitaria ai profughi e agli sfollati e aiuti d’urgenza, supporto psicosociale, formazione, accompagnamento.

Il dossier traccia un quadro economico e politico, che ha colpito il Libano negli ultimi 5 anni: “Duramente provato da cinque anni di crisi finanziaria e dalla paralisi istituzionale, il Libano è ancora una volta teatro di guerra. Dopo il conflitto del 1982 e quello del 2006, da cui è uscito in ginocchio, il Paese si trova di nuovo al centro di bombardamenti e operazioni militari che hanno causato finora più di 1200 morti e centinaia di migliaia di sfollati.

Gli scontri (intensificatisi a seguito dell’uccisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah) hanno provocato morte e distruzione che vanno ad aggravare le condizioni socioeconomiche già precarie. In un Rapporto di maggio 2024 la Banca Mondiale ha rilevato che negli ultimi dieci anni la popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà è passata dal 12 al 44%, con sproporzioni a livello geografico e punte del 70% (come nel distretto settentrionale di Akkar, al confine con la Siria).

Già prima del recente inasprimento del conflitto, gli scontri tra Hezbollah e l’esercito israeliano nel sud del Paese avevano causato 95.000 sfollati e, secondo il Ministero dell’Agricoltura, i bombardamenti avevano distrutto quasi 2.000 ettari di terra, con danni a proprietà e infrastrutture che si aggirano attorno a $ 1.500.000.000.

Da due anni il Libano si trova con un governo dimissionario e senza un Capo di Stato. La paralisi politica ha impedito l’elezione del successore di Michel Aoun, il cui mandato da Presidente della Repubblica è scaduto a ottobre 2022. Gli scontri tra Hezbollah e l’esercito israeliano hanno cristallizzato una polarizzazione tra il partito-milizia ed i suoi rivali   politici locali. A ciò si aggiunge la decisione di rinviare, per la terza volta in tre anni, le elezioni municipali.

Oltre ai campi con rifugiati palestinesi, il Libano ospita inoltre circa 2.000.000 di siriani. Nei confronti di questi ultimi, in un clima di crescente tensione, a maggio 2024 si sono inserite nuove misure restrittive. Più di 50.000 libanesi e siriani che vivono in Libano sono già entrati in Siria a causa dell’acuirsi del conflitto”.

Nell’introduzione, riprendendo gli appelli dei papi per il Libano, il dossier chiede un deciso impegno della diplomazia internazionale: “In un Medio Oriente sempre più in fiamme, c’è bisogno dell’impegno deciso della diplomazia e della comunità internazionale, ma anche di un lavoro educativo e solidale nella quotidianità con iniziative concrete nel segno del dialogo, per aiutare la popolazione libanese a rialzarsi e a mantenere sempre accesa la speranza di tornare ad essere un progetto di pace.

Il futuro sarà pacifico solo se comune. Lo sanno bene quanti ogni giorno danno concretezza alla cultura dell’incontro, del vivere insieme nella pace e nella fratellanza tra tutte le tradizioni religiose. In queste pagine vogliamo dar voce a loro, operatori di concordia e di rinnovamento. Occorre attraversare la notte per giungere all’alba, ma attingendo alle radici del vivere insieme nel rispetto e nel pluralismo: il popolo libanese, come il cedro, saprà resistere anche a questa tempesta e ritornare a seminare pace”.

Anche Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) ha annunciato una campagna di emergenza per raccogliere almeno € 1.000.000 per aiutare la Chiesa in Libano, avendo già contattato le sette diocesi e le cinque congregazioni religiose più direttamente coinvolte nelle operazioni di soccorso e sta raccogliendo i fondi necessari per soddisfare i loro bisogni, che nella maggior parte dei casi includono cibo, prodotti sanitari, materassi e coperte, farmaci e altri beni di prima necessità.

Molti dei cristiani nel sud del Libano sono agricoltori rimasti senza reddito a causa della distruzione dei loro campi e delle loro piantagioni. Anche le scuole cattoliche, la maggior parte delle quali ha aperto le lezioni online, avranno bisogno di assistenza poiché i genitori, nelle regioni più colpite dalla guerra, a causa della mancanza di reddito faranno fatica a pagare le tasse scolastiche.

Sebbene la crisi stia colpendo l’intero Paese, le aree più minacciate si trovano nelle regioni di confine tra Israele e Libano. I cristiani costituiscono una parte significativa della popolazione di quest’area e ne sono direttamente colpiti. Per migliaia di loro salvarsi significa rompere i legami familiari, poiché le madri e i figli cercano rifugio nelle strutture della Chiesa o nelle case dei parenti in zone più sicure, mentre i padri restano nella casa di famiglia per prevenire il furto di proprietà.

#BullismoOut: un nuovo romanzo sull’amicizia per i giovanissimi

Cercate un libro da proporre ai giovanissimi su amicizia, rispetto di sé, accettazione del proprio corpo e integrazione all’interno di un gruppo? Forse ne abbiamo uno che fa al caso vostro, che siate genitori, insegnanti, educatori. E’ settembre. Lucia si ritrova improvvisamente in una nuova scuola, dove dovrà frequentare la seconda media. Il mondo sembra crollare sulle sue spalle. Perché deve lasciare le sue amiche, le sue abitudini, la sua classe di sempre? La madre ha deciso per lei questo cambiamento e, perciò, è molto arrabbiata. Perché non può scegliere da sola della sua vita?

Inizia così il romanzo, pensato per un pubblico di preadolescenti (dai 9 ai 13 anni), dal titolo ‘CambiaMenti. Bullismo out’ (Cecilia Galatolo, Mimep Docete), dove viene raccontata una storia che farà sorridere e commuovere al tempo stesso i nostri giovanissimi lettori. La protagonista, che non sa apprezzarsi, soprattutto perché non le piace il suo aspetto fisico, finirà per chiudersi in sé stessa, per mostrarsi fragile e insicura, e diverrà vittima di Micheal, il bullo della classe. Lui non perderà occasione per denigrarla e farla sentire ancora più sbagliata.

Anche Micheal porta dentro una grande sofferenza (si scoprirà solo poi), è incattivito, non cattivo, ma le sue parole sono come lame taglienti e Lucia sente di non farcela più. A chi chiedere aiuto? Se solo smettesse di vergognarsi, di credere che sia colpa sua e imparasse a confidarsi con un adulto…

Una notte, stanca di vivere così, di sentirsi sola, senza amicizie, presa di mira e spaesata, si ritrova a pregare davanti al presepe, realizzato in casa dal padre. Si rivolge a Gesù bambino, come ad un amico.

Piano piano, passate le vacanze di Natale, le cose prenderanno una piega diversa. Nicola e Viola saranno due personaggi chiave, terapeutici per lei. Con loro la vita diventa di nuovo meravigliosa e ricca di sorprese. Il libro tratta uno dei problemi che affliggono il mondo giovanile oggi: l’eccessiva aggressività di alcuni ragazzi che può sfociare anche nel bullismo. Attraverso le esperienze di una ragazzina, quasi in forma di diario, descrive il percorso proposto ai ragazzi per contrastare ogni forma di violenza e accrescere la coscienza del valore di sé e dei buoni rapporti di amicizia.

Si crea così una ‘rete’ di relazioni che tende a limitare i caratteri violenti e le espressioni aggressive.
si cerca di offrire, con realismo, una descrizione puntuale della situazione giovanile attraversata da tensioni nei rapporti tra i ragazzi ma anche da solide amicizie che offrono una via di uscita. Le buone relazioni prevarranno su tutti gli sbandamenti. Il punto di forza del libro è che parla nel linguaggio dei giovani ai giovani stessi.

Il messaggio principale è che ognuno di noi è unico e prezioso e che nessuno è condannato in eterno alla solitudine: esistono per tutti altri cuori che battono all’unisono con il proprio, basta solo desiderarli e cercarli. Gli amici sono un dono: per trovarli, però, bisogna aprirsi. Il libro vuol insegnare questo: che puoi trovare un amico se impari tu stesso, per primo, a farti amico.

L’impegno della Chiesa cattolica italiana per il mondo

Di fronte alle sofferenze che continuano ad affliggere la popolazione della Repubblica Democratica del Congo, la Chiesa italiana cerca i far sentire la sua vicinanza alle comunità locali, come racconta, attraverso schede e testimonianze, il terzo Dossier curato dal Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, in collaborazione con l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali. Infatti dal 1991, grazie ai fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica, la CEI ha sostenuto 1.236 interventi per € 136.000.000: si tratta di progetti in risposta a emergenze e di sviluppo socioeconomico in vari settori: sanità, agricoltura, educazione, formazione.

Particolare attenzione è stata data a interventi con taglio promozionale, pedagogico, di animazione, rivolti alle comunità e con approcci comunitari basati su tutela dei diritti, advocacy, lavoro in rete, nella prospettiva di offrire opportunità anche alle categorie più vulnerabili e discriminate, come donne, anziani e bambini, e di trasmettere conoscenze e strumenti che rendano lo sviluppo autonomo e sostenibile.

Pur essendo un Paese immenso, il più esteso del continente africano dopo l’Algeria, con un’enorme ricchezza naturale nel sottosuolo, ha un’economia fragile ed è costantemente afflitto da violenze, povertà e sconvolgimenti, come racconta il dossier: “Negli ultimi vent’anni l’appetito, mai saziato, di accaparramento di risorse naturali da parte dei tanti soggetti in competizione è stato alla radice dei ripetuti conflitti civili che hanno provocato oltre 6 milioni di vittime, milioni di feriti, mutilati e orfani oltre che un impressionante numero di sfollati e profughi verso i Paesi circostanti”.

Tuttavia, quella della Repubblica Democratica del Congo “è sempre stata una Chiesa profetica: questa dimensione dona speranza alla popolazione. Una popolazione che ha tutti i motivi per essere davvero sconfortata, ma che, con l’aiuto della Chiesa, riesce a mantenere accesa la flebile fiamma della speranza per un futuro migliore. Questa voce profetica è osteggiata dal potere politico, ma noi Pastori non abbiamo paura di svolgere il nostro compito a servizio della popolazione”, sottolinea il card. Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa e presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Secam).

Inoltre per la Cei offrire assistenza sanitaria e migliorare le condizioni di vita delle persone più fragili sono alcune delle sfide che la Chiesa ha raccolto con decisione e dedizione, facendosi prossima a tutti, in ogni angolo del mondo, come dimostrano i numerosi progetti realizzati in diversi Paesi con i fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica.

Infatti nell’ultima riunione di luglio, il Comitato per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli ha approvato 81 nuovi progetti, decidendo lo stanziamento di € 15.262.116, che permetterà di concretizzare 38 iniziative in Africa (€ 8.106.569), 19 in America Latina (€ 2.689.321), 22 in Asia (€ 4.268.302), 1 in Europa (€ 148.580) e 1 in Medio Oriente (€ 49.344). Tra queste, molte riguardano l’ambito sanitario e della cura, come quella promosso in Costa d’Avorio dalle Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori, che aiuteranno (grazie a materiali, attrezzature e trattamenti farmacologici personalizzati) 50 bambini con patologie gravi, congenite e croniche.

Ad Oweri, in Nigeria, i Servi della Carità dell’Opera Don Guanella amplieranno l’attuale Centro di salute mentale che potrà così garantire riabilitazione, consulenza e cure a 60 ragazzi, dai 6 ai 25 anni, affetti da varie patologie, dalla sindrome di Down e da disturbi dello spettro autistico. Il nuovo edificio erogherà anche trattamenti ambulatoriali ad altri 20 giovani.

In India, le Soeurs des Missions Etrangeres, che gestiscono un Centro a Rawthankuppam nella Diocesi di Pondicherry and Cuddalore, offriranno assistenza sanitaria, alloggio e pasti ai malati di lebbra oltre che formazione professionale agli abitanti di 129 villaggi rurali. In Kazakhstan, la diocesi di Karaganda costruirà la ‘Casa della misericordia’, un luogo dove verrà promosso lo sviluppo integrale di adolescenti e giovani disabili attraverso fisioterapia specifica e percorsi professionali formativi volti all’inserimento sociale e lavorativo. Per assicurare l’approvvigionamento energetico all’ospedale ‘Holy Family’ che fornisce assistenza medica a circa 60.000 persone l’anno, l’arcidiocesi di Karachi, in Pakistan, installerà un impianto fotovoltaico.

Aiuto alla Chiesa che Soffre in aiuto dei cristiani

Nei giorni scorsi è stato reso noto il Rapporto annuale di ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre), in cui si evidenzia che nello scorso anno l’istituzione religiosa ha ricevuto donazioni e lasciti per € 143.700.000, che insieme ad € 800.000 di riserve dell’anno precedente, ha permesso ad ACS di finanziare attività per un valore di € 144.500.000 con offerte da quasi 360.000 benefattori privati ​​presenti nei 23 Paesi in cui ACS ha sedi nazionali. 

L’81,3% di questi fondi è stato destinato alle spese relative alla missione. All’interno di questa cifra, l’85,9% è andato a progetti di aiuto in 138 paesi (5.573 progetti approvati su 7.689 richieste ricevute). Il restante 14,1%, pari ad € 16.600.000, è stato destinato ad attività di informazione, proclamazione della fede e difesa dei cristiani perseguitati.

Il Paese che ha ricevuto maggiori aiuti è l’Ucraina: € 7.500.000; seguita dal Siria, con € 7.400.000 ed il Libano con € 6.900.000. Particolare attenzione per l’Africa che ha ricevuto il maggior sostegno: il 31,4% delle risorse. La presidente esecutiva di ACS Internazionale, Regina Lynch ha commentato: “L’Africa è la patria di circa un cattolico su cinque, di un sacerdote su otto, di una religiosa su sette e di quasi un terzo dei seminaristi nel mondo. Oltre a ciò, la diffusione del terrorismo e dell’estremismo islamico in alcuni Paesi, soprattutto nella regione del Sahel, è causa di grande sofferenza per i cristiani di questo continente”.

Con il 19,1% di aiuti, il Medio Oriente rappresenta la seconda regione a ricevere il maggior numero di aiuti. Il 61% dei fondi inviati in Siria è destinato ad aiuti di emergenza, tra cui cibo e alloggio, assistenza medica e microcredito per le imprese. In Libano, gli aiuti d’urgenza hanno rappresentato il 47% del totale e sono stati destinati alle scuole cristiane, al cibo, agli alloggi e alle cure mediche. 

Inoltre ACS ha fatto giungere a 40.767 sacerdoti € 1.075.000 di offerte per la celebrazione di Messe. Ciò significa che un sacerdote su 10 nel mondo ha ricevuto sostegno da ACS e che, in qualche parte del mondo, ogni 18 secondi è stata celebrata una Messa secondo le intenzioni dei benefattori.  Inoltre, grande sostegno per la formazione di quasi 11.000 seminaristi: il sostegno alla formazione di sacerdoti, religiosi e laici ha rappresentato il 26,7% di tutto l’aiuto garantito, mentre le offerte per le Messe e gli aiuti di sussistenza per le religiose sono stati pari al 21,6%. 

In particolare Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sottolineato che dopo 13 anni dall’inizio della guerra, la Siria è ancora nel caos, come ha raccontato l’arcivescovo di Homs dei Siri, mons. Jacques Mourad. Nel Paese la situazione sanitaria è drammatica: i farmaci sono sempre più costosi, gli ospedali sono danneggiati e non funzionano a pieno regime, e il 90% della popolazione vive in povertà estrema. Per molte persone, curarsi è diventato un lusso impossibile. Il salario medio mensile corrisponde ad appena 10 euro, mentre l’inflazione annuale supera il 139%.

Per quanto riguarda la situazione in Terra Santa, mons. William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme e Vicario patriarcale per la Palestina, in un colloquio con Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia (ACS Italia), ha fornito un aggiornamento sulla drammatica situazione dei cristiani di Terra Santa. Quanto ai fedeli presenti nella Striscia di Gaza, il prelato ha ricordato che ‘a Gaza prima della guerra vivevano 1.017 cristiani’. Dopo lo scoppio del conflitto ‘la maggior parte di loro si è rifugiato nel complesso parrocchiale latino e una minoranza in quello greco-ortodosso’.

Questi sfollati “soffrono per la mancanza di elettricità, acqua potabile e cibo. Nei giorni scorsi, per fortuna, hanno potuto acquistare sacchi di farina. Una volta hanno ricevuto polli congelati, che dovevano essere cucinati e consumati in giornata perché non avevano frigoriferi… Inoltre la maggior parte dei cristiani ha visto le proprie case distrutte. Vivono nelle aule delle nostre scuole.

Una stanza di classe per una o due famiglie. Perciò, non potremo riprendere l’attività scolastica finché le famiglie non avranno ricostruito i loro appartamenti. Chi ricostruirà? Nessuno conosce quale sarà la situazione a Gaza all’indomani della guerra. Va da sé che continuiamo a pagare l’intero stipendio agli insegnanti delle nostre due scuole, altrimenti perderebbero l’unico reddito di cui dispongono”.

(Foto: ACS)

Giornata per la carità del Papa: il rapporto annuale dell’Obolo di San Pietro

L’Obolo, come donazione al successore di Pietro, prese forma stabile nel VII secolo, con la conversione degli Anglosassoni, in collegamento con la festa dell’Apostolo san Pietro a cui Gesù affidò la Sua Chiesa. E’ cresciuto nei secoli successivi, con l’adesione al cristianesimo degli altri popoli europei, sempre come un contributo di riconoscenza e devozione al papa, quale espressione di unità della Chiesa, e di corresponsabilità ecclesiale.

Il termine ‘Obolo di san Pietro’ fu usato fin dal Medioevo per identificare il censo, cioè il contributo annuo pagato alla Santa Sede da parte degli Stati o delle signorie locali che si erano poste sotto la sovranità del Papa. Con la Riforma protestante e la fine del regime feudale cessarono questi rapporti tra le monarchie europee e il Papa.

Nell’epoca moderna, poco prima della fine dello Stato Pontificio (1870) e della perdita delle rendite dei possedimenti territoriali, sorse in tutta Europa ed oltremare una sorprendente iniziativa di offrire al papa un aiuto materiale. Questa affettuosa reazione dei cattolici fu di grande consolazione e d’incoraggiamento per il papa. Anche in quel periodo di crisi il papa prese cura dei più sofferenti (ricordiamo ad es. il terremoto disastroso in Croazia nel 1881), destinando loro una parte dell’Obolo. Il sostegno ricevuto dal papa infatti non poteva non essere condiviso con quanti si trovavano in situazione di grave necessità, esprimendo così la premura di un padre che si prende cura di tutti i suoi figli: riceve per dare, e per dare a chi in quel momento ne ha più bisogno.

Nel resoconto annuale dello scorso anno le entrate del Fondo Obolo sono ammontate ad € 52.000.000, mentre le uscite sono risultate pari ad € 109.400.000, da quel che risulta dal Rapporto annuale diffuso in occasione della Giornata per la carità del Papa sul tema: ‘Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione’ e relativo alle tre forme principali da cui giungono le donazioni all’obolo: dalla Colletta raccolta presso le chiese di tutto il mondo in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, e trasmessa alla Santa Sede dalle diocesi italiane e, per il tramite delle rappresentanze pontificie, dalle diocesi estere; dalle offerte dirette inviate mediante bonifici su conti correnti bancari e postali, assegni o tramite il relativo sito web; dai lasciti ereditari.

Nell’anno trascorso le diocesi hanno contribuito all’Obolo per il 31.2%, i donatori privati per il 2.1%, le fondazioni per il 13.9%, gli ordini religiosi per l’1,2%. Per quanto riguarda le donazioni provenienti dalle diocesi e dai privati, i tre principali contributi provengono dagli Stati Uniti d’America (13.6%), dall’Italia (3,1%) e dal Brasile (1.9%).

Nello scorso anno il ‘Fondo Obolo di San Pietro’ ha erogato contributi per € 103.000.000, dei quali € 90.000.000 per supportare le attività espletate dalla Santa Sede a servizio della missione apostolica del Santo Padre ed € 13.000.000 per sostenere i progetti di assistenza diretta ai più bisognosi. Tali contributi provengono da offerte ricevute per € 48.400.000 e da proventi finanziari, realizzati dalla remunerazione del patrimonio, pari ad € 3.600.000 mentre la restante parte, € 51.000.000, è stata attinta dal patrimonio del Fondo Obolo.

Nel 2023 il Fondo Obolo ha sostenuto 236 progetti in 76 paesi, finanziandoli per un importo complessivo di € 13.000.000. Tra questi, € 80.000.000 devoluti in favore dell’Ucraina per patrocinare diverse iniziative pastorali e sociali in favore della popolazione martoriata dalla guerra. Tra i progetti sociali anche quello di ‘Ospedali Aperti’ in Siria.

Infine papa Francesco, attraverso i dicasteri della Santa Sede ha donato circa € 32.000.000 (di cui €  8.000.000 finanziati dall’Obolo) per opere caritative, che insieme ad € 13.000.000 per 236 progetti finanziati, menzionati precedentemente, ammontano ad un totale di € 45.000.000.

A Tolentino inaugurata una statua alla santa Madre Teresa di Calcutta

Nel dicembre dello scorso anno la Comunità albanese di Tolentino ha festeggiato il 111° anniversario dell’indipendenza dell’Albania alla presenza dell’ambasciatrice della Repubblica del Kosovo, Lendita Haxhitasim, e del sindaco della città, Mauro Sclavi, i quali hanno ‘scoperto’ la statua dedicata a santa Madre Teresa di Calcutta, posizionata nel quartiere di viale Benadduci, benedetta da don Gianni Compagnucci, parroco della concattedrale di san Catervo, che all’inizio della sua vocazione di sacerdote è vissuto per oltre un anno in Albania.

La statua, alta 165 cm, realizzata in bronzo, da un artista kosovaro, è stata donata dalla famiglia di Gzim Gashi per ringraziare la Comunità tolentinate per quanto fatto in favore del popolo albanese. Infatti Gashi, a partire dal 1999, grazie alla collaborazione del Sermit e del comune tolentinate, ha promosso una raccolta sistematica di genere alimentari e di prima necessità che erano donati dai tolentinati e che lui personalmente trasportava ogni mese in Albania, poi distribuiti per aiutare le famiglie in difficoltà. 

Al termine dell’inaugurazione abbiamo chiesto a Gashi Gzim di spiegare il motivo per cui ha donato una statua dedicata a santa Madre Teresa: “Lei è un simbolo del nostro Paese, perché è nata a Skopje ed è di origine albanese. Ha donato tutta se stessa alle persone bisognose di tutto il mondo; ha vissuto in posti, da cui tutti fuggivano; invece lei è stata lì. Sono orgoglioso che è parte della nostra comunità albanese.

La prima cosa a cui ho pensato è stata quella di donare la statua alla città di Tolentino, perché nel 1999 quando il popolo kosovaro è fuggito dall’Albania, perché era un Paese povero e non poteva ospitare le persone evacuate dal Kosovo  per trovare la salvezza, è stato ospitato dalle città italiane. In quel tempo eravamo un unico Paese. Io sono a Tolentino da più di 30 anni e sono stato ben accolto.

Arrivato in città da Bari il presidente del Ser.Mi.T (Servizio Missionario Tolentino) di quel tempo, Sandro Luciani, mi ha accolto ed aiutato a sistemarmi; anche tutti i cittadini ci ha aiutato con cibo e vestiario. Quindi con questa statua voglio ringraziare la città per l’accoglienza. Poi mi hanno aiutato a trovare un lavoro ed una degna sistemazione: la statua è un pensiero per condividere il bene ricevuto”.

Per quale motivo ha regalato alcuni volumi su Madre Teresa al Sermit?

“Don Gjergje, sacerdote nella Pristina, ha seguito molto la storia della santa albanese ed ha scritto molti libri, tra cui ‘La spiritualità di Madre Teresa, in quanto ha trascorsi alcuni anni in missione con lei e voleva essere presente in città all’inaugurazione. Purtroppo non è potuto essere presente, ma mi ha consegnato alcuni libri da regalare al Sermit”.

Cosa è stato per lei il Sermit?

“Per me è stato un punto di riferimento, perché quello che il Sermit ha fatto per me è stato straordinario. I libri sono solo una testimonianza per tutte le persone che svolgono questo servizio di volontariato”.

Per chi voglia sostenere l’opera del SerMiT:

Intesa San Paolo IBAN: IT 94 D 03069 69200 100000 006377;

Poste Italiane: IBAN: IT 66 N 07601 13400 000014 616627.

Il fatto non sussiste: la lotta per la vita

Due episodi hanno caratterizzato le discussioni della scorsa settimana, che possono essere riassunte in una mancanza di conoscenza, o meglio non rispetto della legge da parte di chi dovrebbe farle rispettare, che riguardano la vita. Il problema è che quando in questione è la vita si cercano molti escamotages per ucciderla, semplicemente per un vezzo ideologico, anche se i fatti non sussistono.

E’ il caso dei ‘taxi del mare’: nella settimana scorsa il tribunale di Trapani ha chiuso il caso delle ong che furono accusate di essere ‘taxi del mare’, in quanto il ‘fatto non sussiste’. I membri dell’equipaggio della nave della ong ‘Jugend Rettet’ erano stati accusati insieme ad altre persone di Msf e Save the Children di aver favorito l’immigrazione clandestina.

L’inchiesta era durata 4 anni: si basava sul racconto di alcuni addetti alla sicurezza imbarcati sulla nave di Save the Children, che rivelarono ad uomini dei servizi segreti come, in almeno tre occasioni, le Ong si fossero accordate con i trafficanti di esseri umani, simulando inesistenti situazioni di emergenza e arrivando persino a restituire i barconi agli scafisti. Qualche giornale, molto falsamente, arrivò a titolare in prima pagina ‘Patto tra l’ong egli scafisti’.

La formula assolutoria ha affermato che i fatti non sono stati dimostrati, tantoché Raffaela Milano, portavoce di ‘Save The Children’, ha definito storica la sentenza: “Questa sentenza restituisce il senso di un lavoro che è stato colpito da accuse ignobili e segna un passaggio fondamentale perché ci dice che il soccorso in mare non può essere messo al secondo posto. Speriamo solo che apra una fase nuova per tutta Europa”.

Stesso tenore è stata la nota di ‘Medici senza Frontiere’: “Dopo 7 anni di false accuse, slogan infamanti ed una plateale campagna di criminalizzazione delle organizzazioni impegnate nel soccorso in mare, cade la maxi-inchiesta avviata dalla Procura di Trapani nell’autunno 2016, la prima della triste epoca di propaganda che ha trasformato i soccorritori in ‘taxi del mare’ ed ‘amici’ dei trafficanti”.

Il ‘fatto non sussiste’ ugualmente per la polemica dell’aborto e l’applicazione della legge 194/78, anche se le misure sull’aborto non hanno niente a che vedere con il pnrr, in quanto la vita non è mercimonio, ma l’emendamento che affida alle Regioni la possibilità di ‘avvalersi nei consultori di soggetti del terzo settore con qualificata esperienza nel sostegno alla maternità’, non dice nulla di nuovo rispetto alla legge, che riconosce che lo “Stato  garantisce  il  diritto  alla  procreazione  cosciente e responsabile,  riconosce  il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio…

Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono   e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.

Per questo la legge prescrive da parte dello Stato il dovere di rimuovere, quando possibile, cause e circostanza che impediscono la maternità alle donne, garantendo un diritto alla vita del nascituro e un dovere dello Stato di aiutare le donne che vogliano proseguire la gravidanza: “Il consultorio e la  struttura  socio-sanitaria,  oltre  a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della  dignità e della  riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.

Inoltre è la legge che disciplina convenzioni con il Terzo Settore: “I  consultori sulla base di appositi  regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla  legge, della collaborazione  volontaria  di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono  anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.

Tutto il resto sono parole al vento che uccidono la vita e lo Stato non può permettersi di uccidere, andando contro le leggi che emana!   

La situazione in Terra Santa attraverso il racconto di Nadine Bahbah

“Si avvicini in Israele e Palestina, dove la guerra scuote la vita di quelle popolazioni. Le abbraccio tutte, in particolare le comunità cristiane di Gaza, la parrocchia di Gaza, e dell’intera Terra Santa. Porto nel cuore il dolore per le vittime dell’esecrabile attacco del 7 ottobre scorso e rinnovo un pressante appello per la liberazione di quanti sono ancora tenuti in ostaggio.

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